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martedì 27 marzo 2018

Le influenza celesti – Rodney Collin


I. L’ASSOLUTO

Immaginiamo una palla di ferro rovente che rappresenta l’unità. La sua composizione, peso, forma, temperatura e radiazione, costituiscono una cosa, un essere. Ma il suo effetto su tutto quello che la circonda si sviluppa secondo tre fattori:
  • essa li illumina e li riscalda in proporzione inversa al quadrato della sua distanza (radiazione)
  • li spinge in proporzione diretta alla sua massa (attrazione)
  • li influenza dopo un intervallo in proporzione diretta alla sua distanza (tempo)

Se la sua massa e la sua radiazione sono costanti, allora questo terzo fattore, sebbene presente, rimane invisibile ed incommensurabile.
Ma per tutti gli oggetti che sono in rapporti diversi con la palla radiante, l’effetto combinato di questi tre fattori sarà diverso e distinto. Così le variazioni nell’effetto dell’unità radiante, attraverso l’azione reciproca di questi tre fattori, diventano infinite.
Qui abbiamo collocato due cose: una unità radiante ed il suo ambiente. Immaginiamo ora una singola palla il cui polo sud sia arroventato ed il cui polo nord sia allo zero assoluto. Se supponiamo che questa palla o sfera sia fissa nella forma, quantità e massa, più grande è il calore del polo sud, più grande è la rarefazione della materia nelle sue vicinanze, e di conseguenza più grande è la condensazione della materia in vicinanza al polo freddo. Se il processo va avanti all’infinito, la radiazione e la massa si separano completamente, il polo sud si presenta come se fosse radiazione pura, ed il nord massa pura.
Ora, proprio all’interno della sfera stessa, questi tre fattori – radiazione, attrazione, tempo – creeranno un numero infinto di condizioni fisiche, un numero infinito di rapporti fra i poli. Le tre modificazioni dell’unità avranno creato infinite varietà.
Ogni punto della sfera riceverà una quantità precisa di radiazioni del polo sud, sentirà un preciso grado di attrazione dal polo nord, e sarà separato da entrambi i poli (sia nel ricevere gli impulsi che nel rifletterli) da periodi precisi di tempo. Questi tre fattori, insieme, formeranno una formula che fornirà una definizione perfetta di ogni particolare punto della sfera, e che indicherà esattamente la sua natura, le sue possibilità e le sue limitazioni.
Se chiamiamo cielo il polo sud, ed inferno il polo nord, abbiamo un’immagine che rappresenta l’Assoluto della religione. Ora, tuttavia, il nostro compito è quello di applicare questo concetto all’Assoluto dell’astrofisica, q quel quadro del Tutto che la scienza moderna sta tentando di vedere attraverso le smisurate distanze e le inimmaginabili durate che si aprono davanti a lei.
Dobbiamo immaginare che l’intera superficie della nostra sfera universale, con i suoi poli di radiazione e di attrazione, si cosparsa di galassie in crescita, e che l’intera superficie del Sole sia cosparsa di mulinelli di fuoco. Questa “crescita” delle galassie vuol dire espansione da un polo di assoluta unità di luce ad una infinita estensione di molteplicità e di distanza; poi una nuova contrazione verso un polo di assoluta unità della materia. Ma i poli di luce e di materia sono solo gli estremi opposti dello stesso asse. E tutta questa “crescita” è solo la superficie dell’universo nell’eternità”[1].
Questa sfera universale non è sottoposta né a misurazioni, né a logiche umane. I tentativi di misurarla in modi diversi si sono dimostrati delle assurdità, e deduzioni ugualmente plausibili su di essa conducono a conclusioni diametralmente opposte. E questo non è sorprendente se ricordiamo che è la sfera di ogni possibilità immaginabile e inimmaginabile.

Da un punto di vista tutte le galassie, tutti i mondi possono essere considerati come in continuo lento movimento dal polo della radiazione, all’equatore della massima espansione, per decrescere di nuovo al polo finale della massa.
Da un altro punto di vista, può essere la forza-vita, la consapevolezza dell’Assoluto stesso, che crea questo eterno pellegrinaggio. Inoltre, come conseguenza della nostra definizione dell’Assoluto, tutte le parti, le possibilità, i tempi e le condizioni di questa sfera universale devono esistere insieme, simultaneamente ed eternamente, sempre cambiando e sempre restando le stesse.
In una tale sfera tutti i concetti della fisica antica e moderna possono essere uniti.
L’intera sfera è quello spazio chiuso postulato per la prima volta da Riemann. La nuova idea di un universo in espansione, che raddoppia le sue dimensioni ogni 1300 milioni di anni, è una espressione del movimento dal polo della radiazione verso l’equatore della massima espansione.

Tutto quello che possiamo dire con certezza è che l’Assoluto è Uno, e che dentro questo Uno, tre forze, che si differenziano come radiazione, attrazione, tempo, tra di loro creano l’infinito.

Fonte: Le influenze celesti di Rodney Collin




https://www.macrolibrarsi.it/libri/__le-influenze-celesti.php?pn=2028


[1] Vedi “Cosmologia moderna” di George Gamow in Scientific American, marzo 1954

domenica 1 febbraio 2015

Master Game - Robert S. De Ropp

LE CINQUE STANZE
Possiamo essere ancora più precisi e sostenere, basandoci su valide prove, l’esistenza di cinque livelli di coscienza accessibili all'essere umano:
  • Sonno profondo senza sogni – Primo livello
  • Sogno – Secondo livello
  • Sonno da svegli (identità) – Terzo livello
  • Trascendenza di sé (ricordo di sé) – Quarto livello
  • Coscienza oggettiva (coscienza cosmica) – Quinto livello
La natura fornisce all'essere umano il primo, il secondo e il terzo livello di coscienza. Sono i livelli indispensabili per la vita, per la conservazione del corpo fisico e la perpetuazione della specie. Non fornisce invece l’esperienza del quarto e del quinto livello. È come se, per un errore nel suo schema evolutivo, l’essere umano avesse sviluppato un meccanismo che rende difficile sperimentare i due stati superiori di coscienza. 

SONNO SENZA SOGNI: la percezione è assente. L’attività è ridotta al minimo. Sono in atto i respiro, il battito cardiaco e altri processi involontari, ma manca completamente la consapevolezza di sé. È il sonno senza sogni, l’oblio fratello della morte. È la prima stanza in cui l’essere umano deve trascorrere gran parte della vita, perché solo nel sonno gli organi del corpo preposti alla rigenerazione (le nostre batterie vitali) si ricaricano.
Se gli viene impedito l’ingresso nella prima stanza, l’organismo può subire danni irreparabili. L’incapacità di dormire è uno dei primi sintomi della schizofrenia, una delle più comuni e più gravi forme di malattie mentali.

STANZA DEI SOGNI: non passiamo mai l’intero periodo del sonno nella prima stanza, e farlo sembra produrre effetti non salutari. Obbedendo a una legge ancora poco conosciuta, di tanto in tanto lasciamo la prima stanza ed entriamo nella seconda, quella dei sogni. Qui “vediamo” scene ed eventi davanti a noi, come se fossero proiettati su un grande schermo. Ho messo il verbo “vedere” tra virgolette perché, con gli occhi chiusi e la stanza immersa nell’oscurità, la retina non può essere impressionata da alcuna immagine. Si tratta di un vedere puramente mentale, eppure, attraverso un misterioso collegamento tra il cervello e gli occhi, quando sogniamo questi ultimi si muovono rapidamente, come se seguissero effettivamente una scena.

SONNO DA SVEGLI: il terzo stato di coscienza sorge quando l’individuo si sveglia dal sonno fisico e si trova immediatamente sprofondato in una condizione chiamata “identificazione”. L’identificazione è infatti il tratto distintivo del terzo stato di coscienza, in cui l’individuo non ha una consapevolezza autonoma, ma si perde in tutto ciò che fa, pensa e sente. Essendo l’essere umano perso e non presente a se stesso, Gurdjieff definisce il terzo stato di coscienza “sonno da svegli”.
L’uomo che si trova in questa condizione non è l’uomo vero, bensì una macchina priva di unità interiore, di reale volontà e di un io permanente, mossa e manipolata da forze esterne come un burattino dal burattinaio.
Inoltre, questa persona addormentata è attorniata da latri dormienti, e la cultura in cui vive è intesa a perpetuare questo stato di sonno. 
  
TRASCENDENZA DI SÉ: la possibilità di entrare nel quarto stato di coscienza dipende dall'averne già fatto esperienza.
… l’uomo può avere, e ha, dei barlumi di questo stato in seguito a un’emozione religiosa provata davanti a un’opera d’arte, nell'estasi sessuale o in situazioni di grave pericolo. In circostanze come queste, si dice che egli “si ricorda di se stesso”.
Il ricordo di sé è una separazione della consapevolezza da tutto quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. Il suo simbolo è la freccia a due punte, che indica una duplice consapevolezza. C’è un agente e c’è un osservatore, che è la consapevolezza oggettiva di sé; c’è il senso di essere separati, staccati dalle limitazioni del copro fisico; c’è un senso di distacco, di non identificazione.

Quando veniamo a sapere dell’esistenza della quarta stanza, la nostra vita giunge a un bivio. Possiamo cercare di ignorarla, comportandoci come se non esistesse e ricadendo nello stato di totale identificazione, oppure provare il desiderio di giocare il Master game e cercare qualcuno che ci spieghi le tecniche del gioco.
Tutte le ricchezze di Creso non avrebbero consentito ad un re del passato di fare un’esperienza per noi normale come salire su un aereo.
La terza stanza è così comoda, sicura e piena di cose, quindi, perché dovremmo salire nella quarta? Che cosa può offrirci di più della terza?
La risposta è ovvia. La libertà. Solo nel quarto stato di coscienza ci liberiamo dalla tirannia dell’io e dalle paure e sofferenze che questa entità provoca. Una volta entrati nella quarta stanza, e dopo aver imparato ad abitarla, siamo liberi dalla paura. Le parole “io” e “mio” perdono il loro significato. Non ci identifichiamo più con il corpo fisico e non attribuiamo eccessiva importanza ai processi materiali.
Uno dei poteri che si sviluppano nella quarta stanza è la capacità di morire volontariamente.
L’uomo che vive nella terza stanza può credere di essere padrone di se stesso, ma in realtà non ha nessun controllo sulle sue azioni. Non è nemmeno capace di camminare per strada senza perdersi nelle più svariate impressioni che “colpiscono la sua immaginazione”. Padrone di sé è solo chi vive nella quarta stanza: sa dove sta andando, sa di stare facendo una certa cosa e perché la fa. Il suo segreto è il distacco dal risultato delle azioni, e misura il successo e il fallimento non in base ai risultati esteriori, ma in termini di consapevolezza interiore. 

COSCIENZA COSMICA: R.M. Bucke scrive, nel suo La coscienza cosmica, che la sua caratteristica principale è appunto una “coscienza del cosmo, cioè della vita e dell’ordine dell’universo”.
Un altro esempio è la visione cosmica che Krishna rivela ad Arjuna nella Bhagavad Gita.
Un contatto scorretto con la quinta stanza, attraverso le droghe o altri strumenti, può provocare danni irreversibili causati dalla potenza delle impressioni su una consapevolezza non sufficientemente preparata.
Nessuno, per quanto dotato di grandi capacità, può trasmettere a un’altra persona un diverso livello di coscienza. 


Fonte: Master Game 



mercoledì 7 gennaio 2015

La Via della Completezza - Robert De Ropp

Il reticolo del karma
IO SONO QUI ORA.
IO SONO. La piena consapevolezza del mio essere mi è data solo ogni tanto. Perché? Perché la maggior parte del tempo, io sono perso nella fantasia. Senza alcun dubbio io non sono qui ora. Sto vagando nel passato o sognando nel futuro, oppure sto pensando a qualcosa, sto speculando sopra qualcosa, sto parlando a qualcuno che non è neppure qui, sto immaginando, sto indulgendo. Che modo di vivere!

Ma il pieno senso di IO SONO mi viene dal ricordo. Insieme al ricordo viene una consapevolezza del luogo, il QUI, e del tempo, ORA. Ed interviene anche un senso di separazione, il sentimento di essere fuori dallo spazio-tempo, come un osservatore sulla riva del fiume del tempo, che guarda la corrente. Questo è zikr, il ricordo.

Auto-ricordo? Ma io ho molti sé, sono una vera nave di folli.
Quale sé ricordo?

Nessuno di essi. Questo sé è al di fuori dello spazio-tempo, è l’uccello bianco, il messaggero del pleroma, al di là dei cambiamenti, al di là della morte. 

Per l’IO SONO è anche possibile andare oltre la creatura, fondersi nel pleroma, l’Eterno Immutevole. Questo è l’ultimo stadio della Via, la liberazione finale. Non è possibile andare oltre.

Cosa è andato storto?
L’ominide primitivo, l’Homo erectus, da cui pare siamo discesi, aveva un volume cerebrale di appena 600 cc. Pare che l’homo erectus sia passato attraverso una serie di mutazioni all’incirca cinquecentontomila anni or sono. Tali mutazioni, tra cui probabilmente la riduzione della peluria corporea, consistettero principalmente in un notevole sviluppo del cranio e in una corrispondete espansione del cervello. Il risultato fu una nuova razza di ominidi, l’Homo sapiens, con un volume medio del cervello di 1.400 cc.

Fu proprio questa improvvisa crescita della neocorteccia a creare difficoltà nell’Homo sapiens. “Nel creare il cervello umano, la natura andò parecchio oltre le proprie intenzioni”, afferma Arthur Koestler nel suo libro Il fantasma nella macchina.

l’Uomo è vittima di un errore evolutivo, un errore nella costituzione del cervello. La Natura o Forza Mentale aveva troppa fretta: creò una magnifica neocorteccia senza mettere a punto una corrispondente catena di comandi per cui fosse assicurato il dominio di quel nuovo cervello, sede della ragione, sui vecchi cervelli, sede degli istinti e delle emozioni. Ne conseguì un primate nudo, altamente suggestionabile ed instabile, che viveva per lo più nel mondo della fantasia, pieno di illusioni paranoiche e crenicamente propenso al panico.

Schiavi e padroni
Cos’è il Lavoro?

Il Lavoro implica la trasformazione di uno schiavo confuso, dominato dall’illusione, in un padrone illuminato e integro, completo.

Lo schiavo non ha il controllo sulla propria vita, è spinto da forze esterne, è alla mercé di impressioni casuali, è schiavo delle abitudini, la maggioranza delle quali cattive. Inoltre è facile preda della credulità, della suggestionabilità, di speranze e paure.

Soprattutto lo schiavo è una creatura della fantasia. Abita in un mondo di sogni. È tagliato fuori dalla conoscenza del mondo reale da un meccanismo del suo cervello che genera illusione. Lo schiavo mente a se stesso riguardo a se stesso e ad ogni altra cosa. Non sa di mentire. È uno schiavo che sogna di essere libero. È un bugiardo che sogna di conoscere la verità.

Il padrone si è liberato dal meccanismo del cervello che produce l’illusione. È un abitante del mondo reale. Per entrare in questo mondo ha dovuto sacrificare i suoi sogni. Ha osato confrontarsi con la verità riguardo a se stesso ed ai suoi simili. È stato abbastanza forte ed astuto da fuggire dalla prigione dove gli schiavi passano la vita. È pianamente sveglio. Ha visto la verità e la verità lo ha reso libero. Ma ha pagato un prezzo estremamente alto per ottenere questa libertà.

Questa verità non è confortante, nemmeno un po’. Ci sono diversi miliardi di esseri umani legati come asini bendati alla ruota del mulino, spinti da dietro con il bastone della paura, allettati davanti con la carota della cupidigia. Il guardiano del Mulino, un grande e terribile spirito, si assicura che gli asini non cerchino di fuggire e lo fa mediante il semplice procedimento di ipnotizzarli, convincendoli che sono già liberi.

La stretta di questa ipnosi può essere allentata?

Non per la maggioranza degli asini. Ogni ben intenzionato liberatore che tenterà di svegliarli dal loro stato di sonno sarà certamente attaccato, picchiato e morso, per aver osato suggerir loro che sono schiavi. Un tale suggerimento toglie loro la loro più cara illusione, l’illusione di essere liberi e padroni del loro destino.

Come può succedere allora che qualcuno di questi schiavi riesca a sfuggire dal Mulino e si trasformi in un padrone?

La risposta è che molto pochi fuggono veramente. Il guardiano del Mulino, il terribile spirito che qualcuno chiama maya, altri il Diavolo o il Padre della menzogna, ha molti bei trucchi a sua disposizione. 

Lo Spirito della Menzogna sa che il suo atavico avversario, lo Spirito della Verità, a volte può influenzare gli asini ipnotizzati. Nella psiche umana c’è il desiderio di verità ma esso è debole se confrontato con il suo opponente, il desiderio di autoinganno.

Ma lo Spirito Menzognero sa come contrattaccare e neutralizzare il desiderio di verità prima che esso renda capaci gli schiavi di liberarsi dalle loro illusioni. Lo fa preparando una contraffazione, un’imitazione del Lavoro reale, un Lavoro illusorio. Ed è un questo Lavoro illusorio che così tanti schiavi restano intrappolati nel tentativo di fuggire. La lavoro illusorio li mette in condizione di credere che stanno lavorando su di sé, quando invece barattano solo un insieme di sogni con un altro.

Nel diagramma che ho chiamato gli “Stadi della Via”, si vede il Mulino circondato dalla Foresta. Gli schiavi che fuggono dal mulino entrano della Foresta e devono districarsi da esso, ancor prima che un vero lavoro interiore possa iniziare. È facile perdersi nella foresta ed a molti accade proprio questo. È piena di sentieri che non portano da nessuna parte e di guide che non conoscono esse stesse la via. Vi si trova anche la profonda ed oscura gola che Herman Hesse chiamò Morbo Infernale[1], dove tutta l’ispirazione è perduta, l’entusiasmo svanisce, le mete superiori sono dimenticate.

Al di là della Foresta si stagliano due alte cime, a volte visibili tra gli alberi: la Montagna del Potere e la Montagna della Liberazione. Fugaci visioni di queste cime incoraggiano il viaggiatore a continuare nella ricerca della strada che porta ai piedi delle due montagne. Ma le visioni sono solo occasionali e troppo facilmente vengono dimenticate. Dimenticando dove stava cercando di dirigersi, il viaggiatore si perde di nuovo.

Proprio perché si tratta di un luogo così pericoloso, la fuga nella Foresta rende le cose peggiori di quanto fossero in precedenza. Almeno nel Mulino gli schiavi erano a loro agio perché non conoscevano la verità su se stessi, grazie al loro stato di sonno ipnotico. Invece nella Foresta si sentono a disagio; hanno visto barlumi di verità e questo ha rovinato il loro sonno.

Così non sono più felicemente schiavizzati né veramente liberi. La loro difficile situazione fu riassunta di Gurdjieff nel seguente aforisma: Felice chi siede sulla propria sedia; mille volte più felice chi siede sulla degli angeli; ma miseria per chi non ha sedia[2].

Gli schiavi sfuggiti al Mulino e perduti nella Foresta prendono le distanze dal loro disagio mediante il Lavoro illusorio. Sognano di star “Lavorando” quando in realtà non stanno facendo nulla. Non hanno sacrificato i loro sogni né vinto le loro abitudini meccaniche. Sono schiavi tanto quanto lo erano prima di lasciare il Mulino, ma la grande illusione di star “Lavorando “impedisce loro di accorgersene. Sono entrati in uno stato chiamato Secondo Sonno, da cui è molto difficile svegliarsi. Chi è nel Secondo Sonno sogna di essere sveglio.

Lo pseudo Lavoro consiste in una serie di trappole. Cadere in una di esse sarà sufficiente per portare il vero Lavoro ad un arresto.

Preferisco conoscere la verità, per quanto terribile, che rifugiarmi in qualche confortante sistema illusorio.
Il Lavoro illusorio assume la forma di otto trappole. Chiunque cerca di entrare nel lavoro cade prima o poi in una di esse. Caderci è inevitabile. Qualunque realistico seguace della Via lo sa e si prepara in anticipo ad affrontarle. Questo implica di conoscerle, di sapere di essere caduti in una di esse e di sapere come uscirne.

Ecco qui le caratteristiche delle otto trappole principali.

Trappola N° 1. La sindrome parla-pensa: ecco una trappola sottile in cui molti cadono. Parlano del Lavoro. Pensano al Lavoro. Ma parlare del Lavoro e pensarci non produrrà più risultati di quanto parlare di sesso o il pensarci possa generare un bambino. 

Trappola N° 2. La sindrome del devoto: questa trappola si chiama anche la Sindrome degli occhi incantati. Implica devozione fanatica e fede cieca in un insegnante o in un insegnamento. Questa devozione acceca completamente il devoto, distrugge qualunque capacità di ragionamento oggettivo che la vittima possa aver posseduto in precedenza.

Trappola N° 3. La sindrome del falso messia: questa trappola è l’opposto della Sindrome del Devoto. Chi cade in questa trappola si convince di essere un Maestro, capace di trasmettere agli altri certe fondamentali verità sulla vita spirituale. La categoria del Falso messia non comprende coloro che possono essere detti truffatori spirituali volontari. Le vere vittime della trappola n°3 sono invece piuttosto sincere. Credono davvero alle loro affermazioni. Un altro aspetto è che non lasciano mai al seguace la possibilità di andarsene.

Trappola N° 4. La sindrome dell’organizzazione: ecco una trappola davvero pericolosa, dove interi gruppi sono soggetti a cadere. La Sindrome dell’organizzazione si sviluppa quando un autentico Maestro muore e i suoi allievi considerano loro dovere, come loro dicono, continuare il lavoro del maestro. Dunque formano un’organizzazione. Si trasformano in una gerarchia. Il fatto è che comunque i più anziani spesso spiritualmente si trovano in un vicolo cieco. Avendo perso di vista i veri scopo del Lavoro, si tengono occupati con la politica organizzativa. Non sono Maestri, ma piccoli politici. 

Trappola N° 5. La sindrome della salvezza personale: ecco una trappola sottile e pericolosa. La sindrome della Salvezza Personale si basa su un grande errore. Coloro che ne soffrono immaginano che il sé personale, il cosiddetto ego, possa essere salvato o dannato. La vera salvezza, in realtà, implica la liberazione dal sé personale e dai ristretti confini dell’ego. L’”Io” non può essere salvato, è proprio l’ostacolo, il creatore della grande illusioni della separazione. 

Trappola N° 6. La sindrome del supersforzo: consiste nella convinzione che il Lavoro esige sforzi paurosamente intensi. L’idea alla sua base è vicina la vero. Il Lavoro implica grande sforzo ma di un tipo molto speciale. Lo sforzo richiesto implica il mantenimento dell’equilibrio e della consapevolezza. Somiglia più allo sforzo di colui che cammina sul filo o del giocoliere. Il vero Lavoro è fatto di una lotta contro lo stato di identificazione. Identificazione significa essere totalmente immersi in quanto si sta facendo e perdere ogni oggettiva consapevole della propria esistenza. Il Lavoro non è una cosa eroica. Implica infinita pazienza ed una volontà di iniziare sempre di nuovo. Soprattutto implica la libertà dall’identificazione, poiché quest’ultima, distrugge sempre il vero Lavoro e lo sostituisce con il Lavoro illusorio,

Trappola N° 7. La sindrome della riunione domenicale: chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero scopo. Al lavoro su se stessi, essi sostituiscono la partecipazione alle riunioni dell’organizzazione. Una volta lasciata la riunione, si dimenticano del Lavoro. Il Lavoro per questo tipo di gente è diventato una manifestazione della personalità. È del tutto artificiale.

Trappola N° 8. La sindrome della caccia al guro: chi ci cade passa la vita ad andare da un insegnante all’altro, esigendo da ciascuno che gli vengano rivelati i segreti del Lavoro. Non possono e non riescono a capire che non ci sono segreti che possano esser rivelati. Si possono scoprire solo attraverso la pratica e questa deve raggiungere un certo livello di intensità e continuità prima che il segreto possa esser scoperto. Coloro che cadono nella trappola della Caccia-al-Guro non hanno intenzione di praticare né intensamente né in modo continuo. Vogliono che tutto venga loro presentato su un piatto d’argento. Se il Lavoro non viene presentato in questo modo, essi giungono a concludere che il guru era un impostore e se ne vanno alla ricerca di qualche altro guro. La loro ricerca non ha mai fine o, meglio, finisce solo con la loro morte, per la semplice ragione che essi non vogliono che finisca. 



[1] Hesse H., Viaggio in India, The Newton Compton
[2] Citazione da Vedute sul Mondo Reale, L’Ottava. 



Fonte: La via della completezza - Robert De Ropp


giovedì 15 settembre 2011

L’evoluzione interiore dell’uomo – Peter D. Ouspenski

Prima conferenza
La psicologia, eccetto nei tempi moderni, non è mai esistita con il proprio nome. È esistita sotto il nome di filosofia. In India, tutte le forme di Yoga, che si basano essenzialmente sulla psicologia, sono considerate come uno dei sei sistemi della filosofia. Gli insegnamenti Sufi che sono principalmente d’ordine psicologico, sono considerati in parte religiosi e in parte metafisici. In Europa, ancora recentemente, alla fine del secolo scorso molti trattati di psicologia venivano citati come opere di “filosofia”.
E benché quasi tutte le suddivisioni della filosofia, come la logica, la teoria della conoscenza, l’etica e l’estetica, si riferiscano alle attività del pensiero umano e dei sensi, la psicologia veniva considerata come inferiore alla filosofia e in rapporto soltanto con gli aspetti bassi e più triviali della natura umana.
Più tardi, dopo la scomparsa dei misteri, la psicologia sopravvisse sotto forma di insegnamenti simbolici, talvolta legati alla religione dell’epoca e talvolta no, come l’astrologia, l’Alchimia, la magia e fra i più moderni, la Massoneria, l’Occultismo e la teosofia.
La psicologia è lo studio dei principi, delle leggi e dei fatti relativi alla evoluzione possibile dell’uomo.

L’uomo quale noi lo conosciamo, non è un essere compiuto. La natura lo sviluppa fino ad un certo punto, quindi lo abbandona a se stesso e lascia che egli continui a svilupparsi con i suoi propri sforzi e di sua propria iniziativa, oppure che viva e muoia così come è nato, o che degeneri e perda la sua capacità di sviluppo.
L’uomo sulla via di sviluppo, deve diventare un essere differente, non tutti gli uomini possono svilupparsi e divenire degli esseri differenti. L’evoluzione è una questione di sforzi personali, e in relazione alla massa dell’umanità rimane una rara eccezione.
Perché non tutti gli uomini possono svilupparsi e divenire differenti? Perché non lo desiderano. Perché non ne sanno nulla e anche a parlargliene non capirebbero che cosa significhi, senza prima essere stati lungamente preparati.
Se l’uomo non lo desidera, e se non lo desidera abbastanza intensamente e non fa gli sforzi necessari, egli non si svilupperà mai. Non vi è dunque alcuna ingiustizia. Perché l’uomo dovrebbe avere ciò che non desidera? Se l’uomo fosse obbligato a divenire un essere differente, mentre è soddisfatto di ciò che è, allora vi sarebbe ingiustizia.
Ora dobbiamo domandarci ciò che significa un essere differente.
Prima di acquisire delle facoltà nuove o dei nuovi poteri, che non conosce e non possiede ancora, un uomo deve acquistare delle facoltà e dei poteri che allo stesso modo non possiede, ma che si attribuisce: cioè pensa di conoscere, di poter usare e controllare.
Ecco l’”anello mancante”, che è anche il punto più importante.
Sulla via dell’evoluzione, intesa come una via basata sullo sforzo e sull’aiuto, l’uomo deve acquisire delle qualità che crede già di possedere, ma sulle quali egli si fa delle illusioni.
Dobbiamo partire dall’idea che l’uomo in genere si fa di se stesso. L’uomo non si conosce. Egli non conosce i suoi limiti, né le sue possibilità; non sa neppure fino a che punto non si conosce.
L’uomo è pieno di idee false su di sé. In primo luogo, non si rende conto di essere realmente una macchina. Egli non ha movimenti indipendenti, né interiori, né esteriori. È una macchina messa in moto da influenze e choc esteriori. Tutti i suoi movimenti, le sue azioni, parole, idee, emozioni, umori e pensieri sono provocati da influenze esteriori.
Dobbiamo comprendere che l’uomo non può fare nulla.
L’uomo però non se ne rende conto e si attribuisce la capacità di fare. È questo il primo falso potere che egli si arroga.
Tutto ciò che crede di fare in realtà succede.
Anzitutto deve sapere di non essere uno, ma una moltitudine. Non possiede un Io unico, permanente e immutabile. L’uomo cambia continuamente. In un dato momento è una persona, il momento seguente un’altra, poco dopo una terza e così via, quasi senza fine.

Deve rendersi conto di non possedere le qualità che si attribuisce: la capacità di fare, l’individualità o la unità, l’Ego permanente, come pure la coscienza e la volontà.
La più importante di queste qualità è la coscienza. Nel linguaggio ordinario la coscienza è quasi sempre usata come l’equivalente di intelligenza, nel senso di attività mentale.
In realtà, nell’uomo, la coscienza è una specie molto particolare di “presa di conoscenza interiore”, indipendente dalla sua attività mentale; in primo luogo è una presa di conoscenza di se stesso, una conoscenza di chi è, di dove è, quindi una conoscenza di ciò che sa, di ciò che non sa e così via.
Voglio richiamare la vostra attenzione su un fatto che è stata perso di vista da tutte le scuole moderne di psicologia. Il fatto cioè che la coscienza nell’uomo, in qualsiasi modo la si consideri, non è mai permanente. È presente o è assente.

Un uomo, nella sua condizione ordinaria, può, con grande sforzo, essere cosciente di qualcosa (se stesso) per due minuti al massimo.
L’uomo non è cosciente di se stesso; l’illusione di essere cosciente di se stessi, è creata dalla memoria e dai processi del pensiero.
L’uomo può conoscere quattro stati di coscienza (che possono essere definiti secondo le possibilità che essi offrono di conoscere la verità):
  • SONNO, non possiamo sapere nulla della verità. Anche se percezioni o sentimenti reali giungono a noi, essi si mescolano ai sogni, e in questo stato di sonno, non è possibile distinguere i sogni dalla realtà.
  • STATO DI VEGLIA, possiamo conoscere solo una verità relativa: di qui il termine coscienza relativa.
  • COSCIENZA DI SÉ, possiamo conoscere tutta la verità su noi stessi.
  • COSCIENZA OBIETTIVA o OGGETTIVA, siamo in grado di conoscere l’intera verità su ogni cosa.
I pochi istanti di coscienza si manifestano in momenti eccezionali: in momenti di pericolo, in condizioni di intensa emozione, in circostanze e situazioni nuove e inattese, oppure a volte, in momenti del tutto normali in cui non accede nulla di particolare.

Seguendo metodi giusti e compiendo giusti sforzi, l’uomo può acquisire il controllo della coscienza, può diventare cosciente di se stesso.
Soltanto dopo aver ben afferrato questo concetto è possibile intraprendere un serio studio della psicologia.
Questo studio deve cominciare dall’esame di ciò che si presenta come ostacolo alla coscienza di noi stessi, perché la coscienza non può incominciare a crescere se almeno alcuni di questi ostacoli non sono rimossi.
Il maggiore ostacolo è l’ignoranza di noi stessi, la nostra convinzione di illusoria di conoscerci.

Psicologia significa veramente studio di se stessi.

La macchina umana ha sette funzioni differenti:
PENSIERO (intelletto). Tutti i processi mentali vi sono compresi: percezione delle impressioni, formazione di rappresentazioni e di concetti, ragionamento, comparazione, affermazione, negazione, formazione di parole, discorsi, immaginazione …

SENTIMENTO (emozioni). Emozioni di gioia, dispiacere, paura, sorpresa … anche se siete certi di comprendere chiaramente come e in che cosa le emozioni differiscono dai pensieri, vi consiglierei di rivedere tutte le vostre idee. Nel nostro modo abituale di vedere e di parlare, noi confondiamo pensieri e sentimenti. Ma per cominciare lo studio di se stessi è necessario stabilire chiaramente la loro differenza.

ISTINTO (lavoro interno dell’organismo). Questa funzione comprende quattro specie di funzioni:
Tutto il lavoro interno dell’organismo, tutta la fisiologia (digestione, assimilazione, respirazione, circolazione, costruzione di nuove cellule, eliminazione dei residui, lavoro delle ghiandole, secrezione interna …).
I cosiddetti “cinque sensi”, la vista, l’udito, l’odorato, il gusto, il tatto e tutti gli altri (come il peso, la temperatura, la secchezza, l’umidità, ossia tutte le sensazioni indifferenti, sensazioni che, di per sé, non sono né gradevoli, né sgradevoli).
Tutte le emozioni fisiche (ossia tutte le sensazioni che sono sgradevoli o gradevoli; ogni genere di dolori …)
Tutti i riflessi (anche i più complicati, come il riso e lo sbadiglio; ogni genere di memoria fisica, come la memoria del gusto, dell’odore, del dolore che sono in realtà dei riflessi interni).

FUNZIONE MOTRICE (lavoro esterno dell’organismo, movimento nello spazio …). Comprende tutti i movimenti esteriori come camminare, scrivere, parlare, mangiare, e i ricordi che ne restano. Alla funzione motrice appartengono ancora quei movimenti che il linguaggio corrente definisce “istntivi”, come quello di raccogliere senza pensarci un oggetto che cade.

La differenza fra la funzione istintiva e la funzione motrice è molto chiara e facile da comprendere; è sufficiente ricordarsi che tutte le funzioni istintive, nessuna esclusa, sono innate e non è necessario impararle per usarle; mentre nessuna funzione motrice è innata, e occorre acquisirle tutte.

SESSO (funzione dei due principio maschio e femmina, in tutte le loro manifestazioni)

Oltre a queste cinque funzioni ve ne sono altre due che il linguaggio ordinario non può definire e che appaiono solo negli stati superiori di coscienza:
  • Funzione emozionale superiore, che appare nello stato di COSCIENZA DI SÉ,
  • Funzione intellettuale superiore, che appare nello stato di COSCIENZA OBIETTIVA 
Lo studio di sé deve cominciare dallo studio delle prime quattro funzioni: intellettuale, emozionale, istintiva, motrice.
La funzione sessuale può essere studiata solo molto tardi, dopo che queste quattro funzioni siano state scientificamente comprese.
La funzione sessuale viene in realtà dopo le altre, cioè nella vita appare più tardi, dopo che le prime quattro funzioni si sono pienamente manifestate, ed è da esse condizionate.
Bisogna capire che qualsiasi irregolarità seria o anormalità nella funzione sessuale rende impossibile lo sviluppo di sé e persino lo studio di sé.

La coscienza e le funzioni di un uomo sono due fenomeni di ordine del tutto differente, di natura del tutto differente, dipendenti da cause differenti, e che l’uno può esistere senza l’altro. Le funzioni possono esistere senza la coscienza e la coscienza può esistere senza le funzioni.

Seconda conferenza
In noi niente è subconscio in modo permanente, perché non vi è niente di cosciente in modo permanente, e non vi è “pensiero subconscio” per la semplice ragione che non vi è “pensiero cosciente”.
Gli uomini vivono nel sonno, agiscono nel sonno e non sanno di dormire. Come può svegliarsi un uomo? Non si potrà mai svegliare prima di aver provato che è addormentato.
Questi due stati, il sonno e il sonno di veglia, sono i soli nei quali l’uomo vive. Al di fuori di essi, due altri stati di coscienza sono possibili per l’uomo, i quali diventano accessibili soltanto dopo una lotta dura e prolungata.

Questi due stati superiori di coscienza vengono chiamati “coscienza di sé” e “coscienza oggettiva”.
La coscienza di sé è uno stato nel quale l’uomo diviene oggettivo verso se stesso, e la coscienza oggettiva è uno stato nel quale egli entra in contatto con il mondo reale e oggettivo, dal quale ora i sensi, i segni e gli stati soggettivi di coscienza lo tengono separato.

Che cosa significa mentire? Secondo il linguaggio comune, mentire significa deformare o in certi casi dissimulare la verità o quello che si crede essere la verità. questa specie di menzogna occupa un posto molto importante nella vita. vi sono tuttavia forme di menzogna ben peggiori, nei casi in cui l’uomo mente senza saperlo. Siccome poi noi non conosciamo la verità, ma pretendiamo di conoscerla, proprio questo è mentire. La menzogna riempie tutta la nostra vita. La gente finge di sapere qualsiasi cosa su Dio, sulla vita futura, l’universo, le origini, l’evoluzione, ma in realtà non sa nulla, neppure su se stessa. E ogni volta che qualcuno parla di qualcosa che non sa come se la sapesse, mente.
La psicologia è lo studio della menzogna.
L’uomo qual è non è un soggetto autentico; è un’imitazione di qualcosa e per giunta una pessima imitazione.

È impossibile studiare l’uomo come un tutto, perché è diviso in due parti: una che in certi casi può essere quasi interamente reale, e un’altra che in alcuni casi può essere quasi interamente immaginaria. Nella maggior parte degli uomini queste due parti sono mescolate tra loro. Esse sono chiamate:
  • ESSENZA, è ciò che è innato nell’uomo. È un bene che gli è proprio; è ciò che gli appartiene. Non può andare perduta, non può essere cambiata né si degrada rapidamente come la personalità.
  • PERSONALITÀ, è ciò che è acquisito. È ciò che non gli appartiene. Può essere modificata quasi interamente in seguito ad un cambiamento di circostanze; essa può andare perduta o venire facilmente deteriorata.
Nella maggior parte dei casi, “inconsciamente” significa per imitazione, poiché l’imitazione costituisce un fattore molto importante nella costruzione della personalità.
Essenza e personalità devono crescere parallelamente, senza che l’una prevalga mai sull’altra.
Si possono incontrare dei casi in cui l’essenza prevale sulla personalità nelle persone senza cultura; questi uomini “semplici”, possono essere molto buoni ed anche intelligenti, ma sono incapaci di svilupparsi come coloro che hanno una personalità più accentuata.
I casi in cui la personalità prevale sull’essenza si incontrano sovente fra persone colte, nelle quali lo sviluppo dell’essenza si ferma a metà o rimane incompleto.

La falsa situazione nella quale essenza e personalità si trovano, l’una in rapporto all’altra, determina la mancanza di armonia nello stato attuale dell’uomo. Il solo mezzo per uscirne è la conoscenza di sé.

Conosci te stesso; questo era il principio fondamentale e la prima esigenza di tutte le antiche scuole di psicologia.
Riteniamo che conoscere noi stessi voglia dire conoscere le nostre particolarità, i nostri desideri, i nostri gusti, le nostre capacità, e le nostre intenzioni, mentre in realtà questo vuol dire conoscersi in quanto macchine, cioè conoscere la struttura della nostra macchina, cioè le sue parti, le funzioni delle diverse parti, le condizioni che reggono il lavoro e via di seguito. In generale comprendiamo di non poter conoscere nessuna macchina senza averla studiata. Dobbiamo ricordarcene quando si tratta di noi stessi, e dobbiamo studiare la macchina che noi siamo in quanto tale. Il mezzo per studiarla è l’osservazione di sé. Nessuno può compiere questo lavoro al nostro posto. Dobbiamo farlo da noi stessi; prima però dobbiamo imparare il modo di osservare. Ossia il lato tecnico dell’osservazione, sapere che è necessario osservare funzioni differenti e distinguerle fra di loro, ricordandoci al tempo stesso di ciò che sappiamo dei diversi stati di coscienza, del nostro sonno e dei numerosi “io” che sono in noi.
Inizialmente l’uomo rileverà di non poter osservare imparzialmente nulla di ciò che trova in se stesso. Gli piaceranno certi tratti, altri gli dispiaceranno, l’irriteranno, gli faranno persino orrore. L’uomo non può studiare se stesso come se fosse una stella lontana o uno strano fossile. In modo molto naturale, amerà in se stesso tutto ciò che favorisce il suo sviluppo e detesterà quello che rende il suo sviluppo più difficile, o impossibile.
Questo significa che non appena avrà cominciato ad osservarsi, distinguerà in sé le caratteristiche utili e quelle dannose.

Ora dobbiamo esaminare quali sono i tratti o le caratteristiche dannose che l’uomo trova in se stesso.
In generale, sono tutte manifestazioni meccaniche, e la prima è il mentire.
Da un punto di vista psicologico la menzogna ha però un altro senso. Significa parlare di cose che non si conoscono, che non si possono nemmeno conoscere, come se si conoscessero o si potessero conoscere.
L’uomo impara presto a scoprire i segni attraverso i quali può riconoscere in se stesso le manifestazioni dannose. Scopre che quanto più egli controlla una manifestazione, tanto meno questa è nociva, e meno la controlla, quindi più essa è meccanica, maggiormente può diventare nociva.
Il secondo tratto pericoloso è l’immaginazione. Si accorge che l’immaginazione è una facoltà distruttrice, che non può mai controllare e che lo allontana sempre dalle sue decisioni più coscienti, verso una direzione nella quale non aveva intenzione di andare. L’immaginazione è deleteria quasi quanto la menzogna; infatti immaginare è mentire a se stessi. L’uomo comincia a immaginare qualche cosa per far piacere a se stesso e ben presto comincia a credere a ciò che immagina, almeno in parte.
Altro problema sono le emozioni negative (violenza, depressione, collera, sospetto …). Di solito vengono accettate come un fatto naturale e persino necessario. Ma l’uomo impara presto ad opporsi ad esse, e si rende conto che non è sufficiente osservare le sue manifestazioni meccaniche; occorre resistervi, perché senza resistere ad esse non è possibile osservarle.
Poi c’è la singolare caratteristica meccanica del parlare. Ma in alcuni diventa un vero e proprio vizio. Parlano continuamente, ovunque si trovino, persino quando dormono.
Anche in questo caso non bisogna solo osservare, ma resistere il più possibile.
La difficoltà che l’uomo incontra nell’osservare queste quattro manifestazioni – mentire, immaginare, esprimere emozioni negative, parlare senza necessità – gli mostreranno la sua completa meccanicità e l’impossibilità stessa in cui egli si trova di lottare contro questa meccanicità senza aiuto, cioè senza un nuovo sapere.

Questa continua caduta nel sonno presenta alcuni aspetti ben determinati che la psicologia ordinaria ignora o non riesce a definire:
  • IDENTIFICAZIONE. È uno strano stato nel quale l’uomo trascorre più di metà della sua vita. L’uomo “si identifica” con tutto: con ciò che dice, con ciò che sa, con ciò che crede, che non crede, che desidera, che non desidera, che l’attira o lo respinge.
  • Manifestazioni quali la menzogna, l’immaginazione, l’espressione delle emozioni negative, il chiacchierare continuo, esigono l’identificazione.
  • CONSIDERAZIONE. “Considerare” è identificarsi con altri. È uno stato in cui l’uomo si preoccupa costantemente di ciò che gli altri pensano di lui: se lo trattano secondo i suoi meriti, se l’ammirano abbastanza e così via.
Il mito del “complesso di inferiorità” e degli altri “complessi” è nato da questi fenomeni di identificazione e di considerazione, vagamente percepiti, ma non compresi.

Questo insegnamento suddivide l’uomo in sette categorie.
Le prime tre sono praticamente sullo stesso livello:
UOMO 1 = centro istintivo o motorio prevalgono sul centro intellettuale ed emozionale
UOMO 2 = centro emozionale prevale sui centri intellettuale, motorio e istintivo
UOMO 3 = centro intellettuale prevale suo centri emozionale, motorio ed istintivo

Nella vita ordinaria incontriamo solo queste tre categorie.

UOMO 4 = non è nato tale, ma è il prodotto di una cultura di scuola. Differisce dall’1-2-3 per la conoscenza di se stesso, per la comprensione della propria situazione e per il fatto di avere acquisito un centro di gravità permanente. Il suo sviluppo è il più importante dei suoi interessi. Le sue funzioni e i suoi centri sono meglio equilibrati, e questo ad un livello che non avrebbe mai potuto raggiungere senza aver lavorato su se stesso.

UOMO 5 = ha acquisito l’unità e la coscienza di sé. Egli differisce dall’uomo ordinario, perché uno dei centri superiori già lavora in lui, e possiede numerose funzioni e poteri che l’uomo ordinario (1-2-3) non possiede.

UOMO 6 = ha acquisito la coscienza oggettiva. Un latro centro superiore lavora in lui, ed egli possiede un numero molto più grande di nuove facoltà e poteri, al di là di quanto l’uomo ordinario possa concepire.

UOMO 7 = ha raggiunto tutto ciò che un uomo può raggiungere. Ha un Io permanente ed una volontà libera. Ha la possibilità di controllare in se stesso tutti gli stati di coscienza ed ormai non può più perdere niente di quanto ha acquistato. Secondo un’altra definizione, egli è immortale nei limiti del sistema solare.

La psicologia è lo studio di un nuovo linguaggio. E questo nuovo linguaggio è la lingua universale, che gli uomini talvolta cercano di scoprire o di inventare.

Terza conferenza
L’idea che l’uomo sia una macchina non è nuova; ed è veramente il solo punto di vista scientifico possibile, cioè basato sull’esperienza e sull’osservazione.
Nella seconda metà del XIX secolo, la cosiddetta “psicofisiologia” dava un’ottima definizione della meccanicità dell’uomo. L’uomo era considerato incapace di compiere qualsiasi movimento senza ricevere impressioni dall’esterno.
Se fosse stato possibile privare un uomo fin dalla nascita di ogni impressione, esteriore e interiore, pur mantenendolo in vita, egli non sarebbe stato in grado di fare il più piccolo movimento. Si tratta di un esperienza impossibile, poiché lo stesso processo di conservazione, respirazione, alimentazione, produrrebbe ogni sorta di impressioni, tali da mettere in moto vari movimenti riflessi, risvegliando in centro motore.
Questa idea è tuttavia interessante: essa mostra che l’attività della macchina umana dipende dalle impressioni esteriori e comincia con delle reazioni a queste impressioni.
Nella macchina ogni centro è perfettamente atto a ricevere il genere di impressioni che gli è proprio e a reagire in modo adeguato. Quando i centri lavorano correttamente, è possibile calcolare il lavoro della macchina, prevedere e predire i vari incidenti e le reazioni che si produrranno in essa, così come studiarli ed anche dirigerli.

Purtroppo i centri lavorano assai raramente come dovrebbero, anche in un uomo considerato normale e sano: questo perché i centri sono fatti in modo da potersi sostituire in una certa misura l’uno con l’altro (per assicurare la continuità del funzionamento dei centri e creare una salvaguardia contro eventuali interruzioni nel lavoro della macchina, poiché in certi casi un’interruzione potrebbe essere fatale.

L’uomo che voglia studiarsi ed osservarsi dovrà dunque studiare e osservare non solo il lavoro corretto dei centri, ma anche quello sbagliato. L’uomo deve rendersi conto della sua situazione, delle sue difficoltà e delle sue possibilità; deve avere un intenso desiderio di uscire dal suo stato attuale, oppure avere un grandissimo interesse per lo stato nuovo e sconosciuto che dovrà avvenire con il cambiamento.

L’uomo vive sotto due specie di influenze:
Interessi e attrattive create dalla vita stessa: interessi di salute, sicurezza, comodità, ricchezza, piaceri, distrazioni, vanità, orgoglio, reputazione … Interessi di un altro ordine, risvegliati da idee che non sono create dalla vita, ma che traggono le loro origini dalle scuole.

Quarta conferenza
In realtà ogni centro occupa tutto il corpo e compenetra l’organismo intero. Al tempo stesso, ciascun centro possiede quel che vien detto il suo centro di gravità.
  • Il centro di gravità del centro intellettuale è nel cervello.
  • Il centro di gravità del centro emozionale è nel plesso solare.
  • Il centro di gravità del centro motorio è nel midollo spinale.
Tutto il lavoro del centro intellettuale si divide in due parti: affermazione e negazione, si e no. ad ogni istante nei nostri pensieri, uno dei due aspetti prevale sull’altro oppure sono entrambi di egual forza: da qui l’indecisione.

Nel lavoro del centro istintivo, la divisione è pure molto chiara e le due parti, negativa e positiva, sono ambedue necessarie ad un giusto orientamento nella vita.
Nel centro motorio la divisione in due parti, positiva e negativa, non ha che un senso logico: il movimento in opposizione al riposo.

Nel centro emozionale, la divisione parrebbe semplice. Considerando che le emozioni piacevoli in sé derivano dalla parte positiva, e che le emozioni sgradevoli derivano dalla parte negativa.
Ma in realtà le cose sono molto più complicate.
Non c’è parte negativa naturale nel centro emozionale. La maggior parte delle emozioni negative sono artificiali e sono basate su emozioni istintive, snaturate dall’immaginazione e dall’identificazione.
James e Lange insistevano sul fatto che tutte le emozioni sono in realtà sensazioni che accompagnano i cambiamenti che avvengono negli organi interni e nei tessuti, cambiamenti anteriori alle sensazioni e che ne sono la vere cause.
Ossia non sono gli avvenimenti esteriori ed i processi interni a produrre l’emozione. Gli avvenimenti esteriori e i processi interni provocano dei riflessi interni quali a loro volta producono delle sensazioni e queste sono interpretate come emozioni.
D’altra parte le emozioni positive come “amore”, “speranza”, “fede”, nel senso in cui sono comprese abitualmente, ossia come delle emozioni permanenti, non sono accessibili all’uomo nel suo stato ordinario di coscienza.
Esse esigono l’unità interiore, la coscienza di sé, un Io permanete e volontà.
Le emozioni positive sono delle emozioni che non possono divenire negative.

Le emozioni negative sono un fenomeno terribile. Esse occupano un posto enorme nella vita. Si potrebbe dire che per molta gente, tutta la vita è regolata, controllata ed infine rovinata dalle emozioni negative. Al tempo stesso le emozioni negative non rappresentano alcuna utilità nella nostra vita. Non servono al nostro orientamento, non ci apportano alcuna conoscenza, non ci guidano mai in maniera sensata.
Le emozioni negative dipendono dall’identificazione. Ogni qualvolta l’identificazione è distrutta, esse scompaiono.

L’uomo deve sacrificare la sua sofferenza

“Che cosa è più facile da sacrificare?”. 
Ma in realtà, la gente sacrificherebbe qualunque cosa piuttosto che le sue emozioni negative.
Illuso da una vecchia superstizione, l’uomo aspetta sempre qualche cosa dal sacrificio dei suoi piaceri, ma non s’aspetta niente dal sacrificio della propria sofferenza.
Egli è pieno di idee false sulla sofferenza, continua a pensare che la sofferenza gli è inviata da Dio, dagli dei, per un suo castigo o per una sua edificazione ed avrà persino paura di venire a sapere che è possibile sbarazzarsi della propria sofferenza in modo tanto semplice.

E che cosa avverrebbe di tutta la nostra vita senza le emozioni negative? Che cosa avverrebbe di ciò che noi chiamiamo “arte”, del teatro, del dramma, della maggior parte dei romanzi?

Non abbiamo alcun controllo sulla nostra coscienza. Ma abbiamo un certo controllo sul nostro modo di pensare e possiamo costruire i nostri pensieri in modo tale che essi conducano alla coscienza. Dando ai nostri pensieri l’orientamento che avrebbero in un momento di coscienza, possiamo farla sorgere.

L’osservazione è resa difficile dal flusso incessante di pensieri, immagini, echi di conversazioni, frammenti di emozioni che attraversano la vostra mente e molto sovente distolgono la vostra attenzione dall’osservazione.
Nel momento in cui cominciate ad osservarvi, qualcosa in voi mette in moto l’immaginazione, e l’osservazione di sé, se la tentate realmente, è una lotta costante contro l’immaginazione.
Possiamo ricordarci di noi stessi per un breve momento, quando lo vogliamo, poiché in una certa misura comandiamo i nostri pensieri. La pratica del ricordarsi di sé cambia la parte sottile del nostro metabolismo e produce nel nostro corpo degli effetti chimici definiti, che forse sarebbe maglio dire alchemici.

Quinta conferenza
Avete sempre confuso comprendere con sapere, ossia avere delle informazioni; ma sapere e comprendere sono due cose del tutto differenti, che dobbiamo imparare a distinguere. Per comprendere una cosa, dovete vedere la sua relazione con qualche oggetto più vasto, oppure con un insieme più grande, come pure le conseguenze di tale relazione.
Non può esserci che una sola comprensione; il resto è incomprensione o comprensione incompiuta.
Tuttavia molti pensano sovente di comprendere le cose in modi differenti. Comprendere una cosa significa comprenderla in quanto parte, nella sua relazione col tutto. Ma l’idea del tutto può essere molto differente per gli uomini a secondo del loro sapere e del loro essere. Potete comprendere gli altri solo nella misura in cui comprendete voi stessi e solo al livello del vostro proprio essere. Potete giudicare il sapere degli altri, ma non potete valutare il loro essere. Non potete vedere in loro, altro che nella misura in cui avete già visto voi stessi. 

Fonte: Peter D. Ouspenski, L'evoluzione interiore dell'uomo, Edizioni Mediterranee