PERDERSI
IN UN DEDALO STUPEFACENTE
A
nostra insaputa, noi viaggiamo in un labirinto, un dedalo macrodimensionale di
viva forza elettrica, rivestito dal sottile strato dell’ordinarietà della vita
di tutti i giorni. Ciò che più di tutto ci impedisce di riconoscere questo
fatto è l’impellente bisogno di ricondurre tutto ad una dimensione familiare,
di ridurre ogni cosa a livello del nostro cervello di primati; di rifiutare la
viva, pulsante realtà della totalità di ogni possibile attenzione.
Il labirinto! Un dedalo
macrodimensionale camuffato dal tessuto dei confini biologici. Nella vita
ordinaria, qualunque cosa facciamo o raggiungiamo, dovunque andiamo o chiunque
diventiamo, ci ritroviamo sempre prigionieri della rigida routine; ci
auto-immergiamo in un auto-invocato, continuo bombardamento di tensioni,
distrazioni e auto-indulgenza quotidiana, riuscendo con successo, in un modo o
nell’altro, a rifiutare qualsiasi vero aiuto possa esserci offerto.
Non riusciamo mai veramente
a divertirci o a stupirci. Questa conversione di tutto quanto esiste nei
termini di un primate è un’autentica malattia, di natura clinica come qualunque
condizione patologica comunemente accettata.
Il sé essenziale, con le
sue qualità di attenzione e presenza, è capace di vedere le cose in modo
differente; perciò esso ha la capacità di avvertire il passaggio, quando questo
si verifica, ad una percezione diretta del labirinto.
Agiamo come se il mondo dei
primati esistesse realmente, come se noi avessimo un’interfaccia diretta con
esso, come se esistessero in esso certezze e qualità tangibili mentre, di
fatto, niente di tutto questo esiste (nel senso in cui noi crediamo che
esista), neppure remotamente. Ci siamo costruiti attorno le pareti di un vero e
proprio Giardino della Familiarità e adesso vi siamo intrappolati senza alcuna
speranza di fuga.
LA
CONSAPEVOLEZZA DEL LABIRINTO
Quando
il processo d’apprendimento superiore si risveglia, non mostriamo più
confusione e disorientamento quando entriamo nelle macrodimensioni. Mediante
speciali processi interni, che è possibile imparare, possiamo andare ben oltre
lo spettro ordinario, ed entrare nelle macrodimensioni, che nella forma
somigliano alla realtà consensuale, ma sono radicalmente diverse da essa sotto
altri aspetti, percepibili solo con un lungo e difficile addestramento
dell’attenzione essenziale, ovvero non meccanica.
Quando un ratto diventa
consapevole del labirinto, i suoi occhi sembrano in qualche modo contemporaneamente
più giovani e più vecchi; la sua postura ed il suo comportamento generale verso
l’ambiente e verso se stesso mostrano segni radicali di mutamento. Appare meno
frenetico, più disinvolto, più sicuro di sé e notevolmente meno autodistruttivo.
Contemporaneamente, si
possono notare segni visibili di eccitazione; è irresistibilmente pervaso da un
nuovo senso di libertà, proprio lo stesso senso di libertà che può sperimentare
un essere umano quando raggiunge quella che chiamiamo “illuminazione”. Naturalmente,
per quanto riguarda gli esseri umani, questo primo barlume di vera libertà (non
da un labirinto sperimentale, ma dai confini autoindotti di natura puramente
psico-emotiva) non dura molto a lungo e presto si riafferma la sua monotona e
banale attività da primate.
Il Gioco del Labirinto è
stato chiamato il Gioco Fondamentale, il Grande Gioco, Il Gioco delle Perle di
Vetro; solo l’auto-motivazione, la capacità di scuotere noi stessi dal sonno,
di prendere le mosse da un punto zero e di spingere noi stessi oltre la postura
immobilizzata dell’inerzia, produrranno risultati in questo che è “il più
pericoloso dei giochi”.
Se
ti rivelo il significato,
la
tua mente seguirà il significato;
ma
poiché l’attenzione segue la mente,
non
coglierai il significato.
LA
MADRE DI TUTTI I PUZZLE
Il
labirinto, come qualunque dedalo, ha le caratteristiche di un puzzle.
Attenendoci alle regole della risoluzione di questi ultimi, se ne comprendiamo
le leggi e ne interpretiamo correttamente i segnali, dovremmo essere capaci di
viaggiare in modo consapevole e di ricordare anche i passaggi precedenti;
dovremmo anche riuscire a conseguire una visione generale, che tenga conto di
tutto ciò che abbiamo imparato in un dedalo.
Nel labirinto, un individuo
è soggetto a vagare all’infinito attraverso le stesse cinque, sei, sette, otto
o nove diverse camere, imbattendosi in una successione di macro-personaggi,
reagendo con la stessa gamma generale di reazioni riflesse acquisite, che
determina il risultato del gioco fin dall’inizio.
LE
CHIAVI PER VIAGGIARE CON ELEGANZA
Le
chiavi per viaggiare in modo elegante sono generalmente quei piccoli,
persistenti, insignificanti dettagli che normalmente accantoniamo come poco
importanti; tali chiavi sono la nostra guida per orientarci nel labirinto.
Sapere ricordare ciò che si
è fatto tre o quattro giochi fa o, anche, tre o quattro vite fa, è un altro
importante requisito per viaggiare con successo. Non c’è buona sorte che ci
possa aiutare, se non ricordiamo quello che abbiamo fatto in precedenza. Se non
ricordiamo, siamo condannati a ripetere per sempre i nostri errori; ma non si
tratta del tipo di memoria per cui ci possiamo affidare alla mente, o a
qualunque altra funzione che di diritto apparta nega alla macchina biologica, e
con la quale questa esegua, in duetto sincopato, il suo “canto del cigno” a
senso unico.
Per questo tipo di memoria,
dobbiamo sviluppare qualcosa che sopravvive alla morte della macchina; qualcosa
che è chiamato, nel nostro linguaggio tecnico, comprensione: un richiamo
semi-intuitivo, un sesto che proviene dalla conoscenza non elaborata, che ci
dice che qualcosa non va, anche se non sappiamo esattamente di cosa si tratti.
Dobbiamo in definitiva
sviluppare una qualche visione generale coerente, concordando sul fatto che,
come disse una volta Eraclito, “non possiamo mai entrare due volte nello stesso
fiume, poiché l’acqua in cui siamo entrati la prima volta è scorsa via”. Questo
significa che anche se un evento può essere duplicato, la seconda volta esso
avviene in un campo leggermente differente. Eraclito aveva ragione, niente
rimane identico a se stesso; e comparare la situazione presente con
l’esperienza non sarà d’alcun aiuto, neppure se potessimo tenere conto di tutto
quanto abbiamo mai imparato da sempre …
Ma se la conoscenza si
trasforma in comprensione, quando ci succederà di sentir puzza di bruciato,
saremo almeno capaci di distinguere il fatto che, questa volta, non si tratta
di toast …
La capacità di disimparare
rappresenta un importantissimo e potente prerequisito per imparare cose nuove.
Riapprendere significa essenzialmente liberare i circuiti nervosi delle cariche
elettriche preesistenti, e dalle relative connessioni sinaitiche preferenziali,
così da poter incidere negli stessi circuiti neurali una nuova serie di tracce
intenzionalmente programmate.
Senza competenza e
attitudine, non si può andare molto lontano. Ma se abbiamo competenza e non
tendiamo a reagire violentemente all’inaspettato; se impariamo ad affrontare i
rischi, sapendo che il rischio più grosso è quello di star seduti ad aspettare,
senza far niente; se ci può essere accordata implicita fiducia, senza la minima
ombra di dubbio, che non tradiremo … allora possiamo essere accettati come
compagni di viaggio, anche nelle condizioni più pericolose, radicali ed
inaspettate.
Più
andiamo in profondità,
più
è difficile
decodificare
i
tanti messaggi.