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martedì 3 marzo 2015

L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp

L’accoppiamento sessuale nelle sue molteplici forme
Graduatoria dell’energia sessuale
Il microsesso si conclude con gli sponsali delle cellule, l’unione tra l’agile, irrequieto spermatozoo e l’immobile, rigonfia cellula-uovo. Il codice genetico subisce un rimaneggiamento. Ne deriva un nuovo essere simile ma non identico ai due che lo hanno generato.

L’energia sessuale si può dunque a ragion veduta definire la forza che opera con l’intento di avvicinare e unire il corpo del maschio e il corpo della femmina. Un’energia che negli esseri viventi si manifesta in varie maniere e a vari livelli. Ora è necessario passare in rassegna le diverse forme in cui essa si estrinseca. Cominciamo con una graduatoria di questa energia.
Sul gradino più basso della scala troviamo le manifestazioni più deboli. Esaminando ostriche, stelle marine, meduse e anche altri organismi molto più complessi quali l’anfiosso e altro cefalocordati non si trova la minima traccia di una forza che operi per spingere all’unione il maschio e la femmina. Spermatozoi e uova vengono sparsi nelle acque degli oceani e si incontrano per caso, soltanto perché ne viene prodotto un quantitativo enorme. Non si può certo dire che le piante, impossibilitate a muoversi, manifestino anche un minimo di energia sessuale. Alcune, come il masi, poiché fanno assegnamento sul vento per ottenere che i soffici stigmi dei fiori femmina siano impollinati, per misura precauzionale sono costrette a fabbricare quantitativi iperbolici di polline. Né si può dire che le piante che si servono del curioso sistema di affidare agli insetti il trasporto del polline da un fiore all’altro rivelino di possedere energia sessuale. L’impollinazione entomofila è un’anomalia delle forma evolutiva della vita e non trova posto sulla scala dell’energia sessuale.
Un gradino più su delle ostriche e delle stelle marine possiamo collocare ad esempio il tritone. I tritoni non si congiungono nell’atto della copulazione, anzi non si abbracciano nemmeno. Ciononostante il maschio è attratto dalla femmina, le danza intorno, depone un involtino di sperma ai suoi piedi Leggermente superiore la forza che opera spingendo il maschio della sanguisuga a depositare il proprio seme nel corpo della femmina. I pesci si accoppiano spinti da forze che li inducono a un comportamento per noi mammiferi veramente stupefacente. Sebbene in alcuni di essi, come nel pescecane ad esempio, la fecondazione avvenga all’interno del corpo della femmina, la vera e propria copula non si verifica. Le rane si appiccicano e restano unite a lungo, ma la copulazione propriamente detta non può avvenire perché il maschio è sprovvisto di pene.
Di copulazione vera e propria possiamo invece parlare quando si tratta di insetti, rettili e mammiferi.

Per gli insetti sono certi composti chimici a fungere da esca. La maggior parte dei mammiferi è condizionata dal ciclo di produzione degli ormoni col risultato che il maschio è attirato dalla femmina soltanto in determinati periodi dell’anno.

L’uomo, guidato più dal cervello che dagli ormoni, costituisce una categoria a sé: maschio e femmina possono congiungersi in qualsiasi momento e sentono reciproca attrazione più o meno costantemente.

I suoi cugini, gli scimpanzé e le altre scimmie, hanno molto più ritegno, paragonati a lui.

Probabilmente è nell’uomo che l’energia sessuale si manifesta più spesso e forse con l’impulso più potente.
Per quanto riguarda la ricchezza in assoluto nel campo dell’esperienza sessuale il primo posto va aggiudicato alla chiocciola e agli altri ermafroditi che si accoppiano nello stesso modo. Perciò sono stati collocati in una categoria speciale. Tra le creature vivente sono quelle più doviziosamente dotate sessualmente e le loro orge di accoppiamenti ermafroditi con esasperate componenti sado-masochistiche fanno sembrare tediosa e scialba qualsiasi intemperanza umana.

Seme gettato al vento o sparso nell’acqua
Le ostriche non sono davvero amanti ardenti. Esse trascinano la loro monotona esistenza ancorate a una roccia, estraendo il loro cibo dall’acqua marina che filtrano coi movimenti ritmici ed incessanti delle cellule ciliate delle loro lamelle.
Tra maschio e femmina non è visibile la minima differenza; per meglio dire, come molti altri molluschi, esse possono essere l’una e l’altra cosa. Non allo stesso tempo però. L’ostrica europea, di forma piuttosto piatta, sfrutta al massimo i vantaggi di entrambi i sessi alternandoli: un anno è femmina, l’anno seguente è maschio. Nel campo della riproduzione questo tipo di ostrica è un po’ meno sciattona della sua parente americana. Quando è maschio sparge a casaccio il suo seme nella acque marine, ma quando è femmina trattiene le uova tra le lamelle. Lo sperma viene aspirato insieme alle altre particelle contenute nell’incessante flusso d’acqua che si insinua tra le valve. Non si sa bene per quale misteriosa ragione riesce a non farsi mangiare: feconda le uova. L’ostrica americana non si prende tanto disturbo, sparge le uova, così come lo sperma, nelle acque del mare. Per questo motivo, allo scopo di garantire la riproduzione, è costretta a fabbricare una miriade di uova. Per quanto sciattona questa ostrica americana ha per lo meno una buona abitudine: quella di buttare in mare uova e sperma nello stesso periodo di tempo. La sciagurata sarebbe estinta da un pezzo, se non fosse per questo suo tempismo. Molti altri animali marini e la maggior parte delle piante marine (le alghe) per riprodursi usano lo stesso sbadato sistema dell’ostrica. L’attinia, il riccio di mare, la stella marina, hanno tutti il vizio di spargere uova e sperma nel mare. Alcune stelle marine hanno sviluppato un sistema di riproduzione simile a quello dell’ostrica europea: producono una quantità ridotta di uova ricche di vitellino e le raccolgono in sacchettini, impedendo così la dispersione. Ma comunque la unione tra maschio e femmina non avviene. Lo sperma vaga negli oceani in quantità enorme e il suo incontro con le uova dipende dal movimento dell’acqua.

Insetti paraninfi
Le piante che producono fiori possono avere, distribuiti separatamente, alcune i fiori maschi ed altre i fiori femmina, oppure dare fiori forniti sia degli organi maschili sia di quelli femminili: gli stami che producono il polline e gli stigmi che il polline lo ricevono.
In entrambi i casi, per ottenere a mezzo della riproduzione sessuata una fusione di codici genetici è necessario che il polline, l’equivalente dello sperma degli animali, venga trasferito sugli stigmi del fiore di una altra pianta. L’impollinazione affidata al vento è incerta e richiede una smisurata produzione di polline; perciò alcune piante hanno escogitato un meccanismo biologico che è tra i più curiosi: l’impollinazione a mezzo degli insetti.

Amore vorace
La sanguisuga, per esempio, è una creatura a dir poco repellente le cui abitudini in campo sessuale non sono meno disgustose del suo metodo di alimentazione. Le sanguisughe sono ermafrodite, il che significa che lo stesso individuo produce sia le uova che lo sperma. Però non posseggono nessuno degli organi tradizionalmente considerati strumenti dell’atto sessuale, essendo prive sia del pene per introdurre il seme, sia della vagina per ricevere il seme stesso. Quando le sanguisughe si accoppiano, quella che assume il ruolo di maschio si avvinghia al corpo di quella che funge da femmina. La facente funzione di maschio deposita sul corpo della compagna una capsula a forma di sacchetto chiamata Spermathophora, che contiene sperma compresso. Nel punto in cui aderisce, questa capsula produce un enzima ad alto potere dissolvente che dove tocca scava addirittura un buco nelle carne. Attraverso questo buco lo sperma viene iniettato a forza nella cavità interna del corpo della “femmina”, dove a sua volta viene attaccato da cellule speciali che lo fagocitano. Gli spermatozoi sopravvissuti alla strage hanno la possibilità di essere trasportati verso le ovaie dal flusso degli umori corporali e può darsi che riescano a perforare le pareti delle ovaie e a fecondare le uova. La sanguisuga femmina ci guadagna una ferita profonda che ci mette tre giorni per rimarginare.

Un’altra tecnica degna di stuzzicare la fantasia del marchese de Sade è quella scelta da alcuni vermi di mare appartenenti al gruppo dei Platelminti. Quando giunge il periodo per la riproduzione, questi vermi sciamano a frotte, si riuniscono, e una volta messa insieme una bella folla di maschi e femmine si abbandonano a orge. Le femmine assalgono i maschi, staccano le loro code con un bel morso e le ingoiano: un festino d’amore nel senso letterale della parola! I maschi, come la maggior parte dei vermi, posseggono uno sviluppatissimo potere di rigenerazione perciò abbandonano il campo a nuoto e si fanno ricrescere i segmenti mancanti. Le femmine digeriscono quanto hanno ingerito durante il festino cannibalesco, il pezzetto di maschio che, guarda caso, contiene proprio i testicoli e tutta la riserva di sperma. Gli spermatozoi, liberati dall’involucro a causa dell’azione dei succhi gastrici della femmina, perforano la parete dell’intestino, si fanno strada nella cavità interna del corpo, localizzando e fecondando le uova. Il passaggio attraverso l’apparato digerente della femmina, per quanto rischioso possa apparire, è indispensabile per attivare lo sperma. Gli spermatozoi che non passano attraverso questa prova del fuoco non sono in grado di fecondare l’uovo.

In tutte queste forme la forza che spinge il maschio e la femmina ad unirsi è difficilmente valutabile. I frutti dell’amore appaiono strani e poco invitanti. La sanguisuga esce dall’amplesso con dei buchi nella carne. Al maschio Platynereis viene portata via la coda con un morso. La femmina Peripatus riceve una stilettata nei visceri.

La via sessuale dei ragni sembrerebbe ancor più deludente; per la verità è circondata da tanti pericoli che è un vero miracolo se queste creature sono riuscite a sopravvivere. Lungi dal sentirsi spinto ad abbracciare la sua compagna, il ragno maschio ha tutte le ragioni per starle il più lontano possibile, viste che la signora ha il brutto vizio, una volta sacrificato a Venere, di rifocillarsi sgranocchiando il marito. Perciò il maschio tiene la femmina a distanza, nel senso letterale della espressione e per espletare la funzione sessuale non usa quell’organo intimo che è il pene, ma il palpo, un’appendice situata in fondo a una delle sue quattro paia di zampe. Dato che il palpo non è collegato direttamente con le ghiandole produttrici di sperma, per trasferire il suo seme il ragno usa il sistema indiretto. Anzitutto tesse una ragnatela speciale, poi depone in questa ragnatela una goccia di seme, dopo di che immerge il palpo nello sperma per riempire un organo minuscolo, simile a una siringa ipodermica lillipuziana, chiamato receptaculum seminalis. Il ragno introduce una di queste siringhe nell’orifizio dell’apparato genitale della femmina, inietta il suo sperma e se la dà a gambe più in fretta che può per sfuggire all’abbraccio della compagna e al pericolo di venire trasformato in uno spuntino.

In certi insetti la tendenza al cannibalismo di cui dà mostra il ragno femmina arriva molto più in là. Jean Henri Fabre, l’acuto e sensibile studioso della vita degli insetti, rimase addirittura disgustato da tali deviazioni dell’impulso sessuale. “Che dire”, egli domanda, “della cavalletta, che prima di deporre le uova, squarta il corpo del compagno e ne mangia quanto più può? E del grazioso grillo, la cui femmina si trasforma in una iena, sfascia l’arpa dell’amato che le ha appena dedicato una splendida serenata strappandogli senza pietà le ali e, a prova della propria gratitudine, se lo divora parzialmente?”.

Il primo premio per questi festini di carattere amatorio-cannibalesco probabilmente spetterebbe alla mantide religiosa, le cui usanze sono state anch’esse descritte da Fabre.
“La mantide, in genere, non è mai sazia di estasi nuziali e di banchetti. Dopo un periodo di riposo che varia a seconda se le uova vengono deposte o no, un secondo maschio è accolto amorosamente e poi divorato come il primo. Gli succede un terzo: questi porta a termine la funzione per cui è nato, viene mangiato e scompare dalla scena. Un quarto subisce il medesimo destino. Ho visto la stessa mantide distruggere in questo modo, nel corso di due settimane, ben sette maschi. Essa se li stringe al seno e poi li costringe a pagare con la vita l’estasi nuziale. Vediamo una di queste orribili coppie impegnate come segue: il maschio, assorto nell'esercizio delle sue funzioni vitali è avvinghiato alla femmina in uno stretto abbraccio. Ma il disgraziato non ha più testa, non ha collo, a malapena si può dire che abbia ancora un corpo. L’altra, le mandibole rovesciate, continua placidamente a rosicchiare ciò che resta del cigno gentile. È nel frattempo, quel moncherino di maschio, abbarbicato fermamente alla femmina, continua la sua bisogna! Si dice che l’amore sia più forte della morte. Preso alla lettera, mai l’aforisma ha ricevuto più brillante conferma. Una creatura decapitata, un insetto amputato della parte superiore del corpo, un vero e proprio cadavere, persiste nello sforzo di trasmettere la vita. Desiste soltanto quando la femmina prende d’assalto l’addome, nel quale sono situati gli organi della riproduzione”.
Queste scoperte riempivano Fabre di tristezza. “Ho visto con i miei propri occhi e ancora non sono rinvenuto dallo stupore”.
Probabilmente avrebbero invece fatto la delizia di un latro francese, di colui che non si stancava mai di sottolineare le peculiarità criminali insite nella natura: “O, state tranquilli, nessun delitto al mondo potrà mai attirare su di noi la collera della natura; tutti i delitti servono ai suoi scopi, tutti le sono utili e quando essa ci spinge a commetterli state pur certi che è perché ne ha bisogno” (De Sade, Juliette).


L’amore in fabbrica
Cominciamo dalle api. Apis Mellifera, o ape mellifica. Abbiamo di fronte una situazione in cui l’attività sessuale è stata eliminata dall'esistenza di quasi tutti i membri della colonia. Nell’arnia la copulazione è un fatto sconosciuto. Le migliaia di lavoratori che vanno e vengono incessantemente, trasportando il polline o il nettare proveniente dai fiori che hanno visitati, sono tutte femmine. Femmine esclusivamente in rapporto alla genetica, però, perché i loro organi sessuali sono atrofizzati ed esse non possono accoppiarsi.
Nell'alveare, l’energia sessuale si manifesta soltanto una volta in tutta la vita della regina. E questo avviene in maniera talmente drammatica da risvegliare lo stupore degli scienziati e l’ammirazione dei poeti.

Maeterlinck, scrivendo prima che la “Grande Illusione” rendesse gli scrittori piuttosto cauti in fatto di entusiasmi, dedicò parecchie pagine di prosa fiorita alla descrizione dell’avvenimento. “Essa sfreccia verso l’alto, verso una zona luminosa che le altre api non raggiungono in nessun momento della loro vita. Da lontano i maschi, che cullano la loro pigrizia tra i fiori, hanno scorto l’apparizione, hanno respirato l’affascinante profumo che dilaga all’intorno finché ogni alveare dell’apiario ne è impregnato. Immediatamente si raccoglie una folla di pretendenti che insegue la regina nel mare della beatitudine, la cui trasparente frontiera è sempre più evanescente. Essa, ebbra del gioco delle sue ali, obbedendo alla splendida legge selettiva della sua specie che le impone di eleggere ad amante il più forte, l’unico che saprà raggiungerla nella solitudine degli spazi eterei, sale, sale sempre più. Per la prima volta nel corso della sua vita, l’aria azzurrina del mattino penetra negli stigmi della sua trachea simile a un nettare divino, cantando la sua canzone nella miriade di tuboli delle sacche tracheali colme di vento al centro del suo corpo. Ancora più in alto. Deve trovare una zona non disturbata dal volo degli uccelli che potrebbero profanare il mistero. Sale ancora; e già la frotta eterogenea che la insegue sta diradandosi, sfoltendosi. I deboli, i malati, i vecchi, i derelitti, i denutriti provenienti da cittadelle in letargo o impoverite rinunciano all'inseguimento e scompaiono nel vuoto. Resta soltanto un piccolo grappolo di infaticabili, sospeso nell'infinita distesa opalina. La regina costringe le proprie ali a uno sforzo supremo, ed ecco che il prescelto da forze misteriose la raggiunge, l’afferra e con essa si libra verso l’alto in un impeto congiunto. La spirale ascendente del loro volo intrecciato turbina per un istante nella ostile follia dell’amore”.
La “ostile follia”, in questo caso, è un riferimento al fatto che la femmina uccide il compagno; non divorandolo come fa una mantide religiosa, ma strappandogli dall’addome l’apparato genitale al completo. Il Romeo sbudellato precipita al suolo. La regina “scende dalle alture celesti e torna all’alveare, trascinando, come un orifiamma spiegato al vento, i visceri dell’amante”.
La morte del fuco non ha nessun importanza. La regina gli ha portato via la sola cosa che conti e ha immagazzinato nella propria spermateca una riserva di spermatozoi sufficiente a metterla in grado di deporre uova fecondate al ritmo di duemila al giorno, durante i seguenti cinque anni.

Da certe ghiandole speciali, le operaie secernono un cibo che gli apicoltori chiamano gelatina reale; durante i primi tre giorni di vita tutte le api vengono nutrie con questa sostanza, ma in seguito con la gelatina reale sono alimentate unicamente quelle destinate a diventare regine, e che nasceranno da uova collocate in celle particolari, molto più grandi delle altre. Dopo sedici giorni, dalle larve emergono le giovani regine. La prima che spunta, immediatamente, d’istinto, assassina tutte le consorelle regine, trafiggendole prima ancora che escano dalle loro celle. Dopo di che intraprende il volo nuziale già descritto.

L’assassinio delle regine rivali è soltanto uno dei massacri che sistematicamente si verificano nell'alveare. Ancor più drammatico è il genocidio dei fuchi, dei maschi in soprannumero che vengono periodicamente assaliti dalle operaie e sterminati senza pietà.



L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp - Longanesi & C. 

domenica 1 febbraio 2015

Master Game - Robert S. De Ropp

LE CINQUE STANZE
Possiamo essere ancora più precisi e sostenere, basandoci su valide prove, l’esistenza di cinque livelli di coscienza accessibili all'essere umano:
  • Sonno profondo senza sogni – Primo livello
  • Sogno – Secondo livello
  • Sonno da svegli (identità) – Terzo livello
  • Trascendenza di sé (ricordo di sé) – Quarto livello
  • Coscienza oggettiva (coscienza cosmica) – Quinto livello
La natura fornisce all'essere umano il primo, il secondo e il terzo livello di coscienza. Sono i livelli indispensabili per la vita, per la conservazione del corpo fisico e la perpetuazione della specie. Non fornisce invece l’esperienza del quarto e del quinto livello. È come se, per un errore nel suo schema evolutivo, l’essere umano avesse sviluppato un meccanismo che rende difficile sperimentare i due stati superiori di coscienza. 

SONNO SENZA SOGNI: la percezione è assente. L’attività è ridotta al minimo. Sono in atto i respiro, il battito cardiaco e altri processi involontari, ma manca completamente la consapevolezza di sé. È il sonno senza sogni, l’oblio fratello della morte. È la prima stanza in cui l’essere umano deve trascorrere gran parte della vita, perché solo nel sonno gli organi del corpo preposti alla rigenerazione (le nostre batterie vitali) si ricaricano.
Se gli viene impedito l’ingresso nella prima stanza, l’organismo può subire danni irreparabili. L’incapacità di dormire è uno dei primi sintomi della schizofrenia, una delle più comuni e più gravi forme di malattie mentali.

STANZA DEI SOGNI: non passiamo mai l’intero periodo del sonno nella prima stanza, e farlo sembra produrre effetti non salutari. Obbedendo a una legge ancora poco conosciuta, di tanto in tanto lasciamo la prima stanza ed entriamo nella seconda, quella dei sogni. Qui “vediamo” scene ed eventi davanti a noi, come se fossero proiettati su un grande schermo. Ho messo il verbo “vedere” tra virgolette perché, con gli occhi chiusi e la stanza immersa nell’oscurità, la retina non può essere impressionata da alcuna immagine. Si tratta di un vedere puramente mentale, eppure, attraverso un misterioso collegamento tra il cervello e gli occhi, quando sogniamo questi ultimi si muovono rapidamente, come se seguissero effettivamente una scena.

SONNO DA SVEGLI: il terzo stato di coscienza sorge quando l’individuo si sveglia dal sonno fisico e si trova immediatamente sprofondato in una condizione chiamata “identificazione”. L’identificazione è infatti il tratto distintivo del terzo stato di coscienza, in cui l’individuo non ha una consapevolezza autonoma, ma si perde in tutto ciò che fa, pensa e sente. Essendo l’essere umano perso e non presente a se stesso, Gurdjieff definisce il terzo stato di coscienza “sonno da svegli”.
L’uomo che si trova in questa condizione non è l’uomo vero, bensì una macchina priva di unità interiore, di reale volontà e di un io permanente, mossa e manipolata da forze esterne come un burattino dal burattinaio.
Inoltre, questa persona addormentata è attorniata da latri dormienti, e la cultura in cui vive è intesa a perpetuare questo stato di sonno. 
  
TRASCENDENZA DI SÉ: la possibilità di entrare nel quarto stato di coscienza dipende dall'averne già fatto esperienza.
… l’uomo può avere, e ha, dei barlumi di questo stato in seguito a un’emozione religiosa provata davanti a un’opera d’arte, nell'estasi sessuale o in situazioni di grave pericolo. In circostanze come queste, si dice che egli “si ricorda di se stesso”.
Il ricordo di sé è una separazione della consapevolezza da tutto quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. Il suo simbolo è la freccia a due punte, che indica una duplice consapevolezza. C’è un agente e c’è un osservatore, che è la consapevolezza oggettiva di sé; c’è il senso di essere separati, staccati dalle limitazioni del copro fisico; c’è un senso di distacco, di non identificazione.

Quando veniamo a sapere dell’esistenza della quarta stanza, la nostra vita giunge a un bivio. Possiamo cercare di ignorarla, comportandoci come se non esistesse e ricadendo nello stato di totale identificazione, oppure provare il desiderio di giocare il Master game e cercare qualcuno che ci spieghi le tecniche del gioco.
Tutte le ricchezze di Creso non avrebbero consentito ad un re del passato di fare un’esperienza per noi normale come salire su un aereo.
La terza stanza è così comoda, sicura e piena di cose, quindi, perché dovremmo salire nella quarta? Che cosa può offrirci di più della terza?
La risposta è ovvia. La libertà. Solo nel quarto stato di coscienza ci liberiamo dalla tirannia dell’io e dalle paure e sofferenze che questa entità provoca. Una volta entrati nella quarta stanza, e dopo aver imparato ad abitarla, siamo liberi dalla paura. Le parole “io” e “mio” perdono il loro significato. Non ci identifichiamo più con il corpo fisico e non attribuiamo eccessiva importanza ai processi materiali.
Uno dei poteri che si sviluppano nella quarta stanza è la capacità di morire volontariamente.
L’uomo che vive nella terza stanza può credere di essere padrone di se stesso, ma in realtà non ha nessun controllo sulle sue azioni. Non è nemmeno capace di camminare per strada senza perdersi nelle più svariate impressioni che “colpiscono la sua immaginazione”. Padrone di sé è solo chi vive nella quarta stanza: sa dove sta andando, sa di stare facendo una certa cosa e perché la fa. Il suo segreto è il distacco dal risultato delle azioni, e misura il successo e il fallimento non in base ai risultati esteriori, ma in termini di consapevolezza interiore. 

COSCIENZA COSMICA: R.M. Bucke scrive, nel suo La coscienza cosmica, che la sua caratteristica principale è appunto una “coscienza del cosmo, cioè della vita e dell’ordine dell’universo”.
Un altro esempio è la visione cosmica che Krishna rivela ad Arjuna nella Bhagavad Gita.
Un contatto scorretto con la quinta stanza, attraverso le droghe o altri strumenti, può provocare danni irreversibili causati dalla potenza delle impressioni su una consapevolezza non sufficientemente preparata.
Nessuno, per quanto dotato di grandi capacità, può trasmettere a un’altra persona un diverso livello di coscienza. 


Fonte: Master Game 



mercoledì 7 gennaio 2015

La Via della Completezza - Robert De Ropp

Il reticolo del karma
IO SONO QUI ORA.
IO SONO. La piena consapevolezza del mio essere mi è data solo ogni tanto. Perché? Perché la maggior parte del tempo, io sono perso nella fantasia. Senza alcun dubbio io non sono qui ora. Sto vagando nel passato o sognando nel futuro, oppure sto pensando a qualcosa, sto speculando sopra qualcosa, sto parlando a qualcuno che non è neppure qui, sto immaginando, sto indulgendo. Che modo di vivere!

Ma il pieno senso di IO SONO mi viene dal ricordo. Insieme al ricordo viene una consapevolezza del luogo, il QUI, e del tempo, ORA. Ed interviene anche un senso di separazione, il sentimento di essere fuori dallo spazio-tempo, come un osservatore sulla riva del fiume del tempo, che guarda la corrente. Questo è zikr, il ricordo.

Auto-ricordo? Ma io ho molti sé, sono una vera nave di folli.
Quale sé ricordo?

Nessuno di essi. Questo sé è al di fuori dello spazio-tempo, è l’uccello bianco, il messaggero del pleroma, al di là dei cambiamenti, al di là della morte. 

Per l’IO SONO è anche possibile andare oltre la creatura, fondersi nel pleroma, l’Eterno Immutevole. Questo è l’ultimo stadio della Via, la liberazione finale. Non è possibile andare oltre.

Cosa è andato storto?
L’ominide primitivo, l’Homo erectus, da cui pare siamo discesi, aveva un volume cerebrale di appena 600 cc. Pare che l’homo erectus sia passato attraverso una serie di mutazioni all’incirca cinquecentontomila anni or sono. Tali mutazioni, tra cui probabilmente la riduzione della peluria corporea, consistettero principalmente in un notevole sviluppo del cranio e in una corrispondete espansione del cervello. Il risultato fu una nuova razza di ominidi, l’Homo sapiens, con un volume medio del cervello di 1.400 cc.

Fu proprio questa improvvisa crescita della neocorteccia a creare difficoltà nell’Homo sapiens. “Nel creare il cervello umano, la natura andò parecchio oltre le proprie intenzioni”, afferma Arthur Koestler nel suo libro Il fantasma nella macchina.

l’Uomo è vittima di un errore evolutivo, un errore nella costituzione del cervello. La Natura o Forza Mentale aveva troppa fretta: creò una magnifica neocorteccia senza mettere a punto una corrispondente catena di comandi per cui fosse assicurato il dominio di quel nuovo cervello, sede della ragione, sui vecchi cervelli, sede degli istinti e delle emozioni. Ne conseguì un primate nudo, altamente suggestionabile ed instabile, che viveva per lo più nel mondo della fantasia, pieno di illusioni paranoiche e crenicamente propenso al panico.

Schiavi e padroni
Cos’è il Lavoro?

Il Lavoro implica la trasformazione di uno schiavo confuso, dominato dall’illusione, in un padrone illuminato e integro, completo.

Lo schiavo non ha il controllo sulla propria vita, è spinto da forze esterne, è alla mercé di impressioni casuali, è schiavo delle abitudini, la maggioranza delle quali cattive. Inoltre è facile preda della credulità, della suggestionabilità, di speranze e paure.

Soprattutto lo schiavo è una creatura della fantasia. Abita in un mondo di sogni. È tagliato fuori dalla conoscenza del mondo reale da un meccanismo del suo cervello che genera illusione. Lo schiavo mente a se stesso riguardo a se stesso e ad ogni altra cosa. Non sa di mentire. È uno schiavo che sogna di essere libero. È un bugiardo che sogna di conoscere la verità.

Il padrone si è liberato dal meccanismo del cervello che produce l’illusione. È un abitante del mondo reale. Per entrare in questo mondo ha dovuto sacrificare i suoi sogni. Ha osato confrontarsi con la verità riguardo a se stesso ed ai suoi simili. È stato abbastanza forte ed astuto da fuggire dalla prigione dove gli schiavi passano la vita. È pianamente sveglio. Ha visto la verità e la verità lo ha reso libero. Ma ha pagato un prezzo estremamente alto per ottenere questa libertà.

Questa verità non è confortante, nemmeno un po’. Ci sono diversi miliardi di esseri umani legati come asini bendati alla ruota del mulino, spinti da dietro con il bastone della paura, allettati davanti con la carota della cupidigia. Il guardiano del Mulino, un grande e terribile spirito, si assicura che gli asini non cerchino di fuggire e lo fa mediante il semplice procedimento di ipnotizzarli, convincendoli che sono già liberi.

La stretta di questa ipnosi può essere allentata?

Non per la maggioranza degli asini. Ogni ben intenzionato liberatore che tenterà di svegliarli dal loro stato di sonno sarà certamente attaccato, picchiato e morso, per aver osato suggerir loro che sono schiavi. Un tale suggerimento toglie loro la loro più cara illusione, l’illusione di essere liberi e padroni del loro destino.

Come può succedere allora che qualcuno di questi schiavi riesca a sfuggire dal Mulino e si trasformi in un padrone?

La risposta è che molto pochi fuggono veramente. Il guardiano del Mulino, il terribile spirito che qualcuno chiama maya, altri il Diavolo o il Padre della menzogna, ha molti bei trucchi a sua disposizione. 

Lo Spirito della Menzogna sa che il suo atavico avversario, lo Spirito della Verità, a volte può influenzare gli asini ipnotizzati. Nella psiche umana c’è il desiderio di verità ma esso è debole se confrontato con il suo opponente, il desiderio di autoinganno.

Ma lo Spirito Menzognero sa come contrattaccare e neutralizzare il desiderio di verità prima che esso renda capaci gli schiavi di liberarsi dalle loro illusioni. Lo fa preparando una contraffazione, un’imitazione del Lavoro reale, un Lavoro illusorio. Ed è un questo Lavoro illusorio che così tanti schiavi restano intrappolati nel tentativo di fuggire. La lavoro illusorio li mette in condizione di credere che stanno lavorando su di sé, quando invece barattano solo un insieme di sogni con un altro.

Nel diagramma che ho chiamato gli “Stadi della Via”, si vede il Mulino circondato dalla Foresta. Gli schiavi che fuggono dal mulino entrano della Foresta e devono districarsi da esso, ancor prima che un vero lavoro interiore possa iniziare. È facile perdersi nella foresta ed a molti accade proprio questo. È piena di sentieri che non portano da nessuna parte e di guide che non conoscono esse stesse la via. Vi si trova anche la profonda ed oscura gola che Herman Hesse chiamò Morbo Infernale[1], dove tutta l’ispirazione è perduta, l’entusiasmo svanisce, le mete superiori sono dimenticate.

Al di là della Foresta si stagliano due alte cime, a volte visibili tra gli alberi: la Montagna del Potere e la Montagna della Liberazione. Fugaci visioni di queste cime incoraggiano il viaggiatore a continuare nella ricerca della strada che porta ai piedi delle due montagne. Ma le visioni sono solo occasionali e troppo facilmente vengono dimenticate. Dimenticando dove stava cercando di dirigersi, il viaggiatore si perde di nuovo.

Proprio perché si tratta di un luogo così pericoloso, la fuga nella Foresta rende le cose peggiori di quanto fossero in precedenza. Almeno nel Mulino gli schiavi erano a loro agio perché non conoscevano la verità su se stessi, grazie al loro stato di sonno ipnotico. Invece nella Foresta si sentono a disagio; hanno visto barlumi di verità e questo ha rovinato il loro sonno.

Così non sono più felicemente schiavizzati né veramente liberi. La loro difficile situazione fu riassunta di Gurdjieff nel seguente aforisma: Felice chi siede sulla propria sedia; mille volte più felice chi siede sulla degli angeli; ma miseria per chi non ha sedia[2].

Gli schiavi sfuggiti al Mulino e perduti nella Foresta prendono le distanze dal loro disagio mediante il Lavoro illusorio. Sognano di star “Lavorando” quando in realtà non stanno facendo nulla. Non hanno sacrificato i loro sogni né vinto le loro abitudini meccaniche. Sono schiavi tanto quanto lo erano prima di lasciare il Mulino, ma la grande illusione di star “Lavorando “impedisce loro di accorgersene. Sono entrati in uno stato chiamato Secondo Sonno, da cui è molto difficile svegliarsi. Chi è nel Secondo Sonno sogna di essere sveglio.

Lo pseudo Lavoro consiste in una serie di trappole. Cadere in una di esse sarà sufficiente per portare il vero Lavoro ad un arresto.

Preferisco conoscere la verità, per quanto terribile, che rifugiarmi in qualche confortante sistema illusorio.
Il Lavoro illusorio assume la forma di otto trappole. Chiunque cerca di entrare nel lavoro cade prima o poi in una di esse. Caderci è inevitabile. Qualunque realistico seguace della Via lo sa e si prepara in anticipo ad affrontarle. Questo implica di conoscerle, di sapere di essere caduti in una di esse e di sapere come uscirne.

Ecco qui le caratteristiche delle otto trappole principali.

Trappola N° 1. La sindrome parla-pensa: ecco una trappola sottile in cui molti cadono. Parlano del Lavoro. Pensano al Lavoro. Ma parlare del Lavoro e pensarci non produrrà più risultati di quanto parlare di sesso o il pensarci possa generare un bambino. 

Trappola N° 2. La sindrome del devoto: questa trappola si chiama anche la Sindrome degli occhi incantati. Implica devozione fanatica e fede cieca in un insegnante o in un insegnamento. Questa devozione acceca completamente il devoto, distrugge qualunque capacità di ragionamento oggettivo che la vittima possa aver posseduto in precedenza.

Trappola N° 3. La sindrome del falso messia: questa trappola è l’opposto della Sindrome del Devoto. Chi cade in questa trappola si convince di essere un Maestro, capace di trasmettere agli altri certe fondamentali verità sulla vita spirituale. La categoria del Falso messia non comprende coloro che possono essere detti truffatori spirituali volontari. Le vere vittime della trappola n°3 sono invece piuttosto sincere. Credono davvero alle loro affermazioni. Un altro aspetto è che non lasciano mai al seguace la possibilità di andarsene.

Trappola N° 4. La sindrome dell’organizzazione: ecco una trappola davvero pericolosa, dove interi gruppi sono soggetti a cadere. La Sindrome dell’organizzazione si sviluppa quando un autentico Maestro muore e i suoi allievi considerano loro dovere, come loro dicono, continuare il lavoro del maestro. Dunque formano un’organizzazione. Si trasformano in una gerarchia. Il fatto è che comunque i più anziani spesso spiritualmente si trovano in un vicolo cieco. Avendo perso di vista i veri scopo del Lavoro, si tengono occupati con la politica organizzativa. Non sono Maestri, ma piccoli politici. 

Trappola N° 5. La sindrome della salvezza personale: ecco una trappola sottile e pericolosa. La sindrome della Salvezza Personale si basa su un grande errore. Coloro che ne soffrono immaginano che il sé personale, il cosiddetto ego, possa essere salvato o dannato. La vera salvezza, in realtà, implica la liberazione dal sé personale e dai ristretti confini dell’ego. L’”Io” non può essere salvato, è proprio l’ostacolo, il creatore della grande illusioni della separazione. 

Trappola N° 6. La sindrome del supersforzo: consiste nella convinzione che il Lavoro esige sforzi paurosamente intensi. L’idea alla sua base è vicina la vero. Il Lavoro implica grande sforzo ma di un tipo molto speciale. Lo sforzo richiesto implica il mantenimento dell’equilibrio e della consapevolezza. Somiglia più allo sforzo di colui che cammina sul filo o del giocoliere. Il vero Lavoro è fatto di una lotta contro lo stato di identificazione. Identificazione significa essere totalmente immersi in quanto si sta facendo e perdere ogni oggettiva consapevole della propria esistenza. Il Lavoro non è una cosa eroica. Implica infinita pazienza ed una volontà di iniziare sempre di nuovo. Soprattutto implica la libertà dall’identificazione, poiché quest’ultima, distrugge sempre il vero Lavoro e lo sostituisce con il Lavoro illusorio,

Trappola N° 7. La sindrome della riunione domenicale: chi cade in questa trappola perde di vista il suo vero scopo. Al lavoro su se stessi, essi sostituiscono la partecipazione alle riunioni dell’organizzazione. Una volta lasciata la riunione, si dimenticano del Lavoro. Il Lavoro per questo tipo di gente è diventato una manifestazione della personalità. È del tutto artificiale.

Trappola N° 8. La sindrome della caccia al guro: chi ci cade passa la vita ad andare da un insegnante all’altro, esigendo da ciascuno che gli vengano rivelati i segreti del Lavoro. Non possono e non riescono a capire che non ci sono segreti che possano esser rivelati. Si possono scoprire solo attraverso la pratica e questa deve raggiungere un certo livello di intensità e continuità prima che il segreto possa esser scoperto. Coloro che cadono nella trappola della Caccia-al-Guro non hanno intenzione di praticare né intensamente né in modo continuo. Vogliono che tutto venga loro presentato su un piatto d’argento. Se il Lavoro non viene presentato in questo modo, essi giungono a concludere che il guru era un impostore e se ne vanno alla ricerca di qualche altro guro. La loro ricerca non ha mai fine o, meglio, finisce solo con la loro morte, per la semplice ragione che essi non vogliono che finisca. 



[1] Hesse H., Viaggio in India, The Newton Compton
[2] Citazione da Vedute sul Mondo Reale, L’Ottava. 



Fonte: La via della completezza - Robert De Ropp