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sabato 21 gennaio 2017

Lavoro pratico su sè stessi - E.J. Gold

CAPITOLO 2

LO STAGNO

La macchina non ha una vera emozione. Ciò che in noi chiamiamo “emozioni” sono solo riflessi automatici del centro mentale in risposta alle riverberazioni organiche del centro motorio. Rimuovere gli effetti di tali riverberazioni elimina in noi stessi la maggior parte della nostra negatività e della sofferenza meccanica.

Ogni macchina biologica umana, a seconda delle sue caratteristiche, ha il suo repertorio particolare di reazioni mentali riflesse nei confronti di shock, ed anche nei confronti di stimoli ed influenze estremamente moderati, provenienti dalla memoria. Ogni macchina ha anche una corrispondente sensibilità ad alcuni shock e non ad altri. Gli shock sono conseguenze organiche di impressioni che attraversano la macchina, il cui impatto determinato anche dalle risposte del centro mentale della macchina a ciò che essa pensa di sentire riguardo a ciò che sperimenta. Poiché noi, vale a dire il sé non-fenomenico, non abbiamo alcuna volontà sopra la macchina, quando i vari shock ed impressioni esercitano il loro impatto sulla macchina, noi non siamo capaci di  impedire ai corrispondenti shock organici di irradiare da ciascun centro, espandendosi e riverberando attraverso l’intero sistema organico, incluse le ossa, il sistema delle ghiandole linfatiche, il tessuto muscolare, gli organi d’ingestione e di eliminazione, il flusso sanguigno, il cervello superiore ed il sistema nervoso. Fossimo tanto sciocchi da tentare di ingerire cibo, eliminare i rifiuti o ragionare mentalmente tra noi, durante tali disturbi organici, il cibo avrebbe un gusto terribile, i nostri affari e relazioni romantiche ne soffrirebbero e gli stessi intestini si rifiuterebbero di fare il loro lavoro. Noi tutti soffriamo di queste involontarie riverberazioni della macchina, specialmente quando la essa reagisce negativamente a questi disturbi e ci trascina con sé. Consideriamo la macchina biologica come un calmo specchio d’acqua, uno stagno, e lo shock delle impressioni come un sasso che vi gettiamo. In questo caso, le increspature nell’acqua rappresentano le riverberazioni organiche delle emozioni negative. Come ci possiamo aspettare, certi tipi di sasso producono maggiori shock organici di altri. Quando qualche disturbo produce un urto sul centro motorio-riflessivo, è come un sasso gettato nell’acqua; le increspature si irradiano attraverso la macchina in conseguenza dell’impatto pseudo-emotivo. Nell’esempio del sasso che affonda nell’acqua, dobbiamo esser consapevoli che le riverberazioni non avvengono solo in superficie, ma anche sotto la stessa. Pur non potendo osservare direttamente queste riverberazioni sott’acqua, possiamo arrivare a capire che esse sono molto potenti e che hanno una profonda influenza sui nostri stati interiori. Naturalmente noi desideriamo tenere calmo ed indisturbato il nostro bello stagno, specialmente quando vi cade dentro un sasso a disturbare la nostra calma illusoria. Per mantenere la macchina in stato di veglia, dobbiamo aver la volontà di compiere ogni sforzo possibile per minimizzare il caos, all’interno della macchina, prodotto dall’impatto devastante di queste emozioni negative. Potremmo nasconderci in una grotta, sperando di evitare del tutto i sassi. 

Questa è la via del monaco, che si isola dalle influenze organiche più basse, sperando di poter restare ricettivo solo alle influenze che provengono dalle dimensioni superiori. Ma, a lungo andare, questo non l’aiuta, e non aiuta neppure noi. Nella vita ordinaria non possiamo impedire a questi sassi di cadere. Non abbiamo alcuna autorità su questi “sassi” (stanti a significare gli shock interni ed esterni) e neppure lo desideriamo. Possiamo però avere autorità su qualcosa. Ma cosa? Se speriamo di eliminare queste involontarie riverberazioni organiche di riflesso, dobbiamo esercitare autorità sulla macchina; non in maniera ordinaria, ma in modo molto speciale. Possiamo imparare ad “aprire le acque” prima che cada il sasso, così che la macchina biologica non offra resistenza al sasso e le riverberazioni non avvengano. In questo modo l’emozione negativa, al massimo, sarà soltanto momentanea. Questo esercizio è registrato nella tradizione Occidentale come L’Apertura del Mar Rosso. Anche nel corso della vita ordinaria, di quando in quando, possiamo aver notato che se nei dintorni si trova una persona che è per noi una “sorgente ambulante di emozioni negative”, nella macchina inizia a manifestarsi una sensazione corrispondente, che noi automaticamente classifichiamo come un’emozione e che ci sembra molto naturale. Può darsi che questa sensazione abbia origine nello stomaco, o che si manifesti in un irrigidimento nel torace, in una stretta alla gola, un ronzio o infischio nelle orecchie o delle fitte agli occhi. Dopo questa sensazione iniziale, dovremmo avere la capacità di sentire certe sensazioni organiche secondarie che riverberano attraverso la macchina, e che spariscono, vanno a morire molto lentamente, dopo essersi completamente amalgamate con la totalità delle vibrazioni che già stanno avvenendo nella macchina. Dopo breve tempo che queste riverberazioni secondarie iniziano a manifestarsi per tutta la macchina, dovremmo notare che il centro mentale ha preso una decisione: ha deciso che un qualche stato emotivo si è probabilmente attivato nella macchina, poiché rileva la presenza in essa di certe sensazioni che di solito vengono associate con un determinato stato emotivo. E questa è la totalità di ciò che osiamo chiamare in noi stessi “emozione”. Siamo incapaci di distinguere i veri stati d’animo del centro emozionale dagli shock mentali che riverberano inconseguenza di ordinarie sensazioni che hanno origine nel centro motorio, erroneamente identificate dal centro mentale come emozioni. Se fossimo capaci di osservare attivamente la macchina per un lungo periodo di tempo, noteremmo qualcosa di peculiare: che le sensazioni e le impressioni della macchina cambiano continuamente, indiretta relazione a queste riverberazioni organiche secondarie, che chiamiamo emozioni negative in quanto sono prodotte dalla macchina. L’uomo meccanico non ha emozioni. Ciò che chiama “emozioni” in realtà sono solo riflessi del centro motorio, collegati ai muscoli ed al sistema nervoso della macchina. Che emozione può esserci per una macchina biologica che funziona in modo meccanico secondo i suoi riflessi condizionati? Tali macchine hanno solo emozioni inferiori, emozioni immaginarie create dal centro mentale come reazione-di-riflesso ai disturbi che avvengono nel centro motorio. Non essendo vere emozioni, ma sensazioni dei centri motorio e riflessivo, a cui abbiamo imparato ad attaccare un significato mentale, e poiché hanno origine nella macchina, diamo loro il nome di emozioni negative. Se fossero prodotte intenzionalmente dal vero centro emozionale, non riverbererebbero attraverso tutta la macchina, e si chiamerebbero emozioni, non emozioni negative. L’emozione meccanica che sorge nel centro mentale è solo momentanea, perché è un riflesso dei muscoli; sembra essere più duratura solo perché vediamo il solco del suo passaggio distruttivo, le sue riverberazioni che si increspano attraverso i muscoli e gli organi interni.

Fonte: Lavoro pratico su sè stessi - E.J. Gold


mercoledì 21 dicembre 2016

Lavoro pratico su sè stessi - E.J. Gold

CAPITOLO 1 

RISVEGLIARE LA MACCHINA

Il sonno della macchina non produce trasformazione, né può farlo. Solo intensi sforzi per lottare contro la tendenza cadere in uno stato d’identificazione con il sonno della macchina possono produrre un cambiamento nell’Essere.

Dobbiamo renderci conto che per mezzo di dati mentali e ragionamenti non possiamo convincerci che la macchina è davvero addormentata, che l’Essere è identificato con il sonno della macchina, e che il senso e lo scopo della vita umana sulla Terra (vale a dire che la macchina biologica umana assuma la funzione di un apparato di trasformazione per la possibile evoluzione dell’Essere) non possono realizzarsi in una macchina addormentata. 
In ogni caso, da una pura angolazione mentale nessuno potrebbe vedere la situazione nella sua realtà. 
In breve, occorre uno shock intenzionale, un’esperienza personale tangibile, nella quale possiamo vedere da soli che questa non è solo un tipo di filosofia interessante, creata appositamente per il nostro svago. 
In qualche modo, noi stessi dobbiamo vedere, intuire e sentire che la macchina è veramente addormentata, potremmo anche vederla come morta, nel senso più macabro della parola. 
Fin quando non avremo visto per conto nostro, in modo definitivo, che la macchina è addormentata, e perciò non cosciente in alcun senso della parola, e che inoltre non possiamo diventare coscienti solo decidendo di svegliarla, non proveremo mai veramente la necessità di lavorare. 
Una volta intuito e sentito, anche solo momentaneamente, il sonno della macchina, istintivamente sapremo di poter scegliere una delle due soluzioni, se lasciar passare nel sonno quel che rimane della nostra vita, oppure se cominciare a compiere sforzi per svegliare la macchina. 
Precisamente, quattro forme di coscienza sono possibili per noi: 

  • Il sonno orizzontale
  • Il sonno verticale (o sonno deambulante)
  • Lo stato risvegliato
  • La trasformazione dell’Essere 

Il sonno orizzontale e quello verticale possiamo già produrli da soli senza l’aiuto di alcuna scuola. 
Di solito ci attribuiamo anche la terza forma di coscienza, ma in condizioni ordinarie non possiamo possederla, in quanto essa implica il risveglio della macchina biologica. Dobbiamo capire proprio fin dall’inizio che questa terza forma di coscienza non fa veramente parte del nostro repertorio; eppure lo Stato Risvegliato è una forma di coscienza così basilare della vita che fin da bambini, dalla nostra più tenera infanzia, avrebbe dovuto venirci insegnato come risvegliare la macchina in modo da poter vivere tutta la vita in questo stato; eppure nulla nel genere esiste nei moderni sistemi occidentali di educazione. Il risveglio della nostra macchina sta in relazione con la preparazione ad una vita di Lavoro, pressappoco come il giardino d’infanzia sta all’università. Se la civiltà fosse degna di tale nome, adesso non saremmo costretti ad iniziare il nostro lavoro ad un livello così pateticamente basso; ma dobbiamo trovare il coraggio di renderci conto di dove stiamo effettivamente, ed iniziare da lì, se non vogliamo cadere in un lavoro immaginario. La nostra coscienza ordinaria può essere paragonata ad un lavoratore metalmeccanico che si è addormentato mentre lavorava; eppure, solo perché il lavoro continua e la macchina in un modo o nell’altro si arrangia a mantenere automaticamente il suo equilibrio, non ci accorgiamo di esser caduti nell’ipnosi deambulatoria della macchina.
La macchina è condizionata a continuare le proprie attività mentali, emotive fisiche in modo del tutto meccanico. Le ordinarie attività della macchina non richiedono la nostra attenzione o la nostra presenza, neppure in minimo grado.
Quando per la prima volta ci avviciniamo al Lavoro, siamo più animali che spirituali, poiché abbiamo sacrificato la vera coscienza per uno stato in cui siamo guidati dalle meccaniche attività di routine della macchina, mentre essa fa girare la sua abituale macina dell’oblio. E poiché la parte non fenomenica di noi stessi, a causa dell’influenza ipnotica delle sensazioni, delle distrazioni e seduzioni mentali, cade in identificazione con il sonno della macchina, un giorno anche noi moriremo insieme alla macchina addormentata, non avendo mai sperimentato cosa significa veramente essere vivi dentro la macchina. Ordinariamente pensiamo di essere svegli, ma se la macchina è addormentata non sentiamo cosa veramente ciò significhi, e quindi, a tutti gli effetti, mentiamo a noi stessi. Di fatto, cadiamo in identificazione con le seduzioni sensoriali e le distrazioni mentali della macchina fin dal primo momento della sua nascita e manteniamo questo stato fino all’ultimo momento, quello della sua morte. 

Fonte: Lavoro pratico se sè stessi - E.J. Gold

mercoledì 7 gennaio 2015

La Via della Completezza - Robert De Ropp

Il reticolo del karma
IO SONO QUI ORA.
IO SONO. La piena consapevolezza del mio essere mi è data solo ogni tanto. Perché? Perché la maggior parte del tempo, io sono perso nella fantasia. Senza alcun dubbio io non sono qui ora. Sto vagando nel passato o sognando nel futuro, oppure sto pensando a qualcosa, sto speculando sopra qualcosa, sto parlando a qualcuno che non è neppure qui, sto immaginando, sto indulgendo. Che modo di vivere!

Ma il pieno senso di IO SONO mi viene dal ricordo. Insieme al ricordo viene una consapevolezza del luogo, il QUI, e del tempo, ORA. Ed interviene anche un senso di separazione, il sentimento di essere fuori dallo spazio-tempo, come un osservatore sulla riva del fiume del tempo, che guarda la corrente. Questo è zikr, il ricordo.

Auto-ricordo? Ma io ho molti sé, sono una vera nave di folli.
Quale sé ricordo?

Nessuno di essi. Questo sé è al di fuori dello spazio-tempo, è l’uccello bianco, il messaggero del pleroma, al di là dei cambiamenti, al di là della morte. 

Per l’IO SONO è anche possibile andare oltre la creatura, fondersi nel pleroma, l’Eterno Immutevole. Questo è l’ultimo stadio della Via, la liberazione finale. Non è possibile andare oltre.

Cosa è andato storto?
L’ominide primitivo, l’Homo erectus, da cui pare siamo discesi, aveva un volume cerebrale di appena 600 cc. Pare che l’homo erectus sia passato attraverso una serie di mutazioni all’incirca cinquecentontomila anni or sono. Tali mutazioni, tra cui probabilmente la riduzione della peluria corporea, consistettero principalmente in un notevole sviluppo del cranio e in una corrispondete espansione del cervello. Il risultato fu una nuova razza di ominidi, l’Homo sapiens, con un volume medio del cervello di 1.400 cc.

Fu proprio questa improvvisa crescita della neocorteccia a creare difficoltà nell’Homo sapiens. “Nel creare il cervello umano, la natura andò parecchio oltre le proprie intenzioni”, afferma Arthur Koestler nel suo libro Il fantasma nella macchina.

l’Uomo è vittima di un errore evolutivo, un errore nella costituzione del cervello. La Natura o Forza Mentale aveva troppa fretta: creò una magnifica neocorteccia senza mettere a punto una corrispondente catena di comandi per cui fosse assicurato il dominio di quel nuovo cervello, sede della ragione, sui vecchi cervelli, sede degli istinti e delle emozioni. Ne conseguì un primate nudo, altamente suggestionabile ed instabile, che viveva per lo più nel mondo della fantasia, pieno di illusioni paranoiche e crenicamente propenso al panico.

Schiavi e padroni
Cos’è il Lavoro?

Il Lavoro implica la trasformazione di uno schiavo confuso, dominato dall’illusione, in un padrone illuminato e integro, completo.

Lo schiavo non ha il controllo sulla propria vita, è spinto da forze esterne, è alla mercé di impressioni casuali, è schiavo delle abitudini, la maggioranza delle quali cattive. Inoltre è facile preda della credulità, della suggestionabilità, di speranze e paure.

Soprattutto lo schiavo è una creatura della fantasia. Abita in un mondo di sogni. È tagliato fuori dalla conoscenza del mondo reale da un meccanismo del suo cervello che genera illusione. Lo schiavo mente a se stesso riguardo a se stesso e ad ogni altra cosa. Non sa di mentire. È uno schiavo che sogna di essere libero. È un bugiardo che sogna di conoscere la verità.

Il padrone si è liberato dal meccanismo del cervello che produce l’illusione. È un abitante del mondo reale. Per entrare in questo mondo ha dovuto sacrificare i suoi sogni. Ha osato confrontarsi con la verità riguardo a se stesso ed ai suoi simili. È stato abbastanza forte ed astuto da fuggire dalla prigione dove gli schiavi passano la vita. È pianamente sveglio. Ha visto la verità e la verità lo ha reso libero. Ma ha pagato un prezzo estremamente alto per ottenere questa libertà.

Questa verità non è confortante, nemmeno un po’. Ci sono diversi miliardi di esseri umani legati come asini bendati alla ruota del mulino, spinti da dietro con il bastone della paura, allettati davanti con la carota della cupidigia. Il guardiano del Mulino, un grande e terribile spirito, si assicura che gli asini non cerchino di fuggire e lo fa mediante il semplice procedimento di ipnotizzarli, convincendoli che sono già liberi.

La stretta di questa ipnosi può essere allentata?

Non per la maggioranza degli asini. Ogni ben intenzionato liberatore che tenterà di svegliarli dal loro stato di sonno sarà certamente attaccato, picchiato e morso, per aver osato suggerir loro che sono schiavi. Un tale suggerimento toglie loro la loro più cara illusione, l’illusione di essere liberi e padroni del loro destino.

Come può succedere allora che qualcuno di questi schiavi riesca a sfuggire dal Mulino e si trasformi in un padrone?

La risposta è che molto pochi fuggono veramente. Il guardiano del Mulino, il terribile spirito che qualcuno chiama maya, altri il Diavolo o il Padre della menzogna, ha molti bei trucchi a sua disposizione. 

Lo Spirito della Menzogna sa che il suo atavico avversario, lo Spirito della Verità, a volte può influenzare gli asini ipnotizzati. Nella psiche umana c’è il desiderio di verità ma esso è debole se confrontato con il suo opponente, il desiderio di autoinganno.

Ma lo Spirito Menzognero sa come contrattaccare e neutralizzare il desiderio di verità prima che esso renda capaci gli schiavi di liberarsi dalle loro illusioni. Lo fa preparando una contraffazione, un’imitazione del Lavoro reale, un Lavoro illusorio. Ed è un questo Lavoro illusorio che così tanti schiavi restano intrappolati nel tentativo di fuggire. La lavoro illusorio li mette in condizione di credere che stanno lavorando su di sé, quando invece barattano solo un insieme di sogni con un altro.

Nel diagramma che ho chiamato gli “Stadi della Via”, si vede il Mulino circondato dalla Foresta. Gli schiavi che fuggono dal mulino entrano della Foresta e devono districarsi da esso, ancor prima che un vero lavoro interiore possa iniziare. È facile perdersi nella foresta ed a molti accade proprio questo. È piena di sentieri che non portano da nessuna parte e di guide che non conoscono esse stesse la via. Vi si trova anche la profonda ed oscura gola che Herman Hesse chiamò Morbo Infernale[1], dove tutta l’ispirazione è perduta, l’entusiasmo svanisce, le mete superiori sono dimenticate.

Al di là della Foresta si stagliano due alte cime, a volte visibili tra gli alberi: la Montagna del Potere e la Montagna della Liberazione. Fugaci visioni di queste cime incoraggiano il viaggiatore a continuare nella ricerca della strada che porta ai piedi delle due montagne. Ma le visioni sono solo occasionali e troppo facilmente vengono dimenticate. Dimenticando dove stava cercando di dirigersi, il viaggiatore si perde di nuovo.

Proprio perché si tratta di un luogo così pericoloso, la fuga nella Foresta rende le cose peggiori di quanto fossero in precedenza. Almeno nel Mulino gli schiavi erano a loro agio perché non conoscevano la verità su se stessi, grazie al loro stato di sonno ipnotico. Invece nella Foresta si sentono a disagio; hanno visto barlumi di verità e questo ha rovinato il loro sonno.

Così non sono più felicemente schiavizzati né veramente liberi. La loro difficile situazione fu riassunta di Gurdjieff nel seguente aforisma: Felice chi siede sulla propria sedia; mille volte più felice chi siede sulla degli angeli; ma miseria per chi non ha sedia[2].

Gli schiavi sfuggiti al Mulino e perduti nella Foresta prendono le distanze dal loro disagio mediante il Lavoro illusorio. Sognano di star “Lavorando” quando in realtà non stanno facendo nulla. Non hanno sacrificato i loro sogni né vinto le loro abitudini meccaniche. Sono schiavi tanto quanto lo erano prima di lasciare il Mulino, ma la grande illusione di star “Lavorando “impedisce loro di accorgersene. Sono entrati in uno stato chiamato Secondo Sonno, da cui è molto difficile svegliarsi. Chi è nel Secondo Sonno sogna di essere sveglio.

Lo pseudo Lavoro consiste in una serie di trappole. Cadere in una di esse sarà sufficiente per portare il vero Lavoro ad un arresto.

Preferisco conoscere la verità, per quanto terribile, che rifugiarmi in qualche confortante sistema illusorio.
Il Lavoro illusorio assume la forma di otto trappole. Chiunque cerca di entrare nel lavoro cade prima o poi in una di esse. Caderci è inevitabile. Qualunque realistico seguace della Via lo sa e si prepara in anticipo ad affrontarle. Questo implica di conoscerle, di sapere di essere caduti in una di esse e di sapere come uscirne.

Ecco qui le caratteristiche delle otto trappole principali.

Trappola N° 1. La sindrome parla-pensa: ecco una trappola sottile in cui molti cadono. Parlano del Lavoro. Pensano al Lavoro. Ma parlare del Lavoro e pensarci non produrrà più risultati di quanto parlare di sesso o il pensarci possa generare un bambino. 

Trappola N° 2. La sindrome del devoto: questa trappola si chiama anche la Sindrome degli occhi incantati. Implica devozione fanatica e fede cieca in un insegnante o in un insegnamento. Questa devozione acceca completamente il devoto, distrugge qualunque capacità di ragionamento oggettivo che la vittima possa aver posseduto in precedenza.

Trappola N° 3. La sindrome del falso messia: questa trappola è l’opposto della Sindrome del Devoto. Chi cade in questa trappola si convince di essere un Maestro, capace di trasmettere agli altri certe fondamentali verità sulla vita spirituale. La categoria del Falso messia non comprende coloro che possono essere detti truffatori spirituali volontari. Le vere vittime della trappola n°3 sono invece piuttosto sincere. Credono davvero alle loro affermazioni. Un altro aspetto è che non lasciano mai al seguace la possibilità di andarsene.

Trappola N° 4. La sindrome dell’organizzazione: ecco una trappola davvero pericolosa, dove interi gruppi sono soggetti a cadere. La Sindrome dell’organizzazione si sviluppa quando un autentico Maestro muore e i suoi allievi considerano loro dovere, come loro dicono, continuare il lavoro del maestro. Dunque formano un’organizzazione. Si trasformano in una gerarchia. Il fatto è che comunque i più anziani spesso spiritualmente si trovano in un vicolo cieco. Avendo perso di vista i veri scopo del Lavoro, si tengono occupati con la politica organizzativa. Non sono Maestri, ma piccoli politici. 

Trappola N° 5. La sindrome della salvezza personale: ecco una trappola sottile e pericolosa. La sindrome della Salvezza Personale si basa su un grande errore. Coloro che ne soffrono immaginano che il sé personale, il cosiddetto ego, possa essere salvato o dannato. La vera salvezza, in realtà, implica la liberazione dal sé personale e dai ristretti confini dell’ego. L’”Io” non può essere salvato, è proprio l’ostacolo, il creatore della grande illusioni della separazione. 

Trappola N° 6. La sindrome del supersforzo: consiste nella convinzione che il Lavoro esige sforzi paurosamente intensi. L’idea alla sua base è vicina la vero. Il Lavoro implica grande sforzo ma di un tipo molto speciale. Lo sforzo richiesto implica il mantenimento dell’equilibrio e della consapevolezza. Somiglia più allo sforzo di colui che cammina sul filo o del giocoliere. Il vero Lavoro è fatto di una lotta contro lo stato di identificazione. Identificazione significa essere totalmente immersi in quanto si sta facendo e perdere ogni oggettiva consapevole della propria esistenza. Il Lavoro non è una cosa eroica. Implica infinita pazienza ed una volontà di iniziare sempre di nuovo. Soprattutto implica la libertà dall’identificazione, poiché quest’ultima, distrugge sempre il vero Lavoro e lo sostituisce con il Lavoro illusorio,

Trappola N° 7. La sindrome della riunione domenicale: chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero scopo. Al lavoro su se stessi, essi sostituiscono la partecipazione alle riunioni dell’organizzazione. Una volta lasciata la riunione, si dimenticano del Lavoro. Il Lavoro per questo tipo di gente è diventato una manifestazione della personalità. È del tutto artificiale.

Trappola N° 8. La sindrome della caccia al guro: chi ci cade passa la vita ad andare da un insegnante all’altro, esigendo da ciascuno che gli vengano rivelati i segreti del Lavoro. Non possono e non riescono a capire che non ci sono segreti che possano esser rivelati. Si possono scoprire solo attraverso la pratica e questa deve raggiungere un certo livello di intensità e continuità prima che il segreto possa esser scoperto. Coloro che cadono nella trappola della Caccia-al-Guro non hanno intenzione di praticare né intensamente né in modo continuo. Vogliono che tutto venga loro presentato su un piatto d’argento. Se il Lavoro non viene presentato in questo modo, essi giungono a concludere che il guru era un impostore e se ne vanno alla ricerca di qualche altro guro. La loro ricerca non ha mai fine o, meglio, finisce solo con la loro morte, per la semplice ragione che essi non vogliono che finisca. 



[1] Hesse H., Viaggio in India, The Newton Compton
[2] Citazione da Vedute sul Mondo Reale, L’Ottava. 



Fonte: La via della completezza - Robert De Ropp