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mercoledì 18 giugno 2014

Vedute sul mondo reale – G. I. Gurdjieff

BAGLIORI DI VERITÀ, Mosca, 1915 circa
“La ragione ordinaria non consente all’uomo di appropriarsi della Conoscenza, facendone un suo bene inalienabile. Eppure, per l’uomo tale possibilità esiste davvero: prima, però, deve scrollarsi la polvere di dosso, prima di avere le ali con cui volare in alto egli deve fare un lavoro gigantesco e compiere immani sforzi. È certamente molto più facile abbandonarsi alla corrente e lasciarsi portare di ottava in ottava, ma è una strada infinitamente più lunga rispetto a quella di volere e di fare da sé. Il cammino è difficile, e la salita sempre più ardua, ma anche le forze man mano si moltiplicano. L’uomo si tempra, e a ogni passo scopre orizzonti sempre più vasti. Sì, questa possibilità esiste”.

Nell’universo tutto è materiale, e per questo motivo la Grande Conoscenza è più materialista del materialismo.

“Un rapido sguardo alla chimica le permetterà di capire meglio questa affermazione”.
Egli mi spiegò che la chimica, studiando le “sostanze” a densità diversa senza tener conto della legge dell’ottava, commette un errore che invalida il risultato finale. Conoscendo questo errore, si possono apportare delle correzioni e trovare dei risultati che coincidono perfettamente con quelli ottenuto in base dalla legge dell’ottava. Inoltre Gurdjieff specificò che il concetto di sostanze semplici, o elementi, che è alla base chimica moderna, è inammissibile dal punto di vista della chimica dell’ottava, che è la “chimica oggettiva”. La materia è sempre e dovunque la stessa. La differenza di qualità di ogni sostanza dipende soltanto dal posto occupato in una certa ottava, e dal livello a cui appartiene quell’ottava.
Da questo punto di vista, la nozione ipotetica di atomo come particella indivisibile di una sostanza semplice, o elemento, è un modello inservibile. L’atomo di una “sostanza” a densità nota, in quanto individualità reale, è invece la più piccola quantità di materia che mantiene tutte le proprietà fisiche, chimiche e cosmiche che caratterizzano quella sostanza come nota di una certa ottava. Per esempio, nella chimica moderna non esiste l’atomo d’acqua, perché l’acqua non è una sostanza semplice, ma un composto chimico di idrogneo e ossigeno. Dal punto di vista della “chimica oggettiva”, invece, un “atomo” d’acqua esiste, ed è il suo volume più piccolo, visibile anche a occhio nudo. Gurdjieff aggiunse: “Per il momento lei deve accettare queste affermazioni sulla fiducia, ma coloro che cercano la Grande Conoscenza sotto la direzione di chi l’ha già raggiunta devono a loro volta determinare e verificare, mediante ricerche personali, che cosa sono questi atomi di sostanze a densità diversa”.
“Il pensiero è materiale come tutto il resto”.
“Ci sono sistemi che consentono non soltanto di convincersene, ma di “pesarlo” e “misurarlo” come le altre sostanze. Siccome è possibile calcolarne la densità, è anche possibile mettere a confronto il pensiero di uomini diversi, o quello di un medesimo uomo in momenti differenti. Se ne possono definire anche tutte le qualità. Già gliel’ho detto, nell’universo tutto è materiale”.

“Giudichi tutto in base al buon senso, acquisisca una propria comprensione, e non accetti nulla sulla parola. E quando lei stesso, attraverso un sano ragionamento logico, sarà arrivato a qualche convinzione incrollabile, a una pinea comprensione di qualcosa, allora avrà raggiunto un certo grado di iniziazione”.

“È cento volte meglio non agire, che agire senza sapere”

“Chi sa, parla solo quando è certo che chi ascolta è in grado di capire”

Oggi non ci sono più dei creatori. I “sacerdoti dell’arte contemporanea” non creano, ma imitano: corrono dietro alla bellezza o alla verosimiglianza, se non addirittura alla cosiddetta “originalità”, senza avere le conoscenze necessarie. Poiché non sanno niente e non sono in grado di fare niente, brancolano nel buio; eppure, la folla li venera e li mette su un piedistallo. L’arte sacra è scomparsa, ma l’aureola che circondava i suoi servitori sopravvive ancora. Tutte le banalità sulla scintilla divina, il talento, il genio, la creatività, la sacralità dell’arte, oggi non hanno alcun fondamento, sono solo degli anacronismi. Cosa sono mai questi “talenti”? Ne riparleremo in un’altra occasione.

IO, CHI SONO?, Essentuki, 1918 circa
Ma se un uomo sa essere sincero verso se stesso, non sincero come s’intende abitualmente, ma spietatamente sincero, allora, di fronte alla domanda: “Che cosa sei?” non conterà su una risposta rassicurante. E ora, senza aspettare che arriviate da soli all’esperienza di cui sto parlando, e perché possiate comprendere meglio ciò che intendo, vorrei suggerire a ciascuno di voi di porsi la domanda: “Che cosa sono?”. Sono certo che il 95% di voi si troverà in imbarazzo, e che finirete per rispondervi con un’altra domanda: “Che cosa significa?”.
Questa è la prova che un uomo ha vissuto tutta la vita senza porsi tale domanda, e che ritiene scontato di essere “qualcosa”, addirittura qualcosa di molto prezioso che non è mai stato messo in dubbio.
Nello stesso tempo egli è incapace di spiegare che cos’è questo qualcosa, incapace persino di darne una minima idea, dal momento ch’egli stesso l’ignora. E se l’ignora, non è forse perché questo “qualcosa” molto semplicemente non esiste, ma solamente si suppone che esista? Non è strano che le persone dedichino così poca attenzione a se stesse, alla conoscenza di se stesse? Non è strano che chiudano gli occhi con tanto sciocco compiacimento su ciò che sono realmente, e che passino la vita nella piacevole convinzione di rappresentare qualcosa di prezioso? Esse si dimenticano di guardare il vuoto insopportabile che si cela dietro la superba faccia creata dal loro autoinganno, e non si rendono conto che questa facciata ha un valore puramente convenzionale.
Per la verità, non è sempre così. Non tutti si guardano così superficialmente. Ci sono degli uomini che cercano, che hanno sete della verità profonda e si sforzano di trovarla, che tentano di risolvere i problemi posti dalla vita, di arrivare all’essenza delle cose, dei fenomeni, e di pensare in se stessi. Se un uomo ragiona e pensa in modo corretto, qualunque strada segua per risolvere questi problemi, deve inevitabilmente ritornare a sé e cominciare a risolvere il problema di ciò che egli stesso rappresenta e di qual è il suo posto nel mondo che lo ricorda. Infatti, senza questa conoscenza, la sua ricerca sarà priva di un centro di gravità.
Socrate: “Conosci te stesso” restano il motto di tutti coloro che cercano la vera conoscenza e l’essere.

L’uomo non è libero, tanto nelle sue manifestazioni che nella vita. Non può essere ciò che vorrebbe essere, e nemmeno ciò che crede di essere. Non somiglia all’immagine che ha di se stesso, e le parole “uomo, corona della creazione” non gli si adattano.
“Uomo”: una parola altisonante, ma dobbiamo chiederci di che tipo di uomo si tratta. Non certo l’uomo che si irrita per delle sciocchezze, che presta attenzione a delle meschinità e si lascia coinvolgere da tutto ciò che gli succede intorno.
Per avere il diritto di chiamarsi uomo, bisogna essere un uomo, ed “essere un uomo” è possibile soltanto grazie alla conoscenza di sé, e al lavoro su di sé nella direzione indicata da tale conoscenza.
Avete mai provato a osservare ciò che vi succede quando la vostra attenzione non è concentrata su un problema preciso?
Suppongo che per molti di voi questa sia una condizione abituale, sebbene ovviamente pochi l’abbiano osservata sistematicamente. Forse siete consapevoli del modo in cui il nostro pensiero procede per associazioni fortuite, quando sfilano scene e ricordi senza alcun rapporto, quando tutto ciò che cade nel campo della nostra coscienza, o semplicemente lo sfiora, ci suscita delle associazioni casuali. Il filo dei pensieri sembra svolgersi senza interruzione, tessendo insieme frammenti di immagini di precedenti percezioni, estratte da diverse registrazioni immagazzinate nella nostra memoria. E mentre queste registrazioni scorrono e si svolgono, il nostro apparato formatore tesse incessantemente la trama dei pensieri a partire da questo materiale. La registrazione delle nostre emozioni scorre nello stesso modo: piacevole e spiacevole, allegria e preoccupazione, riso e irritazione, piacere e dolore, simpatia e antipatia. Qualcuno vi loda, e voi siete contenti, qualcuno vi rimprovera, e il vostro umore si guasta. Qualche novità vi attira, e immediatamente dimenticate ciò che tanto vi interessava un attimo prima: in poco tempo questa nuova cosa assorbe il vostro interesse al punto di sommergervi completamente; e d’un tratto voi non la dominate più; siete spariti, vi trovate legati a questa cosa, dissolti in essa; in realtà, è la cosa a dominarvi, a tenervi prigionieri.

Dobbiamo lottare per liberarci, se vogliamo lottare per conoscerci. Conoscere e sviluppare se stessi costituiscono un impegno così importante e così serio, cui bisogna dedicare uno sforzo così intenso, che assumerselo nel modo solito, in mezzo a tutte le altre cose, è impossibile. L’uomo che si assume questo impegno deve metterlo al primo posto nella propria vita, perché la vita non è così lunga da poterla sprecare in cose inutili.
Che cosa permetterà all’uomo di consacrare utilmente il proprio tempo alla ricerca, se non la libertà da ogni attaccamento? 

Libertà e serietà. Non la serietà delle sopracciglia aggrottate, delle labbra tirate, dei gesti accuratamente calcolati, delle parole misurate fra i denti, ma la serietà che vuol dire determinazione e perseveranza nella ricerca, intensità e costanza, in modo che l’uomo, anche nei momenti di risposo, persegua il suo obiettivo principale.

Chiedetevi: “Sono libero?” Molti saranno tentati di rispondere di sì, se si trovano in una condizione di relativa sicurezza materiale, senza preoccupazioni per il domani, e se non dipendono da nessuno per la propria sussistenza o per la scelta delle proprie condizioni di vita. Ma è quella la libertà? È soltanto una questione di condizioni esteriori?

Ma io chiedo a tutti voi: se per qualche motivo vi fosse impossibile mettere in pratica per molti anni le vostre conoscenze, che cosa ne resterebbe? Non sarebbe come avere del materiale che col tempo vapora e diventa secco? Ricordatevi del foglio di carta bianca. È un dato di fatto che nel corso della vostra vita impariamo continuamente delle cose nuove.
E chiamiamo questa “conoscenza” i risultati di questa accumulazione. Ma, a dispetto di queste conoscenze, non siamo spesso lontani dalla vita reale, e quindi disadattai? Noi siamo sviluppati a metà, come i girini, o, più spesso ancora, semplicemente “istruiti”, cioè in possesso di frammenti di informazioni su tante cose, ma tutte vaghe e inadeguate. E infatti si tratta soltanto di informazioni: non possiamo chiamarle “conoscenze”. La conoscenza è una proprietà inalienabile dell’uomo, non può essere né più grande né più piccola di lui. Infatti un uomo “conosce” soltanto quando egli stesso “è” quella conoscenza.
Quanto alle vostre convinzioni, non le avete mai viste cambiare? Non sono soggette anch’esse a delle oscillazioni, come tutto ciò che è in noi? Non sarebbe più corretto chiamarle opinioni anziché convinzioni, visto che dipendono tanto dal nostro umore che dalle nostre informazioni, o anche, semplicemente, dallo stato della nostra digestione in quel momento?
Ognuno di voi non è che un banale esemplare di automa animato. Probabilmente pensate che, per fare ciò che fate e per vivere come vivete, siano necessari un’”anima” e persino uno “spirito”. Ma forse basta una chiavetta per ricaricare la molla del vostro meccanismo. La vostra reazione quotidiana di cibo contribuisce a ricaricare questa molla e a rinnovare continuamente l’inutile sarabanda delle vostre associazioni. Da questo sfondo emergono dei pensieri slegati, che voi cercate di connettere insieme presentandoli come preziosi e personali. E, altrettanto, coi sentimenti e le sensazioni passeggere, con gli umori e le esperienze vissute, ci creiamo il miraggio di una vita interiore. Ci vantiamo di essere coscienti, capaci di ragionamento, parliamo di Dio, dell’eternità, della vita eterna, e di argomenti elevati; parliamo di tutto ciò che si può immaginare; discutiamo, definiamo e valutiamo, ma omettiamo di parlare di noi stessi e del nostro reale valore oggettivo. Infatti siamo tutti convinti che se ci manca qualcosa, possiamo sicuramente acquisirlo.
Se con tutte le cose che ho detto sono riuscito a chiarire, anche minimamente, in quale caos vive quest’essere che chiamiamo uomo, voi stessi sarete in grado di trovare una risposta alla domanda di ciò che gli manca, di ciò che può aspettarsi restando com'è. Di quali valori può aggiungere al valore che ha.
Ho già detto che certi uomini hanno fame e sete di verità: se un uomo del genere si interroga sui problemi della vita ed è sincero con se stesso, si convincerà presto che non gli è più possibile vivere come ha vissuto, né essere ciò che è stato finora; che ha bisogno a ogni costo di trovare una via d’uscita da questa situazione, e che un uomo può sviluppare dei poteri e delle capacità nascoste soltanto ripulendo la propria macchina da ogni incrostazione accumulata nel corso della vita. Per cominciare razionalmente questa pulizia, è necessario vedere ciò che va pulito, dove e come; ma vederlo da sé è quasi impossibile. In questo campo, per cogliere una cosa qualunque, è necessario osservare dall’esterno: ecco perché è indispensabile l’aiuto reciproco.
Man mano che un uomo comincia a conoscersi, scopre continuamente dentro di sé nuove zone di meccanicità, che chiameremo automatismo: zone in cui la sua volontà, il suo “io voglio” non ha alcun potere, e dove tutto è così confuso e sfuggente, che gli è impossibile raccapezzarsi senza essere aiutato e guidato dall’autorità di qualcuno che sa.

… per fare bisogna sapere, ma per sapere, bisogna scoprire come sapere; e questo non possiamo scoprirlo da soli.

Ogni tanto emergono in superficie delle correnti isolate, rivelando che da qualche parte, in profondità, anche ai nostri giorni scorre il possente fiume dell’antica conoscenza dell’essere.

Aprirsi un varco fino a questa corrente, trovarla, ecco l’obiettivo e lo scopo della ricerca; poiché, una volta trovata, un uomo può coraggiosamente affidarsi alla vita nella quale si impegna; in seguito, non gli resta che “conoscere” per “essere” e “fare”. Su questa via, un uomo non sarà mai completamente solo; nei momenti difficili, riceverà un sostegno e una direzione, perché tutti coloro che seguono questa via sono collegati in una catena ininterrotta.

L’uomo che con tutto il proprio essere, con il proprio “io” più profondo, cerca la verità di questo principio, arriva inevitabilmente alla convinzione che, per “scoprire come sapere per fare”, deve trovare innanzitutto colui dal quale può imparare ciò che significa realmente “fare”, cioè una guida illuminata, sperimentata, che comincerà a dirigerlo spiritualmente e diventerà il suo maestro.
Ed è qui che il fiuto di un uomo assume tutta la sua importanza. Egli stesso si sceglie una guida. Naturalmente, la condizione indispensabile è di scegliere un uomo che sa; altrimenti tutto il senso della sua scelta è perduto. Chi può dire dove vi può condurre una guida che non sa!
Ogni ricercatore in cammino verso lo sviluppo di sé sogna una guida che sa. La sogna, ma è raro che si domandi oggettivamente e sinceramente: “sono degno di essere guidato? Sono pronto a seguire la via?”.

Non dimenticarti di concentrare tutta la tua attenzione su ciò che ti sta immediatamente intorno. Non occuparti di mete lontane, se non vuoi cadere nel precipizio.
Però non dimenticare il tuo scopo. Ricordatene continuamente e mantieni vivo il desiderio di raggiungerlo, per non perdere la direzione giusta. E una volta partito, stai attento; ciò che hai oltrepassato, resta indietro e non si ripresenterà più: ciò che non osservi sul momento, non lo osserverai mai più.
Non essere troppo curioso, e non perdere tempo con ciò che attira la tua attenzione ma non ne vale la pena.
Il tempo è prezioso, e non deve essere sprecato per cose che non sono direttamente in relazione con la tua meta.
Ricordati dove sei e perché sei lì.
Non avere troppa cura di te, e rammenta che nessuno sforzo viene mai fatto invano.
E adesso puoi metterti in cammino.



Tratto da: Vedute sul mondo reale di G. I. Gurdjieff