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mercoledì 28 settembre 2011

Il libro rosso – C. G. Jung

La grandezza dell’uomo è di essere un ponte non uno scopo: nell’uomo si può amare il fatto che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando poiché essi sono una transizione.
Così parlò Zarathustra

Tu sei immagine del mondo infinito, in te dimora ogni ultimo segreto del nascere e del morire. Se non possedessi già tutto questo, come potresti riconoscerlo?

Nell’accostarvi alla vostra anima vi accorgerete per prima cosa della mancanza di un senso.
Crederete di sprofondare nell’eterno disordine. Nulla vi potrà salvare dal disordine e dalla mancanza di senso, perché essi costituiscono l’altra metà del mondo.
Il vostro Dio è bambino nella misura in cui voi siete infantili. Il bambino è forse ordine, senso? Ordine e senso sono aspetti di ciò che è già diventato e non di ciò che è in divenire.
Aprite la porta dell’anima affinché nel vostro ordine e nel vostro senso possano affluire le oscure correnti del caos.
Sposate il caos con ciò che è ordinato e darete vita al bambino divino, al senso superiore che è al di là di senso e non senso.

Dovete ancora imparare a non soccombere alle tentazioni, ma a compiere ogni cosa per vostra scelta; allora sarete liberi e avrete superato il Cristianesimo.

Il mio Sé è un arido deserto polveroso. Ho forse vissuto troppo al di fuori di me, nelle persone,
nelle cose? Perché ho evitato il mio Sé?
Non era forse caro a me stesso?
Dopo che non ero più le cose e le persone e i pensieri. Dovrei dunque elevarmi al di sopra dei miei pensieri per giungere al mio proprio Sé. Quindi il mio viaggio mi conduce lontano da cose e persone, nella solitudine.
Ma è solitudine restare soli con se stessi?
Probabilmente solo il Sé è un deserto.

L’intenzione limita, anzi esclude la vita …

Meister Eckhart sostiene che sul piano psichico bisogna essere in grado di lasciare accadere.

Se entri nel mondo dell’anima, sei simile a un folle.

Profondità e superficie devono mescolarsi, al fine di generare nuova vita. La nuova vita però non nasce al di fuori di noi, ma in noi stessi.

La vita non viene dalla cose, ma da noi. Tutto ciò che accade fuori è già accaduto.
Perciò chi osserva l’evento da fuori da fuori vede sempre soltanto ciò che è già stato e che è sempre uguale. Chi invece guarda da dentro sa che tutto è nuovo. Le cose che accadono sono sempre le stesse. Non è sempre uguale invece la profondità creativa dell’essere umano.

Lo spirito del nostro tempo in noi governa ogni cosa, è il senso comune con cui oggi pensiamo e agiamo. Ha un potere spaventoso, perché ha portato a questo mondo beni incalcolabili. E avvinto l’uomo con incredibili piaceri.
Si adorna delle migliori virtù eroiche e vorrebbe sollevare l’umanità a splendide e radiose altezze, in un’ascesa inarrestabile.

Noi viviamo anche nei nostri sogni, non viviamo solo durante il giorno. Talvolta compiamo in sogno le nostre maggiori imprese.

Questo vi fa sorridere? Lo spirito di questo tempo vorrebbe farvi credere che il profondo non sia un mondo reale.

Devi deporre ogni giudizio, ma soprattutto l’orgoglio, anche se è fondato sui meriti.
Oltrepassa il varco sentendoti totalmente povero, misero, umile e ignorante. Volgi la tua ira contro te stesso, perché sei solo tu a impedirti di vedere e di vivere.

Se cerchiamo di immedesimarci nei segreti umani del malato, anche la follia svela il suo sistema, e noi riconosciamo nella malattia mentale, soltanto una reazione insolita a problemi affettivi, che non sono estranei a nessuno di noi.

I miti sarebbero simboli della libido e ne rappresenterebbero i tipici movimenti.

Jung sostenne l’esistenza dei miti tipici, corrispondenti allo sviluppo etnopsicologico dei cosiddetti complessi e sulla scia di Jacob Burckhardt li denominò “immagini primordiali”.
Attribuì un ruolo centrale al mito dell’Eroe (rappresentazione della vita dell’individuo che aspira a rendersi indipendente e a liberarsi dalla madre).

Chi è privo di un mito è un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto con il passato, con la vita degli antenati e con la società umana del suo tempo.

Così Jung si mise alla ricerca del proprio mito, della propria equazione personale.

Nei casi di nevrosi e psicosi, l’inconscio, cerca di compensare l’unilateralità dell’atteggiamento cosciente. L’individuo squilibrato si difende da questi tentativi dell’inconscio e così innesca un processo di progressiva polarizzazione degli opposti. Gli impulsi correttivi che emergono attraverso il linguaggio dell’inconscio dovrebbero avviare un processo di guarigione, ma ciò non accade perché essi irrompono in una forma che li rende inaccessibili alla coscienza.
Quando il Sopra e il Sotto sono disgiunti lei si scinde in tre parti:

  • un serpente
  • l’anima umana
  • uccello, anima celeste in contatto con gli dei

Jung comprende di avere servito fino ad allora lo “spirito del nostro tempo” con i suoi valori e codici di comportamento, ma che oltre a questo vi è uno “spirito del profondo” che conduce alla realtà dell’anima.

Nei suoi tardi Ricordi, i due spiriti corrispondono a: personalità numero 1, e personalità numero 2.
E la fase rappresentata nel Liber può essere vista come un ritorno ai valori della personalità 2.

Secondo Jung, il valore delle sue fantasie consisteva nel fatto di scaturire dall’immaginazione mitopoietica, una facoltà che lo spirito razionalistico dell’epoca moderna gli sembrava aver perduto.

L’individuazione persegue l’obiettivo di istituire un dialogo con le figure fantastiche del mondo interno – cioè con i contenuti dell’inconscio collettivo – affinché vengano integrate nella coscienza, in modo da riattivare la funzione dell’immaginazione mitopoietica e riconciliare così lo spirito del tempo con lo spirito del profondo.

  • Esistenza di immagini mitiche
  • Esistenza di un’energia psichica non sessuale
  • Classificazione dei tipi psicologici secondo i due orientamenti generali dell’introversione e dell’estroversione
  • Funzione compensatoria dei sogni
  • Approccio sintetico e costruttivo alle fantasie

Fece un tentativo di enucleare una rappresentazione temporale di un nuovo più elevato sviluppo, a cui diede il nome di processo di individuazione.

La struttura dell’inconscio
Inconscio personale (materiali acquisiti durante l’esistenza individuale insieme a fattori psicologici che potrebbero diventare coscienti)
Inconscio impersonale o psiche collettiva (ereditata).

Non è poco confessare a se stessi il proprio vero desiderio … se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso, ma strade estranee che altri hanno tracciato per te.

Non puoi mai vivere realmente la vita dell’Altro, fai solo finta, inganni l’Altro e te stesso, perché tu puoi vivere solo la vita che ti appartiene.

Se rinunci al tuo Sé, lo vivrai nell’Altro; in tal modo sarai egoista verso l’altra persona, e la ingannerai.
Tutti credono che una vita del genere sia possibile, ma è solo un’imitazione scimmiottesca. Sai perché non riesci a liberati dal tuo lato scimmia? Per paura di restare solo e di dovere soccombere.

Vivere per se stessi significa essere un compito per se stessi. Non puoi mai dire che vivere per se stessi sia un piacere. Non sarà una gioia, ma una lunga sofferenza, perché devi farti creatore di te stesso. Se vuoi crearti, non comincerai certo dai lati migliori e più elevati, ma da quelli peggiori e infimi.
Perciò di pure che ti disgusta vivere te stesso.

I pensieri crescono in me come una foresta popolata da molte specie di animali. Ma l’uomo è imperioso nel suo pensare e così stronca il piacere, della foresta e degli animali selvatici. L’uomo è violento nel suo desiderio e diventa lui stesso foresta e selvaggina.

Nulla è perfetto, e molto vi è di contradditorio. La via della vita è trasformazione non esclusione.

Prepensare (idea) significa stare soli. Amare significa invece stare insieme.
Amore e prepensiero si trovano nel medesimo luogo. L’amore non può esistere senza il prepensiero, né il prepensiero senza l’amore.
L’uomo è sempre troppo presente nell’uno o nell’altro. Questo dipende dalla natura umana. Animali e piante paiono avere a sufficienza da ogni parte, solo l’uomo oscilla tra il troppo e il troppo poco.


Fonte: Il LIBRO ROSSO

giovedì 15 settembre 2011

L’evoluzione interiore dell’uomo – Peter D. Ouspenski

Prima conferenza
La psicologia, eccetto nei tempi moderni, non è mai esistita con il proprio nome. È esistita sotto il nome di filosofia. In India, tutte le forme di Yoga, che si basano essenzialmente sulla psicologia, sono considerate come uno dei sei sistemi della filosofia. Gli insegnamenti Sufi che sono principalmente d’ordine psicologico, sono considerati in parte religiosi e in parte metafisici. In Europa, ancora recentemente, alla fine del secolo scorso molti trattati di psicologia venivano citati come opere di “filosofia”.
E benché quasi tutte le suddivisioni della filosofia, come la logica, la teoria della conoscenza, l’etica e l’estetica, si riferiscano alle attività del pensiero umano e dei sensi, la psicologia veniva considerata come inferiore alla filosofia e in rapporto soltanto con gli aspetti bassi e più triviali della natura umana.
Più tardi, dopo la scomparsa dei misteri, la psicologia sopravvisse sotto forma di insegnamenti simbolici, talvolta legati alla religione dell’epoca e talvolta no, come l’astrologia, l’Alchimia, la magia e fra i più moderni, la Massoneria, l’Occultismo e la teosofia.
La psicologia è lo studio dei principi, delle leggi e dei fatti relativi alla evoluzione possibile dell’uomo.

L’uomo quale noi lo conosciamo, non è un essere compiuto. La natura lo sviluppa fino ad un certo punto, quindi lo abbandona a se stesso e lascia che egli continui a svilupparsi con i suoi propri sforzi e di sua propria iniziativa, oppure che viva e muoia così come è nato, o che degeneri e perda la sua capacità di sviluppo.
L’uomo sulla via di sviluppo, deve diventare un essere differente, non tutti gli uomini possono svilupparsi e divenire degli esseri differenti. L’evoluzione è una questione di sforzi personali, e in relazione alla massa dell’umanità rimane una rara eccezione.
Perché non tutti gli uomini possono svilupparsi e divenire differenti? Perché non lo desiderano. Perché non ne sanno nulla e anche a parlargliene non capirebbero che cosa significhi, senza prima essere stati lungamente preparati.
Se l’uomo non lo desidera, e se non lo desidera abbastanza intensamente e non fa gli sforzi necessari, egli non si svilupperà mai. Non vi è dunque alcuna ingiustizia. Perché l’uomo dovrebbe avere ciò che non desidera? Se l’uomo fosse obbligato a divenire un essere differente, mentre è soddisfatto di ciò che è, allora vi sarebbe ingiustizia.
Ora dobbiamo domandarci ciò che significa un essere differente.
Prima di acquisire delle facoltà nuove o dei nuovi poteri, che non conosce e non possiede ancora, un uomo deve acquistare delle facoltà e dei poteri che allo stesso modo non possiede, ma che si attribuisce: cioè pensa di conoscere, di poter usare e controllare.
Ecco l’”anello mancante”, che è anche il punto più importante.
Sulla via dell’evoluzione, intesa come una via basata sullo sforzo e sull’aiuto, l’uomo deve acquisire delle qualità che crede già di possedere, ma sulle quali egli si fa delle illusioni.
Dobbiamo partire dall’idea che l’uomo in genere si fa di se stesso. L’uomo non si conosce. Egli non conosce i suoi limiti, né le sue possibilità; non sa neppure fino a che punto non si conosce.
L’uomo è pieno di idee false su di sé. In primo luogo, non si rende conto di essere realmente una macchina. Egli non ha movimenti indipendenti, né interiori, né esteriori. È una macchina messa in moto da influenze e choc esteriori. Tutti i suoi movimenti, le sue azioni, parole, idee, emozioni, umori e pensieri sono provocati da influenze esteriori.
Dobbiamo comprendere che l’uomo non può fare nulla.
L’uomo però non se ne rende conto e si attribuisce la capacità di fare. È questo il primo falso potere che egli si arroga.
Tutto ciò che crede di fare in realtà succede.
Anzitutto deve sapere di non essere uno, ma una moltitudine. Non possiede un Io unico, permanente e immutabile. L’uomo cambia continuamente. In un dato momento è una persona, il momento seguente un’altra, poco dopo una terza e così via, quasi senza fine.

Deve rendersi conto di non possedere le qualità che si attribuisce: la capacità di fare, l’individualità o la unità, l’Ego permanente, come pure la coscienza e la volontà.
La più importante di queste qualità è la coscienza. Nel linguaggio ordinario la coscienza è quasi sempre usata come l’equivalente di intelligenza, nel senso di attività mentale.
In realtà, nell’uomo, la coscienza è una specie molto particolare di “presa di conoscenza interiore”, indipendente dalla sua attività mentale; in primo luogo è una presa di conoscenza di se stesso, una conoscenza di chi è, di dove è, quindi una conoscenza di ciò che sa, di ciò che non sa e così via.
Voglio richiamare la vostra attenzione su un fatto che è stata perso di vista da tutte le scuole moderne di psicologia. Il fatto cioè che la coscienza nell’uomo, in qualsiasi modo la si consideri, non è mai permanente. È presente o è assente.

Un uomo, nella sua condizione ordinaria, può, con grande sforzo, essere cosciente di qualcosa (se stesso) per due minuti al massimo.
L’uomo non è cosciente di se stesso; l’illusione di essere cosciente di se stessi, è creata dalla memoria e dai processi del pensiero.
L’uomo può conoscere quattro stati di coscienza (che possono essere definiti secondo le possibilità che essi offrono di conoscere la verità):
  • SONNO, non possiamo sapere nulla della verità. Anche se percezioni o sentimenti reali giungono a noi, essi si mescolano ai sogni, e in questo stato di sonno, non è possibile distinguere i sogni dalla realtà.
  • STATO DI VEGLIA, possiamo conoscere solo una verità relativa: di qui il termine coscienza relativa.
  • COSCIENZA DI SÉ, possiamo conoscere tutta la verità su noi stessi.
  • COSCIENZA OBIETTIVA o OGGETTIVA, siamo in grado di conoscere l’intera verità su ogni cosa.
I pochi istanti di coscienza si manifestano in momenti eccezionali: in momenti di pericolo, in condizioni di intensa emozione, in circostanze e situazioni nuove e inattese, oppure a volte, in momenti del tutto normali in cui non accede nulla di particolare.

Seguendo metodi giusti e compiendo giusti sforzi, l’uomo può acquisire il controllo della coscienza, può diventare cosciente di se stesso.
Soltanto dopo aver ben afferrato questo concetto è possibile intraprendere un serio studio della psicologia.
Questo studio deve cominciare dall’esame di ciò che si presenta come ostacolo alla coscienza di noi stessi, perché la coscienza non può incominciare a crescere se almeno alcuni di questi ostacoli non sono rimossi.
Il maggiore ostacolo è l’ignoranza di noi stessi, la nostra convinzione di illusoria di conoscerci.

Psicologia significa veramente studio di se stessi.

La macchina umana ha sette funzioni differenti:
PENSIERO (intelletto). Tutti i processi mentali vi sono compresi: percezione delle impressioni, formazione di rappresentazioni e di concetti, ragionamento, comparazione, affermazione, negazione, formazione di parole, discorsi, immaginazione …

SENTIMENTO (emozioni). Emozioni di gioia, dispiacere, paura, sorpresa … anche se siete certi di comprendere chiaramente come e in che cosa le emozioni differiscono dai pensieri, vi consiglierei di rivedere tutte le vostre idee. Nel nostro modo abituale di vedere e di parlare, noi confondiamo pensieri e sentimenti. Ma per cominciare lo studio di se stessi è necessario stabilire chiaramente la loro differenza.

ISTINTO (lavoro interno dell’organismo). Questa funzione comprende quattro specie di funzioni:
Tutto il lavoro interno dell’organismo, tutta la fisiologia (digestione, assimilazione, respirazione, circolazione, costruzione di nuove cellule, eliminazione dei residui, lavoro delle ghiandole, secrezione interna …).
I cosiddetti “cinque sensi”, la vista, l’udito, l’odorato, il gusto, il tatto e tutti gli altri (come il peso, la temperatura, la secchezza, l’umidità, ossia tutte le sensazioni indifferenti, sensazioni che, di per sé, non sono né gradevoli, né sgradevoli).
Tutte le emozioni fisiche (ossia tutte le sensazioni che sono sgradevoli o gradevoli; ogni genere di dolori …)
Tutti i riflessi (anche i più complicati, come il riso e lo sbadiglio; ogni genere di memoria fisica, come la memoria del gusto, dell’odore, del dolore che sono in realtà dei riflessi interni).

FUNZIONE MOTRICE (lavoro esterno dell’organismo, movimento nello spazio …). Comprende tutti i movimenti esteriori come camminare, scrivere, parlare, mangiare, e i ricordi che ne restano. Alla funzione motrice appartengono ancora quei movimenti che il linguaggio corrente definisce “istntivi”, come quello di raccogliere senza pensarci un oggetto che cade.

La differenza fra la funzione istintiva e la funzione motrice è molto chiara e facile da comprendere; è sufficiente ricordarsi che tutte le funzioni istintive, nessuna esclusa, sono innate e non è necessario impararle per usarle; mentre nessuna funzione motrice è innata, e occorre acquisirle tutte.

SESSO (funzione dei due principio maschio e femmina, in tutte le loro manifestazioni)

Oltre a queste cinque funzioni ve ne sono altre due che il linguaggio ordinario non può definire e che appaiono solo negli stati superiori di coscienza:
  • Funzione emozionale superiore, che appare nello stato di COSCIENZA DI SÉ,
  • Funzione intellettuale superiore, che appare nello stato di COSCIENZA OBIETTIVA 
Lo studio di sé deve cominciare dallo studio delle prime quattro funzioni: intellettuale, emozionale, istintiva, motrice.
La funzione sessuale può essere studiata solo molto tardi, dopo che queste quattro funzioni siano state scientificamente comprese.
La funzione sessuale viene in realtà dopo le altre, cioè nella vita appare più tardi, dopo che le prime quattro funzioni si sono pienamente manifestate, ed è da esse condizionate.
Bisogna capire che qualsiasi irregolarità seria o anormalità nella funzione sessuale rende impossibile lo sviluppo di sé e persino lo studio di sé.

La coscienza e le funzioni di un uomo sono due fenomeni di ordine del tutto differente, di natura del tutto differente, dipendenti da cause differenti, e che l’uno può esistere senza l’altro. Le funzioni possono esistere senza la coscienza e la coscienza può esistere senza le funzioni.

Seconda conferenza
In noi niente è subconscio in modo permanente, perché non vi è niente di cosciente in modo permanente, e non vi è “pensiero subconscio” per la semplice ragione che non vi è “pensiero cosciente”.
Gli uomini vivono nel sonno, agiscono nel sonno e non sanno di dormire. Come può svegliarsi un uomo? Non si potrà mai svegliare prima di aver provato che è addormentato.
Questi due stati, il sonno e il sonno di veglia, sono i soli nei quali l’uomo vive. Al di fuori di essi, due altri stati di coscienza sono possibili per l’uomo, i quali diventano accessibili soltanto dopo una lotta dura e prolungata.

Questi due stati superiori di coscienza vengono chiamati “coscienza di sé” e “coscienza oggettiva”.
La coscienza di sé è uno stato nel quale l’uomo diviene oggettivo verso se stesso, e la coscienza oggettiva è uno stato nel quale egli entra in contatto con il mondo reale e oggettivo, dal quale ora i sensi, i segni e gli stati soggettivi di coscienza lo tengono separato.

Che cosa significa mentire? Secondo il linguaggio comune, mentire significa deformare o in certi casi dissimulare la verità o quello che si crede essere la verità. questa specie di menzogna occupa un posto molto importante nella vita. vi sono tuttavia forme di menzogna ben peggiori, nei casi in cui l’uomo mente senza saperlo. Siccome poi noi non conosciamo la verità, ma pretendiamo di conoscerla, proprio questo è mentire. La menzogna riempie tutta la nostra vita. La gente finge di sapere qualsiasi cosa su Dio, sulla vita futura, l’universo, le origini, l’evoluzione, ma in realtà non sa nulla, neppure su se stessa. E ogni volta che qualcuno parla di qualcosa che non sa come se la sapesse, mente.
La psicologia è lo studio della menzogna.
L’uomo qual è non è un soggetto autentico; è un’imitazione di qualcosa e per giunta una pessima imitazione.

È impossibile studiare l’uomo come un tutto, perché è diviso in due parti: una che in certi casi può essere quasi interamente reale, e un’altra che in alcuni casi può essere quasi interamente immaginaria. Nella maggior parte degli uomini queste due parti sono mescolate tra loro. Esse sono chiamate:
  • ESSENZA, è ciò che è innato nell’uomo. È un bene che gli è proprio; è ciò che gli appartiene. Non può andare perduta, non può essere cambiata né si degrada rapidamente come la personalità.
  • PERSONALITÀ, è ciò che è acquisito. È ciò che non gli appartiene. Può essere modificata quasi interamente in seguito ad un cambiamento di circostanze; essa può andare perduta o venire facilmente deteriorata.
Nella maggior parte dei casi, “inconsciamente” significa per imitazione, poiché l’imitazione costituisce un fattore molto importante nella costruzione della personalità.
Essenza e personalità devono crescere parallelamente, senza che l’una prevalga mai sull’altra.
Si possono incontrare dei casi in cui l’essenza prevale sulla personalità nelle persone senza cultura; questi uomini “semplici”, possono essere molto buoni ed anche intelligenti, ma sono incapaci di svilupparsi come coloro che hanno una personalità più accentuata.
I casi in cui la personalità prevale sull’essenza si incontrano sovente fra persone colte, nelle quali lo sviluppo dell’essenza si ferma a metà o rimane incompleto.

La falsa situazione nella quale essenza e personalità si trovano, l’una in rapporto all’altra, determina la mancanza di armonia nello stato attuale dell’uomo. Il solo mezzo per uscirne è la conoscenza di sé.

Conosci te stesso; questo era il principio fondamentale e la prima esigenza di tutte le antiche scuole di psicologia.
Riteniamo che conoscere noi stessi voglia dire conoscere le nostre particolarità, i nostri desideri, i nostri gusti, le nostre capacità, e le nostre intenzioni, mentre in realtà questo vuol dire conoscersi in quanto macchine, cioè conoscere la struttura della nostra macchina, cioè le sue parti, le funzioni delle diverse parti, le condizioni che reggono il lavoro e via di seguito. In generale comprendiamo di non poter conoscere nessuna macchina senza averla studiata. Dobbiamo ricordarcene quando si tratta di noi stessi, e dobbiamo studiare la macchina che noi siamo in quanto tale. Il mezzo per studiarla è l’osservazione di sé. Nessuno può compiere questo lavoro al nostro posto. Dobbiamo farlo da noi stessi; prima però dobbiamo imparare il modo di osservare. Ossia il lato tecnico dell’osservazione, sapere che è necessario osservare funzioni differenti e distinguerle fra di loro, ricordandoci al tempo stesso di ciò che sappiamo dei diversi stati di coscienza, del nostro sonno e dei numerosi “io” che sono in noi.
Inizialmente l’uomo rileverà di non poter osservare imparzialmente nulla di ciò che trova in se stesso. Gli piaceranno certi tratti, altri gli dispiaceranno, l’irriteranno, gli faranno persino orrore. L’uomo non può studiare se stesso come se fosse una stella lontana o uno strano fossile. In modo molto naturale, amerà in se stesso tutto ciò che favorisce il suo sviluppo e detesterà quello che rende il suo sviluppo più difficile, o impossibile.
Questo significa che non appena avrà cominciato ad osservarsi, distinguerà in sé le caratteristiche utili e quelle dannose.

Ora dobbiamo esaminare quali sono i tratti o le caratteristiche dannose che l’uomo trova in se stesso.
In generale, sono tutte manifestazioni meccaniche, e la prima è il mentire.
Da un punto di vista psicologico la menzogna ha però un altro senso. Significa parlare di cose che non si conoscono, che non si possono nemmeno conoscere, come se si conoscessero o si potessero conoscere.
L’uomo impara presto a scoprire i segni attraverso i quali può riconoscere in se stesso le manifestazioni dannose. Scopre che quanto più egli controlla una manifestazione, tanto meno questa è nociva, e meno la controlla, quindi più essa è meccanica, maggiormente può diventare nociva.
Il secondo tratto pericoloso è l’immaginazione. Si accorge che l’immaginazione è una facoltà distruttrice, che non può mai controllare e che lo allontana sempre dalle sue decisioni più coscienti, verso una direzione nella quale non aveva intenzione di andare. L’immaginazione è deleteria quasi quanto la menzogna; infatti immaginare è mentire a se stessi. L’uomo comincia a immaginare qualche cosa per far piacere a se stesso e ben presto comincia a credere a ciò che immagina, almeno in parte.
Altro problema sono le emozioni negative (violenza, depressione, collera, sospetto …). Di solito vengono accettate come un fatto naturale e persino necessario. Ma l’uomo impara presto ad opporsi ad esse, e si rende conto che non è sufficiente osservare le sue manifestazioni meccaniche; occorre resistervi, perché senza resistere ad esse non è possibile osservarle.
Poi c’è la singolare caratteristica meccanica del parlare. Ma in alcuni diventa un vero e proprio vizio. Parlano continuamente, ovunque si trovino, persino quando dormono.
Anche in questo caso non bisogna solo osservare, ma resistere il più possibile.
La difficoltà che l’uomo incontra nell’osservare queste quattro manifestazioni – mentire, immaginare, esprimere emozioni negative, parlare senza necessità – gli mostreranno la sua completa meccanicità e l’impossibilità stessa in cui egli si trova di lottare contro questa meccanicità senza aiuto, cioè senza un nuovo sapere.

Questa continua caduta nel sonno presenta alcuni aspetti ben determinati che la psicologia ordinaria ignora o non riesce a definire:
  • IDENTIFICAZIONE. È uno strano stato nel quale l’uomo trascorre più di metà della sua vita. L’uomo “si identifica” con tutto: con ciò che dice, con ciò che sa, con ciò che crede, che non crede, che desidera, che non desidera, che l’attira o lo respinge.
  • Manifestazioni quali la menzogna, l’immaginazione, l’espressione delle emozioni negative, il chiacchierare continuo, esigono l’identificazione.
  • CONSIDERAZIONE. “Considerare” è identificarsi con altri. È uno stato in cui l’uomo si preoccupa costantemente di ciò che gli altri pensano di lui: se lo trattano secondo i suoi meriti, se l’ammirano abbastanza e così via.
Il mito del “complesso di inferiorità” e degli altri “complessi” è nato da questi fenomeni di identificazione e di considerazione, vagamente percepiti, ma non compresi.

Questo insegnamento suddivide l’uomo in sette categorie.
Le prime tre sono praticamente sullo stesso livello:
UOMO 1 = centro istintivo o motorio prevalgono sul centro intellettuale ed emozionale
UOMO 2 = centro emozionale prevale sui centri intellettuale, motorio e istintivo
UOMO 3 = centro intellettuale prevale suo centri emozionale, motorio ed istintivo

Nella vita ordinaria incontriamo solo queste tre categorie.

UOMO 4 = non è nato tale, ma è il prodotto di una cultura di scuola. Differisce dall’1-2-3 per la conoscenza di se stesso, per la comprensione della propria situazione e per il fatto di avere acquisito un centro di gravità permanente. Il suo sviluppo è il più importante dei suoi interessi. Le sue funzioni e i suoi centri sono meglio equilibrati, e questo ad un livello che non avrebbe mai potuto raggiungere senza aver lavorato su se stesso.

UOMO 5 = ha acquisito l’unità e la coscienza di sé. Egli differisce dall’uomo ordinario, perché uno dei centri superiori già lavora in lui, e possiede numerose funzioni e poteri che l’uomo ordinario (1-2-3) non possiede.

UOMO 6 = ha acquisito la coscienza oggettiva. Un latro centro superiore lavora in lui, ed egli possiede un numero molto più grande di nuove facoltà e poteri, al di là di quanto l’uomo ordinario possa concepire.

UOMO 7 = ha raggiunto tutto ciò che un uomo può raggiungere. Ha un Io permanente ed una volontà libera. Ha la possibilità di controllare in se stesso tutti gli stati di coscienza ed ormai non può più perdere niente di quanto ha acquistato. Secondo un’altra definizione, egli è immortale nei limiti del sistema solare.

La psicologia è lo studio di un nuovo linguaggio. E questo nuovo linguaggio è la lingua universale, che gli uomini talvolta cercano di scoprire o di inventare.

Terza conferenza
L’idea che l’uomo sia una macchina non è nuova; ed è veramente il solo punto di vista scientifico possibile, cioè basato sull’esperienza e sull’osservazione.
Nella seconda metà del XIX secolo, la cosiddetta “psicofisiologia” dava un’ottima definizione della meccanicità dell’uomo. L’uomo era considerato incapace di compiere qualsiasi movimento senza ricevere impressioni dall’esterno.
Se fosse stato possibile privare un uomo fin dalla nascita di ogni impressione, esteriore e interiore, pur mantenendolo in vita, egli non sarebbe stato in grado di fare il più piccolo movimento. Si tratta di un esperienza impossibile, poiché lo stesso processo di conservazione, respirazione, alimentazione, produrrebbe ogni sorta di impressioni, tali da mettere in moto vari movimenti riflessi, risvegliando in centro motore.
Questa idea è tuttavia interessante: essa mostra che l’attività della macchina umana dipende dalle impressioni esteriori e comincia con delle reazioni a queste impressioni.
Nella macchina ogni centro è perfettamente atto a ricevere il genere di impressioni che gli è proprio e a reagire in modo adeguato. Quando i centri lavorano correttamente, è possibile calcolare il lavoro della macchina, prevedere e predire i vari incidenti e le reazioni che si produrranno in essa, così come studiarli ed anche dirigerli.

Purtroppo i centri lavorano assai raramente come dovrebbero, anche in un uomo considerato normale e sano: questo perché i centri sono fatti in modo da potersi sostituire in una certa misura l’uno con l’altro (per assicurare la continuità del funzionamento dei centri e creare una salvaguardia contro eventuali interruzioni nel lavoro della macchina, poiché in certi casi un’interruzione potrebbe essere fatale.

L’uomo che voglia studiarsi ed osservarsi dovrà dunque studiare e osservare non solo il lavoro corretto dei centri, ma anche quello sbagliato. L’uomo deve rendersi conto della sua situazione, delle sue difficoltà e delle sue possibilità; deve avere un intenso desiderio di uscire dal suo stato attuale, oppure avere un grandissimo interesse per lo stato nuovo e sconosciuto che dovrà avvenire con il cambiamento.

L’uomo vive sotto due specie di influenze:
Interessi e attrattive create dalla vita stessa: interessi di salute, sicurezza, comodità, ricchezza, piaceri, distrazioni, vanità, orgoglio, reputazione … Interessi di un altro ordine, risvegliati da idee che non sono create dalla vita, ma che traggono le loro origini dalle scuole.

Quarta conferenza
In realtà ogni centro occupa tutto il corpo e compenetra l’organismo intero. Al tempo stesso, ciascun centro possiede quel che vien detto il suo centro di gravità.
  • Il centro di gravità del centro intellettuale è nel cervello.
  • Il centro di gravità del centro emozionale è nel plesso solare.
  • Il centro di gravità del centro motorio è nel midollo spinale.
Tutto il lavoro del centro intellettuale si divide in due parti: affermazione e negazione, si e no. ad ogni istante nei nostri pensieri, uno dei due aspetti prevale sull’altro oppure sono entrambi di egual forza: da qui l’indecisione.

Nel lavoro del centro istintivo, la divisione è pure molto chiara e le due parti, negativa e positiva, sono ambedue necessarie ad un giusto orientamento nella vita.
Nel centro motorio la divisione in due parti, positiva e negativa, non ha che un senso logico: il movimento in opposizione al riposo.

Nel centro emozionale, la divisione parrebbe semplice. Considerando che le emozioni piacevoli in sé derivano dalla parte positiva, e che le emozioni sgradevoli derivano dalla parte negativa.
Ma in realtà le cose sono molto più complicate.
Non c’è parte negativa naturale nel centro emozionale. La maggior parte delle emozioni negative sono artificiali e sono basate su emozioni istintive, snaturate dall’immaginazione e dall’identificazione.
James e Lange insistevano sul fatto che tutte le emozioni sono in realtà sensazioni che accompagnano i cambiamenti che avvengono negli organi interni e nei tessuti, cambiamenti anteriori alle sensazioni e che ne sono la vere cause.
Ossia non sono gli avvenimenti esteriori ed i processi interni a produrre l’emozione. Gli avvenimenti esteriori e i processi interni provocano dei riflessi interni quali a loro volta producono delle sensazioni e queste sono interpretate come emozioni.
D’altra parte le emozioni positive come “amore”, “speranza”, “fede”, nel senso in cui sono comprese abitualmente, ossia come delle emozioni permanenti, non sono accessibili all’uomo nel suo stato ordinario di coscienza.
Esse esigono l’unità interiore, la coscienza di sé, un Io permanete e volontà.
Le emozioni positive sono delle emozioni che non possono divenire negative.

Le emozioni negative sono un fenomeno terribile. Esse occupano un posto enorme nella vita. Si potrebbe dire che per molta gente, tutta la vita è regolata, controllata ed infine rovinata dalle emozioni negative. Al tempo stesso le emozioni negative non rappresentano alcuna utilità nella nostra vita. Non servono al nostro orientamento, non ci apportano alcuna conoscenza, non ci guidano mai in maniera sensata.
Le emozioni negative dipendono dall’identificazione. Ogni qualvolta l’identificazione è distrutta, esse scompaiono.

L’uomo deve sacrificare la sua sofferenza

“Che cosa è più facile da sacrificare?”. 
Ma in realtà, la gente sacrificherebbe qualunque cosa piuttosto che le sue emozioni negative.
Illuso da una vecchia superstizione, l’uomo aspetta sempre qualche cosa dal sacrificio dei suoi piaceri, ma non s’aspetta niente dal sacrificio della propria sofferenza.
Egli è pieno di idee false sulla sofferenza, continua a pensare che la sofferenza gli è inviata da Dio, dagli dei, per un suo castigo o per una sua edificazione ed avrà persino paura di venire a sapere che è possibile sbarazzarsi della propria sofferenza in modo tanto semplice.

E che cosa avverrebbe di tutta la nostra vita senza le emozioni negative? Che cosa avverrebbe di ciò che noi chiamiamo “arte”, del teatro, del dramma, della maggior parte dei romanzi?

Non abbiamo alcun controllo sulla nostra coscienza. Ma abbiamo un certo controllo sul nostro modo di pensare e possiamo costruire i nostri pensieri in modo tale che essi conducano alla coscienza. Dando ai nostri pensieri l’orientamento che avrebbero in un momento di coscienza, possiamo farla sorgere.

L’osservazione è resa difficile dal flusso incessante di pensieri, immagini, echi di conversazioni, frammenti di emozioni che attraversano la vostra mente e molto sovente distolgono la vostra attenzione dall’osservazione.
Nel momento in cui cominciate ad osservarvi, qualcosa in voi mette in moto l’immaginazione, e l’osservazione di sé, se la tentate realmente, è una lotta costante contro l’immaginazione.
Possiamo ricordarci di noi stessi per un breve momento, quando lo vogliamo, poiché in una certa misura comandiamo i nostri pensieri. La pratica del ricordarsi di sé cambia la parte sottile del nostro metabolismo e produce nel nostro corpo degli effetti chimici definiti, che forse sarebbe maglio dire alchemici.

Quinta conferenza
Avete sempre confuso comprendere con sapere, ossia avere delle informazioni; ma sapere e comprendere sono due cose del tutto differenti, che dobbiamo imparare a distinguere. Per comprendere una cosa, dovete vedere la sua relazione con qualche oggetto più vasto, oppure con un insieme più grande, come pure le conseguenze di tale relazione.
Non può esserci che una sola comprensione; il resto è incomprensione o comprensione incompiuta.
Tuttavia molti pensano sovente di comprendere le cose in modi differenti. Comprendere una cosa significa comprenderla in quanto parte, nella sua relazione col tutto. Ma l’idea del tutto può essere molto differente per gli uomini a secondo del loro sapere e del loro essere. Potete comprendere gli altri solo nella misura in cui comprendete voi stessi e solo al livello del vostro proprio essere. Potete giudicare il sapere degli altri, ma non potete valutare il loro essere. Non potete vedere in loro, altro che nella misura in cui avete già visto voi stessi. 

Fonte: Peter D. Ouspenski, L'evoluzione interiore dell'uomo, Edizioni Mediterranee

domenica 11 settembre 2011

Così curavano

Sia nell’antico Egitto che in Palestina i concetti di salute o malattia erano legati alla dimensione sacra dell’essere umano. Il corpo non era un semplice meccanismo terrestre ma era percepito come la parte tangibile di un Tutto che affondava le radici in un universo celeste e divino.
Salute, malattia e morte erano considerate piuttosto come stadi diversi della metamorfosi di un’immensa Corrente di Vita in perpetuo movimento.
Nulla era l’opposto di nulla. La morte non proclamava la sconfitta della vita, e la malattia traduceva semplicemente una mancanza di dialogo armonioso fra l’anima e il corpo.

Un simbolo è una presenza viva, collegata a un archetipo, e una luce sistemata in modo appropriato può favorire lo stato di coscienza che a quell’archetipo fa riferimento.

Il faraone Akhenaton riteneva che il vero sacerdozio fosse uno stato di padronanza. Padronanza dell’allineamento dei nostri vari mondi interiori. 

Curare è uno stato di coscienza: le cure dispensate non saranno mai dunque un fatto “egoico” del terapeuta; egli si limiterà a fungere da intermediario fra le dimensioni del Sottile e il piano dell’esistenza terrena. Ciò significa che la guarigione non è qualcosa di sua proprietà, non ne fa una sfida personale perché non è in guerra con nulla; non combatte, ma cerca invece di pacificare, di riallacciare connessioni interrotte, di ricostruire ponti attraverso i quali nuovamente le correnti vitali potranno svolgere il proprio ruolo.

La padronanza dell’arte terapeutica da parte di certi esseni risultava prima di tutto dal loro essere al Servizio, uno stato incompatibile con l’idea di dominare una vibrazione. In realtà la vera “padronanza” è estranea al concetto di dominazione. Dominare significa piegare, mentre essere padroni di qualcosa significa entrare in una comprensione intima e globale ed elevarsi abbastanza per raggiungere lo scopo voluto.

La rete di nadi del corpo umano è paragonabile alla rete vascolare o nervosa. Attraverso la forza vitale (prana) irrora l’organismo eterico: vi sono nadi comparabili a fiumi, altri a torrenti, altri ancora ruscelli. Durante una terapia questa rete energetica funge da cinghia di trasmissione, e quindi occorre mantenerla in buono stato.
Il nostro corpo, con le sue mille attività, produce delle scorie, alcune delle quali si annideranno precisamente lungo i nadi, non diversamente da certe sostanze grasse in eccesso che pian piano vanno a depositarsi sulle parte delle arterie se abbiamo una cattiva igiene alimentare.
Le scorie che riguardano la rete dei nadi sono essenzialmente d’ordine psichico e respiratorio; ossia sono generate dalla natura dei nostri pensieri e dal nostro modo di respirare.
La dilatazione del sistema circolatorio energetico è importante se vogliamo che il prana possa svolgervi il proprio ruolo riparatore, costruttivo e di trasmissione. 

La malattia dietro la maschera
Una delle prime domande che i sacerdoti-terapeuti dell’Egitto di Akhenaton facevano ai loro pazienti era questa: “Con chi o con cosa sei in guerra?”. Analogamente il Cristo chiedeva: “Dimmi chi è il tuo nemico?”.
Quando una persona sofferente veniva accolta in questo modo, si trova immediatamente smascherata, condotta a parlare delle “cose vere” della sua vita. Non era mai il corpo che veniva consultato per primo, bensì l’anima; e questo cambiava tutto. La disarmonia che s’impadronisce di un corpo risulta dalla guerra interiore condotta, spesso senza rendersene conto, contro una circostanza, una persona, e soprattutto contro se stessi.
Gesù spiega: “Siamo sempre circostanze gli uni per gli altri, tessere di un gioco gigantesco che chiamiamo a noi o che respingiamo. Tutti, gli uni per gli altri, siamo occasioni di crescita o di ristagno. È così che modelliamo e rimodelliamo i nostri equilibri e i nostri squilibri: le nostre occasioni di salute come quelle delle nostre malattie sono il frutto esatto delle scelte che facciamo. L’altro, colui che accusiamo, è sempre e solo il pretesto dietro al quale si nascondono la nostra cecità e la nostra inconsapevolezza. Il nemico, è sempre qualcosa che noi stessi alleviamo e nutriamo, costantemente in noi … e siamo noi ad inventarcelo, perché in realtà lui non esiste. La nostra salute parla della nostra pace …”.

Il magazzino dei pensieri
I terapeuti partivano dal pirnicpio che il campo energetico dell’aura umana interagisce costantemente con il nostro universo, e vi è un’immensa aura planetaria con cui interferisce la somma delle aure, e dunque l’attività psichica, di ciascun abitante del mondo. In quest’ottica, “al di sopra” del nostro mondo visibile, esiste un universo, che è paragonabile ad un immenso magazzino di pensieri, in cui andavano a finire tutte le “sementi” della stessa verità.
Così esiste un piano vibrazionale specifico di massa energetica di tutti i nostri pensieri di collera, d’amore, di odio … ogni scomparto corrisponde a quella che è chiamata “egregora” oppure campo morfogenico. È una sorta di ricetrasmettitore, con cui l’essere umano entra in risonanza quando alimenta dentro di sé un certo stato di pensiero e di focalizzazione di coscienza.
Alimenta collera e berrai collera, genera amore e sarai nutrito dall’amore”.

Dallo studio ripetuto di queste egregore si comprese che la massa energetica generata da una moltitudine di pensieri dello stesso genere finisce spesso abitata, e in seguito controllata, da forme embrionali di vita, generalmente emerse dagli strati più bassi del mondo astrale o dal mondo eterico stesso.
In base a ciò veniva spiegata la nascita di quei microrganismi a cui generalmente diamo il nome di microbi o virus.
La struttura atomica della materia era già stata apertamente citata da Epicuro e da uno yogi di nome Kanada.
Per i terapeuti esseni, una malattia di natura infettiva era dunque diretta da una specie di intelligenza e dalla relativa autonomia di certi “semi psichici”, la cui maggiore o minore tossicità era causata dall’associazione con una forma di coscienza primaria che finiva per trasformarli in entità, con cui bisognava imparare a trattare. Da qui l’uso di rituali “magici”.
Ma che cos’è la magia se non la percezione e la conoscenza della natura più intima dell’universo, oltre al fatto di saperla dirigere, destreggiandosi con i suoi ingranaggi? Non è la scienza dell’infinitamente piccolo ma la scienza dell’infinitamente sottile.
Gli esseni si distinguevano dagli egizi per la grande repulsione per i riti magici; il loro era un approccio spoglio.

Un ottavo chakra
In una persona che si è sviluppata in modo corretto, si possono contare sette livelli di realtà o di coscienza, ciascuno dei quali corrisponde a un chakra. Ma i livelli di coscienza o di realizzazione, in realtà sono 12 in comunicazione totale gli uni con gli altri.
I cinque gradi (mancanti) in questione non sono degli stati da acquisire: sono già presenti in ciascuno di noi, in attesa di venire stimolati e poi dispiegati uno dopo l’altro, di vita in vita, lungo lo scorrere del tempo.
Vi è dunque la possibilità di accedere all’ottavo grado della scala dell’essere.

I terapeuti egizi ed esseni ritenevano che alcune malattie vengono a trovarci necessariamente lungo il nostro percorso, indipendentemente dal nostro atteggiamento, a causa del loro carattere educativo (inteso come appuntamento, come karma …). Poteva essere un appuntamento passeggero oppure un appuntamento che conduce alla distruzione del corpo fisico, ma comunque un appuntamento inevitabile che ci invitava a modificare il modo in cui percepiamo noi stessi e la vita. Un appuntamento di cui accettare l’insegnamento o al quale opporsi, ma pur sempre un appuntamento contro il quale non possiamo fare niente, giacché è stato deciso dai semi dei gradini superiori, ovvero da una Saggezza che ci trascende.
La comprensione e poi l’accettazione, della legge karmica qui è la chiave di tutto. È più facile comprendere e poi accettare.
Bisogna saper accettare che diversi nostri disturbi di salute non hanno latra funzione che smuoverci. Ma noi ci smuoviamo? Il Divino ci offre occasioni di metamorfosi, ma non ci obbliga a viverle. Così molte malattie vengono solo subite invece di essere recepite come un opportunità di riflessione.

Intelligenza cellulare
Anche la più minuscola parte di un organo, una cellula, ha bisogno che le si parli in modo amorevole, ha bisogno di essere riconosciuta come un’entità a sé stante, intelligente, permeabile tanto all’amore quanto all’aggressività, tanto al senso di unità quanto al senso di separazione.
Ogni cellula è il punto di incontro, a volte disarmonico, di cinque correnti di forza: due di natura orizzontale, associate al polo positivo e negativo del mondo della materia, e tre di natura verticale, generate dalla triplice Essenza divina. “Perché una malattia è in primo luogo il risultato di un conflitto nato dalla complessità del rapporto con il Vivente dentro di sé”.

La temperatura corporea
Una zona fredda sulla superficie del corpo veniva considerata come un evidente mancanza di soffio vitale. Ci si interrogava sullo stato dei visceri che erano più prossimi a quella zona, oltre che allo stato dei nadi principali che la percorrevano, e si prendeva in esame l’attività del chakra che presiedeva quella zona.
Si distingueva anche il freddo secco dal freddo umido.
Freddo secco = di solito traduce una mancanza d’amore o di affetto da parte della coscienza rispetto alla zona in questione; può essere provocato anche da uno choc emotivo.
Freddo umido = rimanda ad una perdita di energia di origine “meccanica”, osservabile in particolare a seguito di contusioni, ferite e interventi chirurgici. È allora verosimile che i nadi siano stati rovinati o interrotti, e che si siano sclerotizzati.

Si può anche constatare un eccesso di calore, che indicherà sempre un apporto massiccio di prana. Se la zona è stata stimolata fisicamente da un esercizio muscolare, è probabile che, per una ragione che andrà determinata, ci si trovi di fronte all’intasamento di un nadi importante.

I punti di tensione, di rigidità o di secchezza della pelle indicano sempre un accumulo di scorie eteriche (le cause possono essere svariate: una ferita, una scorretta postura, oppure di natura psicologica …).
La tensione, soprattutto l’aridità della pelle, in particolare nelle donne, denota globalmente uyna carenza affettiva o una mancanza di autostima, e spesso rivela un problema di tipo ormonale.
Parliamo sempre di sintomi persistenti e non episodici e dunque poco significativi.

La dimensione psicologica
La maggior parte delle disfunzioni fisiche sono lamenti dell’anima …
Non dovremmo neppure immaginare di iniziare un trattamento senza aver instaurato un contatto degno di tal nome con il “malato”.
Qualsiasi persona sofferente che metta piede in un luogo di cura con la speranza di venire curata, prima di tutto vuole essere udita, ascoltata e compresa.

Purtroppo, è frequente, oggi, vedere medici farsi beffe di un paziente o scartare le sue dichiarazioni con un colpo di spugna, dichiarando semplicemente che “questo non esiste”, che è “solo una questione psicologica”. Un atteggiamento siffatto non è solo sprezzante, ma denuncia il misconoscimento di fondo dell’essere umano. Un dolore dell’anima, anche se si ritiene sia privo di fondamento, a volte basta, in breve tempo, per squilibrare un organo o un intero sistema.
Non contraddire una persona che soffre non significa entrare nel suo gioco delle parti, nel suo disordine, e farsi prendere in trappola. Significa mostrarle semplicemente che viene presa sul serio, accettata con tutti i suoi frammenti, anche se incoerenti. Significa seminare una reciproca fiducia di base.

La dimensione  affettiva
Di fronte ad un vero problema di salute, fisico o psicologico, egizi ed esseni ritenevano che il loro ruolo fosse di prendere per mano l’uomo o la donna sofferente per condurlo dalle sabbie mobili alla terra ferma. Facendolo, non ignoravano la trappola fondamentale contenuta nel ruolo stesso del traghettatore. Avevano già compreso il fenomeno che oggi chiamiamo transfert. Parlavano di focalizzazione a volte eccessiva dei pensieri del malato sulla personalità umana del terapeuta, e di un possibile trasferimento affettivo … soprattutto se malato e terapeuta non erano dello stesso sesso.
Accadeva che qualche apprendista-terapeuta finisse intrappolato in circostanze in cui il legame affettivo creatosi con il malato diveniva un ostacolo alla cura. E questo, per due ragioni:
  • non aveva più la distanza sufficiente rispetto alla persona che curava
  • e perché il malato, più o meno coscientemente, comprendeva che la cessazione della propria sofferenza avrebbe significato la perdita di legame con il terapeuta
per alcuni malati, esiste una sorta di confortevolezza nella malattia stessa. Il loro problema di salute è diventato il loro unico universo.
Precedendo la psicologia moderna, gli insegnanti egizi avevano già notato che chi offre una cura quasi automaticamente assume una dimensione paterna nel mondo inconscio di chi riceve la cura. Tale dimensione costituisce una forza e contemporaneamente genera una fragilità. L’accoppiata forza-fragilità è indissociabile in ogni rapporto umano incentrato sulla presenza del cuore. Non appena ci si addentra in una relazione di fiducia e si comincia ad amare per amore, tenerezza op amicizia, ci si abbevera ad una fonte vivificante ma contemporaneamente ci si apre ad una certa vulnerabilità.

La dimensione spirituale
Un disturbo di salute è sempre occasione, se non addirittura esplicita proposta, di metamorfosi. Suggerisce, una mutazione dell’anima, l’aggiornamento del suo modo di funzionare. Tutta l’abilità del teraputa consisterà nel capire la natura di tale mutazione per poi favorirla con l’aiuto della propria radianza e delle parole appropriate.
A questo proposito è una forma di grandezza, da parte del terapeuta, saper chiedere, eventualmente l’intervento di un altro terapeuta se non si sente preparato, ed è una forma di meschinità pericolosa fingere una padronanza che non si è ancora manifestata.
È importante capire che il chakra della base non va mai sollecitato troppo, a meno che non si sia certi che l’asse dorsale sia correttamente sgombro, e che il chakra coronale sia abbastanza aperto da poter assorbire l’urto provocato da una vera e propria risalita di energia.
Quando ci si trova di fronte alla profonda trasformazione energetica di un essere umano, la saggezza raccomanda di non far nulla che possa accelerarne il ritmo. Ci si accontenta di esserne il regolatore, di accompagnare il paziente, evitando di conseguenza l’esplosione e l’implosione energetica del suo organismo.
La necessaria trasformazione avverrà da sé, passando da un organo all’altro e attraversando il corpo intero, spesso in modo doloroso ma sicuro perché naturale. così si avrà una più rapida circolazione pranica (aumento di vibrazione) e un miglior allineamento con il Sé da cui deriva, un vero Risveglio interiore.

È utile ricordare che l’impatto di una diagnosi, quale che sia forma in cui si presenta, può essere notevole: una persona che si vede attribuire l’etichetta di un disturbo in modo categorico può venirsi a trovare ancora più bloccata in quel suo problema.

Il ruolo dell’olio
La radianza di un olio è perlopiù potente, sicché è facile capire che possa disturbare il processo stesso della lettura dell'aura: la sua presenza falserebbe la percezione.
Praticavano l’unzione sulle persone la cui aura “non si apriva” alla lettura, restando ripiegata su se stessa come un ventaglio chiuso, in un riflesso meccanico di protezione, conscio o no.
Gli egizi, ungevano la fronte dei malati (6° chakra) con un balsamo composto da tre resine, fra le quali l’olibano. La composizione di questo balsamo è andata perduta ma l’olio essenziale di tsunga canadensis (la più grande conifera del nord America) ha facoltà rilassanti e può aiutare un’aurea ad aprirsi, quando ha la tendenza a contrarsi. Anche se molte aure continuano ad opporre resistenza ricordandoci così che non è il caso di insistere. 

Su quale lato del corpo lavorare?
Si trattava la schiena, la parte frontale, ma anche il fianco.
La schiena serviva come base di partenza se la condizione fisica della persona le permetteva di stare facilmente a pancia in giù.
L’asse dorsale costituisce un vero e proprio albero della vita della persona, e lo stato dei chakra è abbastanza facile da percepire, e in modo più neutro, sulla schiena piuttosto che sulla parte anteriore del corpo.
A questo proposito raccomando di analizzare il colore della pelle nella zona di ogni chakra, specie nella regione del coccige e del cuore. Non è raro, infatti, che queste zone manifestino degli arrossamenti notevoli, in particolare ai giorni nostri, quando sono sempre più numerose le persone che vivono trasformazioni enormi.
In casi estremi, gli arrossamenti possono riprodurre il disegno simbolico del chakra in questione, un triangolo o una stella per esempio. Sono tutti segni di sovrattivazione del centro, surriscaldamenti dell’organismo sottile, che possono creare disturbi sgradevoli: sensazioni intense di bruciore, nausea, febbre, vertigine e mal di testa. Per lo più dovute ad un eccesso di stimolazione dei chakra interessati. Stimolazioni di ordine emotivo, spesso, ma a volte, causate da pratiche di meditazione, di visualizzazione o di concentrazione eccessive, incontrollate, se non decisamente inadeguate.
La posizione di profilo, ossia sdraiati su un fianco, permetteva al terapeuta che l’imposizione delle mani avvenisse simultaneamente sulla parte anteriore e posteriore del corpo. Organi quali fegato e reni sono molto ricettivi a un tale approccio. Se la persona aveva blocchi emotivi questa imposizione dava ottimi risultati.


Fonte: Così curavano