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venerdì 29 marzo 2019

RUNE. Rituali di magia per il terzo millennio – Jean de Blanchefort

In uno dei brani iniziali di un rituale magico del famoso Ordine Ermetico della Golden Dawn è scritto: “Per mezzo dei nomi e delle immagini tutti i poteri sopiti si destano”.
In queste poche e coincise parole è racchiuso il segreto più alto della Magia, e colui che sa vibrare i Santi Nomi Divini e di Potere e sa “costruire” le immagini mentali corrispondenti è già un illuminato.
Le Rune, questi misteriosi glifi tracciati sulle pietre, sui dolmen, sui menhir, su oggetti e manufatti tra i più disparati, sono i caratteri magici della più antica scrittura germanico-scandinava, il cui termine, Runa appunto, significa “mistero”, “scongiuro”, ma anche “mormorio” e “simbolo”.
Le Rune sopra ogni cosa sono espressione del divino, segni di potenza e di conoscenze che le antiche saghe e i carmi norreni definiscono “derivate direttamente dagli dei” e donate dal grande odino affinché le insegnasse agli uomini saggi. Esse vanno intese dunque come archetipi eterni della sapienza universale, simboli dietro ai quali sono nascoste le verità assolute immutabili di cui si parla nelle tradizioni.
La nozione di tradizione fa riferimento alla permanenza di un ordine eterno in cui passato, presente e futuro non hanno che un relativo interesse. Quel che invece conta, per l’individuo odierno sempre più immerso nell’età oscura e piatta dell’odierna civiltà, è ritrovare lo spirito tradizionale, non già come fuga verso mondi improbabili e utopici, ma come volontà trascendente di un ritorno alla fonte sapienziale del tempo dell’Eden e dell’Età dell’Oro. E questo lo si può ottenere anche – e in special modo – attraverso le simbologie nascoste nelle mitologie e nelle cosmologie che ci parlano dell’età aurea del mondo, della luce primordiale, della gioia e del riso degli dei.

La tradizione nordica è concorde nell’attribuire alle rune una origine divina, quasi si trattasse di un linguaggio segreto e iniziatico destinato al perpetuarsi della sapienza occulta primordiale, e ciò naturalmente non riguarda tanto il loro aspetto grafico o fonetico, ma è rivolto soprattutto al contenuto simbolico dietro cui sono celati gli archetipi primordiali.
Questo significa che le Rune sono simboli di conoscenza da usarsi con una certa attenzione. Le strofe 144 e 145 del canto dell’Eccelso (Havamal) sono un preciso ammonimento verso gli incauti che a cuor leggero si applicano alla magia runica:

Tu, sai come si incide? Tu, sai come si interpreta?
Tu, sai come si dipinge? Tu, sai come si sperimenta?
Tu, sai come si prega? Tu, sai come si immola?
Tu, sai come si offre? Tu, sai come si sacrifica?
Meglio non essere pregati che ricevere troppi sacrifici:
sempre il dono attende una ricompensa.
Meglio essere ignorato nelle offerte che troppo riconosciuto.
così ha inciso Thundr (Odino) prima che esistessero
genti, là egli ritornò da dove era venuto.

Possiamo quindi affermare che la conoscenza delle Rune e del loro utilizzo fu tramandato, alle origini, esclusivamente per via orale dai Maestri delle Rune proprio per i motivi accennati. La Runa evoca la potenza e la potenza evocata può creare o distruggere.

La tradizione in merito alla scoperta delle Rune, ci fornisce alcune indicazioni tratte principalmente dell’Havamal, il libro sacro degli antichi vichinghi (strofe 138-140):

Io so che da un albero al vento pendetti,
per nove intere notti,
da una lancia ferito e sacrificato a Odino,
io a me stesso,
su quell’albero di cui nessuno sa
da quali radici s’innalzi.
Pane nessuno mi dette, né corno per bere;
io in basso guardai:
trassi le Rune, dolorante le presi giù: e caddi di là.
Nove canti magici io appresi dall’illustre figlio
Di Bolthor, padre di Bestla,
ed un sorso bevvi di quel prezioso idromele,
attinto ad Odhrerir.

La conquista delle Rune da parte di Odino è una sorta di ordalia, conosciuta come “Giudizio Divino”, vale a dire una prova di forza fisica molto praticata dalle popolazioni tribali del Nord Europa dalla preistoria sino al Medioevo. L’ordalia è sempre in uso dagli sciamani, che attraverso rituali, digiuni prolungati e diverse forme dii auto-sacrificio tendono al contatto con il mondo ultraterreno e le sue divinità. Il mito di Odino vuole che egli sia rimasto appeso all’albero del Mondo a testa in giù, impalato sulla sua stessa lancia, in una ordalia divina che lo voleva significare, attraverso una prova che metteva in forse la sua forma umana; e questa prova gli consentì di guardare nel “pozzo della Conoscenza” e rubare le Rune, che egli memorizzò sia pure nel dolore fisico e che successivamente trasmise agli uomini, iniziando gli sciamani all’uso magico di questi simboli.

Fonte: RUNE. Rituali di magia per il terzo millennio – Jean de Blanchefort