RELIGIONE E INSEGNAMENTO: DUE PARALLELE CHE
SI INCONTRANO PRIMA DELL’INFINITO
Una
credenza cieca spesso rifiuta le lezioni dell’esperienza. Essa stabilisce
nell’uomo un a-priori che ne annulla quasi totalmente l’imparzialità e gli
toglie ogni possibilità di approfittare dell’esperienza.
La
credenza diventa Fede, così come l’intende la religione, può essere altrettanto
rigida sia nel restare ciecamente aggrappato ai dogmi, sia nel dirsi illuminata
da un pensiero rotto alle mille sfumature dell’esegesi; e tuttavia, in entrambi
i casi, essa è giustificata dalla effettiva comparsa di momenti esaltanti
profondamente vissuti.
La Fede,
così come spesso ci viene presentata, innalza una barriera intransigente
intorno al mondo interiore dell’uomo meccanico, e l’uomo ne resta ciecamente
rassicurato. Essa funge da risposta a molti problemi, e ogni volta che l’uomo
per un istante percepisce l’ignoto che lo circonda da tutte le parti, essa lo
salva dall’ignoranza e dalla paura dandogli un falso senso di sicurezza.
Ma la
Fede ha assunto questo aspetto solo dopo un lungo percorso; partita da una
Conoscenza Unica che è la sorgente di tutte le religioni autentiche, essa è
gradualmente arrivata fino alla concezione semplicistica più rudimentale,
l’unica accessibile alla maggioranza degli uomini che compongono la massa
dell’umanità. A questo livello, tutto ciò che sfugge alla comprensione viene
immagazzinato in una zona del sentimento dove esiste qualcosa che è stato
predisposto per occuparsene, ma che è una caricatura della vera Fede.
Ecco
perché le religioni – o perlomeno ciò che ho potuto ciò che ho potuto capirne –
avendo preso contatto con la vera essenza della fonte da cui derivano, sono
state costrette a presentare questo tipo di Fede come base fondamentale della
loro dottrina.
Ogni
ricerca basata sul bisogno di conoscenza o sul timore di un divenire misterioso
induce il fedele di una religione a compiere una serie di sforzi che vanno
dall’osservanza di regole più o meno costrittive all’ascesi spinta ai limiti
del possibile.
Per lui
si tratta della grazia santificante, germe della gloria promessa. È quindi
giusto che la sua Fede ne sia confermata e che i suoi sforzi gli permettano di
pervenire a un credo cui bisogna riconoscere un grande valore.
La virtù
della preghiera, la scoperta della realtà divina in se stessi, la potenza della
fede e, di conseguenza, la paura dell’inferno e del peccato: è assurdo negare
che ciascuno di questi elementi abbia un potere sulla vita di certi uomini, e
che possa suscitare certezze.
Ma quelli
cui non basta un certo tipo di Fede, quelli che hanno un bisogno più incisivo
di conoscenza, saranno costretti a tenersi la sete, dovranno smarrirsi in un
panteismo fumoso o sprofondare per sempre in un nichilismo senza speranze?
Cosa
penseranno di fronte all’Insegnamento coloro che hanno una solida convinzione
religiosa?
Credo che
molti compiangano la nostra palese mancanza di Fede e biasimino il nostro
orgoglio. Siccome ci rifiutiamo di considerare effetto della grazia divina quei
movimenti interiori di cui entrambi riconosciamo la presenza quasi miracolosa,
ma la cui comparsa per noi è legata a uno sforzo e a un insieme di legge che
intendiamo studiare sul vivo di noi stessi, qualcuno dirà che parliamo
mettendoci al posto di Dio, che ci sostituiamo orgogliosamente a lui, e che in
questo stesso istante Dio è in noi e si esprime attraverso la nostra bocca. Per
altri, questo Insegnamento non è altro che un assurdo panteismo o, al massimo,
un pelagianismo[1]
più volte condannato.
E così ci
ritroviamo a camminare insieme su due vie che pretendono di arrivare alla
stessa meta ma il cui parallelismo è solo apparente. A entrambi appartiene la
medesima verità originaria, ma la divergenza comincia fin dai primi passi dei
nostri rispettivi sentieri in una direzione che crediamo comune. Infatti, le
parti di noi che accolgono quell’unica verità sono diverse, come diversa è la
vibrazione che ognuna delle parti in cui risuono successivamente il richiamo
verso ciò che è in Alto, e che entrambi avvertiamo ugualmente. Dietro le stesse
parole, attraverso gli stessi messaggi, finiamo per toccare aspetti diversi
della medesima verità, e non possiamo incontrarci che nei rarissimi punti in
cui le curve delle nostre ricerche s’intersecano.
La luce
che talvolta penetra in noi, che ci illumina e ci riscalda … essa è
riconoscenza, è puro Amore per Colui che, nella sua bontà infinita, riversa
ininterrottamente nella nostra anima la Grazia di cui ci ha fatto dono … sempre
attenta, essa ci nutre, trasforma la nostra visione delle cose e ci porta verso
nuovi paralleli e irreversibili comprensioni. Allora diventa evidente
l’irrealtà della nostra vita: peccato, o automatismo che ci rende schiavi? …
Due
dimensioni dell’essere che la nostra visione limitata si ostina a confrontare
aritmeticamente ma che, da un certo punto di vista, e a parte ogni giudizio di
valore, stanno tra loro come lo zero e l’infinito.
Ma ciò
non impedisce che alcuni credano e proclamino che noi siamo orgogliosi e senza
amore.
Ho sempre
avuto un certo disinteresse per tentativi di provare l’esistenza di Dio.
Ora, non
sono riuscito a credere per molto tempo in un Dio la cui “bontà” e onnipotenza
non abbiano altro fine che ricompensare quelli che rispettano un’etica
certamente buona in se stessa, ma legata in passato a crudeli ingiustizie, e
castigare quelli che la rifiutano o che sottopongono la loro vita a una
disciplina diversa, un tantino meno rispettabile.
Una nuova
visione del mondo, la scoperta che in me esiste un’altra vita, il progressivo
accesso a una conoscenza vissuta di un universo invisibile, tutto ciò ha
radicalmente modificato l’immagine di un possibile Dio che mi ero fatto in
precedenza. Adesso accetto l’idea di una Potenza da cui tutto dipende, e
capisco che per alcuni l’esistenza di Dio, rappresentando l’indispensabile
speranza, sia un motivo per vivere in modo più giusto e un aiuto per sopportare
i sacrifici.
D’altro
canto, io ho sperimentato in me la “presenza” di una realtà nuova, nata da un
lungo sforzo o da circostanze insolite, una presenza che può legarsi
direttamente alle verità rivelate dalle tradizioni e che, confermando la
giustezza dei loro insegnamenti, per chi la percepisce può rappresentare la
prova dell’esistenza di Dio.
Qualunque
sia il vero contenuto delle forme che l’idea di Dio ha rivestito nelle
filosofie, nelle religioni o nelle tradizioni che ho potuto avvicinare, oggi
vedo con chiarezza che cercare la “prova dell’esistenza di Dio”, come a lungo
ho fatto anch’io, è un falso problema. Ciò che in me richiede una “prova” è
soltanto l’apparato mentale assuefatto ad analoghi tentativi e avido di produrre
quel sottile fremito che la mia testa finora ha chiamato “capire”. L’essere non
ha bisogno di prove. La conoscenza interiore delle cose è di un livello tale
che il numero e l’estensione non vi aggiungono niente.
Il fatto
che il mondo interiore esista e che sia animato da una qualità che il mondo
ordinario avverte e da cui si sente trasceso, è la prova che, al di là dei
limiti concepiti dal mondo ordinario, esiste una realtà diversa cui non si
applicano le leggi comunemente note.
Tra il
principio chiamato Dio e l’essere che io sono si apre un abisso riempito dalle
forze che mi hanno dato la vita.
Come
risalire alla loro Sorgente a partire dal punto d’impatto che esse trovano
dentro di me?
Come
diventare colui che in tutta verità può dire “Signore, sia fatta la tua
Volontà”?
Noi siamo
talmente condizionati dalle influenze esterne che i colori del nostro
sentimento e la forma dei nostri pensieri dipendono dalla disposizione delle
forze circostanti. Se tale disposizione di altera anche solo di poco, la nostra
visione, le nostre sensazioni e le nostre manifestazioni si modificano
all’istante.
In virtù
del principio di analogia di tutte le cose esistenti, è giusto pensare che
l’umanità nel suo insieme subisca la stessa legge e che, come ha scritto Gurdjieff,
se la Grande Natura deve adattarsi continuamente alle conseguenze della sempre
maggiore meccanicità in cui vivono gli uomini[2],
viceversa, ogni evoluzione accertata nell’altro senso deriva da un cambiamento
nel flusso delle influenze emesse da sorgenti che per ora è tanto inutile
sperare di identificare quanto vano immaginare.
Nessun
uomo può essere separato dall’insieme dell’umanità, essendone una cellula
vivente; e pur se ci interessa anzitutto la nostra vita personale, non possiamo
evitare di sentirci coinvolti da tutta l’umanità. Certo, per poterne
abbracciare la prospettiva non abbiamo sufficiente distanza, perché i tempi del
suo sviluppo sono molto diversi dai nostri. E tuttavia alcuni periodi della
storia ci hanno dimostrato che talvolta appaiono forze superiori capaci di
modificarne il corso evolutivo.
Fonte: Battaglia per il presente di Henri Thomasson
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