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giovedì 4 luglio 2019

THE HIDDEN WORK

IL LAVORO SEGRETO (traduzione: Fabio Pellegrini)

CAPITOLO 1

UN FRAMMENTO SU PERGAMENA

Anche se sapessimo qual è lo scopo delle vita umana sulla terra, conoscere il vero scopo della nostra vita sarebbe una motivazione sufficiente per iniziare davvero a lavorare?

Immaginiamo di essere gli unici umani sopravvissuti sulla terra.
Un giorno, aggirandovi tra le rovine di una precedente civiltà, scoprite un misterioso frammento di pergamena contenente dati riguardo a qualcosa che era evidentemente chiamata Preghiera Assoluta, della quale voi, nella presente generazione, non sapete assolutamente nulla.

Non solo questa conoscenza non vi è giunta per vie ordinarie, ma neppure ne potete determinare la validità con mezzi ordinari … cioè, mediante la ricerca, poiché tutte le biblioteche sono andate distrutte. Tutti gli scienziati, i santi e i loro discepoli sono morti. Voi siete gli unici sopravvissuti.

Voi, gli abitanti del futuro, vi siete radunati poiché questo frammento contiene un’idea molto importante che, se vera, descrive una situazione davvero disperata.
In una parte, il frammento dice:

l’Assoluto necessita di una speciale attività
chiamata Preghiera Assoluta che non può essere
eseguita da nessun altro essere che l’uomo, il
quale è un essere a tre centri con una macchina
biologica risvegliata.

Per qualche inimmaginabile ragione, noi della
nostra generazione non sappiamo perché, durante
tutta la storia degli esseri umani si riteneva che un
certo tipo di preghiera avesse un preciso valore
per l’Assoluto.

Ed anche se oggi noi non conosciamo
esattamente lo scopo della Preghiera Assoluta né
quale valore essa possa assumere in relazione
all'Assoluto, sappiamo come era eseguita ed
abbiamo alcune serie indicazioni che molti santi e
messaggeri l’abbiano ritenuta così importante da
rischiare la vita per reintrodurla nella vita
dell’uomo.

Così dice il frammento dei dati che avete rinvenuto scritto su un misterioso pezzo di pergamena proveniente da una passata civiltà della quale niente è sopravvissuto fino ai nostri giorni, e dalla quale siete completamente separati da un certo disastro; non conoscete nulla della loro scienza, né della loro arte, filosofia e religione.

La pergamena è danneggiata ed interrotta, ma più in basso seguita così:

… ma l’Assoluto non necessita di ordinaria
preghiera soggettiva, cioè a dire supplica perché
qualche favore personale venga accordato
dall'Assoluto per gratificare il supplicante, ma di
preghiera che è il contrario di ciò che si intende
normalmente. Nessuna preghiera che l’uomo
ordinario esegue in qualsiasi modo ordinario sarà
sufficiente ad alleviare la sofferenza dell’Assoluto.

La vera preghiera è un’attività tecnica, non
necessariamente divertente o comprensibile. Le
idee ordinarie riguardo alla preghiera non si fondano su alcuna realtà.

La Preghiera Assoluta è un’attività
completamente differente ed appartiene ad una
categoria del tutto nuova; richiede il temporaneo
passaggio di coloro che eseguono questo servizio
in dimensioni molto più alte, a beneficio
dell’Assoluto.

L’esatto metodo tecnico per la Preghiera
Assoluta inizia come seg …

Qui improvvisamente il frammento termina. Non resta nessuna biblioteca, nessun museo, nessuna chiesa, nessun documento storico oltre quest’unico frammento di una sconosciuta civiltà del passato.
Adesso voi comprendete che l’Assoluto ha bisogno di qualcosa da voi, ma non sapete esattamente cosa. Come farete a scoprire cosa dovete fare? Fondamentalmente, questo è il punto dove tutti ci troviamo.

Fonte: The Hidden Work by E.J. Gold. Intro. by Lee Lozowick









lunedì 20 novembre 2017

Concentrazione - Un percorso verso la Meditazione - Ernest Wood

Una illimitata Opportunità

Desideri il successo nella Vita? Vuoi fare tuoi i mezzi che infallibilmente lo assicurano? Vuoi scegliere e dire a te stesso io avrò la ricchezza; io avrò la fama; io avrò la virtù; io avrò il potere? Lascia che la tua immaginazione giochi con questi pensieri, e guarda le tenui nuvole della speranza prendere forma in celesti possibilità. Dona ali alla tua fantasia, perché più bello di qualsiasi immagine tu possa dipingere con il tuo pensiero è il futuro che puoi reclamare con la tua Volontà. Una volta che hai immaginato, una volta che hai scelto, pronuncia: Io voglio. E non ci sarà niente sulla terra che potrà ostacolarti a lungo; perché tu sei immortale, e il futuro ti è obbediente.

Pensi che la morte possa ostacolarti? Non lo farà. Pensi che la povertà, la malattia, gli amici possano ostacolarti? Certamente non lo faranno. Niente lo può, a meno che tu non lo permetta, o non glielo lasci fare. Ma tu devi scegliere, e desiderare null’altro che questo. Devi dire Io voglio: e lo devi dire nel pensiero e nell’azione, non soltanto adesso in parola. Da quel momento in avanti, neanche per un istante il tuo scopo deve cambiare: la tua costante intenzione deve trasformare ogni cosa tocchi in allineamento verso lo scopo che hai scelto. In questo modo se ciò che hai scelto non è dannoso, sarà tuo in breve tempo.

Mi parli della piccolezza dell’essere umano, perso tra le rughe della gigante Madre Terra, essa stessa come un granello di polvere nell’infinità dello spazio! Ma non è così, perché tutto può essere trasformato per essere utilizzato. Il corpo fisico è soltanto un indumento, e i sensi null’altro che piccoli cancelli nel velo della carne: quando essi sono quieti, il corpo obbediente, e la mente dimora nella Contemplazione delle tue immortali possibilità, una finestra si apre al tuo interno; attraverso di essa, potrai vedere e realizzare che tu sarai ciò che vuoi essere. E niente altro.

Come il piccolo seme sepolto nella terra, che sboccia e spinge fuori un tenero germoglio che si fa strada attraverso il terreno, vince la sua libertà all’aria aperta, e diventa una quercia possente che popola la terra con semenze di sé stessa; o come un grande albero di fico del Banyan, che si espande senza limiti da una piccola radice, procurando ricchezza e un riparo a miriadi di creature; allo stesso modo, spingi fuori già oggi il primo tenero ma determinano germoglio della volontà: e scegli ciò che vuoi essere.

Che cosa sceglierai? Vuoi avere il potere? Allora lascia che gli altri siano più liberi e più potenti, perché tu sei lo stesso. Vuoi avere conoscenza? Allora lascia che gli altri siano pure saggi perché tu lo sei lo stesso. Vuoi avere amore? Allora lascia che gli altri ne possano godere perché tu hai molto da dare. È così, in questo modo, che la tua volontà sarà in accordo con la prima ed universale legge dell’essere che si sta disvelando a noi sempre di più; una legge che infonde nel tempo la più importante lezione di quella incondizionata compassione che alla fine trasforma tutta la forza nella nostra forza, e tutta la Vita nella nostra Vita.

Quali saranno i tuoi mezzi? Tutto ciò che incontrerai, piccolo o grande; perché non c’è niente che tu non possa utilizzare come mezzo per il tuo fine. Ma una volta ancora, lascia che tutte le persone e le cose che usi siano beneficiate da questo utilizzo: così il tuo successo sarà anche il loro, e la prima legge sarà soddisfatta.

Successo e Concentrazione

Ma qualunque cosa tu scelga, di una cosa avrai bisogno in tutte queste cose e in tutti i tempi – la Concentrazione dello scopo, del pensiero, del sentimento, dell’azione; affinché essa, come un potente magnete, polarizzi ogni cosa con la quale avrai a che fare. In tutti gli scopi della Vita la Concentrazione è necessaria per il successo.

Superiori Realizzazioni

In ogni caso, Concentrazione non significa un restringimento, una limitazione o un confinamento dei nostri pensieri e delle nostre attività, né alcuna perdita di interessi e simpatie umane. Non significa ritirarsi in una grotta o in una caverna, con il vino della Vita che si inaridisce nelle nostre vene come un fiume nel deserto nella siccità estiva. Concentrazione significa che l’interezza della nostra Vita diviene polarizzata attorno ad uno scopo deliberato, animata da crescenti poteri di Pensiero, di Amore e di Volontà, e ispirata da un Sé più elevato di quello che abbiamo conosciuto finora.


Fonte: Concentrazione - Un percorso verso la Meditazione di Ernest Wood 




mercoledì 25 ottobre 2017

Racconti di Belzebù a suo nipote - Georges Ivanovič Gurdjieff

D'altro lato, in ognuno di essi la "colonna vertebrale" è sede di un'altra concentrazione, detta "midollo spinale", in cui sono localizzate le "fonti negative" destinate, con la loro azione, a svolgere rispetto al cervello lo stesso ruolo svolto dai Soli di Secondo Ordine del Megalocosmo rispetto al Santissimo Protocosmo.
È opportuno osservare che in passato i tuoi beniamini conoscevano abbastanza bene il funzionamento specifico delle varie parti del loro "midollo spinale", anzi conoscevano persino alcuni "sistemi meccanici" per agire su parti specifiche del midollo stesso nei periodi in cui il loro "stato psichico" era più disarmonico; ma a poco a poco le informazioni legate a quel tipo di conoscenze sono "sfumate nel nulla", e oggigiorno i tuoi beniamini, pur sapendo che nel midollo spinale sono localizzate varie concentrazioni, ne ignorano completamente le funzioni previste dalla Grande Natura e si accontentano di chiamarle "fasci nervosi del midollo spinale".

Questi fasci nervosi del midollo spinale sono la sorgente di tutte le negazioni rispetto alle affermazioni provenienti dal loro "cervello", esattamente come i Soli di Secondo Ordine sono le fonti di negazione rispetto alle affermazioni d'ogni sfumatura provenienti dal Santissimo Protocosmo.

Infine, come nel Megalocosmo l'insieme dei risultati prodotti, secondo il processo del sacro Hepta-para-parshinokh, sia dall'affermazione del santissimo Protocosmo che dalle molteplici negazioni provenienti dai Soli di nuova formazione funge da "principio conciliatore" fra l'insieme delle nuove formazioni e l'insieme pre-esistente, così negli esseri suddetti si trova una concentrazione corrispondente a tutti i risultati prodotti dalle affermazioni del "cervello" e dalle molteplici negazioni della loro "colonna vertebrale", risultati che in seguito servono da "principio regolatore" o "conciliatore" nel funzionamento dell'intera presenza di ciascuno.

Quest'ultima concentrazione, che serve da principio regolatore o conciliatore per la presenza generale degli esseri terresti tricerebrali, all'inizio aveva la forma di un cervello indipendente localizzato, nei tuoi beniamini come in noi, nella regione "toracica".

Ma da quando il loro processo di esistenza esserica ordinaria ha subìto gravissime alterazioni, la Grande Natura, per varie ragioni legate al processo cosmico trogo-auto-egocratico generale, si è vista costretta a modificare il sistema di localizzazione di quel cervello, pur senza distruggerne il funzionamento.
E precisamente la Natura ha provveduto man mano a disperdere quest'organo, inizialmente concentrato in un'unica sede, in localizzazioni più piccole e disseminate in tutta la presenza generale di quegli esseri, particolarmente nella regione "epigastrica". Oggigiorno, l'insieme di quelle piccole localizzazioni viene da loro chiamato "plesso solare", o insieme di gangli nervosi del sistema simpatico.
Tutti i risultati prodotti dalle manifestazioni affermative del loro "cervello" e dalle manifestazioni negative della loro "colonna vertebrale" si accumulano attualmente nei vari gangli nervosi disseminati in tutto il corpo planetario dove, una volta fissati, costituiscono il principio neutralizzante nell'ulteriore processo di affermazione e di negazione che ha luogo fra cervello e midollo spinale – proprio come nel Megalocosmo l'insieme di risultati provenienti sia dalle manifestazioni affermative del Protocosmo sia dalle manifestazioni negative dei Soli di nuova formazione costituisce la "forza neutralizzante" nell'ulteriore processo di Affermazione e Negazione.
Pertanto, proprio come noi, gli esseri tricerebrali del pianeta Terra, oltre ad essere apparecchi trasformatori delle sostanze cosmiche necessarie al Grandissimo Trogo-auto-egocrate in possesso delle proprietà di tutte e tre le forze del Triamazikamno cosmico fondamentale, hanno anche la possibilità, assorbendo le sostanze da trasformare prodotte da tre diverse fonti indipendenti, di assimilare sia le sostanze indispensabili al mantenimento della propria esistenza, sia quelle destinate al rivestimento e al perfezionamento dei propri corpi esserici superiori.


Fonte: Racconti di Belzebù a suo nipote - Georges Ivanovič Gurdjieff



venerdì 4 agosto 2017

Lavorare da soli su sé stessi – Arnold Mindell

Ho praticato saltuariamente per molti anni varie forme di meditazione, ma non ho mai avuto gran successo in questo senso. Qualche volta, metà per scherzo metà sul serio, mi definisco un esperto dei drammi della meditazione, dopo avere tanto e per tanto tempo sperimentato le scorribande della mia mente ogni volta che si doveva concentrare!
Malgrado il mio cervello sappia benissimo com’è importante la meditazione, una certa confusione su come esattamente praticarla e la conseguente mancanza di risultati hanno tolto vigore alle mie motivazioni, così che sono anni che non mi dedico alla pratica della meditazione tradizionale con regolarità (Charles T. Tart 1986).

I rischi del rilassamento
Può essere nocivo sia il rilassamento totale sia il “lasciar cadere” i pensieri che creano tensione. Qualsiasi metodo, perfino il massaggio, può essere dannoso se usato per rilassarsi, a meno che non sia seguito da un trattamento preciso e differenziato di quelle che erano le tensioni originarie. Ci sono due motivi per questo.
Primo, anni di lavoro sul corpo con persone malate hanno mostrato la frequente presenza di una precedente storia di rimozione di tensioni nei casi in cui è insorto il cancro. La tensione, come ogni altro processo, non può essere eliminata per magia, per quanto per brevi periodi di tempo possa essere rimossa dalla coscienza. Rimossa o rilasciata, la tensione non scompare; piuttosto sembra diventare meno trattabile per la coscienza. Una delle possibili conseguenze della rimozione di processi come la tensione è la creazione di sintomi e malattie incurabili, quali il cancro.
Secondo, io mi domando se lasciar cadere la tensione, o “gettarla via”, come è d’uso in certi metodi di meditazione, di lavoro sul corpo e massaggio, sia una buona norma ecologica rispetto al resto dell’umanità. In tutto il mondo la gente sta acquistando coscienza dei rischi che comporta lo sbarazzarsi dei rifiuti gettandoli semplicemente nelle fogne. Esattamente come si intasa e si inquina il sistema idrico della terra, così, gettando la tensione nell’atmosfera, possiamo intasare il sistema spirituale del pianeta, il luogo da cui il resto di noi bene quando è assetato. Se il globo terrestre è un campo o un sistema, non possiamo gettare nulla fuori; possiamo solo rimetterlo in circolo nel sistema.

L’essere umano è sbagliato?
Uno de presupposti fondamentali e talora inconsci di molti orientamenti psicologici e di molti metodi di meditazioni è che l’essere umano sia indisciplinato, ignorante, arido, pieno d brae, gelosia, egoismo, pericoloso, in qualche modo sbagliato.

Ritenere che le cose sono “sbagliate” ci fa pensare in termini causali; divide il mondo in problemi e soluzioni. Questa atavica visione del mondo ci ha aiutato a prolungare la vita umana attraverso la guerra chimica e psicologica contro i sintomi e le parti interne disturbanti.
Ma la bellicosa convinzione che la nostra natura sia sbagliata ignora il fine che potrebbe nascondersi dietro gli eventi. 

Un secondo aspetto negativo del pensare in termini di causa-effetto è che ci fa detestare il mondo quando non risponde alle nostre aspettative. Se non riusciamo a risolvere un problema lo combattiamo. Le azioni aggressive e i dittatori folli non rispondono alle mie aspettative per la pace nel mondo. Vorrei cambiarli ma non posso. Se non sto attento dichiarerò loro guerra cercando di eliminarli o di chiuderli in un istituto psichiatrico. Dobbiamo imparare a fare dell’aggressività e della follia un uso migliore.

Tutti gli eventi sono potenzialmente utili
Dobbiamo aggiungere alla nostra idea dell’essere umano una nuova dimensione, una dimensione che ne richiama una antica, secondo la quale: “Il mondo è perfetto così com’è”. Per quanto personalmente io non senta che il mondo è realmente perfetto così com’è, ho scoperto che eventi apparentemente negativi possono arricchire molto. Una dimensione importamene e forse nuova della meditazione è quella per cui si accettano e si “lavora” su tutti gli eventi, inclusa la rabbia, la gelosia, l’avidità, al fine di rivelare il loro potenziale positivo. Invece di cercare di cambiare la nostra natura per adattarla alle nostre idee precostituite di armonia o di pace, potremmo cercare di scoprire il fine nascosto degli eventi. Forse contengono il seme di quello che ci serve esattamente.


Fonte: Lavorare da soli su sé stessi – Arnold Mindell

mercoledì 22 marzo 2017

La mia fanciullezza con Gurdjieff – Fritz Peters

Incontrai e parlai per la prima volta con Georges Gurdjieff nel 1924, un sabato pomeriggio di giugno, nel castello del Prieuré a Fontainebleau-Avon, in Francia.
Sebbene le ragioni della mia presenza lì non mi fossero molto chiare - avevo allora undici anni - il ricordo di quell'incontro è ancora straordinariamente vivido in me.
Era una luminosa giornata di sole. Gurdjieff stava seduto a un piccolo tavolo col piano di marmo, sotto un ombrellone a righe, volgendo la schiena al castello e avendo di fronte un'ampia distesa di prato all'inglese con aiuole e fiori. Dovetti rimanere sulla terrazza del castello, dietro di lui, per un certo tempo, prima che m'invitasse a sedergli accanto per un colloquio. L'avevo già visto una volta a New York, l'inverno precedente, ma non mi sembrava d'averlo «incontrato». Ricordavo solo che mi aveva impaurito, in parte per il modo in cui aveva guardato me - o meglio attraverso di me - e in parte per la reputazione di cui godeva. Mi era stato detto che era per lo meno un «profeta» o persino qualcosa che aveva a che fare molto da vicino con la «seconda venuta di Cristo». Incontrare una qualunque versione di Cristo è un avvenimento, e non era certo un incontro che io attendessi con ansia. La sua presenza non solo non mi attraeva, ma anzi mi terrorizzava. L'incontro reale non fu commisurato ai miei timori. «Messia» o no, mi parve un uomo semplice, schietto.
Non era circondato da nessun alone, e per quanto il suo inglese rivelasse un forte accento straniero, mi parlò in modo ben più semplice di quanto la Bibbia m'avesse indotto ad aspettarmi. Fece un gesto vago nella mia direzione, mi disse di sedermi, ordinò un caffè, e quindi mi chiese per qual motivo mi trovassi lì. Mi tranquillizzò molto scoprire che sembrava un comune mortale, ma la domanda mi turbò. Ero sicuro che si aspettasse una risposta importante, che dovessi avere un eccellente motivo per esser lì. Non avendone alcuno, gli dissi la verità, ossia che ero perché mi ci avevano portato. Mi chiese allora perché volessi studiare nella sua
scuola. Ancora una volta fui solo in grado di rispondere che non dipendeva da me, che non ero stato neppure consultato, che di fatto ero stato portato in quel luogo.
Ricordo il forte impulso a mentirgli e la sensazione altrettanto forte di non poterlo fare, perché ero certo che già conoscesse la verità. L'unica domanda a cui risposi non del tutto sinceramente fu quando mi chiese se desideravo restare e studiare con lui. Dissi che lo volevo, il che non era sostanzialmente vero. Lo dissi solo perché sapevo che ci si aspettava da me quella risposta. Mi sembra, oggi, che ogni bambino avrebbe risposto nello stesso modo. Qualunque cosa rappresentasse per gli adulti il Prieuré (il nome completo della scuola era «Istituto Gurdjieff per lo Sviluppo Armonico dell'Uomo»), io mi sentivo come chi viene interrogato dal direttore di una qualsiasi scuola secondaria. Tutti i bambini andavano a scuola, e io accettavo la convenzione secondo cui nessun bambino avrebbe detto al suo futuro insegnante che non desiderava andare a scuola. L'unica cosa che mi stupì fu che la domanda mi fosse rivolta.

Gurdjieff poi mi pose altre due domande:
1. Che cosa pensi sia la vita?
2. Che cosa desideri conoscere?

Risposi alla prima domanda dicendo: «Penso che la vita sia qualcosa che ti viene offerto su un vassoio d' argento e che spetti a te (a me) farne qualcosa».
La risposta suscitò un lungo dibattito riguardo all'espressione «su un vassoio d'argento», non senza un accenno di Gurdjieff alla testa di Giovanni Battista. Ritirai l'espressione, o così allora mi parve, modificandola nel senso che la vita è un «dono», e questo parve soddisfarlo.
La risposta alla seconda domanda (Che cosa desideri conoscere?) era più facile. Dissi: «Voglio conoscere tutto».
Gurdjieff ribatté immediatamente: «Non puoi conoscere tutto. E poi tutto di cosa?».
Risposi: «Tutto dell'uomo». E aggiunsi: «In inglese credo si chiami psicologia o forse filosofia».
Egli sospirò e dopo un breve silenzio disse: «Puoi rimanere. Ma la tua risposta mi rende la vita più difficile. Io sono l'unico a insegnare quello che chiedi. Cosi tu mi farai lavorare di più».



Fonte: La mia fanciullezza con Gurdjieff – Fritz Peters

martedì 3 marzo 2015

L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp

L’accoppiamento sessuale nelle sue molteplici forme
Graduatoria dell’energia sessuale
Il microsesso si conclude con gli sponsali delle cellule, l’unione tra l’agile, irrequieto spermatozoo e l’immobile, rigonfia cellula-uovo. Il codice genetico subisce un rimaneggiamento. Ne deriva un nuovo essere simile ma non identico ai due che lo hanno generato.

L’energia sessuale si può dunque a ragion veduta definire la forza che opera con l’intento di avvicinare e unire il corpo del maschio e il corpo della femmina. Un’energia che negli esseri viventi si manifesta in varie maniere e a vari livelli. Ora è necessario passare in rassegna le diverse forme in cui essa si estrinseca. Cominciamo con una graduatoria di questa energia.
Sul gradino più basso della scala troviamo le manifestazioni più deboli. Esaminando ostriche, stelle marine, meduse e anche altri organismi molto più complessi quali l’anfiosso e altro cefalocordati non si trova la minima traccia di una forza che operi per spingere all’unione il maschio e la femmina. Spermatozoi e uova vengono sparsi nelle acque degli oceani e si incontrano per caso, soltanto perché ne viene prodotto un quantitativo enorme. Non si può certo dire che le piante, impossibilitate a muoversi, manifestino anche un minimo di energia sessuale. Alcune, come il masi, poiché fanno assegnamento sul vento per ottenere che i soffici stigmi dei fiori femmina siano impollinati, per misura precauzionale sono costrette a fabbricare quantitativi iperbolici di polline. Né si può dire che le piante che si servono del curioso sistema di affidare agli insetti il trasporto del polline da un fiore all’altro rivelino di possedere energia sessuale. L’impollinazione entomofila è un’anomalia delle forma evolutiva della vita e non trova posto sulla scala dell’energia sessuale.
Un gradino più su delle ostriche e delle stelle marine possiamo collocare ad esempio il tritone. I tritoni non si congiungono nell’atto della copulazione, anzi non si abbracciano nemmeno. Ciononostante il maschio è attratto dalla femmina, le danza intorno, depone un involtino di sperma ai suoi piedi Leggermente superiore la forza che opera spingendo il maschio della sanguisuga a depositare il proprio seme nel corpo della femmina. I pesci si accoppiano spinti da forze che li inducono a un comportamento per noi mammiferi veramente stupefacente. Sebbene in alcuni di essi, come nel pescecane ad esempio, la fecondazione avvenga all’interno del corpo della femmina, la vera e propria copula non si verifica. Le rane si appiccicano e restano unite a lungo, ma la copulazione propriamente detta non può avvenire perché il maschio è sprovvisto di pene.
Di copulazione vera e propria possiamo invece parlare quando si tratta di insetti, rettili e mammiferi.

Per gli insetti sono certi composti chimici a fungere da esca. La maggior parte dei mammiferi è condizionata dal ciclo di produzione degli ormoni col risultato che il maschio è attirato dalla femmina soltanto in determinati periodi dell’anno.

L’uomo, guidato più dal cervello che dagli ormoni, costituisce una categoria a sé: maschio e femmina possono congiungersi in qualsiasi momento e sentono reciproca attrazione più o meno costantemente.

I suoi cugini, gli scimpanzé e le altre scimmie, hanno molto più ritegno, paragonati a lui.

Probabilmente è nell’uomo che l’energia sessuale si manifesta più spesso e forse con l’impulso più potente.
Per quanto riguarda la ricchezza in assoluto nel campo dell’esperienza sessuale il primo posto va aggiudicato alla chiocciola e agli altri ermafroditi che si accoppiano nello stesso modo. Perciò sono stati collocati in una categoria speciale. Tra le creature vivente sono quelle più doviziosamente dotate sessualmente e le loro orge di accoppiamenti ermafroditi con esasperate componenti sado-masochistiche fanno sembrare tediosa e scialba qualsiasi intemperanza umana.

Seme gettato al vento o sparso nell’acqua
Le ostriche non sono davvero amanti ardenti. Esse trascinano la loro monotona esistenza ancorate a una roccia, estraendo il loro cibo dall’acqua marina che filtrano coi movimenti ritmici ed incessanti delle cellule ciliate delle loro lamelle.
Tra maschio e femmina non è visibile la minima differenza; per meglio dire, come molti altri molluschi, esse possono essere l’una e l’altra cosa. Non allo stesso tempo però. L’ostrica europea, di forma piuttosto piatta, sfrutta al massimo i vantaggi di entrambi i sessi alternandoli: un anno è femmina, l’anno seguente è maschio. Nel campo della riproduzione questo tipo di ostrica è un po’ meno sciattona della sua parente americana. Quando è maschio sparge a casaccio il suo seme nella acque marine, ma quando è femmina trattiene le uova tra le lamelle. Lo sperma viene aspirato insieme alle altre particelle contenute nell’incessante flusso d’acqua che si insinua tra le valve. Non si sa bene per quale misteriosa ragione riesce a non farsi mangiare: feconda le uova. L’ostrica americana non si prende tanto disturbo, sparge le uova, così come lo sperma, nelle acque del mare. Per questo motivo, allo scopo di garantire la riproduzione, è costretta a fabbricare una miriade di uova. Per quanto sciattona questa ostrica americana ha per lo meno una buona abitudine: quella di buttare in mare uova e sperma nello stesso periodo di tempo. La sciagurata sarebbe estinta da un pezzo, se non fosse per questo suo tempismo. Molti altri animali marini e la maggior parte delle piante marine (le alghe) per riprodursi usano lo stesso sbadato sistema dell’ostrica. L’attinia, il riccio di mare, la stella marina, hanno tutti il vizio di spargere uova e sperma nel mare. Alcune stelle marine hanno sviluppato un sistema di riproduzione simile a quello dell’ostrica europea: producono una quantità ridotta di uova ricche di vitellino e le raccolgono in sacchettini, impedendo così la dispersione. Ma comunque la unione tra maschio e femmina non avviene. Lo sperma vaga negli oceani in quantità enorme e il suo incontro con le uova dipende dal movimento dell’acqua.

Insetti paraninfi
Le piante che producono fiori possono avere, distribuiti separatamente, alcune i fiori maschi ed altre i fiori femmina, oppure dare fiori forniti sia degli organi maschili sia di quelli femminili: gli stami che producono il polline e gli stigmi che il polline lo ricevono.
In entrambi i casi, per ottenere a mezzo della riproduzione sessuata una fusione di codici genetici è necessario che il polline, l’equivalente dello sperma degli animali, venga trasferito sugli stigmi del fiore di una altra pianta. L’impollinazione affidata al vento è incerta e richiede una smisurata produzione di polline; perciò alcune piante hanno escogitato un meccanismo biologico che è tra i più curiosi: l’impollinazione a mezzo degli insetti.

Amore vorace
La sanguisuga, per esempio, è una creatura a dir poco repellente le cui abitudini in campo sessuale non sono meno disgustose del suo metodo di alimentazione. Le sanguisughe sono ermafrodite, il che significa che lo stesso individuo produce sia le uova che lo sperma. Però non posseggono nessuno degli organi tradizionalmente considerati strumenti dell’atto sessuale, essendo prive sia del pene per introdurre il seme, sia della vagina per ricevere il seme stesso. Quando le sanguisughe si accoppiano, quella che assume il ruolo di maschio si avvinghia al corpo di quella che funge da femmina. La facente funzione di maschio deposita sul corpo della compagna una capsula a forma di sacchetto chiamata Spermathophora, che contiene sperma compresso. Nel punto in cui aderisce, questa capsula produce un enzima ad alto potere dissolvente che dove tocca scava addirittura un buco nelle carne. Attraverso questo buco lo sperma viene iniettato a forza nella cavità interna del corpo della “femmina”, dove a sua volta viene attaccato da cellule speciali che lo fagocitano. Gli spermatozoi sopravvissuti alla strage hanno la possibilità di essere trasportati verso le ovaie dal flusso degli umori corporali e può darsi che riescano a perforare le pareti delle ovaie e a fecondare le uova. La sanguisuga femmina ci guadagna una ferita profonda che ci mette tre giorni per rimarginare.

Un’altra tecnica degna di stuzzicare la fantasia del marchese de Sade è quella scelta da alcuni vermi di mare appartenenti al gruppo dei Platelminti. Quando giunge il periodo per la riproduzione, questi vermi sciamano a frotte, si riuniscono, e una volta messa insieme una bella folla di maschi e femmine si abbandonano a orge. Le femmine assalgono i maschi, staccano le loro code con un bel morso e le ingoiano: un festino d’amore nel senso letterale della parola! I maschi, come la maggior parte dei vermi, posseggono uno sviluppatissimo potere di rigenerazione perciò abbandonano il campo a nuoto e si fanno ricrescere i segmenti mancanti. Le femmine digeriscono quanto hanno ingerito durante il festino cannibalesco, il pezzetto di maschio che, guarda caso, contiene proprio i testicoli e tutta la riserva di sperma. Gli spermatozoi, liberati dall’involucro a causa dell’azione dei succhi gastrici della femmina, perforano la parete dell’intestino, si fanno strada nella cavità interna del corpo, localizzando e fecondando le uova. Il passaggio attraverso l’apparato digerente della femmina, per quanto rischioso possa apparire, è indispensabile per attivare lo sperma. Gli spermatozoi che non passano attraverso questa prova del fuoco non sono in grado di fecondare l’uovo.

In tutte queste forme la forza che spinge il maschio e la femmina ad unirsi è difficilmente valutabile. I frutti dell’amore appaiono strani e poco invitanti. La sanguisuga esce dall’amplesso con dei buchi nella carne. Al maschio Platynereis viene portata via la coda con un morso. La femmina Peripatus riceve una stilettata nei visceri.

La via sessuale dei ragni sembrerebbe ancor più deludente; per la verità è circondata da tanti pericoli che è un vero miracolo se queste creature sono riuscite a sopravvivere. Lungi dal sentirsi spinto ad abbracciare la sua compagna, il ragno maschio ha tutte le ragioni per starle il più lontano possibile, viste che la signora ha il brutto vizio, una volta sacrificato a Venere, di rifocillarsi sgranocchiando il marito. Perciò il maschio tiene la femmina a distanza, nel senso letterale della espressione e per espletare la funzione sessuale non usa quell’organo intimo che è il pene, ma il palpo, un’appendice situata in fondo a una delle sue quattro paia di zampe. Dato che il palpo non è collegato direttamente con le ghiandole produttrici di sperma, per trasferire il suo seme il ragno usa il sistema indiretto. Anzitutto tesse una ragnatela speciale, poi depone in questa ragnatela una goccia di seme, dopo di che immerge il palpo nello sperma per riempire un organo minuscolo, simile a una siringa ipodermica lillipuziana, chiamato receptaculum seminalis. Il ragno introduce una di queste siringhe nell’orifizio dell’apparato genitale della femmina, inietta il suo sperma e se la dà a gambe più in fretta che può per sfuggire all’abbraccio della compagna e al pericolo di venire trasformato in uno spuntino.

In certi insetti la tendenza al cannibalismo di cui dà mostra il ragno femmina arriva molto più in là. Jean Henri Fabre, l’acuto e sensibile studioso della vita degli insetti, rimase addirittura disgustato da tali deviazioni dell’impulso sessuale. “Che dire”, egli domanda, “della cavalletta, che prima di deporre le uova, squarta il corpo del compagno e ne mangia quanto più può? E del grazioso grillo, la cui femmina si trasforma in una iena, sfascia l’arpa dell’amato che le ha appena dedicato una splendida serenata strappandogli senza pietà le ali e, a prova della propria gratitudine, se lo divora parzialmente?”.

Il primo premio per questi festini di carattere amatorio-cannibalesco probabilmente spetterebbe alla mantide religiosa, le cui usanze sono state anch’esse descritte da Fabre.
“La mantide, in genere, non è mai sazia di estasi nuziali e di banchetti. Dopo un periodo di riposo che varia a seconda se le uova vengono deposte o no, un secondo maschio è accolto amorosamente e poi divorato come il primo. Gli succede un terzo: questi porta a termine la funzione per cui è nato, viene mangiato e scompare dalla scena. Un quarto subisce il medesimo destino. Ho visto la stessa mantide distruggere in questo modo, nel corso di due settimane, ben sette maschi. Essa se li stringe al seno e poi li costringe a pagare con la vita l’estasi nuziale. Vediamo una di queste orribili coppie impegnate come segue: il maschio, assorto nell'esercizio delle sue funzioni vitali è avvinghiato alla femmina in uno stretto abbraccio. Ma il disgraziato non ha più testa, non ha collo, a malapena si può dire che abbia ancora un corpo. L’altra, le mandibole rovesciate, continua placidamente a rosicchiare ciò che resta del cigno gentile. È nel frattempo, quel moncherino di maschio, abbarbicato fermamente alla femmina, continua la sua bisogna! Si dice che l’amore sia più forte della morte. Preso alla lettera, mai l’aforisma ha ricevuto più brillante conferma. Una creatura decapitata, un insetto amputato della parte superiore del corpo, un vero e proprio cadavere, persiste nello sforzo di trasmettere la vita. Desiste soltanto quando la femmina prende d’assalto l’addome, nel quale sono situati gli organi della riproduzione”.
Queste scoperte riempivano Fabre di tristezza. “Ho visto con i miei propri occhi e ancora non sono rinvenuto dallo stupore”.
Probabilmente avrebbero invece fatto la delizia di un latro francese, di colui che non si stancava mai di sottolineare le peculiarità criminali insite nella natura: “O, state tranquilli, nessun delitto al mondo potrà mai attirare su di noi la collera della natura; tutti i delitti servono ai suoi scopi, tutti le sono utili e quando essa ci spinge a commetterli state pur certi che è perché ne ha bisogno” (De Sade, Juliette).


L’amore in fabbrica
Cominciamo dalle api. Apis Mellifera, o ape mellifica. Abbiamo di fronte una situazione in cui l’attività sessuale è stata eliminata dall'esistenza di quasi tutti i membri della colonia. Nell’arnia la copulazione è un fatto sconosciuto. Le migliaia di lavoratori che vanno e vengono incessantemente, trasportando il polline o il nettare proveniente dai fiori che hanno visitati, sono tutte femmine. Femmine esclusivamente in rapporto alla genetica, però, perché i loro organi sessuali sono atrofizzati ed esse non possono accoppiarsi.
Nell'alveare, l’energia sessuale si manifesta soltanto una volta in tutta la vita della regina. E questo avviene in maniera talmente drammatica da risvegliare lo stupore degli scienziati e l’ammirazione dei poeti.

Maeterlinck, scrivendo prima che la “Grande Illusione” rendesse gli scrittori piuttosto cauti in fatto di entusiasmi, dedicò parecchie pagine di prosa fiorita alla descrizione dell’avvenimento. “Essa sfreccia verso l’alto, verso una zona luminosa che le altre api non raggiungono in nessun momento della loro vita. Da lontano i maschi, che cullano la loro pigrizia tra i fiori, hanno scorto l’apparizione, hanno respirato l’affascinante profumo che dilaga all’intorno finché ogni alveare dell’apiario ne è impregnato. Immediatamente si raccoglie una folla di pretendenti che insegue la regina nel mare della beatitudine, la cui trasparente frontiera è sempre più evanescente. Essa, ebbra del gioco delle sue ali, obbedendo alla splendida legge selettiva della sua specie che le impone di eleggere ad amante il più forte, l’unico che saprà raggiungerla nella solitudine degli spazi eterei, sale, sale sempre più. Per la prima volta nel corso della sua vita, l’aria azzurrina del mattino penetra negli stigmi della sua trachea simile a un nettare divino, cantando la sua canzone nella miriade di tuboli delle sacche tracheali colme di vento al centro del suo corpo. Ancora più in alto. Deve trovare una zona non disturbata dal volo degli uccelli che potrebbero profanare il mistero. Sale ancora; e già la frotta eterogenea che la insegue sta diradandosi, sfoltendosi. I deboli, i malati, i vecchi, i derelitti, i denutriti provenienti da cittadelle in letargo o impoverite rinunciano all'inseguimento e scompaiono nel vuoto. Resta soltanto un piccolo grappolo di infaticabili, sospeso nell'infinita distesa opalina. La regina costringe le proprie ali a uno sforzo supremo, ed ecco che il prescelto da forze misteriose la raggiunge, l’afferra e con essa si libra verso l’alto in un impeto congiunto. La spirale ascendente del loro volo intrecciato turbina per un istante nella ostile follia dell’amore”.
La “ostile follia”, in questo caso, è un riferimento al fatto che la femmina uccide il compagno; non divorandolo come fa una mantide religiosa, ma strappandogli dall’addome l’apparato genitale al completo. Il Romeo sbudellato precipita al suolo. La regina “scende dalle alture celesti e torna all’alveare, trascinando, come un orifiamma spiegato al vento, i visceri dell’amante”.
La morte del fuco non ha nessun importanza. La regina gli ha portato via la sola cosa che conti e ha immagazzinato nella propria spermateca una riserva di spermatozoi sufficiente a metterla in grado di deporre uova fecondate al ritmo di duemila al giorno, durante i seguenti cinque anni.

Da certe ghiandole speciali, le operaie secernono un cibo che gli apicoltori chiamano gelatina reale; durante i primi tre giorni di vita tutte le api vengono nutrie con questa sostanza, ma in seguito con la gelatina reale sono alimentate unicamente quelle destinate a diventare regine, e che nasceranno da uova collocate in celle particolari, molto più grandi delle altre. Dopo sedici giorni, dalle larve emergono le giovani regine. La prima che spunta, immediatamente, d’istinto, assassina tutte le consorelle regine, trafiggendole prima ancora che escano dalle loro celle. Dopo di che intraprende il volo nuziale già descritto.

L’assassinio delle regine rivali è soltanto uno dei massacri che sistematicamente si verificano nell'alveare. Ancor più drammatico è il genocidio dei fuchi, dei maschi in soprannumero che vengono periodicamente assaliti dalle operaie e sterminati senza pietà.



L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp - Longanesi & C. 

domenica 1 febbraio 2015

Master Game - Robert S. De Ropp

LE CINQUE STANZE
Possiamo essere ancora più precisi e sostenere, basandoci su valide prove, l’esistenza di cinque livelli di coscienza accessibili all'essere umano:
  • Sonno profondo senza sogni – Primo livello
  • Sogno – Secondo livello
  • Sonno da svegli (identità) – Terzo livello
  • Trascendenza di sé (ricordo di sé) – Quarto livello
  • Coscienza oggettiva (coscienza cosmica) – Quinto livello
La natura fornisce all'essere umano il primo, il secondo e il terzo livello di coscienza. Sono i livelli indispensabili per la vita, per la conservazione del corpo fisico e la perpetuazione della specie. Non fornisce invece l’esperienza del quarto e del quinto livello. È come se, per un errore nel suo schema evolutivo, l’essere umano avesse sviluppato un meccanismo che rende difficile sperimentare i due stati superiori di coscienza. 

SONNO SENZA SOGNI: la percezione è assente. L’attività è ridotta al minimo. Sono in atto i respiro, il battito cardiaco e altri processi involontari, ma manca completamente la consapevolezza di sé. È il sonno senza sogni, l’oblio fratello della morte. È la prima stanza in cui l’essere umano deve trascorrere gran parte della vita, perché solo nel sonno gli organi del corpo preposti alla rigenerazione (le nostre batterie vitali) si ricaricano.
Se gli viene impedito l’ingresso nella prima stanza, l’organismo può subire danni irreparabili. L’incapacità di dormire è uno dei primi sintomi della schizofrenia, una delle più comuni e più gravi forme di malattie mentali.

STANZA DEI SOGNI: non passiamo mai l’intero periodo del sonno nella prima stanza, e farlo sembra produrre effetti non salutari. Obbedendo a una legge ancora poco conosciuta, di tanto in tanto lasciamo la prima stanza ed entriamo nella seconda, quella dei sogni. Qui “vediamo” scene ed eventi davanti a noi, come se fossero proiettati su un grande schermo. Ho messo il verbo “vedere” tra virgolette perché, con gli occhi chiusi e la stanza immersa nell’oscurità, la retina non può essere impressionata da alcuna immagine. Si tratta di un vedere puramente mentale, eppure, attraverso un misterioso collegamento tra il cervello e gli occhi, quando sogniamo questi ultimi si muovono rapidamente, come se seguissero effettivamente una scena.

SONNO DA SVEGLI: il terzo stato di coscienza sorge quando l’individuo si sveglia dal sonno fisico e si trova immediatamente sprofondato in una condizione chiamata “identificazione”. L’identificazione è infatti il tratto distintivo del terzo stato di coscienza, in cui l’individuo non ha una consapevolezza autonoma, ma si perde in tutto ciò che fa, pensa e sente. Essendo l’essere umano perso e non presente a se stesso, Gurdjieff definisce il terzo stato di coscienza “sonno da svegli”.
L’uomo che si trova in questa condizione non è l’uomo vero, bensì una macchina priva di unità interiore, di reale volontà e di un io permanente, mossa e manipolata da forze esterne come un burattino dal burattinaio.
Inoltre, questa persona addormentata è attorniata da latri dormienti, e la cultura in cui vive è intesa a perpetuare questo stato di sonno. 
  
TRASCENDENZA DI SÉ: la possibilità di entrare nel quarto stato di coscienza dipende dall'averne già fatto esperienza.
… l’uomo può avere, e ha, dei barlumi di questo stato in seguito a un’emozione religiosa provata davanti a un’opera d’arte, nell'estasi sessuale o in situazioni di grave pericolo. In circostanze come queste, si dice che egli “si ricorda di se stesso”.
Il ricordo di sé è una separazione della consapevolezza da tutto quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. Il suo simbolo è la freccia a due punte, che indica una duplice consapevolezza. C’è un agente e c’è un osservatore, che è la consapevolezza oggettiva di sé; c’è il senso di essere separati, staccati dalle limitazioni del copro fisico; c’è un senso di distacco, di non identificazione.

Quando veniamo a sapere dell’esistenza della quarta stanza, la nostra vita giunge a un bivio. Possiamo cercare di ignorarla, comportandoci come se non esistesse e ricadendo nello stato di totale identificazione, oppure provare il desiderio di giocare il Master game e cercare qualcuno che ci spieghi le tecniche del gioco.
Tutte le ricchezze di Creso non avrebbero consentito ad un re del passato di fare un’esperienza per noi normale come salire su un aereo.
La terza stanza è così comoda, sicura e piena di cose, quindi, perché dovremmo salire nella quarta? Che cosa può offrirci di più della terza?
La risposta è ovvia. La libertà. Solo nel quarto stato di coscienza ci liberiamo dalla tirannia dell’io e dalle paure e sofferenze che questa entità provoca. Una volta entrati nella quarta stanza, e dopo aver imparato ad abitarla, siamo liberi dalla paura. Le parole “io” e “mio” perdono il loro significato. Non ci identifichiamo più con il corpo fisico e non attribuiamo eccessiva importanza ai processi materiali.
Uno dei poteri che si sviluppano nella quarta stanza è la capacità di morire volontariamente.
L’uomo che vive nella terza stanza può credere di essere padrone di se stesso, ma in realtà non ha nessun controllo sulle sue azioni. Non è nemmeno capace di camminare per strada senza perdersi nelle più svariate impressioni che “colpiscono la sua immaginazione”. Padrone di sé è solo chi vive nella quarta stanza: sa dove sta andando, sa di stare facendo una certa cosa e perché la fa. Il suo segreto è il distacco dal risultato delle azioni, e misura il successo e il fallimento non in base ai risultati esteriori, ma in termini di consapevolezza interiore. 

COSCIENZA COSMICA: R.M. Bucke scrive, nel suo La coscienza cosmica, che la sua caratteristica principale è appunto una “coscienza del cosmo, cioè della vita e dell’ordine dell’universo”.
Un altro esempio è la visione cosmica che Krishna rivela ad Arjuna nella Bhagavad Gita.
Un contatto scorretto con la quinta stanza, attraverso le droghe o altri strumenti, può provocare danni irreversibili causati dalla potenza delle impressioni su una consapevolezza non sufficientemente preparata.
Nessuno, per quanto dotato di grandi capacità, può trasmettere a un’altra persona un diverso livello di coscienza. 


Fonte: Master Game