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mercoledì 29 agosto 2018

Sociologia generale, temi, concetti, strumenti

Potere e disuguaglianze globali
Nel 2010, con il boom del mercato azionario, per la prima volta la Apple ha superato la Microsoft, diventando l'azienda di alta tecnologia a più alta capitalizzazione di mercato del mondo (Helft e Vance, 2010). In Cina, però, gli operai che assemblano molti prodotti Apple, tra cui i diffusissimi iPhone e iPad, non hanno festeggiato di certo la buona notizia: nei primi cinque mesi dell'anno si suicidarono in dieci, per la maggior parte gettandosi dai balconi dei dormitori costruiti dall'azienda accanto alla megafabbrica di Shenzhen (BBC, 2010a; 2010b). Quegli operai erano alle dipendenze della taiwanese Foxconn Technologies, il più grande assemblatore del mondo di computer e dispositivi portatili, che lavora per Apple e per altre aziende dell'alta tecnologia. I dipendenti della Foxconn lavorano sei giorni alla settimana per una paga-base di 132 dollari al mese; l'impegno quotidiano va dieci a dodici ore, e lo straordinario è la norma; non possono parlare durante il turno e sono assoggettati a una disciplina militare, che ha fatto dire a uno di loro: "È come una prigione". Eppure, la Foxconn è considerata una delle migliori aziende per cui lavorare: in molte altre fabbriche cinesi, le condizioni di lavoro sono assai peggiori.
L’ondata di suicidi ha attirato un’imbarazzante copertura mediatica, finché le autorità cinesi non hanno imposto alla stampa di abbassare i toni. Quando i media occidentali hanno riportato la vicenda e le imprese che appaltano la produzione alla Foxconn hanno manifestato preoccupazione, l’azienda ha aumentato i salari del 20% per sollevare il morale delle maestranze e ha messo delle reti ai balconi dei dormitori per prevenire i tentativi di suicidio.
Dietro i brand di successo dell’elettronica di consumo e di altri settori che dominano l’economia globale di oggi si nascondono spesso casi analoghi di sfruttamento della manodopera. 

Consumo e identità
Probabilmente i vostri bisavoli avevano delle identità che riflettevano i luoghi in cui erano nati e dove avevano vissuto e lavorato, le loro credenze religiose e i forti legami che li univano a una determinata comunità.
La vostra identità, invece, è senza dubbio ancora in formazione, magari per effetto di diversi mutamenti: il cambiamento di scuole e di amicizie, l’andare a vivere da soli e la progettazione di un percorso di carriera mentre frequentate l’università. La natura della nostra identità riflette in gran parte la natura della nostra società.

Come scrisse il sociologo Paul Berger (1963), “Le società tradizionali assegnano identità definite e permanenti ai loro membri”.
“nella società moderna”, osserva Berger, “l’identità è incerta e in divenire”.
Poiché la famiglia di origine e il luogo di nascita non determinano più necessariamente il nostro futuro, lo sviluppo del nostro Sé non è automatico.

In una società ultra commercializzata, in cui quasi tutto è in vendita, ciò che acquistate e dove lo acquistate possono assumere una grande importanza nell’affermazione della vostra identità.
Il consumismo è un’enfasi sullo shopping e sul possesso di beni materiali come via d’accesso alla felicità personale. Attraverso il prodotto, i pubblicitari vendono un’identità, e gli individui, a laro volta, esprimono la propria identità attraverso le scelte che fanno nel proprio ruolo di consumatori (o con il rifiuto del consumismo). 
Nel suo libro dal titolo azzeccatissimo, The Conquest of Cool, lo storico della cultura Thomas Franck (1997) ha dimostrato che negli anni ’60 i pubblicitari sfruttarono la cultura popolare dell’epoca per promuovere il consumo come forma di autoespressione creativa. Svariati beni di consumo venivano presentati come oggetto di elezione da parte dei non-conformisti, dei ribelli e dei tipi “alla moda”, per esempio i furgono Volkswagen, le macchine fotografiche Polaroid e le moto suzuki. La pubblicità induceva i consumatori a rifiutare il conformismo – seguendo l’invito ad acquistare determinati prodotti. Il risultato, naturalmente, era la riproduzione di un nuovo conformismo: quello di tutti coloro che acquistavano i prodotti associati alla ribellione. Il fatto che le grandi imprese propongano il consumo di massa come mezzo di autoespressione e di ribellione individuale – per paradossale che possa apparire – emerge frequentemente nelle campagne pubblicitarie. Nel 2010, per esempio, quando venne lanciato il primo tablet, la Apple reclamizzò la “rivoluzione” dell’iPad; la campagna precedente, volta a promuovere i Macintosh, aveva come slogan Think Different (“Pensa differente”) e utilizzava l’immagine di grandi rivoluzionari come il Mahatma Gandhi, John Lennon e Martin Luter King jr.

Lontano anni luci dal concetto marxista secondo cui dovrebbero soddisfare dei bisogni elementari, i beni di consumo di oggi si incentrano spesso sull’immagine e sull’identità.

I brand che scegliamo sono carichi di un significato sociale che va ben oltre l’uso pratico del prodotto. Beni di prestigio (come le automobili, l’elettronica e i capi di abbigliamento) riflettono sempre più il nostro “prestigio” sociale (Baudrillard, 1988b).


Fonte: Sociologia generale - temi, concetti, strumenti di David Croteau e William Hoynes 




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