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giovedì 13 aprile 2017

La prima ferita – Willi Maurer

L’origine della scissione interiore
  • L’influsso dei fattori ambientali durante la vita prenatale (tra di essi lo stato emotivo dei genitori, lo stress, gli episodi gravi di emergenza così come quelli piacevoli) è tale da lasciare nel cervello del nascituro una sorta di matrice specializzata a districarsi in tali situazioni.
  • Questa matrice, grazie a eventi emotivamente intensi durante e immediatamente dopo la nascita, può essere rinsaldata o allentata e quindi re-impressa con nuovi contenuti e riorganizzata.
  • Esperienze troppo dolorose durante la vita prenatale e/o la nascita intaccano la forza vitale e possono arrivare a spegnere la voglia di vivere.
  • Le esperienze fatte in prossimità della nascita hanno un’influenza massiccia sulla vita futura del singolo. Se la situazione e i sentimenti provati risultano troppo dolorosi, essi vengono rimossi, ma continuano a manifestarsi in modo indiretto, tra l’altro anche in un comportamento inappropriato verso i neonati. In questo modo la sofferenza viene trasmessa da una generazione all'altra e si perpetua.

Forte della mia esperienza, posso affermare che la mera conoscenza dei nessi appena descritti non basta a permettere davvero una scelta è necessaria una profonda terapia per ritrovare il contatto con il bambino interiore rimosso. È possibile cambiare qualcosa in merito alla scissione interiore, che permette sì di sopravvivere a condizioni di vita inaccettabili, ma che in seguito porta a vivere separati da sé stessi, oppure si tratta d’un destino ineluttabile?

Chi risale nella propria memoria fino in fondo, può scoprire che la paura della morte, così diffusa nella cultura occidentale, non è altro che una proiezione del vissuto individuale durante e dopo la nascita. Si tratta della paura di morire provata durante la nascita a causa del dolore e del senso di abbandono che hanno messo a repentaglio la vita. Proprio il senso di abbandono spinge molti a rifugiarsi nella religione, che cerca di spiegarlo con la separazione da Dio. La fede che ne risulta, spesso dogmatica, impedisce di riconoscere come questo senso di abbandono sia identico al sentimento provato alla nascita e poi rimosso, provocato dal comportamento del personale medico, paramedico e dei genitori, tutte persone benintenzionate che pensavano di fare del loro meglio.

Il bambino che ha dovuto affrontare una nascita dolorosa o difficile desidera come prima cosa piangere, anche se non prova più alcun dolore acuto. Il pianto è un mezzo di guarigione e permette l’elaborazione dello shock subito, a patto che e soltanto se alla nascita il neonato viene accolto direttamente dalla madre e anche successivamente si trova nelle sue amorevoli braccia. L’elaborazione di shock gravi può richiedere ore intere di pianto ininterrotto, che è benefico per il bambino, se viene accolto con amore e comprensione. Attraverso l’elaborazione dei sentimenti accumulati il neonato può superare il trauma della nascita e tornare in sé.

Spesso il pianto del bambino provoca nei genitori e nel personale medico sanitario impulso irrefrenabile a “dover fare qualcosa”. Questo succede quando essi non abbiano potuto elaborare lo shock della propria nascita attraverso il pianto e lo hanno, quindi, rimosso. In effetti essi non riescono a sopportare il pianto del bambino, e ancora meno i sentimenti che sentono sorgere dentro di sé. Sommersi da un’angoscia irrazionale e dalla necessità di evitare ogni senso di colpa, per controllare che tutto sia a posto, essi ricorrono alla separazione del bambino dalla madre. Questo trattamento disturba o addirittura rende impossibile il momento di vitale importanza dell’imprinting, ovvero il contatto multi-sensoriale integro tra madre e bambino, esattamente come in seguito la prassi di mettere il bambino in una camera separata. È così che si ripete il circolo vizioso in cui da secoli siamo imprigionati. Questo circolo vizioso tuttavia può essere interrotto quando cominciamo a comprendere e accogliere le esigenze fondamentali del neonato. Come punto di riferimento biologico transculturale, dobbiamo ricordare che l’essere umano viene al mondo con l’aspettativa di essere portato, il riflesso di aggrapparsi ne è un indizio. Soddisfare il bisogno di essere portato addosso alla madre significa rispondere contemporaneamente a un altro bisogno primario fondamentale, il senso di appartenenza, anche a sua volta contribuisce a mantenere intatte fiducia e stima di se stessi e negli altri, e garantisce uno stato ottimale di salute psicofisica. 

Fonte: La prima ferita di Willi Maurer