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mercoledì 31 agosto 2011

Il metodo Vol 1. – Edgar Morin

Per raggiungere il punto che non conosci, devi prendere la strada che non conosci.
San Giovanni della Croce

Sono sempre più convinto che i problemi la cui urgenza ci spinge verso l’attualità richiedono di distaccarcene per poterli considerare nella loro sostanza.
La dissociazione dei tre termini individuo/società/specie spezza la loro relazione permanente e simultanea. Occorre indagare ciò che nella dissociazione è scomparso: la relazione.

Organizzazione: introduce alla dimensione fisica alle radici dell’organizzazione vivente e dell’organizzazione antropo-sociale, che possono e devono essere considerate quali sviluppi trasformatori dell’organizzazione fisica.
Fisica – biologia – antropo-sociologia
L’osservatore che osserva e la mente che pensa e forma concetti sono essi stessi indissociabili da una cultura, dunque da una società hic et nunc.
Ogni conoscenza, anche di tipo più fisico, subisce una determinazione sociologica.
In ogni scienza, anche di tipo più fisico, vi è una dimensione antropo-sociale.
Nessuna scienza però ha voluto conoscere la categoria più obiettiva della conoscenza: quella del soggetto conoscente.

L’uomo si sbriciola: qui rimane una mano come utensile, là una lingua che parla, in altro luogo un sesso che inzacchera un po’ di cervello. L’idea di uomo è tanto più eliminabile quanto più è miserevole: l’uomo delle scienze umane è uno spettro ultrafisico e ultrabiologico. Come l’uomo, anche il mondo è dissociato fra le scienze, sbriciolato fra le discipline, polverizzato in informazioni.
Che cos’è la scienza? La scienza non si conosce in maniera scientifica e non ha alcun mezzo per conoscersi in maniera scientifica. “La scienza senza coscienza non è che una rovina dell’anima”, diceva Rabelais.
La coscienza che manca non è la coscienza morale, è la coscienza in generale, cioè l’attitudine a concepire se stessi.
La missione è impossibile così come la rinuncia. La scelta non è dunque fra sapere particolare, preciso, limitato e l’idea astratta. La scelta è fra Lutto e la ricerca di un metodo che possa articolare ciò che è separato e collegare ciò che è disgiunto.
Oggi il nostro bisogno storico è di trovare un metodo che riveli e non nasconda i legami, le articolazioni, le solidarietà, le implicazioni, le connessioni, le interdipendenze, le complessità.
Non possiamo partire che nell’ignoranza, nell’incertezza, nella confusione.
Accettare la confusione può diventare un mezzo per resistere alla semplificazione mutilante. Certo in partenza siamo privi del metodo; ma almeno possiamo disporre di un anti-metodo, in cui l’incertezza, la confusione diventano virtù.
La particella subatomica è sorta in maniera irrevocabile, nella confusione, nell’incertezza, del disordine.
Questa relazione circolare: fisica – biologia – antropo-sociologia
significa anzitutto che una scienza dell’uomo postula una scienza della natura, la quale a sua volta postula una scienza dell’uomo: ora, dal punto di vista logico questa relazione di dipendenza reciproca rinvia ognuna di queste proposizioni l’una all’altra, l’altra all’una, in un ciclo infernale in cui nessuna di esse può prendere corpo.
Questa relazione circolare significa che nello stesso tempo la realtà antropo-sociale dipende dalla realtà fisica, e la realtà fisica dipende dalla realtà antropo-sociale. Prese alla lettera, queste due proporzioni sono antinomiche e si annullano reciprocamente.

La relazione soggetto/oggetto è così dissociata: la scienza si impossessa dell’oggetto, e la filosofia del soggetto.
Si afferma con ciò che spezzare le circolarità, eliminare le antinomie significa precisamente ricadere sotto il dominio del principio di disgiunzione/semplificazione al quale vogliamo sfuggire. Di contro conservare la circolarità significa rifiutare la riduzione di un dato complesso a un principio mutilante: significa rifiutare l’ipostatizzazione di un concetto principe (la Materia, lo Spirito, l’Energia, l’Informazione, la Lotta di classe …). Significa rifiutare il discorso lineare con un punto di partenza e uno di arrivo. Significa rifiutare la semplificazione astratta.
Spezzare la circolarità sembra ristabilire la possibilità di una conoscenza oggettiva in senso assoluto. Ma proprio questo è illusorio: al contrario, conservare la circolarità significa rispettare le condizioni oggettive della conoscenza umana che comporta sempre, in qualche luogo, il paradosso logico e l’incertezza.
Intravediamo la possibilità di trasformare i circoli viziosi in cicli virtuosi, che diventano riflessivi e generatori di un pensiero complesso.
Non bisogna spezzare le nostre circolarità, bisogna al contrario prestare attenzione a non staccarsi da esse. Il cerchio sarà la nostra ruota, la nostra strada sarà a spirale.

Riapprendere ad apprendere
Bisogna cercare di non sopprimere le distinzioni e le opposizioni, ma di abbattere la dittatura della semplificazione disgiuntiva e riduttrice.
Le rivoluzioni di pensiero sono sempre il frutto di una vibrazione generalizzata, di un movimento turbinoso che passa dall’esperienza fenomenica ai paradigmi che organizzano l’esperienza. Così per passare dal paradigma tolemaico al paradigma copernicano (dal centro alla periferia, da sovrani a satelliti) ci sono voluti innumerevoli andirivieni.
Il nostro pensiero deve aggredire ciò che non si pensa, che lo comanda e lo controlla. Per pensare ci serviamo della nostra struttura di pensiero. Dovremo servirci anche del nostro pensiero per ripensare la nostra struttura di pensiero. Il nostro pensiero deve ritornare alla sua origine secondo un anello interrogativo e critico. Altrimenti la struttura morta continuerà a secernere pensieri pietrificati.
Ciò che oggi è fondamentale è organizzare il nostro sistema mentale per riapprendere ad apprendere.
Non offro il metodo, parto alla ricerca del metodo. Non parto con un metodo, parto con un rifiuto, pienamente cosciente, della semplificazione. La semplificazione e la disgiunzione fra entità separate e chiuse, la riduzione a un elemento semplice, l’eliminazione di ciò che entra nello schema lineare. Parto con la volontà di non cedere a questi modi fondamentali del pensiero semplificante:
  • idealizzare (credere che la realtà possa esaurirsi nell’idea, che sia reale solo l’intelligibile)
  • razionalizzare (voler chiudere la realtà nell’ordine e nella coerenza di un sistema, proibirle ogni straripamento)
  • normalizzare (eliminare ciò che è strano, irriducibile, il mistero)

Parto anche avendo bisogno di un principio di conoscenza che non solo rispetti, ma altresì riconosca ciò che non è idealizzabile, ciò che non è razionalizzabile, ciò che è fuori norma, ciò che è enorme.
Abbiamo bisogno di un principio di conoscenza che non soltanto rispetti, ma riveli il mistero delle cose.

La parola metodo significa cammino
Bisogna accettare di camminare senza sentiero, di tracciare il sentiero nel cammino. Il metodo non può costituirsi che nel momento in cui l’arrivo torna a essere un nuovo punto di partenza, questa volta dotato di un metodo.
In questo modo il ritorno non è un circolo vizioso se dal viaggio si ritorna cambiati.
Il metodo si oppone qui alla concezione detta “metodologica”, in cui esso è ridotto a ricette tecniche. Non si tratta più di obbedire a un principio d’ordine (che esclude il disordine), di chiarezza (che esclude l’oscurità), di distinzione (che esclude le connessioni, le partecipazioni, le comunicazioni) di disgiunzione (che esclude il soggetto, l’anatomia, la complessità), cioè a un principio che lega la scienza alla semplificazione logica. Si tratta, al contrario, di partire da un principio di complessità, di connettere ciò che era disgiunto.
Descartes aveva formulato il grande paradigma che avrebbe dominato l’Occidente, la disgiunzione del soggetto e dell’oggetto, dello spirito e della materia, l’opposizione dell’uomo e della natura.
Atlan formula idea di disordine creatore, e quindi alle sue varianti (caso organizzatore, disorganizzazione/riorganizzazione).

Il disordine genesico
In un secolo, il disordine si è infiltrato a poco a poco nella physis. Partito dalla termodinamica, è passato per la meccanica statistica, ed è sfociato nei paradossi microfisici.
L’ordine cosmico imperiale, assoluto, eterno, continua a reggere un universo regolato, sferico, da orologiai.
Ecco però che a partire dagli anni venti quest’universo si dilata, poi si disperde e poi, nel corso degli anni sessanta, si riempie di crepe, si sfascia, e improvvisamente cade a pezzi.
Nel 1923, si scopre l’esistenza di altre galassie. L’infinito indietreggia infinitamente e il visibile cede il posto all’inaudito (scoperta nel 1963 dei quasar, nel 1968 delle pulsare, e poi dei “buchi neri”). Ma la grande rivoluzione è che la sua estensione corrisponde a una espansione, che questa espansione è una dispersione, che questa dispersione forse ha origine da un’esplosione.
Le galassie si allontano le une dalle altre in una deriva universale che sembra raggiungere talvolta velocità terrificanti. Nel 1965 viene captata una radiazione isotropa che ci raggiunge da tutte le direzioni dell’universo.
Le scoperte astronomiche dal 1923 a oggi si articolano per presentarci un universo la cui espansione è il frutto di una catastrofe primigenia e che tende a una dispersione infinita.
Al di là dell’ordine provvisorio della nostra piccola periferia galattica, che avevamo preso per l’ordine universale ed eterno, si producono diversi fatti inauditi, che cominciano a presentarsi sulle nostre telescriventi. Scopriamo che la stella, lungi dall’essere la sfera perfetta che emette i segnali in cielo, è una bomba all’idrogeno al rallentatore, nata con la catastrofe, presto o tardi scoppierà catastroficamente.
Non possediamo più un Universo ragionevole, ordinato, adulto.
Il pilastro fisico dell’Ordine era rosicchiato, minato dal secondo principio. Il pilastro microfisico dell’Ordine era crollato.
Il nuovo sviluppo della termodinamica, di cui Prigogine è l’iniziatore, ci mostra che non vi è necessariamente esclusione, e che è possibile che vi sia complementarietà, fra fenomeni disordinati e fenomeni organizzatori.
La devianza, la perturbazione e la dissipazione possono generare una “struttura”, vale a dire organizzazione e ordine nello stesso tempo.
È dunque possibile esplorare l’idea di un universo che costituisce il suo ordine e la sua organizzazione nella turbolenza, nell’instabilità, nella devianza, nell’improbabilità, nella dissipazione energetica.
Von Neumann scopre, nel corso degli anni cinquanta, nella sua riflessione sui self-reproducing automata (1966) che la grande originalità dell’automa “naturale” (vivente) è il suo funzionamento con il disordine. Nel 1959, von Foerster avanza l’ipotesi che l’ordine caratteristico dell’autoorganizzazione (organizzazione vivente) si costruisce con il disordine: è il principio di order from noise (1960). Atlan, in fine e soprattutto, porta alla luce l’idea di caso organizzatore.

Il problema dell’origine
Il big bang elude la trasformazione riducendo l’origine all’esplosione termica. Perciò bisogna superare il big bang in una nozione teorica: catastrofe (Thom: in senso sia fisico e geo-climatico e anche come cambiamento/rottura di forma in condizioni di singolarità irriducibile).
Thom ci porta a connettere ogni morfogenesi o creazione di forma a una rottura di forma o catastrofe.
Ci permette dunque di leggere nei medesimi processi la disintegrazione e la genesi.
L’idea metamorfica, la catastrofe non si identifica con un principio assoluto e lascia aperto il mistero dell’ignoto a-cosmico o protocomsico. Essa porta con sé l’idea di Evento e di cascata di eventi. Lungi dall’escluderla, essa comprende in sé l’idea di disordine, e in maniera genesica, poiché la rottura e la disintegrazione di una vecchia forma sono allo stesso tempo il processo costitutivo della nuova. Essa contribuisce a far capire che l’organizzazione e l’ordine del mondo si edificano nello squilibrio e nell’instabilità, e per loro tramite.
A differenza del big bang che è un momento puntiforme nel tempo, e diventa una causa sperata dai processi che l’hanno prodotto e che esso ha prodotto, l’idea di catastrofe, con l’insieme del processo metamorfico delle trasformazioni disintegratrici e creatrici.
Ora questo processo continua ancora oggi. Perciò non circoscriveremo la catastrofe quale un puro inizio. È l’origine. Esplosiva o no, del nostro universo che fa parte di una catastrofe, e questa catastrofe continua ancora oggi. L’idea di catastrofe è inseparabile da tutto il nostro universo.
L’evoluzione non può essere un’idea semplice, ma deve essere nel medesimo tempo degradazione e costruzione, dispersione e concentrazione. L’ordine, il disordine, la potenzialità organizzatrice devono essere pensati insieme, contemporaneamente nei loro caratteri antagonisti ben noti e nei loro caratteri complementari ignoti.
È disintegrandosi che il cosmo si organizza.
Appare una nube di protoni, si dilata. Trasformandosi, si trova a “fabbricare il mondo”. Si materializzano le prime particelle: elettroni, neutrini, neutroni, protoni. La temperatura inizia a diminuire, sempre mantenendo una formidabile agitazione termica, si effettuano, scontri causali, le prime sintesi di nuclei, in cui protoni e neutrini si aggregano per costituire i nuclei del deuterio, dell’olio e dell’idrogeno. La cosmo genesi nasce dunque sotto veste di micro genesi.
Una volta costituitesi le organizzazioni degli atomi e delle stelle, le regole del gioco delle interazioni potevano apparire come Leggi della Natura.
Le Leggi della Natura costituiscono solo un aspetto di un fenomeno multiforme che comporta altresì il suo aspetto di disordine e il suo aspetto di organizzazione. Le leggi che governano il mondo erano solo un aspetto provinciale di una realtà interazionale complessa.

Una volta costituiti, l’organizzazione e l’ordine suo caratteristico sono in grado di resistere a un gran numero di disordini.
L’ordine e l’organizzazione, nati con la cooperazione del disordine, sono in grado di guadagnare terreno sul disordine.
ordine disordine   interazioni organizzazione
  
produce, trasformandosi e sviluppandosi; la catena:
idrogeno    elio    carbonio    aminoacidi    proteine    cellula

Anello tetralogico:
disordine
|
interazioni
incontri
                                                            organizzazione      ordine


l’anello tetralogico significa che le interazioni non possono essere concepite senza disordine, cioè senza ineguaglianze, turbolenze, agitazioni … che provocano gli incontri.
Il pensiero greco classico opponeva logicamente Hybris, il folle travalicare oltre i limiti, a Dike, la legge e l’equilibrio.
Noi siamo eredi di questo pensiero dissociante.
Il caos è la disintegrazione organizzatrice. È l’unità antagonista dell’esplosione, della dispersione, dello sbriciolarsi del cosmo, e delle sue nucleazioni, delle sue organizzazioni, delle sue programmazioni.
Consideriamo i due focolai, pilastri, fondamenti dell’ordine e dell’organizzazione nell’universo: l’Atomo che regna sul microcosmo e il Sole che regna sul macrocosmo. Entrambi estendendo il loro ordine a distanze assai lunghe, l’atomo nella sua sfera di attrazione degli elettroni, il sole nella sua sfera d’attrazione dei pianeti. Suono i due nuclei duri di ciò che chiamiamo il reale. D’altra parte, dal punto di vista genesico, essi sono connessi: le stelle si sono costituite a partire da atomi leggeri, e gli altri atomi si sono costituiti nelle stelle …
Tutto ciò che nel cosmo è ordine e organizzazione, tutto ciò che produce sempre più ordine e organizzazione ha per origine un sole. Il sole è una gigantesca bomba all’idrogeno permanente, è un reattore nucleare infuriato.
Creato in catastrofe, acceso alla stessa temperatura della sua distruzione, esso vive in catastrofe, dato che la sua regolazione è composta dall’antagonismo di una retroazione esplosiva e di una retroazione implosiva.
Physis, cosmo, caos non possono essere dissociati. Sono sempre compresenti gli uni in rapporto agli altri.
Il caos ci offre un universo grandioso, profondo, degno di ammirazione con il quale vi invito a barattare senza esitazioni il vostro piccolo ordine a orologeria, costruito da Tolomeo e attorno al quale Galileo, Copernico, Newton avevo fatto solo delle rivoluzioni, senza portarvi alla Rivoluzione.

Bisogna cambiare il mondo. L’universo ereditato da Keplero, Galileo, Copernico, Newton, Laplace era un universo freddo, gelato, di sfere celesti, di movimenti perpetui, d’ordine impeccabile, di misura, di equilibrio. Dobbiamo barattarlo con un universo caldo, composto da una nube ardente, da sfere di fuoco, da movimenti irreversibili, da ordine mischiato al disordine, da spesa, spreco, squilibrio. L’universo ereditato dalla scienza classica aveva un centro. Il nuovo universo è acentrico, policentrico.
Tutto ha bisogno di essere generato, anche il reale, anche il cosmo, anche l’ordine; che tutto ciò che agisce, cioè spende, ha bisogno di essere rigenerato. Tutto ciò che è genesico, generatore, creatore non può fare a meno del disordine. Il disordine è ineluttabile, irriducibile.

Abbiamo seguito la logica genesica, uno dei cui fili conduce alla vita:
all’inizio era l’Azione
poi venne l’interazione
poi venne la retroazione
poi venne l’organizzazione

ANELLO                              → con la regolazione
Produzione-di-sé               → con la produzione

Essere   esistenza
Poi venne l’informazione con la
Comunicazione
Cioè l’organizzazione
Geno-fenomenica
In cui il Sé diviene Autos
O l’essere e l’esistenza
Divengono Vita
La vita non è solo uno sviluppo dell’organizzazione fisica. È un fenomeno fisicamente integrato. Il radicamento fisico della vita, nel quadro della fisica antica, era triviale e insignificante: era la sua obbedienza alle leggi concernenti i movimenti e i corpi. La vita prima di essere concepita in termini biologici, deve essere concepita in termini fisici e termodinamici come polimacchina.

Il paradigma della complessità non crea solo nuove alternative e nuove giunture, crea un nuovo tipo di giuntura, l’anello. Crea un nuovo tipo di unità, che non è di riduzione, ma di circuito.
Ci opponiamo al pensiero astratto imbecille che squalifica l’amore: l’amore è complessità emergente e vissuta, e la computazione più vertiginosa è meno complessa della minima carezza …
Il problema della complessità non è né quello di chiudere l’incertezza tra parentesi né quello di chiudersi in uno scetticismo generalizzato, è piuttosto quello di integrare in profondità l’incertezza nella conoscenza e la conoscenza nell’incertezza, per capire la natura stessa della conoscenza della natura.


Il metodo ha assunto un volto solo in modo negativo, scoprendo il volto del nemico: la semplificazione.



Non si trattava solo, come credevo in principio, di dissociare due sistemi, due cibernetiche, due informazionismi, i primi “aperti” e “fecondi”, i secondi “ingegneristici” e “tecnocratici”. Occorreva non lasciarsi chiudere in nozioni che, liberatorie a un primo stadio decostruttore, diventavano tossiche allo stato ricostruttore.
Occorreva capire che erano le nozioni stesse di sistema, cibernetica, informazione che dovevano essere superate.
Tutto ciò che non reca il segno del disordine e del soggetto è insignificante e mutilante, e questo riguarda anche la cibernetica, il sistemismo, l’informazionismo.
Tutto ciò che non reca il segno del disordine elimina l’esistenza, l’essere, la creazione, la vita, la libertà e ogni eliminazione dell’essere, dell’esistenza, del sé, della creazione è demenza razionalizzatrice. L’ordine da solo è un bulldozer, l’organizzazione senza disordine è l’asservimento assoluto. Le teorie più ricche e audaci, quelle portatrici di maggiore complessità, si sono rovesciate nel loro contrario perché erano state semplificate.
La prima base positiva del metodo è nella prima affermazione universale di complessità. Il problema è ormai di trasformare la scoperta della complessità in metodo della complessità stessa.
La scienza classica era incapace di concepirsi come oggetto di scienza, e questo perché lo scienziato era incapace di concepirsi come soggetto della scienza.
La conoscenza diviene necessariamente una comunicazione, una anello, tra una conoscenza e la conoscenza di questa conoscenza.
Il sapere trasforma e ci trasforma: è sempre una prassi informazionale/neghetropica, ergo una prassi antropo-sociale. Non è al di fuori della prassi che si costituirà un nuovo sapere, ma in una meta-prassi che sarà ancora una prassi.
Il pensiero semplificante è diventato la barbarie della scienza. È la barbarie specifica della nostra civiltà. È la barbarie che oggi si allea a tutte le forme storiche e mitologiche di barbarie.
La complessità ci invita ad arricchire e a cambiare il senso del termine azione, il quale, in scienza come in politica, e tragicamente quando vuole essere liberazione, diviene sempre in modo ultimo manipolazione e asservimento. Possiamo intravedere una scienza portatrice delle possibilità di autoconoscenza, che si apre su una solidarietà cosmica, che non disintegra il volto degli esseri e degli esistenti, che riconosce il mistero in tutte le cose, potrebbe proporre un principio di azione che non ordini ma organizzi, non manipoli ma comunichi, non diriga ma animi.


Fonte: Il metodo Vol 1. La natura della natura - Edgar Morin 

domenica 7 agosto 2011

II potere è Adesso – Eckhart Tolle

Voi non siete la vostra mente. Cerchiamo all’esterno scampoli di piacere o appagamento, conferme, sicurezza o amore, mentre abbiamo dentro di noi un tesoro che non solo include tutte queste cose ma è infinitamente più grande di tutto ciò che il mondo possa offrire.

Il termine illuminazione evoca l’idea di qualche impresa sovrumana, e l’ego vuole che resti così, ma è semplicemente lo stato naturale di unione con l’Essere che sentite.
Significa trovare la vostra vera natura al di là del nome e della forma. L’incapacità di percepire questa connessione dà origine all’illusione della separazione, da voi stessi e dal mondo che vi circonda. Nascono così la paura, e il conflitto interiore ed esteriore diventa la norma.

L’Essere è l’Unica Vita eterna e onnipresente al di là delle innumerevoli forme di vita che sono soggette a nascita e morte. Ma non è solo al di là ma anche profondamente all’interno di ogni forma in quanto sua essenza intima invisibile e indistruttibile. Ciò significa che è accessibile a voi adesso. Ma non cercato di afferrarlo con la mente, non cercate di capirlo. Potete conoscerlo soltanto quando la mente è tranquilla. Quando siete presenti, nell’adesso.
Essere è un concetto aperto, non riduce l’invisibile infinito a un’entità finita, è impossibile formarsene un’immagine mentale, al contrario di Dio. È la comprensione di IO SONO che è precedente a io sono questo o io sono quello.
Il più grande ostacolo all’Essere è l’identificazione con la propria mente, che rende compulsivo il pensiero. Non essere capaci di smettere di pensare è un’afflizione terribile, ma non ce ne rendiamo conto perché quasi tutti ne soffrono, per cui è considerato normale.

Sapete liberarvi dalla mente quando volete? Avete scoperto il pulsante per “spegnerla”? No, quindi è la mente ad usare voi. Inconsapevolmente vi identificate con la vostra mente, per cui non sapete nemmeno di esserne schiavo. Nel momento in cui cominciamo a osservare l’entità pensante, si attiva un livello più elevato di consapevolezza. Allora cominciate a capire che vi è un vasto regno di intelligenza al di là del pensiero, e che il pensiero è solo un aspetto minuscolo di tale intelligenza. Capite inoltre che tutte le cose davvero importanti (bellezza, amore, creatività, pace interiore) nascono al di là della mente. Così cominciate a risvegliarvi.
Potete davvero liberarvi dalla mente. Potete cominciare da subito, ascoltando la voce nella vostra testa quanto più spesso possibile. Prestate particolare attenzione a eventuali schemi di pensiero ripetitivi, quei vecchi dischi di grammofono che ci suonano in testa forse da molti anni è questo che intendo per “osservare colui che pensa”, il che significa ascoltate la voce nella testa, siate lì come presenza testimone. Quando ascoltate questa voce, ascoltatela in maniera imparziale, ossia non date giudizi. Non giudicate o condannate ciò che sentite, perché questo vorrebbe dire che la stessa voce è rientrata dalla porta di servizio. Questa reazione dell’Io sono, questo senso della propria presenza non è un pensiero, nasce al di là della mente. Così quando ascoltate un pensiero siete consapevoli non solo del pensiero ma anche di voi stessi testimoni del pensiero. Il pensiero allora perde il suo potere su di voi e rapidamente si placa, perché voi non fornite più energia alla mente attraverso la vostra identificazione con essa. Questo è l’inizio della fine del pensiero involontario e compulsivo.
A questo punto si ha esperienza di una discontinuità nel flusso mentale, un intervallo “senza mente”. Dapprima gli intervalli saranno brevi, poi si allungheranno. In questo stato di sintonia interiore, si è molto più vigili, più svegli rispetto allo stato di identificazione con la mente. Si è totalmente presenti. Questo stato innalza la frequenza di vibrazioni del campo energetico che dà vita al corpo fisico.
Invece di osservare “colui che pensa” si può anche creare un intervallo nel flusso mentale semplicemente rivolgendo il centro dell’attenzione all’Adesso.
Nella vita quotidiana potete fare pratica di questo metodo prendendo ogni attività di routine che normalmente è solo un mezzo per raggiungere un fine e dedicarvi la massima attenzione, in modo che diventi un fine in sé.
Voi vi identificate con il pensiero, traete il vostro senso di sé dal contenuto e dall’attività della vostra mente. Ritenete che se smettesse di pensare cessereste di esistere. Diventando adulti vi formate un’immagine mentale di voi stessi basata sul vostro condizionamento personale e culturale. Possiamo chiamare ego questo sé fantasma. È costituito dall’attività mentale e può essere mantenuto in vita solo con un pensiero continuo. Per l’ego, il momento presente quasi non esiste. Solo il passato e il futuro sono considerati importanti. Si preoccupa sempre di mantenere vivo il passato, perché senza di esso chi siamo noi? Si proietta costantemente nel futuro per garantirsi la propria sopravvivenza e per cercarvi qualche genere di liberazione o di appagamento. Anche quando l’ego sembra preoccuparsi del presente, non è il presente ciò che vede: lo percepisce in modo completamente sbagliato perché lo osserva con gli occhi del passato. Oppure riduce il presente a un mezzo rivolto a un fine, un fine che sta sempre nel futuro proiettato dalla mente.

Il pensiero è solo un piccolo aspetto della consapevolezza e non può esistere senza la consapevolezza, ma la consapevolezza non ha bisogno del pensiero. Nello stato illuminato si è liberi dal dialogo interno involontario, e vi è quiete interiore.
La mente è essenzialmente una macchina per la sopravvivenza, ma non è affatto creativa. La mente non è solo pensiero. Include le emozioni nonché tutti gli schemi reattivi mente-emozioni. L’emozione nasce nel punto di incontro fra corpo e mente. Se veramente volete conoscere la mente, il corpo ve ne darà sempre un riflesso veritiero. In effetti, più la mente si sforza si sbarazzarsi del dolore, più grande è il dolore stesso. Sostanzialmente, tutte le emozioni sono variazioni di un’unica emozione primordiale indifferenziata che ha origine nella perdita di consapevolezza di ciò che siete al di là del nome e della forma. Potremmo chiamarla paura oppure semplicemente dolore. La mente non può mai trovare la soluzione, né può premettere a noi di trovarla, perché è essa stessa una parte intrinseca del “problema”. Emozione letteralmente significa “sconvolgimento”; il termine deriva dal latino emovere che significa “sconvolgere”. Le emozioni, facendo parte della mente dualistica, sono soggette alla legge dei contrari. Questo significa che non potete avere il bene senza il male.

Il piacere deriva sempre da qualcosa che è al di fuori di voi, mentre la gioia nasce dall’interno. Il vero amore non fa soffrire. Come potrebbe? Non si trasforma improvvisamente in odio, così come la vera gioia non si trasforma in dolore.

Il desiderio è la mente che cerca salvezza o appagamento nelle cose esteriori e nel futuro come sostituti per la gioia dell’Essere. Non bisogna liberarsi del desiderio o “raggiungere” l’illuminazione. Bisogna essere presenti. Bisogna diventare osservatori della mente. Invece di citare il Buddha, bisogna essere il Buddha, essere “il risvegliato”, che è il significato del termine Buddha.

Fintanto che non siete in grado di accedere alla potenza dell’Adesso, ogni dolore emozionale di cui avete esperienza si lascia dietro un residuo di dolore che continua a vivere in voi. Si mescola al dolore proveniente dal passato, che era già lì, e si annida nella vostra mente e nel vostro corpo. Questo naturalmente include il dolore che avete sofferto da bambini, causato dall’inconsapevolezza del mondo in cui siete nati.
Questo dolore accumulato è un campo di energia negativa che occupa il corpo e le mente. Il corpo di dolore emozionale, ha due modi di essere: latente e attivo. Può essere latente per il 90% del tempo; in una persona profondamente infelice, però, può essere attivo fino al 100% del tempo.
Il corpo di dolore vuole sopravvivere , al pari di ogni altra entità esistente, e può sopravvivere solo se vi indice a identificarvi inconsapevolmente con esso. Deve alimentarsi tramite voi. Si nutrirà di ogni esperienza che entri in risonanza con il suo stesso tipo di energia, ogni cosa che crei ulteriore dolore sotto qualunque forma: collera, capacità distruttiva, odio, afflizione, dramma emozionale, violenza, perfino malattia. Così il corpo di dolore, quando si è impadronito di voi, crea nella vostra vita una situazione che riflette la sua frequenza energetica, in modo da trarne nutrimento. Il dolore può alimentarsi solo di dolore. Una volta che il corpo di dolore si è impadronito di voi necessitate di altro dolore. La sua sopravvivenza dipende dalla vostra identificazione inconsapevole con esso, nonché dalla vostra paura inconsapevole di affrontare il dolore che vive in voi. Ma se non lo affrontate, se non portate nel dolore la luce della consapevolezza, sarete costretti a riviverlo ripetutamente.
Nel momento in cui lo osservate, ne avvertite in voi il campo energetico e vi rivolgete la vostra attenzione, l’identificazione è interrotta. Così avete raggiunto il potesse di Adesso. L’inconsapevolezza lo crea; la consapevolezza lo trasforma in se stessa. San Paolo disse: Ogni cosa si rivela con l’esposizione alla luce, e tutto ciò che è esposto alla luce diventa a sua volta luce”. Se lo combattete creereste un conflitto interiore e pertanto ulteriore dolore. Osservarlo è sufficiente. Implica accettarlo come parte di ciò che esiste in quel momento. Il corpo di dolore si compone di energia vitale intrappolata che si è staccata dal nostro campo energetico totale ed è diventata temporaneamente autonoma attraverso il processo innaturale di identificazione con la mente.
Sebbene voi smettiate di fornirgli energia il corpo di dolore come una trottola continua a girare per un po’ fin quando non è più caricato. In questa fase può anche creare dolore e sofferenza fisici in varie parti del corpo, che però non dureranno a lungo. È come se il dolore divenisse combustibile per la fiamma della consapevolezza, che di conseguenza brucia più vivida.

Riassumiamo:
  • Focalizzare l’attenzione sulla sensazione dentro di voi.
  • Riconoscete che si tratta del corpo di dolore.
  • Accettate la sua esistenza.
  • Non pensateci, non lasciate che la sensazione diventi pensiero. Non giudicate o analizzate, non fatene un’identità per voi stessi.
  • Siate presenti e continuate a essere l’osservatore di ciò che accade dentro di voi.
  • Diventate consapevoli non solo del dolore emozionale ma anche di “colui che osserva”, l’osservatore silenzioso.
A volte capita di preferire rimanere nel dolore piuttosto che compiere un balzo nell’ignoto e rischiare di perdere il sé infelice a cui siete abituati. Se così fosse:
  • Osservate la resistenza dentro di voi.
  • Osservate l’attaccamento al vostro dolore.
  • Rimanete estremamente vigili.
  • Osservate lo strano piacere che traete dall’essere infelici.
  • Osservate l’impulso irrefrenabile a parlarne o a pensarci.
  • La resistenza verrà meno se la rendete consapevole.
  • Allora potrete rivolgere la vostra attenzione al corpo di dolore, rimanere presenti come testimoni e così dare inizio alla sua trasformazione.
  • Soltanto voi potete farlo.
Il corpo
Il corpo che potete vedere e toccare non può condurvi all’Essere. Ma quel corpo visibile e tangibile è solo un involucro esterno, o meglio una percezione limitata e distorta di una realtà più profonda. Nel vostro stato naturale di connessione con l’Essere, questa realtà più profonda può essere percepita in ogni momento come corpo interiore invisibile, presenza animatrice dentro di voi. Così “abitare il corpo” significa sentire il corpo da dentro, sentire la vita dentro il corpo e in tal modo arrivare a sapere che voi siete al di là della forma esteriore.
Siete tagliati fuori dall’Essere fintanto che la vostra mente assorbe tutta la vostra attenzione. Quando ciò avviene (e avviene continuamente per la maggior parte di voi) non siete nel vostro corpo. La mente assorbe tutta la vostra consapevolezza e la trasforma in sostanza mentale. Il pensiero compulsivo è diventato una malattia collettiva. La vostra identità, non essendo più radicata nell’Essere, diventa un costrutto mentale vulnerabile e sempre bisognoso, che crea la paura come emozione fondamentale dominante. Allora viene a mancare nella vostra vita l’unica cosa che importa veramente: la consapevolezza del vostro sé più profondo, della vostra realtà invisibile e indistruttibile.
Un modo assai efficace per divenire consapevoli è semplicemente distogliere l’attenzione dal pensiero e indirizzarla verso il corpo, dove l’Essere può essere sentito in primo luogo come energetico invisibile che dà vita a ciò che voi percepite come corpo fisico.

Entrare in connessione con il corpo interiore
Chiudere gli occhi, più tardi, quando “essere nel corpo” sarà diventato naturale e facile, non sarà più necessario.
Rivolgete l’attenzione all’interno del corpo. Sentitelo da dentro. È vivo? Vi è vita nelle mani, nelle braccia, nelle gambe e nei piedi, nell’addome, nel torace? Potete sentire il sottile campo energetico che pervade l’intero corpo e dona vita vibrante a ogni organo e a ogni cellula? Potete sentirlo contemporaneamente in tutte le parti del corpo come unico campo di energia?
Continuate a concentrarvi per qualche istante sulla percezione del corpo interiore. Non cominciate a pensarci. Sentitelo. Vi sembrerà che ogni cellula diventi più viva, e se avete un forte senso visivo potete percepire un’immagine del vostro corpo che diventa luminoso. Sebbene questa immagine possa esservi utile temporaneamente, rivolgete maggiore attenzione alla sensazione che non a qualunque immagine possa nascere.
La percezione del vostro corpo interiore è senza forma, illimitata e insondabile. Potete andare sempre più in profondità.
Se non riuscite a percepire granché in questa fase, prestate attenzione a ciò che effettivamente sentite. Forse vi è solo un lieve formicolio alle mani o ai piedi.
Per il momento può bastare.
Concentratevi su questa sensazione. Il vostro corpo sta diventando vivo.
Il corpo interiore si trova sulla soglia fra la vostra identità di forma e la vostra indentità di essenza, la vostra vera natura. Non perdete mai il contatto con quest’ultima.

Perdono
Il mancato perdono è spesso rivolto a un’altra persona o a voi stessi, ma può riguardare anche qualunque situazione o condizione (passata, presente, futura) che la vostra mente rifiuta di accettare. Può esservi assenza di perdono anche riguardo il futuro. È il rifiuto della mente di accettare l’incertezza, di accettare che il futuro è in definitiva al di fuori del suo controllo. Perdono significa abbandonare il rancore e così lasciar perdere l’afflizione. Avviene soprattutto quando vi rendete conto che il rancore non ha altro scopo che quello di rafforzare un falso senso del sé. Perdonare significa non opporre resistenza alla vita, consentire alla vita di vivere attraverso voi. Le alternative sono dolore e sofferenza, un flusso di energia vitale fortemente ristretto e in molti casi una malattia fisica.

Lasciate che il respiro vi conduca dentro il corpo
Di solito è più facile concentrarvi prima sulla respirazione. Seguite con attenzione il respiro mentre entra ed esce dal corpo.
Quando respirate, percepite l’addome espandersi e contrarsi leggermente ad ogni inalazione ed esalazione.
Sentite la luce colmarvi il corpo e renderlo luminoso. Adesso siete nel vostro corpo. Non aggrappatevi ad alcuna immagine visiva.

Morte consapevole
L’avvicinarsi della morte e la morte stessa, il dissolvimento della forma fisica, sono sempre una grande occasione per la realizzazione spirituale. Questa occasione va tragicamente perduta gran parte delle volte, poiché voi vivete in una cultura che è quasi totalmente ignorante della morte, come è quasi totalmente ignorante di ogni cosa che realmente importi.

Ogni portale è un portale di morte, morte del falso sé. Quando lo attraversate, smettete di trarre la vostra identità dalla vostra forma psicologica, creata dalla mente. La morte è un’illusione, così come la vostra identificazione con la forma era illusione. La fine dell’illusione: ecco tutto ciò che è la morte. È dolorosa solo fintanto che voi vi aggrappate all’illusione.

Entrate nell’Adesso dovunque vi troviate
La vostra Salvezza è uno stato di libertà: dalla paura, dalla sofferenza, da un presunto stato di mancanza e insufficienza e possesso. È libertà dal pensiero compulsivo, dalla negatività, e soprattutto da passato e futuro come bisogno psicologico. La vostra mente vi dice che potete arrivare da qui a lì. Deve succedere qualcosa, oppure voi dovete diventare questo o quello prima di essere liberi e appagati. Vedete il tempo come la salvezza mentre in verità è il più grande ostacolo verso la salvezza. Voi “arrivate” lì rendendovi conto che ci siete già. Per tanto qualunque condizione può essere utilizzata per la salvezza, ma non è necessaria nessuna condizione particolare.

L’ impermanenza e i cicli della vita
La dissoluzione è necessaria perché avvenga una nuova crescita. Il ciclo discendente è assolutamente essenziale per la realizzazione spirituale. Bisogna essere andati incontro a un fallimento profondo a qualche livello o avere sperimentato qualche perdita o dolore profondi per essere attratti verso la dimensione spirituale. La compulsione al fare e la tendenza a trarre il vostro senso di valorizzazione del sé e di identità da fattori esterni quali il successo sono un’illusione inevitabile fintanto che vi identificate con la mente. Ciò rende difficile o impossibile accettare i cicli di bassa energia e consentire loro di essere. Pertanto l’intelligenza dell’organismo può avere il sopravvento come misura di autodifesa e creare una malattia per costringervi a fermarvi, in modo che possa aver luogo la necessaria rigenerazione.

Ho veduto tutte le cose che si fanno sotto il sole ed ecco, tutto è veno, fiato sprecato”. Quando raggiungete questo punto, siete a un passo dalla disperazione, e a un passo dall’illuminazione.

Utilizzare e abbandonare la negatività
Ogni resistenza viene percepita come negatività in una forma o nell’altra. Ogni negatività è resistenza. La negatività va dall’irritazione o dall’impazienza fino alla collera feroce, da uno stato d’animo depresso o da un risentimento cupo fino alla disperazione suicida. Talvolta la resistenza innesca il corpo di dolore emozionale, nel qual caso perfino una situazione secondaria può produrre un’intensa negatività, come collera, depressione o profonda afflizione.
L’ego ritiene di potere, attraverso la negatività, manipolare la realtà e ottenere ciò che vuole.
L’unica funzione “utile” della negatività, è che rafforza l’ego, ed è per questo che all’ego piace.
Quando notate che qualche forma di negatività è nata dentro di voi, non consideratela un fallimento, ma un segnale utile che vi sta dicendo: “Svegliati. Esci dalla mente. Sii presente”.
Invece di avere dentro di voi una parete di resistenza che viene colpita continuamente e dolorosamente da cose che “non dovrebbero succedere”, lasciate che tutto vi attraversi.

NON OPPONETE RESISTENZA

Potete ancora dire ciò che pensate se le vostre idee sono in disaccordo con altre. Ma l’esterno non ha più potere di dominare il vostro stato interiore.

Perdonatevi per non essere in pace.

Arrendersi
Arrendersi non significa sopportare passivamente la situazione in cui ci si trova e non fare niente in proposito. Né significa smettere di fare progetti o di dare inizio ad azioni positive.
L’arrendersi è la saggezza semplice ma profonda di lasciarsi andare anziché opporsi al flusso di vita. Significa accettare incondizionatamente e senza riserve il momento presente. Significa abbandonare la resistenza interiore a ciò che è. La resistenza interiore è dire di no a ciò che esiste, attraverso il giudizio mentale e la negatività emotiva.
Saprete che le cose “vanno storte” piuttosto spesso. È precisamente in questi momenti che bisogna praticare l’arrendersi se si vuole eliminare il dolore fisico e morale dalla propria vita. L’accettazione di ciò che esiste vi libera immediatamente dall’identificazione con la mente e così vi ricollega all’Essere. La resistenza è la mente.
L’abbandono, l’arrendersi, è un fenomeno puramente interiore. Non significa che a livello esteriore non potete intraprendere azioni e modificare la situazione. La rassegnazione non è abbandono.

Se non vi è alcuna azione che potete intraprendere, e non potete nemmeno allontanarvi dalla situazione, allora utilizzatela per entrare più in profondità nell’abbandono, più in profondità nell’Adesso, più in profondità nell’Essere.

Non confondete l’abbandono con un atteggiamento equivalente a dire “non me ne importa più nulla”. Un tale atteggiamento è contaminato da negatività sotto forma di risentimento nascosto e pertanto non è affatto abbandono ma resistenza mascherata.

L’arrendersi nei rapporti personali
Quando dite di no a una persona o a una situazione, questo “no” deve arrivare non da una reazione ma da una intuizione, da una comprensione chiara di ciò che è giusto o sbagliato per voi in quel momento.
Quando non riuscite a praticare l’abbandono, dovete intraprendere subito un’azione. Dovete dire chiaramente come la pensate o fare qualcosa per apportare un cambiamento nella situazione, oppure allontanarvene.
Se all’improvviso vi sentite molto leggeri, limpidi e profondamente in pace, questo è un segno inconfondibile del vero abbandono.
La resistenza è debolezza e paura mascherata da forza. Ciò che l’ego vede come debolezza è il vostro Essere nella sua presenza, innocenza e potenza.

Il potere di scegliere
La scelta implica consapevolezza, un elevato grado di consapevolezza. Senza questa non c’è scelta. La scelta comincia nel momento in cui voi vi disidentificate dalla mente e dai suoi schemi condizionati, nel momento in cui diventate presenti. La mente, condizionata dal passato, cerca sempre di ricreare ciò che conosce e con cui ha familiarità. Anche se è doloroso, almeno è familiare. La mente aderisce sempre a ciò che è noto. L’ignoto è pericoloso perché la mente non vi esercita alcun dominio. Ecco perché la mente non ama e ignora il momento presente.
Uno schema mentale-emozionale del passato diviene così identità.


Nessuno sceglie la follia. Si verifica perché in voi non vi è abbastanza presenza da dissolvere il passato, non abbastanza luce da scacciare le tenebre. Lo stato di identificazione con la mente è gravemente disfunzionale. Quasi tutti ne soffrite, con varie gradazioni. Nulla di ciò che avete fatto o di ciò che vi è stato fatto potrebbe toccare minimamente l’essenza radiosa di ciò che siete. L’intero concetto di perdono allora diventa superfluo. 


Fonte: Il potere di adesso