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sabato 14 aprile 2012

L’ultimo viaggio – Stanislav Grof

Morte e rinascita nei riti di passaggio
I riti di passaggio segnano un cambiamento decisivo nella vita di un individuo o di una cultura. La scelta del momento opportuno coincide con cambiamenti fisiologici importanti come la nascita, la circoncisione, la pubertà, il matrimonio, la menopausa e la morte: occasioni nella quali il corpo, la psiche e il ruolo sacro degli iniziati cambiano in modo significativo.
Rituali di questo tipo vengono celebrati anche per l’iniziazione l rango di guerriero, l’accettazione nelle società segrete, alcune feste legate al calendario, le migrazioni di gruppi umani  nuovi territori.

Nelle civiltà industrializzate dell’Occidente i periodi più significativi di transizione da una fase all’altra della vita sono generalmente carichi di valenze negative. Questo è sicuramente vero per la pubertà, la mezza età, la vecchiaia e, ovviamente, la morte.
Il morente è spesso visto come un peso sociale ed economico.

La transizione
Nella seconda fase, che Gennep ha chiamato “transizione”, i neofiti passano da un apprendimento principalmente intellettuale a profonde esperienze dirette di stati olotropici di coscienza, indotti da potenti tecniche in grado di alterare la mente: “tecnologie del sacro”.

Tra le più potenti tecnologie del sacro vi sono diverse piante psichedeliche. Il loro uso a fini rituali e spirituali risale a migliaia di anni fa.
La pozioni leggendaria divina, chiamata haoma nell’antico testo persiano Zend Avesta e soma in India, era conosciuta migliaia di anni fa dalle tribù indo-iraniane e probabilmente fu la fonte più importante della religione e della filosofia vedica.
Le preparazioni ottenute da differenti varietà di canapa venivano fumate e ingerite sotto forme diverse (hashish, charas, bhang, ganja, kif, marijuana) in Oriente, in Africa e nell’area caraibica per svago, per piacere e durante le cerimonie religiose: hanno rappresentato un importante sacramento per gruppi molto diversi, come i Bramini, alcuni ordini di Sufi, gli antichi Sciti e i Rasta giamaicani.

L’uso cerimoniale di vari materiali psichedelici ha una lunga storia nell’America Centrale. Le piante che provocano l’alterazione dello stato mentale erano ben conosciute presso diverse culture indiane preispaniche, tra cui gli Atzechi, i Maya e i Toltechi.
Le più famose sono il cactus peyote messicano (Lophophora williamsii), il sacro fungo teonanacatl (Psilocybe mexicana) e ololiuqui, semi di diverse varietà del Morning Glory (Ipomoea violacea e Turbina corymbosa). Queste sostanze sono usate ancora oggi nelle cerimonie di consacrazione dai Huicholes, dai Mazatec, dai Chichimeca, dai Cora, e da altre tribù del Messico, come pure dalla Native American Church.
Il famoso yajé o ayahuasca sudamericano è un decotto ottenuto con una liana della giungla (Banisteriopsis caapi) e con altre piante.

Le tribù aborigene dell’Africa ingeriscono e inalano preparati ricavati dalla corteccia dell’arbusto iboga (Tabernanthe iboga), che utilizzano in piccole quantità come stimolante e in dosi maggiori per i rituali di iniaziazione di uomini e donne.

Composti psichedelici di origine animale comprendono le secrezioni della pelle di alcuni rospi (Bufo alvarius) e la carne del pesce Kyphosus fuscus che si trova nel Pacifico.

Il rito di passaggio Okipa
Un esempio di un rito di passaggio particolarmente potente e complesso è la festa Okipa dei Mandans, una tribù di indiani delle Grandi Pianure del Nord America che vivevano sul fiume Missouri.
Questo rituale, che comportava la mutilazione e un fortissimo dolore fisico, dimostra quanto alcune culture valutino le esperienze di trasformazione e a quali estremi siano disposte a spingersi nel perseguirle, anche se molti altri riti di passaggio non sono così radicali ed elaborati quanto la festa Okipa.

Gli antichi misteri di morte e rinascita
Nel mondo antico i misteri della morte e della rinascita rappresentano un’altra forma importante di addestramento alla morte. Si tratta di eventi rituali basati su storie mitologiche di varie divinità che erano morte e tornate alla vita o che avevano visitato gli inferi, il regno dei morti, ed erano riapparse incolumi.
Capire le dinamiche di questi eventi e il loro legame con le storie di morte e di rinascita degli dèi e degli eroi richiede un’interpretazione completamente nuova della natura e della funzione dei miti.
I miti sono tradizionalmente considerati il prodotto della fantasia e dell’immaginazione. Tuttavia le opere di Jung e Joseph Campbell hanno contribuito a un’interpretazione radicalmente nuova della mitologia.
Secondo questi studiosi i miti non raccontano le avventure fittizie di personaggi immaginari in luoghi inesistenti, non sono il prodotto arbitrario della fantasia di alcuni individui, ma piuttosto hanno la loro origine nell’inconscio collettivo dell’umanità e sono manifestazioni di quei principi primordiali che mettono ordine nella psiche e nel mondo, e che Jung ha chiamato “archetipi”.

Gli archetipi e il mondo imaginale
Gli archetipi sono principi primordiali eterni che stanno alla base del mondo materiale, formandone e informandone la struttura.
La tendenza a interpretare il mondo in termini di principi archetipici è apparsa per la prima volta nella Grecia antica e fu una della caratteristiche più singolari della filosofia e della cultura greche.
Gli archetipi possono essere visti da diverse prospettive.
I poemi omerici presero la forma di figure mitologiche personificate o di divinità, come Zeus, Poseidone, Era, Afrodite, Ares.

Nella filosofia di Platone erano descritti come puri principi metafisici trascendenti: Idee, Forme, O Archai divini che esistevano indipendentemente in un regno non accessibile ai sensi dell’uomo. In tempi moderni, Jung ha fatto rivivere e ha riformulato il concetto di archetipo descrivendolo principalmente come principio psicologico.
Gli junghiani si riferiscono al mondo delle figure e dei domini archetipici come “imaginale” per distinguerlo dai prodotti immaginari della mente umana. Benché vi si possa avere accesso attraverso l’autoesplorazione intrapsichica, il mondo imaginale possiede un’esistenza oggettiva.
Gli archetipi sono essenze atemporali, principi ordinatori del cosmo che possono manifestarsi anche sotto forma di personificazioni mitiche o divinità specifiche di varie culture.
Si esprimono attraverso la psiche e i processi profondi dell’individuo, ma non hanno origine nella mente dell’uomo né sono da essa prodotti. Trascendono la psiche dell’individuo e funzionano come principi che la governano. Stando agli ultimi lavori di jung, gli archetipi hanno una natura “psicoide”; operano nella zona crepuscolare che si colloca tra la coscienza e la materia. Modellano non solo i processi della psiche umana, ma anche gli eventi del mondo fisico e della storia dell’uomo.
L’inconscio collettivo rappresenta la comune eredità culturale di tutta l’umanità nel corso dei secoli.

L’eroe dai mille volti
L’eroe dai mille volti (1948), testo di Joseph Campbell, fu un libro innovatore che nei decenni successivi influenzò profondamente la ricerca e la comprensione dell’argomento.
Analizzando un ampio spettro di miti provenienti da diverse regioni del pianeta, Campbell si rese conto che tutti contenevano variazioni di una formula archetipica universale, che chiamò “monomito”. Era la storia dell’eroe, maschio o femmina, che lascia la sua casa e, dopo fantastiche avventure, vi ritorna come essere deificato. Campbell trovò che l’archetipo del viaggio dell’eroe si svolge in tre fasi peculiari, simili a quelle descritte come le sequenze caratteristiche dei tradizionali riti di passaggio: separazione, iniziazione e ritorno.

L’eroe lascia il territorio familiare, volontariamente o costretto da una forza esterna, subisce una trasformazione attraverso una serie straordinaria di prove e avventure e, infine, viene di nuovo accolto nel suo ambiente originario con un ruolo diverso.

Il mito del viaggio dell’eroe inizia quando la vita quotidiana del protagonista viene interrotta improvvisamente con l’intrusione di elementi di natura magica che appartengono a un diverso ordine di realtà.
Campbell si riferisce a questo invito all’avventura come alla “chiamata”. Se l’eroe risponde alla chiamata e accetta la sfida, si imbarca in un’avventura che comprende molteplici sfide, visite a strani territori, incontri con animali fantastici ed esseri sovrumani.
L’avventura spesso culmina in un’esperienza di morte e di successiva rinascita. Dopo aver compiuto il viaggio con successo, l’eroe torna a casa e vive una vita gratificante come essere deificato: come leader riconosciuto, guaritore, veggente o maestro spirituale.

Il monomito del viaggio dell’eroe rappresenta la fotocopia della crisi trasformatrice che tutti gli esseri umani possono sperimentare quando i contenuti profondi dell’inconscio emergono alla coscienza. Il viaggio dell’eroe non fa che descrivere il terreno di esperienze che l’individuo deve attraversare durante i periodi di profonda trasformazione.

La morte e la rinascita degli dèi e degli eroi
In una forma simbolica sicuramente meno ovvia, lo stesso motivo è a volte rappresentato dall’esperienza di essere divorati e rigurgitati da mostri terrificanti per poi riuscire a scappare: dal biblico Giona, che passò 3 giorni e 3 notti nella pancia del “grande pesce”, al greco Giasone e a Santa Margarita di Antiochia, che vennero entrambi ingoiati dal drago.

La ricerca psichedelica e le terapie sperimentali hanno dimostrato che l’archetipo della morte e della rinascita è legato alla nascita e questo spiega perché sia un motivo così universale che appare tanto frequentemente nella mitologia. Il passaggio attraverso il canale del parto è un evento che minaccia la vita: ecco perché nel nostro inconscio morte e nascita sono profondamente connesse. Ed è questo il motivo per cui le sequenze di morte e di rinascita psicologica sono quelle che più frequentemente si osservano negli stati olotropici, spontanei o indotti artificialmente. Queste giocano un ruolo estremamente importante nel processo psicologico di trasformazione della personalità e di apertura spirituale.

I misteri di morte e rinascita
Il molte zone del mondo i miti della morte e della rinascita forniscono la base ideologica per i “sacri misteri”, potenti eventi rituali nei quali i neofiti sperimentano la morte e la rinascita e una profonda trasformazione psico-spirituale. Ben poco si sa sulle tecniche usate per indurre stati olotropici: i misteri venivano mantenuti segreti oppure nel corso del tempo è andata persa la specifica informazione che li riguarda. Tuttavia è probabile che le procedure fossero simili a quelle usate nei rituali sciamanici e nei riti di passaggio: tamburella menti, canti, danze, cambiamenti nel ritmo del respiro, esposizione a stress, dolore e situazioni che minacciano la vita, apparentemente o realmente.
Tra gli strumenti più efficaci senza dubbio vi erano pozioni che contenevano sostanze vegetali dalle proprietà psicoattive.
Le esperienze potenti, e spesso terrificanti, indotte negli iniziati rappresentavano un’occasione unica per mettersi in contatto con le divinità o con i domini divini ed erano vissute come necessarie, desiderabili e, infine, guaritrici. In alcuni casi, inoltre, l’esposizione volontaria a questi stati estremi di coscienza era considerata una protezione contro la vera pazzia.
Gli antichi Greci si rendevano conto che le forze pericolose nosacsote nella psiche devono essere espresse in un contesto adeguato.
Nel dialogo Fedro, Platone parla di quattro tipi di follia conferiti dagli dèi: la mania erotica, dovuta alla possessione di Afrodite ed Eros; la mania profetica, causata dall’intervento di Apollo; la mania artistica, dovuta all’ispirazione di una delle Muse e la mania rituale, o telestica, provocata da Dioniso.

In grande filosofo descrive in modo vigoroso il potenziale terapeutico della mania telestica portando a esempio un tipo di mistero greco meno conosciuto, i riti coribantici: consistevano in una serie di danze selvagge al suono dei flauti e dei tamburi culminanti in un’esplosiva liberazione di emozioni che induceva uno stato di profondo rilassamento e tranquillità.

Fu Aristotele, celebre discepolo di Platone, il primo a dichiarare esplicitamente che il processo di sperimentare e liberare pienamente le emozioni represse, da lui chiamato “catarsi” (purificazione), era un efficace trattamento dei disturbi mentali.

Aristotele affermava che i misteri della morte e della rinascita fornivano un potente contesto per questo processo. Sosteneva la tesi fondamentale del culto orfico (una delle più importanti scuole mistiche del tempo), secondo la quale il caos e il delirio dei misteri conducevano a un ordine superiore.

Tra i misteri di morte e di rinascita più antichi ci sono i riti babilonesi e assiri di Ishtar e di Tammuz, basati sul mito della Dea Madre Inanna (Ishtar) e della sua discesa agli inferi governati dalla sorella, la terribile dea Ereshkiga. Lo scopo del viaggio di Ishtar era di ottenere un elisir per riportare alla vita il dio della vegetazione Tammus, che era sia suo figlio che suo marito.

Negli antichi templi egizi di Iside e Osiride, gli iniziati si sottoponevano a prove complesse sotto la guida dei sommi sacerdoti per superare la paura della morte e ottenere l’accesso alle conoscenze esoteriche sull’universo e sulla natura umana.
Nel corso di questo processo, i neofiti sperimentavano l’identificazione con il dio Osiride che, secondo il mito sul quale si basavano i misteri, fu ucciso e smembrato da Seth, il suo malvagio fratello. Successivamente, Osiride fu riportato in vita dalle due sorelle, Iside e Nefti, e divenne sovrano degli inferi. In questo contesto il tema della morte e della rinascita era legato al ciclo giorno-notte e al viaggio archetipico del dio Sole attraverso il Cielo e gli Inferi.

I misteri eleusini, i più importanti dell’antichità, furono celebrati per quasi 2000 anni (1500 a.C – 400 d.C) a Eleusi, una città situata a circa 25 chilometri a occidente di Atene; erano basati su un’interpretazione del mito di Demetra, dea greca della fertilità, e di sua figlia Persefone. Persefone fu rapita da Ade, il dio degli inferi, ma in seguito all’intervento di Zeus, questi la lasciò libera a condizione che tornasse da lui ogni anno per 4 mesi. Il marito, solitamente considerato un’allegoria della crescita ciclica delle piante nel corso delle stagioni, per gli iniziati ai misteri eleusini divenne il simbolo delle lotte spirituali dell’anima, periodicamente imprigionata nella materia e liberata.

Il culto orfico si concentrava sulla leggenda della deificazione di Orfeo, il bardo tracio impareggiabile musicista e cantore, che visitò gli inferi nel tentativo non riuscito di liberare l’amata Euridice dalla schiavitù della morte.
Lo stesso Orfeo morì tragicamente fatto a pezzi dalle donne dei Ciconi per aver interferito nei baccanali.
Secondo la leggenda, la sua testa decapitata, gettata nel fiume Ebro, continuò a cantare e ad annunciare oracoli.

I riti dionisiaci, o baccanali, erano basati sulla storia mitologica del giovane Dioniso che, dopo essere stato smembrato dai Titani, fu poi fatto risuscitare quando Pallade Atena recuperò il suo cuore. Nei riti dionisiaci gli iniziati sperimentavano l’identificazione con il dio ucciso e rinato grazie a bevande inebrianti, danze orgiastiche, corse nei campi e mangiando la carne cruda degli animali.

I misteri samotraci dei Coribanti (sacerdoti della dea Cibele) erano connessi strettamente alle celebrazioni dionisiache. Il dramma rituale che vi era associato descriveva l’omicidio di Cadmillo da parte dei suoi tre fratelli.

Il culto mitriaco, era una fede sorella del cristianesimo, cui contese il ruolo di religione del mondo. I santuari sotterranei mitriaci (mithraea) spaziavano dalle spiagge del Mar Nero fino alle montagne della Scozia e al confine del deserto del Sahara.

Il famoso mito di Adone, ispirò i misteri del mondo antico. Durante la sua gravidanza Smina, la madre, fu trasformata dagli dèi in un albero di mirra. Adone nacque quando un cinghiale aprì il tronco con le sue zanne liberando il neonato. Afrodite fu così affascinata dalla bellezza di Adone che lo affidò alle cure di Persefone, dea degli inferi. Quando più tardi Persefone si rifiutò di restituirlo, Zeus decise che Adone avrebbe vissuto un terzo dell’anno con Persefone e un terzo con Afrodite. Il rimanente terzo fu lasciato alla sua discrezione, ma la leggenda vuole che Adone trascorresse sempre due terzi di ogni anno con Afrodite.

Il mito che soggiace ai misteri nordici di Odino (Wotan) si riferisce alla storia dell’assassinio e della resurrezione di Balder, il figlio favorito di Odino. Balder era giovane e bello ed era l’unico dio pacifico di Valhalla. Loki, l’imbroglione, la personificazione del male, convinse con l’inganno il dio cieco del fato Hoder a colpire Balder con una freccia di vischio, l’unica rama che poteva ferirlo. Balder fy trafitto al cuore e morì. La dea della morte Hel, mossa dalle suppliche degli dèi affranti, promise di far ritornare Balder nella terra dei vivi a una condizione: ogni cosa nel mondo, morta o viva, doveva piangere per lui. In effetti ogni cosa pianse eccetto Loki, e così Balder dovette rimanere negli inferi. Tuttavia, il mito predisse che dopo la battaglia finale di Ragnarok, quando un nuovo mondo sarebbe sorto dalle sue ceneri, Balder sarebbe rinato. Nei misteri di Odino il neofita beveva idromele santificato da una tazza ricavata da un teschio. Identificandosi con Balder, si sottoponeva a un’ardua prova in un complesso di nove stanze sotterranee, superata la quale era in grado di svelare il mistero di odino con i più preziosi segreti della natura e dell’animo umano.

Nei misteri druidici della Bretagna, il confine tra morte simbolica e morte biologica era piuttosto confuso. Dopo essere stato seppellito vivo in una bara, il candidato era mandato in mare su una barca aperta, una messa in scena simbolica della morte del dio Sole.
In questa singolare ordalia molti iniziati perdevano la vita; coloro che sopravvivevano all’ostico rituale erano definiti “rinati”.

I dettagli e le tecniche utilizzate per alterare lo stato mentale nel corso di questi riti segreti sono rimasti per lo più sconosciuti.

Tuttavia, il kykeon, la sacra pozione che svolgeva un ruolo cruciale nei misteri eleusini era molto probabilmente una mistura contenete alcaloidi di segale cornuta, simile all’LSD. È anche molto probabile che nei baccanali e in altri tipi di rituali fossero implicate sostanze psichedeliche.

Negli stati olotropici questo materiale mitologico emerge spontaneamente dalle profondità della psiche senza alcuna programmazione e spesso sorprende tutti coloro che vi sono coinvolti.
Immagini archetipiche e intere scene tratte dalla mitologia di varie culture spesso appaiono nelle esperienze di individui che non hanno alcuna cognizione delle figure mitiche e dei temi in cui si imbattono. 


Fonte: l'ultimo viaggioStanislav Grof  

mercoledì 28 settembre 2011

Il libro rosso – C. G. Jung

La grandezza dell’uomo è di essere un ponte non uno scopo: nell’uomo si può amare il fatto che egli sia una transizione e un tramonto. Io amo coloro che non sanno vivere se non tramontando poiché essi sono una transizione.
Così parlò Zarathustra

Tu sei immagine del mondo infinito, in te dimora ogni ultimo segreto del nascere e del morire. Se non possedessi già tutto questo, come potresti riconoscerlo?

Nell’accostarvi alla vostra anima vi accorgerete per prima cosa della mancanza di un senso.
Crederete di sprofondare nell’eterno disordine. Nulla vi potrà salvare dal disordine e dalla mancanza di senso, perché essi costituiscono l’altra metà del mondo.
Il vostro Dio è bambino nella misura in cui voi siete infantili. Il bambino è forse ordine, senso? Ordine e senso sono aspetti di ciò che è già diventato e non di ciò che è in divenire.
Aprite la porta dell’anima affinché nel vostro ordine e nel vostro senso possano affluire le oscure correnti del caos.
Sposate il caos con ciò che è ordinato e darete vita al bambino divino, al senso superiore che è al di là di senso e non senso.

Dovete ancora imparare a non soccombere alle tentazioni, ma a compiere ogni cosa per vostra scelta; allora sarete liberi e avrete superato il Cristianesimo.

Il mio Sé è un arido deserto polveroso. Ho forse vissuto troppo al di fuori di me, nelle persone,
nelle cose? Perché ho evitato il mio Sé?
Non era forse caro a me stesso?
Dopo che non ero più le cose e le persone e i pensieri. Dovrei dunque elevarmi al di sopra dei miei pensieri per giungere al mio proprio Sé. Quindi il mio viaggio mi conduce lontano da cose e persone, nella solitudine.
Ma è solitudine restare soli con se stessi?
Probabilmente solo il Sé è un deserto.

L’intenzione limita, anzi esclude la vita …

Meister Eckhart sostiene che sul piano psichico bisogna essere in grado di lasciare accadere.

Se entri nel mondo dell’anima, sei simile a un folle.

Profondità e superficie devono mescolarsi, al fine di generare nuova vita. La nuova vita però non nasce al di fuori di noi, ma in noi stessi.

La vita non viene dalla cose, ma da noi. Tutto ciò che accade fuori è già accaduto.
Perciò chi osserva l’evento da fuori da fuori vede sempre soltanto ciò che è già stato e che è sempre uguale. Chi invece guarda da dentro sa che tutto è nuovo. Le cose che accadono sono sempre le stesse. Non è sempre uguale invece la profondità creativa dell’essere umano.

Lo spirito del nostro tempo in noi governa ogni cosa, è il senso comune con cui oggi pensiamo e agiamo. Ha un potere spaventoso, perché ha portato a questo mondo beni incalcolabili. E avvinto l’uomo con incredibili piaceri.
Si adorna delle migliori virtù eroiche e vorrebbe sollevare l’umanità a splendide e radiose altezze, in un’ascesa inarrestabile.

Noi viviamo anche nei nostri sogni, non viviamo solo durante il giorno. Talvolta compiamo in sogno le nostre maggiori imprese.

Questo vi fa sorridere? Lo spirito di questo tempo vorrebbe farvi credere che il profondo non sia un mondo reale.

Devi deporre ogni giudizio, ma soprattutto l’orgoglio, anche se è fondato sui meriti.
Oltrepassa il varco sentendoti totalmente povero, misero, umile e ignorante. Volgi la tua ira contro te stesso, perché sei solo tu a impedirti di vedere e di vivere.

Se cerchiamo di immedesimarci nei segreti umani del malato, anche la follia svela il suo sistema, e noi riconosciamo nella malattia mentale, soltanto una reazione insolita a problemi affettivi, che non sono estranei a nessuno di noi.

I miti sarebbero simboli della libido e ne rappresenterebbero i tipici movimenti.

Jung sostenne l’esistenza dei miti tipici, corrispondenti allo sviluppo etnopsicologico dei cosiddetti complessi e sulla scia di Jacob Burckhardt li denominò “immagini primordiali”.
Attribuì un ruolo centrale al mito dell’Eroe (rappresentazione della vita dell’individuo che aspira a rendersi indipendente e a liberarsi dalla madre).

Chi è privo di un mito è un uomo che non ha radici, senza un vero rapporto con il passato, con la vita degli antenati e con la società umana del suo tempo.

Così Jung si mise alla ricerca del proprio mito, della propria equazione personale.

Nei casi di nevrosi e psicosi, l’inconscio, cerca di compensare l’unilateralità dell’atteggiamento cosciente. L’individuo squilibrato si difende da questi tentativi dell’inconscio e così innesca un processo di progressiva polarizzazione degli opposti. Gli impulsi correttivi che emergono attraverso il linguaggio dell’inconscio dovrebbero avviare un processo di guarigione, ma ciò non accade perché essi irrompono in una forma che li rende inaccessibili alla coscienza.
Quando il Sopra e il Sotto sono disgiunti lei si scinde in tre parti:

  • un serpente
  • l’anima umana
  • uccello, anima celeste in contatto con gli dei

Jung comprende di avere servito fino ad allora lo “spirito del nostro tempo” con i suoi valori e codici di comportamento, ma che oltre a questo vi è uno “spirito del profondo” che conduce alla realtà dell’anima.

Nei suoi tardi Ricordi, i due spiriti corrispondono a: personalità numero 1, e personalità numero 2.
E la fase rappresentata nel Liber può essere vista come un ritorno ai valori della personalità 2.

Secondo Jung, il valore delle sue fantasie consisteva nel fatto di scaturire dall’immaginazione mitopoietica, una facoltà che lo spirito razionalistico dell’epoca moderna gli sembrava aver perduto.

L’individuazione persegue l’obiettivo di istituire un dialogo con le figure fantastiche del mondo interno – cioè con i contenuti dell’inconscio collettivo – affinché vengano integrate nella coscienza, in modo da riattivare la funzione dell’immaginazione mitopoietica e riconciliare così lo spirito del tempo con lo spirito del profondo.

  • Esistenza di immagini mitiche
  • Esistenza di un’energia psichica non sessuale
  • Classificazione dei tipi psicologici secondo i due orientamenti generali dell’introversione e dell’estroversione
  • Funzione compensatoria dei sogni
  • Approccio sintetico e costruttivo alle fantasie

Fece un tentativo di enucleare una rappresentazione temporale di un nuovo più elevato sviluppo, a cui diede il nome di processo di individuazione.

La struttura dell’inconscio
Inconscio personale (materiali acquisiti durante l’esistenza individuale insieme a fattori psicologici che potrebbero diventare coscienti)
Inconscio impersonale o psiche collettiva (ereditata).

Non è poco confessare a se stessi il proprio vero desiderio … se non ammetti di fronte a te stesso il tuo desiderio, allora non seguirai te stesso, ma strade estranee che altri hanno tracciato per te.

Non puoi mai vivere realmente la vita dell’Altro, fai solo finta, inganni l’Altro e te stesso, perché tu puoi vivere solo la vita che ti appartiene.

Se rinunci al tuo Sé, lo vivrai nell’Altro; in tal modo sarai egoista verso l’altra persona, e la ingannerai.
Tutti credono che una vita del genere sia possibile, ma è solo un’imitazione scimmiottesca. Sai perché non riesci a liberati dal tuo lato scimmia? Per paura di restare solo e di dovere soccombere.

Vivere per se stessi significa essere un compito per se stessi. Non puoi mai dire che vivere per se stessi sia un piacere. Non sarà una gioia, ma una lunga sofferenza, perché devi farti creatore di te stesso. Se vuoi crearti, non comincerai certo dai lati migliori e più elevati, ma da quelli peggiori e infimi.
Perciò di pure che ti disgusta vivere te stesso.

I pensieri crescono in me come una foresta popolata da molte specie di animali. Ma l’uomo è imperioso nel suo pensare e così stronca il piacere, della foresta e degli animali selvatici. L’uomo è violento nel suo desiderio e diventa lui stesso foresta e selvaggina.

Nulla è perfetto, e molto vi è di contradditorio. La via della vita è trasformazione non esclusione.

Prepensare (idea) significa stare soli. Amare significa invece stare insieme.
Amore e prepensiero si trovano nel medesimo luogo. L’amore non può esistere senza il prepensiero, né il prepensiero senza l’amore.
L’uomo è sempre troppo presente nell’uno o nell’altro. Questo dipende dalla natura umana. Animali e piante paiono avere a sufficienza da ogni parte, solo l’uomo oscilla tra il troppo e il troppo poco.


Fonte: Il LIBRO ROSSO

martedì 29 marzo 2011

La via del risveglio secondo Meyrink

http://www.rodoni.ch/zemlinski/PRAGA/meyrink.html

Il principio è ciò che all’uomo manca. E non che sia tanto difficile trovarlo. E’ anzi proprio il preconcetto di doverlo trovare che costituisce impedimento. La vita è piena di grazia; ad ogni istante essa ci dona un principio. Ad ogni secondo siamo investiti dalla domanda: «Chi sono io?». Noi non la poniamo. E quest’è la ragione per cui non troviamo il principio. Se però una volta seriamente la poniamo, già spunta il giorno, il cui rosso tramonto significa morte per quei pensieri che sono penetrati nell’aula dei Re e vivono da parassiti alla mensa dell’anima nostra. Lo scoglio corallifero ch’essi con diligenza da infusori si sono andati costruendo nel corso dei secoli e che noi chiamiamo «il nostro corpo», è opera loro ed è il luogo dove albergano e vanno prolificando. Noi dobbiamo innanzitutto aprire una breccia in questo scoglio di calce e colla e poi ridissolverlo in quello spirito ch’esso inizialmente era, se intendiamo riguadagnare il libero mare. I pensieri hanno costruito nell'arco dei secoli ciò che noi chiamiamo "il nostro corpo", in esso albergano e vi proliferano. Chi non impara a vedere in terra, di là non lo impara di certo. La chiave della potenza sulla natura inferiore è arrugginita fin dal diluvio. Essa si chiama: esser sveglio.

Essere svegli è tutto. Di nulla l’uomo è così fermamente persuaso quanto d’esser sveglio. In verità però egli è imprigionato in una rete di sonno e di sogno ch’egli stesso ha intessuto. Più fitta è questa rete e più potente signoreggia il sonno. Quelli che vi sono impigliati passano nella vita come un gregge avviato al macello, ottusi, indifferenti e senza pensieri. Esser svegli è tutto.
Il primo passo in questo senso è così facile che anche un bimbo lo sa fare; solo il maltolto ha disimparato a camminare e resta paralizzato d’ambo i piedi perché non vuol fare a meno delle stampelle che ha ereditato dai suoi antenati. Sii sveglio qualunque cosa tu imprenda! Non credere d’esserlo diggià. No: tu dormi e sogni. 
Irrigidisciti tutto, raccogliti bene e costringiti un momento solo alla sensazione che ti traversa con un brivido il corpo: «ORA SONO SVEGLIO!». Se ti riesce di sentire questo, riconoscerai pure d’un tratto che lo stato in cui solo un istante prima ti trovavi non appare al confronto che come stordimento e sonnolenza.

Ed è questo il primo passo esitante per un lungo, lungo migrare dalla servitù all’onnipotenza. Cammina in questo modo da risveglio a risveglio. Non v’è pensiero tormentoso che cosi tu non possa bandire; esso resta indietro e non può più sollevarsi fino a te; tu lo sovrasti, così come la corona di un albero cresce spaziando al disopra dei rami inariditi. Cadranno da te i dolori come foglie appassite, una volta che tu sia tanto innanzi, che codesto risveglio s’impossessi del tuo stesso corpo.
Le gelide immersioni degli Ebrei e dei Bráhmani, le notturne veglie dei discepoli del Buddha e degli asceti cristiani, i supplizi inflittisi dai fachiri indù per non addormentarsi, altro non sono che riti esteriori cristallizzati, frantumi di colonne che rivelano ai cercatori: «Qui in grigi evi lontani s’erigeva un tempio arcano al “Volere esser svegli “».

Leggi le sacre scritture d’ogni popolo della terra: passa traverso esse tutte il filo rosso della dottrina arcana del risveglio. E’ la Scala Celeste di Giacobbe che lottò con l’angelo del Signore tutta la «notte» finché non si fece «giorno», ed egli riportò vittoria. Dall’uno all’altro gradino di un risveglio sempre più chiaro e distinto tu devi salire se vuoi uccidere la morte, la cui corazza ha per piastre il sonno, il sogno e lo stordimento.
Pensa soltanto che l’infimo gradino di codesta Scala Celeste si chiama genio. 

Che nome dovremmo dare allora ai più alti gradi? Essi restano ignoti alle moltitudini e vengono ritenuti leggenda. Sulla via del risveglio il primo nemico che ti sbarrerà il passo sarà il tuo stesso corpo. Fino al primo canto del gallo egli combatterà contro di te. Quando però tu sia riuscito a vedere il giorno dell’eterno risveglio che ti stranierà dalla schiera dei sonnambuli che credono d’esser uomini e non sanno d’esser degli dèi dormienti, allora sparirà per te anche il sonno del corpo e l’universo intero ti sarà soggetto.

Allora potrai fare miracoli se vorrai e non dovrai attendere, umile, gemendo schiavo, che un crudele Iddio si compiaccia di farti grazia o di farti spiccare la testa. 
Certo: la felicità del cane fedele e scodinzolante, quella di sapere un padrone sopra di sè a cui si possa servire, codesta felicità s’infrangerà per te. Ma intèrrogati bene e rispondimi: Vorresti tu cambiarti, uomo quale oggi sei ancora, col tuo cane? 
Ognuno che senta la terra come una prigione, ogni credente che invoca la redenzione, tutti costoro evocano inconsciamente il mondo dei fantasmi. Fallo anche tu, ma con coscienza. 
Ci sarà, per coloro che lo fanno inconsciamente, una mano invisibile che magicamente tramuti in terraferma le paludi in cui essi necessariamente devono finire? Non lo so. Non voglio contestarlo ma non ci credo.

Quando sulla via del risveglio passerai per il mondo dei fantasmi*, riconoscerai che altro non sono se non pensieri che tu vedi con gli occhi. Quest’è la ragione per cui essi ti sono inconsueti e t’appaiono quali larve. Poiché il linguaggio delle forme è diverso dall’idioma del cervello.

*il mondo dei fantasmi o astrale non è che quello di forze profonde, in parte individuali, in parte collettive e superindividuali agenti nell’uomo integralmente considerato. Tali forze, non appena la coscienza sia svincolata dalla sua connessione col cervello si proiettano e visualizzano in immagini simboliche. L’uomo vede allora come un’esteriorità ciò che prima, essendogli interiore, non poteva realmente conoscere. 
Nel mondo dei fantasmi, egli può dunque conoscere se stesso. Allora le apparizioni si rivelano larve, fantasmi e subentra un temibile senso di solitudine. Questa esperienza è pertanto superata da un’altra il “Senso più profondo” di ciascuna apparizione: dalle varie energie, di cui le immagini astrali sono simbolo, si può effettivamente risalire ad enti reali e cosmici, al cui influsso l’uomo ha soggiaciuto e che sono stati essenziali per la sua vita. 
Se un fuoco di conoscenza e di purificazione arde il mondo dei fantasmi affiora da esso la prima esperienza del regno di “ COLORO CHE SONO”. 

Ed è arrivato allora quell’istante nel tempo in cui si compie la strana permutazione che in te può avvenire: dagli uomini che ti circondano vengono fuori degli spettri. Tutti coloro che ti sono stati cari, diventano d’improvviso larve. Perfino il tuo stesso corpo, è la più terrificante delle solitudini che pensare si possa, è un pellegrinar nel deserto e chi in esso non trova la fonte della vita, muore di sete. Questo è il segno, la stimmata, di tutti coloro che sono morsi dalla “SERPE  DEL MONDO SPIRITUALE”. 

Sembra quasi che due vite debbano innestarsi in noi prima che il miracolo del risveglio possa compiersi. Quel che di solito è disciolto dalla morte, avviene in questo caso per lo svanire dei ricordi, talora per un improvviso intero capovolgimento.
Gli uomini tutti potrebbero arrivare a questo. E la chiave si trova puramente e semplicemente nel rendersi conto della «forma del proprio Io», della propria pelle, vorrei dire, immersi che si sia nel sonno; nel discoprire la stretta fessura traverso la quale la coscienza si fa strada fra lo strato di veglia e quello del sonno più profondo.
La lotta per l’immortalità è una battaglia per il dominio sui suoni e sui fantasmi che hanno in noi la loro dimora; e l’attesa del nostro “IO” di diventare RE , è quanto aspettare il MESSIA.
Tutto ciò che io ti ho detto si trova nei libri dei religiosi di ogni popolo: l’avvento d’un nuovo Regno, la veglia la vittoria sul corpo e la solitudine. Eppure da codesti religiosi ci divide un abisso senza ponti. 

Essi credono che un giorno si avvicini. In cui i buoni entreranno in paradiso e i cattivi saranno sommersi nelle voragini dell’inferno. Noi sappiamo che tempo verrà in cui molti si ridesteranno e verranno divisi dai dormienti. Noi sappiamo che non esiste né il bene né il male, ma soltanto il vero e il falso. 
Essi credono che lo star desti sia tenere aperti i sensi, gli occhi ed eretti il corpo durante la notte, perché l’uomo possa recitare le sue preghiere. Noi sappiamo che lo star desti equivale al risveglio dell’ Io immortale di cui l’insonne stato del corpo non è che la naturale conseguenza. 
Essi credono che il corpo debba venir trascurato e sia da tenersi vile perché peccaminoso. Noi sappiamo che il peccato non esiste; che il corpo è il principio con il quale dobbiamo  incominciare e che noi non siamo discesi sulla terra per trasformarlo in spirito. 
Essi credono che occorra andare col proprio corpo in solitudine per purificare lo spirito. Noi sappiamo che innanzi tutto è il nostro spirito che deve andare in solitudine per trasfigurare il corpo. 

Da te solo dipende di scegliere la tua vita – la nostra oppure la loro. A decidere dev’essere la tua libera volontà.
Ti ho detto che il principio della vita è lo stesso nostro corpo. Chi sa questo potrà ad ogni istante mettersi in cammino.

Adesso voglio insegnarti i primi passi.
Tu devi distaccarti dal corpo, ma non come se tu lo volessi abbandonare. Devi scioglierti da esso come uno che separi la luce dal calore. Già a questa svolta guata il primo nemico. Chi si strappa dal proprio corpo per volare attraverso lo spazio percorre la via delle streghe, che han tratto dal loro rozzo involucro terrestre un corpo di fantasma su cui esse cavalcano, come su di un manico di scopa, nella notte di Valpurga. Le streghe credono di essere al sabba del diavolo, mentre il loro corpo giace in realtà privo di sensi e rigido nella loro camera.
Le streghe credono d’esser al sabba del diavolo, mentre il loro corpo giace in realtà privo di sensi e rigido nella loro camera. Esse scambiano semplicemente la loro percezione terrestre con quella spirituale; perdono il meglio per acquistar la parte peggiore; il loro è un depauperarsi, anziché arricchirsi.
Giacché puoi capire che non è questa la via verso il risveglio. Per comprendere che tu non sei il tuo corpo – come gli uomini credono di sé stessi – devi renderti conto delle armi di cui esso usa per poter conservare il dominio su di te. Certo che adesso stai ancora in sua balia, che la tua vita si spegne se il suo cuore cessa di battere e che t’affondi nella notte non appena esso chiude gli occhi. Tu credi di poterlo muovere, ma è un’illusione: è , al contrario lui che si muove e che solamente prende in aiuto da te la tua volontà. 

Tu credi di creare pensieri. No, è esso che te li manda, perché tu creda ch’essi provengano da te e perché tu faccia tutto ciò che esso vuole. 

Mettiti a sedere ben dritto e proponiti di non muover membro né di batter ciglio e di restartene immobile come una colonna e allora vedrai come esso avvampato d’odio si precipiti su di te e ti voglia costringere ad essergli di nuovo soggetto. Con mille armi esso t’assalirà e non ti darà pace fino a che non gli abbia di nuovo permesso di muoversi. Dalla sua ira feroce, dalla precipitata maniera di combattere per cui esso lancerà freccia su freccia contro di te, potrai accorgerti, se sei accorto, di quanto esso tema per il suo dominio e quanto sia grande la tua potenza , dalla quale esso mostra d’aver tanta paura. 
Dominare il tuo corpo non deve essere lo scopo ultimo che tu persegui. Quando tu gli proibisci di muoversi lo devi fare soltanto per arrivare a conoscere le forze sulle quali si esercita il suo dominio. E sono legioni, quasi insoggettabili per quantità. Esso le lancerà a battagliare contro di te, l’una dopo l’altra se tu non desisterai dal tenergli testa col mezzo, apparentemente così semplice dello stare seduto ed immobile. 
Sarà prima la brutalità rude dei muscoli che vogliono tremare e sussultare; poi il bollore del sangue che ti imperlerà il viso di sudore; e il martellamento del cuore; e la pelle percorsa da brividi così freddi da far rizzare i capelli; e l’oscillazione del corpo che ti prende, come se l’asse di gravità si fosse spostato. Tutte codeste forze tu potrai fronteggiare e vincere, e, in apparenza, grazie alla volontà. Ma non sarà la volontà soltanto: sarà in effetti un risvegliarsi superiore che le sta dietro, invisibile come per la magica virtù dell’elmo di Sigfrido.
Ma anche questa vittoria è priva di valore. Perfino se tu riuscirai a renderti signore del respiro e del battito del cuore, non saresti che un fachiro un «povero», per dirla in povere parole. I campioni che in seguito il tuo corpo manda a fronteggiarti sono gli inafferrabili sciami di mosche dei pensieri. Contro di essi non giova la spada della volontà. Più selvaggiamente tu la vibri contro di loro e più rabbiosi essi ti ronzano intorno e se, per un momento, ti riesce di levarteli di torno, ecco che tu cadi in letargo e sei vinto in un altro modo.
Imporre ad essi di stare fermi è fatica sprecata. C’è solo un modo di scampare da essi: passare ad un grado superiore di risveglio. 

Come tu debba incominciare per arrivarvi, è cosa che tu devi imparare da te. È un continuo prudente andar a tastoni col sentimento, ed è nel contempo un ferreo proposito. Questo è tutto ciò che te ne posso dire. Ogni consiglio che ti si voglia dare riguardo codesta lotta tormentosa è veleno. Qui c’è uno scoglio ad evitare ed a sorpassare, al che non puoi provveder che tu stesso.

Raggiunto che tu abbia questo stato, s’avanza il regno degli spettri del quale già t’ho parlato. Apparizioni spaventevoli o radianti di luci ti si manifesteranno e vorranno farti credere da te esseri soprannaturali. E invece non sono che pensieri in forma visibile sui quali ancora non hai piena potenza.
Più solennemente essi s’atteggiano, più perniciosi sono: rammentalo! Quando però tu abbia trovato il «senso più profondo» che si nasconde in ognuna di queste larve di esseri, tu riuscirai a vedere con l’occhio dello spirito non solo il loro nucleo vivo, ma il tuo stesso. E allora tutto quel che ti sia stato tolto, ti verrà mille volte restituito, come a Giobbe; allora tu sarai di nuovo dov’eri una volta, come volentieri affermeranno ironizzando gli stolti. Non sanno essi che è ben diverso rimpatriare dopo essere stati lungamente in terra straniera, dall’esser sempre rimasti a casa.

Se a te sia fatta parte della stesse forze miracolose dei profeti dell’antichità, o se invece ti sia riservato l’entrare nell’eterna pace è cosa che nessuno può sapere. 
La nostra via porta fino al gradino della maturità. Arrivato che tu sia ad essa sei anche degno di ricevere quel dono.
Una fenice tu sarai diventato in entrambi i casi. Ottener di violenza quel dono è cosa che sta in tuo potere.

Uno tra coloro che conservano la chiave della magia è rimasti in terra e cerca e raduna i suoi chiamati. Così come lui non può morire, non può morire la leggenda che circola su di lui. Sussurrano alcuni che egli sia l’Ebreo errante, altri lo chiamano Elia; gli gnostici sostengono che si tratti di Giovanni Evangelista. Ed è soltanto naturale che ognuno lo veda diversamente un essere, che, come lui, abbia trasmutato il suo corpo in spirito, non può più restare legato alla rigidità d’una qualunque forma. Immortale in verità, non è che l’uomo risvegliato. Astri e Iddii tramontano, egli solo resta e può mandare a compimento tutto quel che egli vuole. Non c’è Dio sopra di lui. Non per niente la nostra via è detta una via pagana. Ciò che il religioso ritiene Dio, non è che uno stato che egli potrebbe raggiungere se fosse capace di credere in se stesso. Egli si crea un’immagine per adorarla, invece di trasformarsi in essa. Se puoi pregare prega il tuo invisibile te stesso. Egli è l’unico Dio che esaudisce le tue preghiere. Gli altri Iddii ti porgono pietre invece di pane. 

… Quando il tuo invisibile te stesso apparirà in te come autista, tu potrai riconoscerlo dal fatto che getterà un’ombra. Io stesso non sapevo chi io mi fossi, fino a quando non ebbi a vedere il mio corpo come un’ombra. 

Tratto da Introduzione alla magia, La via del risveglio secondo Gustavo Meyrink, vol. 1., Edizioni Mediterranee, Roma, ristampa 1987



Da tempo quando mi capita qualcosa sotto gli occhi non cerco più di sapere a che cosa serve, non serve affatto, si fa solo servire. 
Ne ho abbastanza di recitare sempre la solita solfa culturale: prima la pace per preparare la guerra , poi la guerra per riconquistare la pace e così via. Voglio essere un punto a fine frase e non restare virgola in eterno. 
Raggiungere il sorriso eterno è più difficile che scovare fra le migliaia di tombe su questa terra il teschio portato sulle spalle in una precedente vita. L’uomo dovrà aver pianto tutte le sue vecchie lacrime prima di poter osservare il mondo con occhi nuovi, sorridendo. E se pure è davvero difficile il teschio lo si cerca, eccome!


domenica 27 marzo 2011

La conoscenza delle acque - Abraxa

Sia gli Aztechi che i Maya adoravano una divinità che chiamavano Kukulklan (uccello-serpente) disegnato con il corpo di serpente e la testa di un gallo, una figura simile si trova anche sul gran sigillo del Gran Maestro dei Templari in Francia. Abraxas è colui che viene chiamato nell’esoterismo occidentale "Grande Architetto dell’Universo". Era uno dei sigilli dei templari insieme al drago.

La vita elementare degli esseri tutti, senza eccezione, è retta dal profondo da una Forza primordiale. La natura di questa Forza è brama: un appetito che non ha mai soddisfazione, un abbattersi che non conosce termine, irresistibile necessità e cieco, selvaggio volere. Divenire, trasformazione disordinata caotica, incoercibile flusso - generazione - distruzione, attrazione - repulsione, terrore - desiderio, formazione - dissolvimento composte in una mescolanza ignea senza riposo sono l'essenza di questa primordiale cosmica natura. Come una meraviglia e come uno spavento ne parlarono i Saggi. Così la chiamarono: Fuoco universale e vivente, Drago verde, Quintessenza, Sostanza prima, Grande Agente magico. Principio dell'opera universale, è anche il principio della loro «Grande Opera»; perché uno stesso è il Magistero della Creazione e il Magistero con cui, secondo l'Arte, l'uomo costruisce sè stesso. Questa nostra Materia non è una astrazione della filosofia profana né idea di mito né favola, ma invece una realtà vivente e possente, spirito e vitalità della Vita. La razza degli uomini non la conosce. Una provvidenziale legge naturale la cela alla coscienza loro con lo spettacolo-illusione dei fenomeni materiali, della realtà solida senza la quale nessuna requie, nessuna tranquillità per la loro vita. E vuole, la stessa legge, che questo velo di ignoranza sia rimosso, l'occhio del Sapere dischiuso solamente nel punto della crescenza e della presenza di una forza forte abbastanza per sopportare la visione. Sappi dunque che la Vita della tua vita è in Lei. Spiala. Essa si palesa, ad esempio, in tutti i momenti di subito pericolo. Sia la velocità di un'auto su di te, distratto nella via. Sia il venir meno del terreno sotto di te per l'aprirsi di un crepaccio. Sia un carbone ardente senza fiamma o una cosa elettrizzata che hai toccato inavvertitamente. Ecco: in reazione subita si afferma una cosa pronta, violenta, rapidissima. È la tua «volontà», la tua «coscienza», il tuo «io »? No. Non è la tua volontà, la tua coscienza, il tuo io, che giungono solamente dopo, a gesto compiuto. Là, erano assenti, scavalcati. Qualcosa di più profondo, di più veloce, di più assoluto di tutto ciò si è fatto palese, si è imposto, ha agito. Portati alla fame, portati al terrore, portati alla brama sessuale, al panico ed allo spasimo e indomita, violenta, tenebrosa, di nuovo la vedrai. E se tali suoi denudamenti te ne danno la sensazione tu potrai conoscerla gradatamente anche come il fondo invisibile dell'intera tua vita di veglia. Le radici sotterranee delle inclinazioni, delle fedi, degli atavismi, delle convinzioni invincibili ed irrazionali; le abitudini, il carattere, tutto che vive in te come animalità, come razza biologica, tutta la volontà del corpo, cieca ebbra volontà di vivere, covante generazione conservazione prosecuzione; tutto questo si ricongiunge e si con-fonde con lo stesso principio. Di fronte ad esso, di solito non ti è data che la libertà di un cane legato ad una catena. Tu non l'avverti - e ti credi libero - finché non passi un certo limite. Ma se vai oltre, essa si tende e ti arresta. Oppure ti giuoca: ti muovi in circolo e non te ne accorgi. Non ti illudere: anche le «cose supreme» obbediscono a questo dio. Diffida: tanto più intimamente ed aderentemente per quanto più sembrano indipendenti e liberate, secondo la magia dell'ebbrezza, esse gli obbediscono. Che importa a Lei l'una o l'altra forma, l'una o l'altra «ragione» con cui credi di giustificarti, pur che si affermi il suo conato profondo! Travestita, essa ribadisce il suo vincolo. Spia anche questa forza, e conoscila, nella selvaggia possanza dell'immaginazione e della suggestione. È di nuovo una rapidità che fissa e incatena - e nulla tu puoi, quando essa sia; più «vuoi» contro di essa, più la alimenterai a tuo danno. È lo spavento che si moltiplica, più tu lo scacci. È il sonno che fugge finché ti «sforzi» di dormire. Una stretta tavola sull'abisso: è la suggestione del cadere; e tu certo, sicuramente, cadrai se ti imponi di passare, «volendo» contro di essa. È la fiamma della passione, che più acre si innalza per quanto più la tua «coscienza» si sforza di soffocarla, e non scompare che per passare dentro, ad avvelenarti tutto! Qui, di nuovo, è Lei, erompe Lei. Sii consapevole che questo Ente che si amalgama con quello delle potenze emotive ed irrazionali, scende poi giù, ad identificarsi con la stessa forza che regge le funzioni profonde della vita fisica. «Volontà», «pensiero», «io», che possono, su coteste funzioni? Ad esse sono esterni. Simili a parassiti ne vivono, traendone le linfe essenziali pur senza poter scendere dentro fino al tronco profondo. Con arma tagliente, senza paura, scava. Dì, dunque: "Di questo mio corpo, che posso giustificare con la mia volontà? Voglio io il mio respiro? Il fuoco delle mescolanze in cui arde il cibo? Voglio io la mia forma, la mia carne, questo uomo determinato cosi, vivente cosi, felice od infelice, nobile o volgare? Ma se domando ciò, non debbo anche andare piu oltre ancora? La «mia» volontà, la «mia» coscienza, il «mio» io, li voglio - o li sono soltanto? Perché tutto che posso dire di volere, dovrei anche poterlo non volere, e quindi anche essere, senza di esso. E l'io, già, il «mio» io: lo posseggo, o è lui che possiede me?" Tu che ti sei appressato alla «Scienza dei Maghi», sii forte abbastanza per questa conoscenza: Tu non sei vita in te. Tu non esisti. «Mio», non puoi dirlo di nulla. La Vita, non la possiedi - è essa che ti possiede. La soffri. Ed è un miraggio, che questo fantasma di «io» possa sussistere immortale al disfarsi del corpo, quasi che tutto non ti dicesse che la correlazione con questo corpo gli è essenziale, che un malessere, un trauma, un accidente qualsiasi hanno un'influenza precisa sulle facoltà sue, per «spirituali» e «superiori» che esse siano! Ed ora distogliti da te, discendi oltre la soglia, in ritmi di analogia-sensazione, sempre più giù nelle oscure profondità della forza che regge il corpo tuo. Qui essa perde nome ed individuazione. Allora sarà la sensazione di tale forza che si allarga a riprendere «me» e «non-me», a pervadere tutta la natura, a sostanziare il tempo, a trasportare miriadi di esseri come se fossero ebbri o ipnotizzati, riaffermandosi in mille forme, irresistibile, selvaggia, priva di limiti, arsa da una eterna insufficienza e privazione. «Ciò è» - cosi pensa. Se questo sapere a te ti riconduce, e, ghiacciato da gelo mortale, senti l'abisso aperto: «In ciò io sono» - tu qui hai conseguito la CONOSCENZA DELLE «ACQUE».

Fonte: Introduzione alla magia, Conoscenza delle acque, vol. 1., Edizioni Mediterranee, Roma, ristampa 1987