La malattia risponde a un
preciso disegno, o meglio a un imprescindibile principio di autoregolazione
che, se a livello macroscopico va a compensare tutta la struttura psicologica
dell’individuo, a livello macroscopico può riflettersi sulle reazioni.
Il grosso rischio che si corre
intervenendo “terapeuticamente” dall’esterno sul processo psicofisico di una
persona è quello di interrompere il suo equilibrio. L’organismo umano, infatti,
tende naturalmente al mantenimento di una condizione di stabilità (che la scienza
chiama “omeostasi”, ma potrebbe essere definito meglio come “oleodinamica” per
chiarire il nesso tra il continuo lavoro di adattamento e la stabilità che tale
lavoro serve a mantenere). È grazie a questo meccanismo che abbiamo 37° di
temperatura sia in estate sia in inverno, sia davanti al camino sia uscendo di
casa sotto la neve.
Se dare attenzione a un
sintomo può essere vantaggioso per comprendere il messaggio che porta con sé,
non è sempre detto che una malattia, lasciata a se stessa, guarisca da sola
così come fa un’influenza.
Ciò che conta non è come si
interviene, ma l’atteggiamento di chi riconosce alla malattia una sua
motivazione, una logica, un’intelligenza, una dignità e una funzionalità anche
se su piani che sfuggono l’evidenza. E questo richiede un approccio terapeutico
che vada più precisamente nel senso etimologico della parola. Diverso dalla sua accezione comune è infatti
il significato originario del termine greco “therapeia”, ovvero servizio, accompagnamento, assistenza.
Il sintomo non è che una
zona d’ombra da indagare, come un aspetto di sé che non si riesce a vivere e a
concretizzare. Nel sintomo è già presente la parte di sé che ancora non è
emersa alla coscienza. Una volta ritrovato ciò che manca nella propria vita, in
genere il sintomo non ha più ragione di essere. La malattia rappresenta dunque
un completamento, ma se l’organismo in genere è disponibile ai cambiamenti
necessari, non è detto che lo sia anche l’individuo. Dopo tutto, come un
programma per computer, non fa quello che si vuole, ma quello che può fare in
base a ciò che gli si dice.
Tutto questo implica
sostanzialmente che ogni situazione in cui ci si trova o la malattia che si ha
è sempre la migliore soluzione a disposizione in quel preciso momento, sulla
base delle informazioni di cui si dispone. Tuttavia, queste informazioni
possono essere ampliate – questo è l’obiettivo fondamentale della terapia – per
arrivare a una soluzione più opportuna.
In una grande quantità di
casi guarire significa semplicemente osservare, comprendere e onorare quello
che succede, invece che interromperlo o modificarlo.
Le scelte legate al proprio
benessere sono quasi sempre vincolate al contesto in cui ci si trova e, dato che la nostra cultura appare molto
spostata verso l’universo del massimo controllo, il primo esempio, benché
estremo, può apparire tutto sommato normale.
Più ci si allontana dalla
cultura in cui si vive, più alto è il prezzo che si paga in termini di
difficoltà e isolamento sociale.
Marcel
Proust: “sembra che la natura sia in grado di darci
solo malattie piuttosto brevi. La medicina ha inventato l’arte di prolungarle”.
Ogni volta che nelle sue
scelte di vita un individuo non tiene conto dei suoi istinti di sopravvivenza,
associati all’aggressività e alla sessualità – e quindi si muove solo dopo lunghi
ragionamenti o spinto da impulsi affettivi, di fatto opera una chiusura dei centri più bassi agendo
sui plessi neuro ghiandolari – o chakra. Se questa situazione si riflette a
livello funzionale nella scarsa mobilità del bacino e delle gambe, a un altro
livello può condurre a una serie di sintomi associati a questo “fermare”, quali
cellule o accumuli di grasso dalla vita in giù, vene varicose, flebiti, gambe
pesanti, emorroidi, caviglie gonfie e piedi sudati.
Una chiusura a livello affettivo si riflette invece in un torace fermo
e ristretto, talvolta con sofferenza o insufficienza toracica, oppure in una
espansione di questa zona, con sintomi quali mal di cuore, bronchiti, asma, mal
di gola, enfisema, seno particolarmente minuto o abbondante.
Quando la parte chiusa è quella razionale
– come capita quando si desidera evitare costantemente pensieri ritenuti
inaccettabili o disturbanti – ecco che possono insorgere problemi quali
cefalea, problemi al tratto cervicale della colonna (che unisce la testa al
resto del corpo), tumori della testa o problemi di vista.
Il corpo umano, per
funzionare, ha bisogno di un’enorme quantità di acqua. In particolare, quanto
più è umida e scivolosa la fascia
connettivale – ovvero il tessuto che, divide e collega tra loro tutte le
strutture anatomiche – tanto minore risulta la distinzione interna tra ossa,
muscoli, organi, pelle …
Per contro, quanto più la
fascia connettivale è asciutta tanto
maggiore è la separazione tra strutture interne. Così nel corpo, il secco ha
una funzione separatrice e l’umido di rimescolamento. Analogamente – anche
nelle relazioni – quanto maggiore è il bisogno di distinzione e di separazione,
tanto più i modi delle persone coinvolte diventano “secchi”; mentre quando due
persone cercano una fusione, un’intimità tale da annullare le barriere, i loro
modi e i loro corpo si fanno più fluidi, si inumidiscono.
Quando si voglia accentuare
o sviluppare il controllo della mente sull’inconscio o sul corpo, uno degli
stratagemmi più comuni per l’organismo è quello di asciugarsi, di inaridirsi.
Quando ci si muove nella direzione opposta e si desidera in qualche modo
“sciogliere” la mente, lasciare che si diluisca all’interno del corpo,
l’organismo aumenta il suo tasso di umidità, spostando il cursore verso una
situazione più florida.
La fascia connettivale, dal
cui stato dipendono in gran parte le caratteristiche del movimento, è bagnata,
tramite la guaina dei nervi, dal liquido cerebrospinale, il che spigherebbe
perché l’organizzazione di questo tessuto è strettamente connessa alle
condizioni del sistema nervoso. La fascia infatti avvolge e tiene organizzate
insieme, ma distinte, le varie strutture corporee e permette loro di scivolare
una sull’altra donando una maggiore ampiezza, fluidità e grazia ai movimenti
quanto più è irrigidita e rendendoli invece più secchi e strutturati quanto più
è asciutta.
In una situazione di
stress, ciò che normalmente si verifica è una riduzione del funzionamento delle
strutture più interne del sistema – quali viscere, organi interni – a favore di
uno spostamento dell’energia e dell’attenzione verso le strutture nervose più
esterne del cervello come quelle corticali.
Nel momento in cui lo
stress cessa, gli organi ricominciano a funzionare e si liberano dei veleni
accumulati, il sangue ripulisce la fascia (portando le tossine verso gli
organi) e soprattutto ricomincia a irrorarla. Frequentemente questo processo di
disintossicazione e reintegrazione viene percepito dal soggetto con l’emergere
di un senso di stanchezza fisica e, a livello psicologico, con sensazioni di
svogliatezza, difficoltà di concentrazione, passività che, nel caso in esame,
potrebbero essere considerate erroneamente come l’effetto del trattamento a cui
ci si è sottoposti invece che come la reazione fisiologica dell’organismo alla
situazione precedente.
Quando invece di fronte a
un malessere si prende un’aspirina per potersi rituffare nella propria grande
attività ignorando i segnali del corpo, non si fa che rimandare il momento dei
lavori di casa. Tra le sue modalità di funzionamento, l’aspirina ha quella di
prosciugare il corpo. Il suo principio attivo, infatti, è l’acido
acetilsalicilico, isolato dalla corteccia del salice. Il salice è una pianta
che prospera in ambienti umidi e ha appunto bisogno di un principio attivo
capace di determinare una secchezza interna che gli permetta di non marcire.
Nell’organismo umano la
riduzione del dolore che avviene grazie al processo di “essiccamento” dei
tessuti operato dall’acido acetilsalicilico, se protratto può tradursi in una
sorta di “mummificazione” progressiva dei tessuti.
Viceversa, dopo una seduta
di lavoro corporeo o di una psicoterapia, dopo una terapia che preveda la
reintegrazione di vitamine e minerali persi, o in seguito ad altre esperienze
di recupero, può emergere in un individuo uno stato di profonda prostrazione.
Non è qualcosa di nuovo, ma solo la spossatezza che non ci si è concessi di
vivere a suo tempo.
Per il malato con l’artrosi
cervicale, potremmo ipotizzare un bisogno, indotto forse da motivazioni di
ordine educativo o culturale, di separare la mente dal corpo, cioè di non
lasciare che la sua mente sia condizionata dalle informazioni che arrivano dal
corpo (quando il collo è rigido, infatti, non si sente che cosa dice il corpo).
Forse perché ha imparato a svalutare, forse perché è incapace di gestirle,
forse ancora perché non corrispondono al suo modello ideale, ai suoi valori,
alla sua concezione della realtà, a ciò che secondo lui “dovrebbe essere
adeguato sentire in relazione al modello culturale che ha scelto – più o meno
consapevolmente – di rappresentare.
Confondere
il modello con la realtà sarebbe come andare in un ristorante e mangiare il
menù (Arthur Bloch).
L’individuo
che funziona sul bisogno
rinuncia a esprimere la sua potenza, incarnando molto bene la fase orale
dell’evoluzione. La sua sopravvivenza è legata all’identificazione con la
persona che segue e con cui diventa tutt’uno. Il suo obiettivo primario è non
crearle problemi.
Per aderire a un’immagine
meno sana e capace di quello che sarebbe consona e naturale per la loro età,
anche il loro corpo si presenta spesso minuto e privo di potenza, con
un’energia che è tutta trattenuta all’interno perché non si manifesti
all’esterno, ed è quindi causa di una continua tensione nervosa. Appoggiati su
gambe che non esprimono forza e consistenza, hanno torace e spalle più stretti
di quanto ci si possa aspettare in persone della loro età.
L’atteggiamento fisico è di
tipo “concavo”; il respiro è corto, più scarso del suo potenziale: il
mantenimento della strategia basata sul bisogno richiede infatti di non
riempirsi adeguatamente. Lasciarsi nutrire e riempire, apprezzare quello che
riceve, infatti, porta a crescere, a espandersi, ma mobilitare gli organi
addominali (fonte di potenza), e tutto questo non è compatibile con la
strategia adottata.
Se una persona tiene il
torace in una condizione di costante svuotamento, la sua debolezza “polmonare”
si rifletterà in un tipo diverso di disturbi, quali per esempio frequenti
bronchiti.
L’eccessiva tensione,
contrazione e “implosione” (con tutto il suo corredo di frustrazioni) porterà
invece più facilmente a malattie quali la gastrite o l’ulcera.
La pressione arteriosa
(forza interna necessaria a contrastare una pressione esterna, fisica o
psicologica) di questa persona orientata alla dipendenza, che si assume meno
responsabilità, avrà probabilmente una tendenza alla pressione bassa.
Le malattie avranno una
stretta relazione con l’indebolimento (anemia, miastenia, anoressia) o con
l’impotenza del corpo e col suo progressivo rattrappirsi, come nella sclerosi
multipla, nella distrofia muscolare, negli handicap.
Chi basa la sua strategia sul potere si presenta invece
con una postura più eretta e una struttura più espansa rispetto a una
condizione neutra. Ha un respiro particolare, come se il polmone avesse
difficoltà a lasciar uscire tutta l’aria inspirata. Di conseguenza il torace è
molto espanso e il diaframma ha un’escursione ridotta e non può massaggiare con
il suo ritmico contrarsi e distendersi tutto il contenuto della cavità
addominale, che risulta quindi meno mobile di quanto potrebbe. La parte bassa
della schiena e gli arti inferiori sono in uno stato di tensione permanente e
ricevono poca energia perché, col proprio respiro, con l’attenzione e con la
circolazione favoriscono, inconsapevolmente ma regolarmente, la parte superiore
e anteriore del corpo, cioè quelle che danno una sensazione maggiore di potere
e di forza più immediate a livello visivo. Psicologicamente crede di non aver
alternative e quindi cerca di ottenere ciò che gli serve dal potere che ha. Il
modo in cui se ne appropria è scoprire su quali aspetti siano più vulnerabili o
ricattabili le persone che lo circondano.
Ha una fantasia di essere
generoso, ma difficilmente si rende conto che la sua generosità spesso finisce
per sottrarre all’altro la sua autostima, la capacità di fare da solo,
l’autonomia.
Se una persona tiene costantemente
il torace in inspirazione per sentirsi più potente, più facilmente andrà
soggetta a malattie quali asma o enfisema.
L’escursione limitata del
diaframma e la scarsa mobilità degli organi spesso accompagnati da eccessi
alimentari e in particolare di zuccheri – necessari per nutrire le ghiandole
surrenali che in questa situazione lavorano molto – rendono più esposti a
malattie metaboliche quali il diabete.
La pressione arteriosa
(forza interna necessaria a contrastare una pressione esterna, fisica o
psicologica) di questa persona fortemente orientata all’indipendenza, che si
“carica” di responsabilità al di là del naturale, avrà una tendenza alla
pressione alta.
Le malattie come
l’handicap, l’incidente che impedisce temporaneamente o definitivamente
l’attività, debolezza delle caviglie (storte, slogature), malattie improvvise,
sindrome da affaticamento cronico sono tipiche di chi ha esasperato la sua
indipendenza.
Dal momento che l’organismo
ha bisogno per definizione di essere organico, la sua intelligenza trova sempre
un modo per esprimere anche la polarità opposta. Gli “arretrati” della polarità
complementare non espressa si manifestano quindi in modi ombra, quali la
malattia, altri comportamenti o eventi apparentemente casuali che diano sfogo agli
aspetti non riconosciuti di sé.
Altre
strategie
Negazione
del bisogno: tutto
l’impegno è volto a mostrare che non si ha bisogno degli altri (es. il
navigatore solitario, l’alpinista individuale …). Il corpo è ovviamente molto
tonico, atletico e ben integrato, come deve essere per riuscire ad affrontare
le sfide a cui viene sottoposto. In compenso, anche a livello fisico, si nota
spesso l’incapacità di abbandonarsi al supporto degli altri. A differenza di
chi usa una strategia basata sul potere, che opera in modo che gli altri si
appoggino a lui, e di chi adotta quella centrata sul bisogno, che trova sempre
qualcuno a cui appoggiarsi, che fa riferimento a questa strategia reagisce in
senso opposto al proprio bisogno di appoggiarsi agli altri. Quanto maggiore
sarà quindi il suo bisogno di noi, tanto più fortemente sentiremo il suo
distacco. In genere potremo individuare questa strategia nella persona che
abbiamo di fronte quando abbiamo la sensazione di invaderla, oppure di essere
noi ad aver bisogno di lei ma non lei di noi.
Più che a vere e proprie
malattie, le persone che negano il bisogno sono soggette a incidenti come chi
basa la sua strategia sul potere.
Resistenza: a chi ha questa strategia facilmente
succede qualcosa che impedisce di concludere ciò che hanno iniziato
controvoglia. Quando si basa la propria strategia sulla resistenza, negli altri
(e in se stessi) si evoca una sensazione di impedimento, di frustrazione, di
rallentamento dell’attività. Anche il corpo è organizzato per resistere: gambe
robuste, bacino largo, piedi callosi con spesso strato corneo, scheletro
massiccio. Tendenzialmente prive di eccitazione, leggerezza e piacere. questo
genere di persone, capace di grandi sacrifici, spesso nella vita si accompagna
a che ha una strategia basata sul potere, anche se in modo ben diverso da chi
ha bisogno. Perché una persona con questa strategia riesca a muoversi, è
necessario evitare di spingerla – o eventualmente spingerla dalla parte opposta
a quella in cui andrà – per funzionare ha bisogno di qualcuno che spinga, e la
frustrazione che si avverte in contatto con questo tipo di persona non è che la
risposta – né giusta né sbagliata, semplicemente automatica – a uno stato non
neutrale rispetto alla vita dell’altro.
Distacco: bisogno di non entrare nella vita di
relazione. L’individuo sviluppa una sorta di appiattimento fisico e tende ad
accedere a stati più mentali che emotivi. In un corpo piatto non c’è spazio per
le viscere e quindi per le sensazioni. Cerca di passare inosservata e osserva gli
altri dal di fuori. Controlla l’emozione con tensione e magrezza, analizza e ha
una sensazione di non appartenenza. Vuole evitare la responsabilità di esserci.
Le malattie di chi basa la
sua strategia sul distacco sono simili a quelle delle persone orientate al
bisogno.
Seduzione: caricare le situazioni in modo da
ottenere molta attenzione e spesso un’attenzione di tipo sessuale. L’energia
sessuale è molto presente ma, non potendo essere riconosciuta a livello di
coscienza, si presenta in forme camuffate. In genere dietro ci sta un genitore
che si accorge di lei solo quando il figlio o la figlia sono “eccessivi”.
Questo succede per esempio quando viene completamente rimossa la componente
sessuale del rapporto, es. padre imbarazzato di fronte all’emergere della
femminilità della figlia, la ignora totalmente. Così la figlia può sviluppare
comportamenti molto vistosi pur di ottenere attenzione.
La confusione nasce dal
fatto che la persona crede di non aver mandato messaggi sessuali, quindi per
evitare il rischio al quale si espone continuamente, diventa seduttiva
soprattutto con le persone impossibili, irraggiungibili, delegando all’impossibilità
il suo sogno di proteggersi dalla sua seduzione ad ampio raggio (manca una
funzione di orientamento rispetto ai propri bisogni).
Spesso con spalle larghe,
molto seno, vita stretta. Questa persona gira su se stessa ma poi non sa
scegliere dove andare e di conseguenza il suo piano di movimento più sviluppato
è quello orizzontale, rotatorio. Tra i suoi disturbi compaiono spesso patologie
che possono respingere, evitare che gli altri si avvicinino troppo e, nelle
donne, problemi agli organi riproduttivi. Le malattie in questo caso, servono a
controbilanciare gli effetti della strategia. La situazione cambia, ovviamente,
quando la persona sceglie di sedurre consapevolmente.
Attività: il fare, andare, scappare. Le persone
con questa strategia agiscono prima di aver avuto il tempo di sentire. In
compenso non riescono a fermarsi, sempre perché non possono permettersi la
sensazione. Non si concedono mai una pausa. In loro compagnia, la sensazione
prevalente è di accelerazione, di fretta, una pressione ad arrivare al dunque,
una richiesta di prestazioni concrete. È come se non avessero scelta su dove
andare, perché qualcun altro ha scelto per loro. Nella vita cercano di avere un
obiettivo dopo l’altro. È una vita molto stressante, dove non può esserci
integrazione dell’esperienza, assorbimento del nutrimento, perché già incombe
l’esperienza successiva.
Fisicamente hanno un corpo
organizzato più spesso sull’asse antero-posteriore che su quello
destra-sinistra: se li si tocca da dietro partono facilmente in avanti, i loro
piedi sono tonici come se fossero sui blocchi di partenza. In alcuni casi hanno
pettinature che coprono i lati del viso, che sarebbero insopportabili per
persone che vogliono avere prospettiva e guardarsi intorno. Se si fermano temono
di restare intrappolati nei loro bisogni. Hanno un forte senso della
competizione. La loro strategia può saltare per un incidente. Oppure possono
soffrire di problemi ai reni (nefriti, calcoli), ovvero degli organi che
entrano in funzione nelle pause di risposo e che, essendo sempre in pista, non
hanno il tempo di esercitare la loro funzione (come la diarrea prima della
gara), le ulcere (perché l’intestino non è mai rilassato).
Mimetismo: preoccupato di piacere agli altri. Il
loro modo di piacervi è prendere la forma che a voi fa piacere, essere
esattamente come ci si aspetterebbe che fossero. In genere si tratta di persone
gentilissime, affettuose, fini, educate e molto vicine a un’immagine ideale di
sé, che riescono bene a interpretare perché rinunciano a essere realmente se
stesse, perché non sono in contatto con le loro emozioni mentre capiscono
intuitivamente che cosa gli altri si aspettano da loro e desiderano sono
adattarvisi. In qualche misura sono simili a che basa la propria strategia sul
potere, ma con una qualità più morbida, più pacioccona, più innocua, almeno a
prima vista.
Un altro modo per
comprendere l’unità psicofisica, oltre a quelle determinato dalla strategia di
vita alla quale ogni individuo fa riferimento, è quello di considerare la fase
di sviluppo attraverso cui si sta passando.
L’appartenenza/fase orale/bisogno: scopo è sopravvivere a qualsiasi costo, e il modo più rapido per farlo è essere tutt’uno con l’altro, creare una situazione di appartenenza reciproca.
La
differenziazione/fase anale/resistenza:
quando sopravvivenza e appartenenza sono garantite, si mira alla
differenziazione, all’individuazione rispetto all’altro. Differenziarsi,
separarsi, respingere, non è ancora scegliere ma è un passo avanti rispetto al
garantirsi la sopravvivenza. Il modo più facile per differenziarsi è quello di
opporsi, boicottare, fermare qualunque iniziativa dell’altro che non riconosca
in maniera chiara la propria indipendenza, la propria diversità.
L’affermazione/fase
fallica/attività: per
affermare il proprio bisogno bisogna essere un po’ “innamorati” di se stessi,
per cui la persona non ha più solo bisogno di separarsi ma anche di
valorizzarsi e, nel farlo, impara a conoscere con piacere la propria bellezza,
la propria forza, i propri b
isogni, la propria capacità
di essere attiva nel prendersi cura di sé.
La
scelta/genitale/raggiungere:
siamo sopravvissuti, ci siamo differenziati, ci siamo appropriati del nostro
potere e non abbiamo più niente da dimostrare. A questo punto possiamo risolvere
il problema per quello che è. Non c’è più una priorità dovuta a qualche
esigenza di costruzione della propria personalità, che ormai è cresciuta,
conosce, sa che può sopravvivere, che è potente, capace, intelligente, bella. Finalmente
ci si può permettere di essere se stessi.
Le modalità tipiche di
ciascuna fase si ripresentano regolarmente ogni volta che nella vita cambia
qualcosa o ci si trova in una situazione nuova. Quando si rimane ancorati a
un’unica modalità rispondente a un bisogno profondo, ma senza possibilità di
scelta ci si trova nel campo della nevrosi.
Alla nascita, l’organo più
importante per sopravvivere è la bocca ed è lì che si concentrano il sistema
nervoso e l’attenzione inconscia. Seguendo le indicazioni olfattive, con la
bocca il bambino va ad attaccarsi al seno e ritorna tutt’uno con la madre,
ricostruisce l’indifferenziazione vissuta durante la gestazione e, con la
sicurezza che gli viene dal sentirsi unito col mondo, sempre tramite la bocca
comincia a conoscere, a esplorare, a procurarsi piacere (appartenenza).
Una volta conosciute le sue
capacità di sopravvivenza, l’evoluzione del bambino richiede una separazione.
In questa fase, l’attenzione inconscia si sposta dalla bocca all’ano, ovvero
verso l’estremità opposta del tubo digerente.
Se però in un primo tempo
il tubo è costantemente aperto come quello della ciambella, per cui la bocca
prende continuamente – non appena c’è uno stimolo – e l’altra estremità
rilascia altrettanto facilmente, a un certo punto il bambino comincia a essere
consapevole di quando apre o chiude questo spazio interno. Quando l’attenzione
e l’energia del corpo si spostano verso l’ano questo aprire e chiudere diventa
– a livello cognitivo – la possibilità di dire si è no al mondo, di separarsi,
di scegliere se avere uno spazio interno delimitato oppure essere tutt’uno. La
funzione del separare presente in questa fase ha un riflesso anche sulla
nascita del linguaggio, basata sul binario: sì/no, aperto/chiuso, on/of (differenziazione).
Quando l’interesse comincia
a spostarsi sui genitali esterni, pene o clitoride, il bambino o la bambina
entrano in contatto con la sensazione di potenza che trovano dentro di sé e che
manifestano con l’erezione, reale o simbolica: gesti verso l’alto, passione per
le spade, la pistole, tentativi simbolici di rubare la mamma al papà … Nel
processo di identificazione con la propria potenza, il bambino o la bambina
cominciano a camminare, a correre, a mostrare la propria indipendenza e ad
allontanarsi dalla madre. Corrono nudi mostrando i genitali, cominciano a
masturbarsi, a toccarsi. In una fase più avanzata, le funzioni falliche sono
ben rappresentate dall’affermarsi indipendentemente dai genitori o da altre
persone, come da tutte le azioni che tendono a dimostrare di essere bravi,
forti, capaci (affermazione).
La fase della scelta è
caratterizzata invece da un uso diverso della propria potenza (e delle funzioni
acquisite nelle fasi precedenti) semplicemente con l’obiettivo di risolvere un
problema pratico e non viceversa. In poche parole, il passaggio dalla fase di
affermazione a quella della libertà di scelta porta a un radicale cambiamento
della finalità del proprio agire, perché in quest’ultima fase si è liberi
dall’identificazione con le singole parti di sé (scelta).
Freud ha analizzato le
diverse fasi della crescita riconducendole, entro certi limiti, al piano fisico
(orale, anale, fallica, genitale). Forse i tempi non erano maturi, tuttavia,
non si è spinto fino ad esaminare in che modo le diverse fasi psicologiche si
riflettono peculiarmente anche nell’organizzazione dei movimenti di un
individuo.
La fase di appartenenza è caratterizzata
dalla capacità di abbandonarsi, di appoggiarsi.
Nella fase di differenziazione, la possibilità
di dire “no” corrisponde alla fase di movimento caratterizzata dallo spingere,
ovvero la possibilità di differenziarsi dal piano di appoggio.
Nel movimento, la fase dell’affermazione coincide con
l’andare verso e con maggiore libertà di movimento sul piano sagittale (ovvero
sull’asse antero-posteriore), implicato nelle flessioni in avanti e indietro.
La fase di scelta corrisponde invece alla
fase conclusiva, quella in cui una volta raggiunto ciò che interessa, lo si può
anche prendere, quindi incorporare.
Ognuna di queste fasi ha
come premessa le precedenti. Appare evidente che ciò che Freud non ha fatto in
tempo a esplorare è come queste fasi psicologiche si riflettano nel corpo,
portandolo a organizzarsi e a muoversi in modi totalmente diversi.
Questo stretto rapporto fra
fasi psicologiche e fasi di movimento implica una enorme potenzialità a livello
evolutivo, in quanto ogni intervento sul corpo volto a riorganizzarlo e a
reintegrare le caratteristiche di movimento mancanti comporta a un’analoga
riorganizzazione sul piano psichico. Viceversa, una crescita sul piano psicologico
dischiude a un nuovo modo di muoversi.
L’organizzazione dello
spazio si riflette sul corpo e sull’organizzazione psichica, ma anche,
viceversa, cambiamenti a livello psichico e di personalità portano a modificare
le caratteristiche dello spazio circostante. Così, se la strategia personale di
un individuo prevede una respirazione contenuta, è probabile che anche il suo
bisogno di spazio sia scarso, e che la sua identità risulti ristretta rispetto
alle sue potenzialità. Mentre se il respiro è più ampio del necessario, il
bisogno di spazio potrebbe essere esagerato, al punto di trovarsi spesso a occupare
anche quello degli altri.
Se il respiro è uno dei
modi più evidenti con cui ci si adatta all’ambiente circostante, ci sono altri
meccanismi che più o meno inconsapevolmente vengono messi in atto per
riempirlo.
Uno di questi è il volume,
ovvero la quantità di spazio che si occupa fisicamente.
Se dunque inspirare è il sistema più veloce e reversibile per modificare il volume (grazie all’estensione toracica), in modo più stabile si può occupare più spazio ingrassando, tento che è abbastanza frequente – nei rapporti con persone obese – osservare alterazioni degli equilibri spaziali reciproci (ben semplificati da invadenza o riservatezza eccessive). Un altro meccanismo è l’odore: esattamente come cani e gatti delimitano il loro territorio segnandolo chimicamente, l’odore di una persona ideale sull’appropriazione dello spazio; sia che si tratti di odore, impregnando un ambiente con le proprie emanazioni lo si fa proprio. Un odore dilagante, che occupa un grosso spazio si accompagna a una rinuncia a “prendersi i propri spazi” consapevolmente, per cui una persona da una parte rinuncia e dall’altra dilaga.
Ogni volta che in una
persona cambia in profondità il modo di respirare, tutto il suo corpo e il suo
campo energetico vanno incontro a una serie di riorganizzazioni, soprattutto a
livello neurologico – che ci opera nel campo delle tecniche corporee conosce
bene – e che hanno conseguenze interessanti anche sull’ambiente circostante.
I peperoni e i pomodori,
fanno bene o fanno male? Le diete antitumorali li consigliano in virtù delle
loro proprietà antiossidanti e dell’elevato contenuto vitaminico. In compenso,
vari approcci, come quello macrobiotico, li sconsigliano, per la loro
appartenenza alla “famigerata” famiglia delle solancee e quindi per le sostanze
tossiche che potenzialmente contengono.
I sostenitori della dieta
dissociata, a loro volta, raccomandano di tenere assolutamente separati,
all’interno dello stesso pasto, proteine e amidi (es. carne e pasta) per
digerire bene, mentre altri naturopati ritengono che sia importante associarli
perché, senza gli amidi, non viene secreta una quantità di insulina sufficiente
a permettere l’integrazione a livello cellulare delle proteine.
Ma
noi, come ci sentiamo se mangiamo i peperoni o facciamo una dieta dissociata?
Se prestassimo attenzione,
saranno il nostro stomaco, il nostro intestino o l’energia disponibile a
dircelo. Solo così diventa facile orientarsi tra i mille suggerimenti in
contraddizione tra di loro e trovare lo stile più salutare per ciascuno.
Rilevare le informazioni
del corpo significa comunicare a pensare col corpo. Perché pensare con pochi
centimetri di materia grigia quando è possibile usare un’intera rete
distribuita su quasi due metri di altezza?
Fonte: Pensare col corpo - J. Tolja, F. Speciani
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__pensare_col_corpo.php?pn=2028
Per imaggiori nformazioni ed eventuali corsi sull'anatomia esperienziale: http://www.bodythinking.com/it/home.html
Per imaggiori nformazioni ed eventuali corsi sull'anatomia esperienziale: http://www.bodythinking.com/it/home.html