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mercoledì 13 maggio 2015

Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli

Tutti nasciamo con un bagaglio molto consistente di attitudini, capacità, organizzazione, specializzazioni, e questo è vero sia sul piano biologico che su quello psicologico.

… ogni manifestazione individuale si configura come la migliore risposta che riusciamo a fornire alle sollecitazioni dell’ambiente in cui viviamo, una risposta che è il frutto di un’interazione tra il nostro apporto individuale e la miglior risposta che la specie e la nostra famiglia hanno fornito a problematiche uguali o simili.
Si tratta di veri e propri “programmi speciali” – per la maggior parte inconsci – che si attivano per risolvere gli squilibri che si generano o si sono generati nel corso della vita, la nostra e quella dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni ecc., arrivando a certi livelli (biologici) addirittura ai nostri antenati ancestrali.

La Nuova Medicina di R.G. Hamer e la Psicogenealogia o psicanalisi transgenerazionale (che ha in Europa una capostipite in A.A. Schützenberg) costituiscono di fatto la complessificazione di due ambiti disciplinari ancora oggi molti restii al cambiamento, decisamente ancorati a una visione quantomeno ottocentesca dell’essere umano: una psiche da sondare, bagaglio di esperienze inconsce del bambino da zero a tre anni per la psicanalisi e la psicologia; un ammasso meccanico-elettrico-chimico di cellule da tagliare, cucire, riassemblare per la medicina.

Questa immagine dell’essere umano – e di conseguenze della realtà e della stessa conoscenza – è caduta a partire dall’inizio del Novecento grazie alla grande svolta costituita dalla teoria della relatività di Einstein.
La teoria dei sistemi (promulgata alla metà del secolo scorso) l’ha poi definitivamente distrutta, sostituendola con i principi dell’autoreferenzialità e dell’autoorganizzazione dei sistemi viventi che finalmente complessificano (e non complicano) la vita e le sue emergenze.

Riconnetterci con la vita su tutti i piani – biologico, familiare, individuale e relazionale – reinserirci nella grande ruota della vita, è necessario sia a livello di psiche che di corpo: se il senso della vita è metaforicamente e concretamente rappresentato dal sangue, infatti, i legami di sangue ne determinano in larga parte la salute, la salite del sangue.
La Nuova medicina e la Psicogenealogia costituiscono le nuove frontiere della medicina e della terapia psicologica.

… oggi l’essere vivente è visto come un sistema complesso dove ogni elemento è in relazione con ogni altro elemento all’interno di un’organizzazione in costante dialogo-scontro con l’ambiente in cui si muove e di cui fa a sua volta parte. Una rete di complessità di reti di intercomunicazione costante che fa di ogni individuo un biotipo (specie), un antropotipo (società), un genotipo (famiglia) e un fenotipo (specificità singola) al contempo.

Limitarsi a una sola di queste caratteristiche significa ridurre la complessità di un individuo a un solo punto di vista.

… lo studio della persona e della sua provenienza sul piano psichico si può definire “psicanalisi transgenerazionale” o “psicogenealogia”, e si tratta in sostanza dello studio dell’albero genealogico per evidenziare e analizzare le modalità di strutturazione dell’individuo e delle sue caratteristiche nell’arco delle generazioni, vale a dire come una persona viene “costruita” dalla storia delle generazioni che l’hanno preceduta.
Così come non c’è alcun dubbio che l’essere biologico sia il risultato finale di un’evoluzione il cui inizio risale ad almeno 3,5 milioni di anni fa, altrettanto si può dire che l’essere psichico, il quale è l’esito finale raggiunto dalla sua specie e dalle modalità particolari tramite le quali questa ha garantito la propria sopravvivenza, la propria riproduzione e la sua stessa evoluzione.
Queste modalità si riassumono concretamente nell’incrocio e nella relazione tra maschile e femminile che è alla base della vita, in altre parole, per l’essere umano, in quell’istituzione sociale – su basi biologiche ed evolutive – che è la famiglia.

Se a livello biologico il maschile e il femminile rappresentano i biotipi di base, essi lo sono anche sul piano psichico e genealogico, e si possono racchiudere in una formula che li riassume per l’uno e per l’altro livello: archetipi primari.
Gli “archetipi primari” sono quindi il maschile e il femminile, l’uomo e la donna, il padre e la madre, il figlio e la figlia.

La psico-bio-genealogia basata sulla teoria degli archetipi primari che qui viene presentata non ha nulla o poco a che vedere con il genosociodramma in senso stretto, con la genealogia e la psicogenealogia comunemente intesi e nemmeno con la Nuova Medicina tout court.

Questo approccio prende naturalmente in considerazione gli approdi e gli apporti della psicogenealogia e della Nuova medicina, e anzi se ne serve al massimo, però li fonde all’interno di un percorso più sistemico e forse più radicale per entrambi i punti di vista, i quali spesso (ma verrebbe voglia di dire sempre) si escludono a vicenda.

La grande potenza dell’inconscio – che la Nuova medicina chiama “psiche”, anche se non la identifica con esso – risiede nel determinare i conflitti e il tipo di risposta a questi conflitti, ma se l’inconscio è potente nel malessere può essere altrettanto potente per il benessere: oltre alla presa di coscienza, che rappresenta di per sé già il 70% di ogni guarigione, l’inconscio necessità cioè di una nuova informazione, per non tornare a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni e dell’evoluzione.

… la presa di coscienza del conflitto rappresenta di per sé già il 70% della “guarigione”, anche nella terapia della Nuova medicina, ma se si tratta di processi inconsci c’è la necessità assoluta di fornire a questo – all’inconscio – una nuova informazione, affinché non torni a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni precedenti e della nostra stessa biografia (ciò che ci ha portato al conflitto e alla sua soluzione biologica).

È proprio qui che interviene l’atto “paradossale” od “ordalia” nella definizione di M. Erickson e di J. Haley, l’” atto psicomagico” nella definizione di A. Jodorowsky, che atto risolutivo, un atto che io chiamo “poetico”, ma che nella sostanza è di fondo lo stesso per tutti: un’azione pratica – il più delle volte carica anche di un forte valore simbolico – perché il linguaggio dell’” agire” è l’unico che l’inconscio recepisce.
Il passaggio all’atto è fondamentale, dopo la presa di coscienza, e procede di pari passo con essa: in termini fisiologici, la presa di coscienza agisce sul sistema nervoso volontario, mentre l’atto agisce sul sistema nervoso neurovegetativo. La prima agisce sulla neo-psiche, cioè, mentre il secondo interviene sulla psiche arcaica.
È quindi il passaggio all’azione simbolica, “psicomagica” o “poetica”, che va propriamente a riequilibrare gli archetipi primari sul piano inconscio, che rappresenta l’approdo più difficile da raggiungere a livello terapeutico: un’azione che ristabilisce, radica una nuova informazione e incammina verso la nostra vera e unica strada, senza più incorrere nella ripetizione e nella recidiva.


Fonte: Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli





giovedì 7 maggio 2015

Totm #41 - Essere o non essere

Se iniziamo veramente a considerare la questione dell’attenzione, avremo alcune strane sorprese. La nostra percezione del mondo si altererà in modo radicale. Iniziando ad usare la nostra attenzione come andrebbe veramente usata - come un’essenza - noi violeremo i limiti che il corpo impone sopra la nostra attenzione.
Il corpo è comunque una bassa forma di energia; non è così importante. Esso impone i suoi limiti; altrettanto fa la mente. Esistono limiti fisici, limiti psicologici, limiti emotivi; ed ogni volta che l’essenza usa l’attenzione come dovrebbe, questi limiti saranno violati.

Alla macchina non piace quando violiamo i suoi limiti auto-imposti. Siamo stati ben addestrati e ben indottrinati a trattare tali limiti come potenti tabù - talmente potenti che essi sono tutto fuorché inviolabili. Ogni singolo pezzetto di condizionamento che, nella vita, ci è stato versato dentro con munificenza da parte della vita organica, ogni singola unità di condizionamento della macchina, ed il condizionamento che noi, come essenza, abbiamo acquisito dentro, va in direzione opposta al corretto uso dell’attenzione.

Siamo intrappolati in quanto non possiamo usare la nostra attenzione. Ecco quello che ci tiene prigionieri - questo e nient’altro. Iniziando ad usare correttamente la nostra attenzione, tutti i limiti cadranno da soli. L’uso dell’attenzione da parte dell’essenza brucia tutti i limiti della macchina e quelli dei centri inferiori; cioè, l’uso dell’attenzione nel modo in cui dovrebbe essere usata, come dovrebbe essere intesa, nel modo in cui era destinata ad essere usata. Come ce l’abbiamo avuta sempre a disposizione, e non l’abbiamo mai usata.

Una cosa non usata si atrofizza, si intorpidisce e non è più usabile. L’esperienza di aver avuto una mano ingessata per un anno dovrebbe bastare a dimostrare la difficoltà di usarla, una volta tolto il gesso. Ci vorranno settimane, mesi o perfino anni per riacquistare la stessa libertà di movimento - se mai si riacquista pienamente.

Se non esercitiamo la nostra capacità naturale (e noi abbiamo in realtà due sole abilità, quella di essere qui, e quella di guardare le cose) se non esercitiamo queste due abilità, esse si atrofizzano.

Ora, il punto non è che si atrofizzeranno; si sono già atrofizzate. Dobbiamo renderci conto che iniziamo con dei muscoli molto cigolanti poiché inutilizzati. E ci faranno male. Come ogni muscolo nuovo o che non abbiamo usato da molto tempo.

Quando iniziamo ad usare l’attenzione come si dovrebbe, farà male; dobbiamo semplicemente aver la disciplina di continuare, di andare avanti giorno dopo giorno; e se lasciamo correre un giorno, non usando l’attenzione come dovremmo, se non la usiamo tutti i giorni, la perderemo. Un po’ come una lingua, se non la usiamo la perdiamo. Perdiamo qualunque capacità che abbiamo sviluppato, se non la esercitiamo.

Iniziando a riacquistare la nostra attenzione come dovrebbe essere, ci sentiremo come se fossimo stati a dormire per decenni, e forse per migliaia e milioni di anni. Inizieremo a ricordare noi stessi come veramente siamo, non come una macchina, ma a ricordare veramente noi stessi. L’unico modo in cui potremo farlo è di iniziare ad usare le nostre vere capacità, gli unici due poteri che effettivamente abbiamo; questo significa ri-addestrare la nostra attenzione.

Sarebbe interessante impegnarci proprio esattamente in questo - esercizi di attenzione appositi per aiutarci a riconquistare queste due abilità così profondamente importanti. E così tutto il resto brucerà da solo. Niente resisterà alla presenza di queste due cose.

Se riusciamo ad invocare la nostra stessa presenza nel presente, in questo spazio e in questo tempo, possiamo invocare noi stessi dovunque attraverso barriere dimensionali, dovunque vogliamo. Possiamo invocare noi stessi dovunque, quandunque ed in ogni circostanza. Ed essere dove vogliamo essere.
Se sviluppiamo la capacità di guardare, se impariamo a porre la nostra attenzione, a ritirarla da dove viene attratta, ed a porla dovunque vogliamo, questo di per se’ sarà tremendamente potente.

Se la nostra attenzione viene attratta dall’interesse, dalla fame, si radica lì, e non possiamo sollevarla di lì. Questa non è la nostra attenzione. Non ci appartiene. La nostra attenzione è stata attratta da qualcosa. Non abbiamo controllo su di essa. Dunque per riuscire a controllarla, dobbiamo esser capaci di ritirarla, di riportarla indietro e di porla di nuovo dove desideriamo; escludendo le intrusioni. La nostra attenzione dovrebbe essere nostra, non dovrebbe essere soggetta ad intrusioni.

Se siamo capaci di far questo, la nostra memoria tornerà. Sarà come se ci svegliassimo da un brutto sogno confuso. Saremo funzionanti come un se’ essenziale, come un’essenza. E questo è ciò che cerchiamo. Una situazione in cui possiamo imparare. Dove possiamo imparare che la nostra macchina è secondaria, ma anche che possiamo funzionare senza di essa. Noi desideriamo imparare ad assemblare la forma della macchina senza aver bisogno della macchina stessa. Dovremmo esserne capaci, ma non lo siamo, perché non abbiamo l’attenzione.

Quando un’attenzione altamente addestrata ed altamente disciplinata viene posta sulla macchina, la macchina stessa viene portata immediatamente in stato di veglia. Questo funziona solo con un’attenzione molto raffinata e molto potente. Può funzionare perfino per svegliare la macchina di qualcun altro, quando l’attenzione viene posta su di essa, sebbene dobbiamo stare attenti a non farlo.

Si possono fare anche altre cose con la nostra attenzione; solo facendola posare su qualcosa o qualcuno possono succedere delle cose.  Cose che alcuni possono chiamare magia o misticismo, ma questi termini sono fuorvianti. Le cose che accadono sono semplicemente effetti del collocamento dell’attenzione. Il potente collocamento dell’attenzione, o il collocamento di potente attenzione su un oggetto ha profonda influenza sull’oggetto.

Ricordate che, per definizione, l’attenzione è sempre specifica e la consapevolezza è sempre generale. Non è mai il contrario. Possiamo mettere la nostra attenzione su un oggetto, poi includervi, secondo un modello radiante, tutto ciò che sta intorno o è connesso ad essa, continuando ad espanderla indefinitamente.

Se togliamo l’attenzione via da tutto questo e la poniamo su un solo oggetto, tutta la nostra attenzione è, per il momento, solo su quell’oggetto. Ma la nostra consapevolezza generale è su tutto il resto. La nostra attenzione può aprirsi a ventaglio ed essere ancora specifica. Possiamo muoverla attorno come una torcia elettrica o un laser; solo un po’ più espansiva.

L’attenzione può espandersi o contrarsi, fermarsi e poi muoversi ancora; può essere sollevata del tutto, o essere divisa; ma è sempre specifica. Non è una consapevolezza generale. Dovremmo tener presente che ci sono due tipi molto differenti di guardare. Uno è consapevolezza generale e l’altro è attenzione.

L’attenzione non deve essere focalizzata, può essere “sfocalizzata”, o anche diffusa. Ma anche così non è ancora consapevolezza. Qui sono all’opera due cose. La consapevolezza viene da sola; si insinua tra le percezioni e le impressioni. Il termine “impressioni” significa “tutti i tipi di cose che ci arrivano”. Attenzione è qualcosa che noi dirigiamo; non è passiva, ma attiva.

L’attenzione dev’essere diretta intenzionalmente. Possiamo guardare un libro con la nostra consapevolezza, ma dirigere la nostra attenzione altrove. Possiamo richiamare indietro l’attenzione e dirigerla sul libro; è come una cosa fisica che prendiamo da dove si trova e mettiamo dove vogliamo.

Possiamo fare anche altre cose: possiamo togliere la nostra consapevolezza e mettere solo la nostra attenzione. In presenza di certe persone con alto grado d’attenzione possiamo sentire la differenza; c’è una precisa sensazione.

Non possiamo generare e dirigere le emozioni fin quando non riusciamo a lavorare con la nostra attenzione, poiché le emozioni - i veri stati d’animo - sono una funzione dell’attenzione. Non sono “sentimentali”, che significa “aver sensazioni fisiche prodotte dalla mente”; in Latino “sentire” significa “avere sensazioni fisiche” e “mens” significa “la mente”.

Operando con una consapevolezza generale, le nostre emozioni sono egualmente dipendenti dallo stimolo. Sono delle reazioni a stimoli. Ci interessa sviluppare qualcosa che non è una reazione o una risposta ad uno stimolo. Un qualcosa che viene da dentro, che proviene da noi. E perché venga da noi, dev'essere generato da noi. Non possiamo generarlo finche non ci alleniamo a farlo. Iniziamo dalle piccole cose. Partiamo da un punto atrofizzato, quasi un niente, e dobbiamo svilupparlo da soli.

Non è diverso da preparare più o meno qualsiasi esercizio che possiamo immaginare. Se non vogliamo farci male, dobbiamo prima fare un po’ di riscaldamento; arrivare a qualunque cosa sia molto lentamente. Dovremo prepararci.

Prendiamo la nostra attenzione e la poniamo su un bicchiere, per esempio. Il bicchiere pare essere infuso di luce, sembra più brillante, più vivo. Ha una sua auto-luminosità. La macchina non è più sveglia, ma quel tipo di attenzione - se diretta su di essa - la risveglierà. Se applicata al bicchiere, sveglierà un poco di più il bicchiere.

Dobbiamo lavorare con semplice attenzione. Prendiamola dal livello uno e portiamola avanti. Non ci dovremmo preoccupare di svegliare la macchina per ora. Quando poniamo l’attenzione che abbiamo attualmente sulla macchina, non succede nulla. Non c’è bisogno di chiederci perché! Quella che la maggior parte della gente chiama attenzione, e l’attenzione di cui stiamo parlando qui sono due cose differenti.
Impariamo facendo. Poco a poco, l’insegnamento dev'essere adattato al tempo, al luogo e alla gente.

Due, tre o quattromila anni fa, se fossimo riuniti a Sumer, per esempio, e dirigessimo la nostra attenzione sulla macchina, saremmo stati allevati durante tutta la vita con un certo tipo di attenzione, e potremmo contare sul fatto che quell’attenzione è del tipo che risveglia la macchina. Metteremmo l’attenzione sulla nostra macchina e sarebbe efficace. La nostra macchina si sveglierebbe e non sarebbe un grande shock.

Ma poiché siamo stati allevati in una società che è distruttiva rispetto a quel tipo di attenzione, all'uso dell’attenzione in questo modo, quando ci vien chiesto di porre sulla macchina la nostra attenzione, quest’ultima è talmente debole ed inefficace che non succede nulla di reale; non c’è l’effetto-risveglio. Non siamo maghi, stregoni, ‘sorcerers’, ‘sourciers’, qualcuno che è una sorgente; un ‘sorcerer’ è uno che è ‘causa delle cose’.

Poi c'è l'altra questione: da dove viene la nostra attenzione? Dapprima sembra provenire dai nostri occhi o da dietro di essi o da qualche punto dentro la testa, o attorno al corpo, o dentro di esso; potrebbe essere il petto, o la testa o la gola.

Ma in effetti la nostra attenzione non è in nessuna parte del corpo. Noi siamo associati con il corpo ed identificati con esso, ma non siamo per nulla vicini al corpo. La sorgente dell'attenzione, la nostra autentica collocazione, ci diverrà sempre più chiara; noi abbiamo una reale collocazione, ed una apparente.

Quella apparente è sempre stata ovvia; come essere, quella reale ci apparirà sempre più evidente, mentre esercitiamo la pratica dell'attenzione, come essa dovrebbe essere veramente usata. Certo, solo perché dovremmo usarla in quel modo non significa che ci venga imposto di usarla in quel modo. Se vogliamo avere vita come esseri, allora dovremmo usare l'attenzione come dovrebbe esser usata, poiché questo ci darà la chiave della vita.

Ma se decidiamo di non vivere come un essere, allora non c'è urgenza diretta di usare l'attenzione come un essere. In questo caso, qualunque uso o non-uso dell'attenzione va bene. La scelta è fra vivere come un essere, fra dischiudere la nostra vita come essere, oppure no. Essere o non essere, questo è il problema.

Fin quando non risolviamo questo problema, non possiamo procedere. Fin quando non prendiamo una decisione in un senso o in un altro, non sono possibili ulteriori progressi. Dobbiamo scegliere. Vivremo o continueremo come siamo. Prima va fatta questa scelta. Dopo, e solo dopo, possiamo iniziare a svelare il segreto della vita. Sto per vivere la vita come essere, oppure continuerò come ho sempre fatto. Adesso ci sta davanti questa scelta. E ci starà davanti fin quando decideremo in un senso o nell'altro.

Non possiamo evitare di scegliere. E nessuno può scegliere in vece nostra. Nessuno ci può incoraggiare in un senso o nell'altro; noi dobbiamo scegliere l'una o l'altra strada. O possiamo anche decidere di non scegliere; nel qual caso saremo ributtati laddove eravamo, prima di venire eccitati come esseri, prima di venir stuzzicati dai baffi del gatto, come un cristallo di germanio o un chip di silicone viene stimolato e fatto entrare in eccitazione.

Qualcosa ha eccitato il nostro essere e lo ha fatto venir fuori. Ora ci sta di fronte una scelta e non possiamo fare alcun movimento ulteriore, procedere oltre, o fare nulla finché no scegliamo l'una via o l'altra. La scelta non se ne andrà. Ci starà sempre di fronte. Non possiamo mendicare, comprare, prendere a prestito, ne rubare niente, con quella scelta davanti.

Si deve comprendere molto bene, questa scelta. Possiamo scegliere sia la vita dell'essere, il se' essenziale, sia la vita della macchina. Bisogna fare questa scelta prima di fare anche solo un semplice esercizio di attenzione. Altrimenti gli esercizi non ci faranno alcun bene. Perché dev'essere così? Qui c'entrano delle leggi reali, delle cose che si possono muovere come blocchi...

Non ci sono altre alternative. Possiamo sperimentare infilando le dita in una presa di corrente, ma dobbiamo fare una scelta, se vogliamo davvero fare esperienza di quanto ne conseguirà, se siamo in grado di prevederlo. Altrimenti i nostri sforzi saranno fuorviati di proposito. Se scegliamo la vita della macchina, essa non includerà una cosa come un esercizio di attenzione. Una volta decisa la strada, gli eventi avranno luogo di conseguenza.

Come diventa il corpo di una donna che fa body-building dopo che i muscoli si sono sviluppati? Il corpo somiglia molto a quello maschile, ma con muscoli di proporzioni più piccole. Grosse braccia e schiene ondulate, grandi bicipiti, e gambe grosse e spesse.

Chiunque decida di imbarcarsi in una classe di body-building deve veramente decidere se vuole che quello diventi il suo tipo di corpo. Prima di fare la più piccola cosa in termini di sviluppo del corpo, dobbiamo decidere se quello è ciò che vogliamo diventare; se vogliamo diventare una cosa grottesca così.

Immaginate come sarebbe grottesco per il se' essenziale svilupparsi secondo lo stesso concetto e divenire potente, molto più potente che nel corso ordinario degli eventi; nel corso ordinario della vita, generalmente un essere umano ha un se' essenziale molto poco sviluppato. Perciò avere un se' essenziale altamente sviluppato appare molto brutto per un essere umano medio; così strano, particolare, così alieno quanto ci appaiono queste creature dal corpo costruito.

Non potremmo proprio funzionare in un mondo umano, nel mondo ordinario, se fossimo così. Dovremmo rivestirlo dentro qualcosa; proprio come se costruissimo il nostro corpo in quel modo, dovremmo nasconderlo quando andiamo in strada. Potremmo solo scoprirlo tra altri body-builders.

Allo stesso modo, se sviluppiamo il se' essenziale lungo questa direttiva, svilupperemo la capacità del se' essenziale di auto-invocarsi. Ciò significa che saremo capaci di inviare noi stessi attraverso il labirinto, di sollevarci al di sopra del dedalo, e lasciarci cadere attraverso dove vogliamo cadere, usando alcuni trucchi topologici. Diverremo sciamani, viaggiatori e lavoratori nel Grande Labirinto.


Incontri con Fabio Pellegrini

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