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martedì 1 ottobre 2013

Ho un corpo per guarirmi – Christian Flèche

Vedere la malattia altrimenti
Malattia: un’occasione in codice: quando sono costretto a rimanere tutto il giorno al sole mi abbronzo, e l’abbronzatura non è una malattia; è il sintomo di una reazione di adattamento.
Poi scende la notte, e sebbene io sia ormai lontano dal sole, l’abbronzatura rimane!
Possiamo dire che l’abbronzatura è la fase visibile dell’esperienza, mentre l’esposizione al sole è la fase invisibile. Il sole è l’azione, l’abbronzatura è la reazione. Analogamente, la malattia è una reazione (una fase visibile) che succede a un’azione (fase divenuta invisibile).

Il sintomo è una reazione di adattamento:
  • dell’individuo
  • del gruppo
  •  della specie
L’inconscio biologico ci governa fino a che diventiamo consapevoli dei suoi contenuti, e dunque riprendiamo in mano le redini della faccenda.
La leonessa metterà al mondo otto leoncini. I più veloci si accaparreranno le mammelle più ricche, quelle che contengono più latte: quelle superiori. Per sopravvivere bisogna essere veloci, afferrare rapidamente il cibo. Esiste un’impellenza inconscia.
Se qualche leoncino cade in un dirupo, la madre metterà in atto una soluzione biologica inconscia: l’inconscio biologico darà alle mammelle l’ordine di produrre più latte, per permettere ai leoncini sopravvissuti di ristabilirsi, avendo più cibo. E se per caso tutti i leoncini muoiono cadendo nel dirupo, o vengono uccisi da un nuovo maschio dominante che sopprime i piccoli del suo predecessore, la femmina vive immediatamente un altro conflitto biologico inconscio, che questa volta solleciterà le ovaie: avrà delle cisti, allo scopo di fabbricare più estrogeni per una nuova ovulazione, un nuovo slancio produttivo, mirato alla conservazione della specie. La leonessa andrà in cera del maschio, si accoppierà e avrà altri leoncini. Queste cisti non sono una malattia, ma sintomi di adattamento allo stress. I tumori alle mammelle della leonessa non sono una malattia, ma soluzioni di guarigione. Con questa visione del mondo, il sintomo ci appare come un adattamento biologico di sopravvivenza.

Se la tiroide produce più tiroxina per accelerare il metabolismo e far si che mi accaparri le mammelle superiori, questo avviene per la mia sopravvivenza personale. Se produco più latte, è per la sopravvivenza dei piccoli; se fabbrico più estrogeni e ovuli, è per la sopravvivenza della specie.

Qualsiasi sintomo è presente per curare ciò che lo ha provocato, l’obiettivo essendo in ogni caso quello di sottrarci allo stress, quale ne sia la forma.

All’inizio era la biologia … né psicologica, né simbolica: ma logica: la cosa fondamentale, qui, è capire bene che ciò che vive è prima di tutto iscritto in una realtà biologica.
L’ovulo e lo spermatozoo hanno ciascuno ventitré cromosomi, che si sommano quando si incontrano, sicché l’uovo ne possiede ventitré paia.
Nel corpo di una bambina sono presenti tutti gli ovociti, ossia gli ovuli, fin dalla nascita: ne ha 400.000, e proprio come i neuroni non si rinnoveranno mai.
L’uomo, invece, produce continuamente dei nuovi spermatozoi, che saranno efficaci solo dentro alle vie genitali femminili.
Durante la relazione sessuale, l’uomo eiacula circa 200 milioni di spermatozoi, che giungono nelle vie genitali femminili dove diventano attivi. Solo 400 di essi arriveranno nelle tube di Faloppio, gli altri rimarranno nelle retrovie a far da guerrieri nel caso in cui dovesse presentarsi l’eiaculato di un altro maschio. Avranno la funzione di neutralizzare chiunque venga dopo di loro. Esistono anche gli spermatozoi con funzione di intermediario, che servono da barriera sempre contro gli eventuali spermatozoi di un altro maschio. E poi ci sono quelli che tenteranno di fecondare l’ovulo.
Lo spermatozoo, che è maschile e attivo (l’attività tipica del polo maschile), quando arriva nel terzo superiore della tuba incontra un ovulo che è soprattutto passivo (il polo femminile è passivo). Un enzima specifico che si trova sulla testa dello spermatozoo dissolverà la prima delle tre membrane dell’ovulo, così da poterlo penetrare. A questo punto, l’ovulo stesso diventa attivo e gli spermatozoi rimasti fuori diventano inutili, passivi.

Fin dal primo istante della vita, l’aspetto femminile, quando è in conflitto, diventa attivo e il maschile diventa passivo. 
Non appena uno spermatozoo è penetrato nell’ovulo, questo produce una reazione chimica che impedisce l’accesso ad altri spermatozoi. Se non vi è fecondazione l’ovulo degenera in ventiquattro ore, ma se è fecondato la cellula-uovo, questa cellula unica, si divide in due nel giro di trenta ore. Poi nel giro di quaranta ore si divide di nuovo, in quattro, sedici … e il terzo giorno siano davanti a un insieme di cellule tutte simili, tutte identiche fra loro. Al quarto giorno esse giungono nell’utero nella cui mucosa si annideranno. Per certi versi si tratta di un corpo estraneo, di una specie di “parassita” che entra nel corpo, il quale però non deve respingerlo. Onde evitare il rigetto, hanno luogo alcuni fenomeni biologici: la vita futura è più importante di tutto il resto, e il corpo della madre deve passare attraverso una serie di fenomeni orientali all’accettazione biologica di una “altro da sé”. La madre si “decentralizza” per far luogo a qualcosa di molto diverso da lei: questo è davvero amore!

Non bisogna tuttavia perdere di vista il fatto che l’embriogenesi riassume la filogenesi (nascita della specie; modalità di formazione della specie; sviluppo delle specie nel corso dell’evoluzione). L’embriogenesi dura due mesi, mentre la filogenesi dura milioni di anni.
I primi due mesi della nostra vita sono i più lunghi della nostra esistenza: l’embrione (dal concepimento fino alla fine del secondo mese) riassume, nel suo sviluppo, l’evoluzione di tutta la vita. Passerà attraverso fasi in cui avrà una piccola coda, delle branchie come quelle dei pesci, dita palmate come quelle delle anatre, tre paia di reni come certi anfibi, o addirittura tutta una sfilza di mammelle, come certi mammiferi. Analogamente si differenziano i tessuti, che sono un abbozzo di tutti i grandi apparati (digestivo, renale …) poi regrediranno le mammelle e i reni superflui, le branchie e le dita palmate …

Ora suddivideremo questa evoluzione della vita in quattro stadi:
Primo stadio: nell’evoluzione delle forme di vita (filogenesi), il primo stadio corrisponde all’apparire e al mantenimento della vita (la sopravvivenza), assicurata da quattro funzioni principali:
  • nutrirsi (afferrare il cibo)
  •  respirare (afferrare del gas)
  • eliminare le scorie provocate dalla combustione del cibo e del gas
  • riprodursi, per garantire la continuazione della specie
Queste quattro funzioni sono presenti in ciascuna delle nostre cellule, e in ciascuno dei nostri comportamenti.
I tessuti creati dall’embrione che riassumono questo primo stadio dell’evoluzione sono legati a tutto ciò che è arcaico, vitale; essi soddisfano le quattro funzioni. Si trovano in una parte dell’apparto dirigente, con lo scopo di afferrare il “boccone” di cibo, ossia afferrare la vita sotto forma alimentare, e digerirlo; in una parte dell’apparto respiratorio per afferrare l’aria, ossia la vita sotto forma gassosa; nell’apparato renale, nella porzione inferiore dell’apparato digerente e in altri emuntori, per eliminare le scorie; nell’apparato genitale, che è organizzato per la riproduzione della specie. 

Secondo stadio: a livello della filogenesi corrisponde al passaggio di organismi viventi dall’ambiente liquido all’ambiente terrestre. La vita si è dunque trovata di fronte alla necessità di differenziarsi di più da un ambiente più denso, minerale, ed è diventata più vulnerabile alle aggressioni. Qualsiasi organismo è effettivamente composto perlopiù d’acqua (circa il 70% per il corpo umano).
Per capire quali tracce psichiche tale passaggio abbia lasciato in noi, bisogna tenere a mente la nozione del “dentro di sé”, la necessità di proteggersi, di mettersi al riparo da attacchi di ogni sorta. Avremo, qui, dei conflitti derivanti dal sentirsi aggrediti, “insozzati” e minacciati nella propria integrità.
In questo secondo stadio, l’embrione costituisce organi che hanno funzione protettiva, come il derma (la pelle profonda, che corrisponde a unghie e capelli; ma anche l’abbronzatura, destinata a proteggerci dal sole) e altre protezioni più specifiche: per esempio, la pleura che potrebbe i polmoni, il peritoneo che protegge l’intestino, il pericardio che protegge il cuore, le meningi che proteggono il cervello, la tromba di Eustachio che protegge l’orecchio medio …
La ghiandola del seno fa anch’essa parte di questo “foglietto embrionale”: si tratta di una ghiandola sudoripara che ha subito una modificazione per poter produrre latte.

Terzo stadio: a livello della filogenesi corrisponde alla comparsa della struttura. La vita ha superato il livello della sopravvivenza, e quello della protezione, dunque può cominciare ad esplorare il mondo. Per questo ha bisogno di costruirsi una struttura, un’individualità che dia un senso a tutto questo. Compaiono i muscoli e le ossa in base a un interrogativo: perché andare altrove, perché fare una data cosa? Ha valore? Se non ha né senso né valore, allora non esisterà la manifestazione fisica corrispondente.
Se devo nuotare avrò bisogno di pinne; se devo volare, spunteranno le ali. Ma se non ho bisogno di nuotare, lungo il corso delle generazioni le pinne finiranno per scomparire. Si tratta quindi di svalutazione biologica, non psicologica: ciò che non serve a niente, scompare.
A questo punto l’embrione produrrà i tessuti connettivi, le ghiandole corticosurrenali, le ossa, i muscoli, i legamenti, i tendini, i gangli, le vene, le arterie, il grasso.
Ed è in questo ambito che, negli esseri umani, si situa il sentimento della propria individualità e del proprio valore: qualcosa che ci rende distinti dall’ambiente, ma è contemporaneamente in continuità con il “tessuto” circostante. Le cose insomma non riguardano più i nostri confini, ma riguardano noi stessi, certe nostre preoccupazioni profonde che ci spingono a interrogarci: “che importanza hanno, queste preoccupazioni, nel mio spaio interiore?”. Se tale importanza è eccessiva, allora si corre il rischio di autosvalutarsi, di cancellarsi entro lo spazio della propria coscienza, un fenomeno che ci spingerà anche a capire che, in fin dei conti, nessuno e nulla che provenga dall’esterno possono invaderci davvero senza che noi stessi ne siamo complici, il che ci dà sempre un buon punto d’appoggio per ritrovare un sano equilibrio.
La nota dominante di questo stadio sarà imprimere la direzione, il senso, il movimento, per l’esplorazione del mondo, la struttura interna. I conflitti che toccheranno gli organismi responsabili della struttura interna verranno vissuti in termini di svalutazione (ossia di svilimento) e direzione.

Quarto stadio: a livello della filogenesi imprime all’organismo la traccia certa di un’evoluzione maggiormente volta all’esterno; si tratta della vita relazionale, e riguarda gli organi sensoriali, il sistema nervoso, e certi organi che in questa quarta fase vanno a completare e a elaborare quelli costituiti nelle tre fasi precedenti (esempio i bronchi, che serviranno per collegare gli alveoli polmonari con l’esterno, oppure gli ureteri che collegano i reni con l’esterno).
La conseguenza di questa evoluzione sul piano della psiche umana è che non siamo soltanto rinviati a noi stessi, ma più che altro “proiettati” da noi stessi in un ambiente sempre più vasto, dinamico, complesso. Diventa allora impossibile non prestare attenzione a ciò che accade fuori, non è più possibile non essere in relazione.
Questo quarto livello è quello in cui si imprimono i conflitti relazionali, così come conflitti molto più intellettuali ed elaborati.


Fonte: Ho un corpo per guarirmi – Christian Flèche

domenica 8 settembre 2013

Malattia linguaggio dell’anima – Rüdiger Dahlke

Possiamo dire che il corpo, come espressione del mondo materiale, è caratterizzato dalla frequenza vibratoria più bassa, il piano dell’anima da una frequenza media e quello spirituale dalla più alta. Per elevare al piano dell’anima un aspetto che si è stabilizzato al livello più basso di vibrazione come sintomo fisico, deve quindi essere immessa energia. Una quantità ancora maggiore di energia sarà poi necessaria per raggiungere il piano spirituale. 
Nel processo inverso dell’insorgere della malattia, questa energia è stata trattenuta. Quando veniamo confrontati con qualcosa con cui non vogliamo avere a che fare, tratteniamo energia consapevole e lasciamo cadere questo “qualcosa” nella psiche e quindi nel corpo. 
Ciò che rifiutiamo a livello di coscienza e crediamo di poter rimuovere, ignorandolo, approda in realtà, per usare una terminologia di Jung, nell’ombra. 
L’ombra quindi è costituita da tutto ciò di cui non vogliamo prendere atto e che non vogliamo accettare, ma che preferiamo ignorare. È perciò diametralmente opposta all’Io, che invece è formato da tutto ciò che accettiamo con piacere e con cui ci identifichiamo. 
Ma poiché l’ombra è una parte necessaria della nostra totalità, possiamo divenire sani, cioè interi, completi, solo integrandola. Un uomo completo, infatti, è costituito da Io e ombra. Insieme danno vita al Sé, cioè all’essere umano integrato.
L’accettazione e l’elaborazione degli elementi d’ombra che si sono incarnati nei sintomi è di conseguenza la via che conduce alla scoperta di se stessi. 
Le malattie sono manifestazioni dell’ombra che, affiorando dalle profondità dell’anima alla superficie del mondo fisico, diventano facilmente accessibili e rappresentano quindi una guida eccellente. 

Per trasferire i sintomi da un piano di bassa frequenza vibratoria ad uno ad alta frequenza, è necessario disporre di energia prodotta dal paziente stesso. 

Il polmone è l’organo che presiede allo scambio di gas: col suo aiuto inoltre riusciamo a comunicare, poiché il linguaggio si articola grazie all’espirazione. Noi tutti respiriamo la stessa aria e per questo grazie ai nostri polmoni siamo in contatto gli uni con gli altri. All’interno del corpo, questi due organi mettono in comunicazione la parte destra e quella sinistra, proprio come la respirazione collega consocio e inconscio. Nessuna altra funzione organica ha altrettante importanza a questi due livelli. I polmoni quindi ci pongono di fronte al problema vero e proprio, che è quello del contatto con la comunicazione. L’infiammazione, è un conflitto armato, una lotta che si svolge nel tessuto organico. Gli anticorpi combattono contro i virus, ci si arma, si muore, si vince. 
La polmonite incarna quindi un conflitto a livello di comunicazione. 
Occorre chiedersi: perché tutto questo avviene, proprio a me? Perché proprio ora? Che cosa mi impedisce? A che cosa mi spinge? 

L’omeopatia non combatte un sintomo con il suo opposto, ma si allea con esso e con alternative analoghe lo sostiene nel tentativo di introdurre nella vita del malato un principio mancante. 
Che la medicina in origine si basasse su questo concetto, è dimostrato dal suo emblema: il serpente attorcigliato al bastone di Esculapio. Esso è il simbolo del mondo polare degli opposti e per procedere si attorciglia attraverso i due poli della realtà. 
Esso possiede il veleno che può sia uccidere, che guarire. 
Come nell’antichità, quando i serpenti venivano deposti nel tempio di Esculapio, anche ai nostri tempi il compito specifico ed esclusivo del medico è ricavare dal veleno della polarità un dono che aiuti il paziente a crescere e guarire.
Paracelso sottolinea come, in ultima analisi, tutto ciò che è presente su questa terra è un veleno. La quantità di veleno contenuta in ciascun elemento ne determina la tossicità. 
La medicina omeopatica procede su questa strada fin dalle sue origini e queste sono le basi del suo pensiero, delle sue terapie e addirittura della realizzazione dei suoi medicinali. 
Da veleni come quello della vipera o dell’arsenico, l’omeopatia ricava farmaci attraverso succussioni o agitazioni, liberandoli gradualmente della loro materialità. 
I medici omeopatici sottolineano che il cosiddetto potenziamento di un farmaco non è una diluizione  bensì una dinamizzazione. In questo modo la sostanza o tintura originaria viene diluita ogni volta in rapporto 1:10 (diluizione decimale, D) o in rapporto 1:100 (diluzione centesimale, C) e a ogni passaggio la sostanza di base viene nuovamente agitata e immessa nel solvente. Con questo metodo le potenze superiori a D 23 non contengono più traccia della sostanza iniziale, ma soltanto l’informazione completa, svincolata dalla sua originaria tossicità. Tale informazione appartiene così al campo spirituale e ha superato il piano materiale a più bassa vibrazione. 
Ogni malattia è espressione di un’idea calata nel corpo, cioè di un modello che nella coscienza è assente. Qui si può intervenire con informazioni analoghe, farmacologiche oppure spirituali. 
Nel primo caso parliamo di omeopatia, mentre nel secondo di presa di coscienza del modello o del significato della malattia. L’informazione è per sua natura a un livello di vibrazione superiore rispetto al problema del corpo. Se si riesce a riportare la problematica a questo livello superiore, il veleno si trasforma in dono. La manifestazione dell’ombra nella sintomatologia determina la sua illuminazione e la malattia si trasforma in cammino di autoconoscenza. 

La chiave per entrare in una concezione del mondo meno causale e più sincronica è il simbolo. 
Questo termine “simbolo” deriva dalla parola greca symbellein che significa mettere insieme, unire. 
Per cogliere l’essenza nella sua totalità, nell’interpretazione della malattia è necessario collegare tutte le singole impressioni in un modello, ossia ogni piccolo simbolo deve essere integrato in un simbolo che li abbracci tutti.

Poiché non esiste alcuna cultura né antica né moderna che abbia dei rituali, possiamo dedurne che essi fanno parte integrante della vita umana. La loro efficacia, in proporzione alla loro diffusione, è stata poco studiata, soltanto nell’ultimo decennio, con la teoria di Sheldrake sui campi morfogenetici, è stato possibile tentare una spiegazione. Shaldrake scoprì ed ebbe conferma sperimentale, che tra i diversi esseri viventi esistono rapporti che sfuggono a qualsiasi spiegazione logica. Postulò allora i campi morfogenetici, che consentono questi collegamenti senza bisogno di materia e di trasmissione di informazioni. Parecchi esperimenti dimostrano che gli essere viventi si trovano inspiegabilmente collegati gli uni agli altri in un campo comune, proprio come accade alle particelle delle fisica atomica (Teorema di Bell). Esse vibrano contemporaneamente al medesimo livello vibratorio e si comportano quasi come se fossero un unico essere; possono essere paragonate ad un grande branco di pesci o ad un campo di grano mosso dal vento. In condizioni di controllo è possibile verificare che manca assolutamente il tempo di entrare in contatto secondo le consuete modalità. 
L’americano Conden riuscì a trovare qualcosa di paragonabile a questo comportamento anche negli esseri umano. Fece filmare persone che conversavano tra loro e dalle immagini proiettate al rallentatore emerse che i suoi interlocutori entravano in comunicazione tra loro nello stesso istante grazie a movimenti quasi impercettibili detti micromovimenti. Questo vibrare all’unisono è riscontrabile presso tutti gli esseri umani fatta eccezione per i bambini autistici. Nel campo della vita organica ci si avvicina a relazioni corrispondenti a quelle inspiegabili della fisica delle particelle elementari. 

Mentre continuiamo a credere che sono le più diverse cause a far muovere il mondo, la fisica moderna dimostra esattamente il contrario: in realtà regna un sincronismo inspiegabile e la causalità è soltanto un errore, anche se plausibile, nel nostro pensiero. 
I fenomeni che si presentano nei campi morfogenetici avvengono sincronicamente e non sono spiegabili da un punto di vista causale. I rituali sono la strada più diretta per creare tali campi e per entrare nella realtà. Se si considerano gli antichi riti di iniziazione e di guarigione, le nostre ipotesi si trasformano in certezza. Noi che non crediamo più nei riti e non siamo in grado di creare campi solidi, non riusciamo neppure a immaginare tali realtà. 

I rituali nella nostra società
Le antiche civiltà che conosciamo avevano senza eccezione un elemento comune: dai simboli creavano dei rituali per le fasi principali di passaggio della vita, ma anche per la vita quotidiana con le sue esigenze. 
Soltanto l’uomo moderno crede di poter fare a meno dei rituali, che considera superstizioni superate. 
Accanto alle poche cerimonie consapevolmente conservate, come battesimo, cresima, matrimonio, sepoltura, ce ne sono moltissime altre, di cui siamo più o meno consapevoli, che vivono proprio grazie al loro carattere rituale (controllare più volte la chiusura di qualcosa, contare i pali dal finestrino del treno …). 
Il nostro sistema giudiziario si basa sul fatto che i componenti della società credano nell’antico rituale dell’amministrazione della giustizia e lo accettino. Per quale altro motivo, se non per servire il rituale della giustizia, un uomo di legge adulto dovrebbe indossare una toga e una parrucca? 

Perché in segno di saluto offriamo la mano destra aperta e non invece il pugno sinistro? I rituali non sono logici, bensì simbolici, sono modelli in azione operanti, senza i quali la vita sociale sarebbe impossibile. 
Il problema, a questo punto, è che i rituali di cui non siamo consapevoli sono meno efficaci di quelli consapevoli e che nelle moderne società industriali predomina una forte tendenza all’inconscio. 
L’importanza dei rituali si sgancia sempre più dalla coscienza e precipita nell’ombra. 

Anche se non conosciamo più le radici, ma continuiamo a seguire le regole che ne derivano, rimaniamo al sicuro, protetti dal modello. Il pericolo consiste solo nel fatto che, insieme ala consapevolezza, si affievolisce anche la carica psichica. Se le regole sono seguite solo meccanicamente, senza consapevolezza, perdono di vigore. Se il loro significato non viene più riconosciuto, risultano prive di senso. Quando smettiamo di interpretarle, perdono necessariamente importanza. 

Mentre le culture arcaiche confidavano sulla forza iniziatica dei riti della pubertà, noi abbiamo tolto ulteriormente vigore ai loro relitti, comunione e cresima. Vissuti senza alcuna consapevolezza, essi degenerano in abitudini che non svolgono più la loro funzione. Credendo di risparmiare ai ragazzi gli orrori della più oscura superstizione, li abbiamo invece derubati di importanti possibilità di maturare. 
Poiché il passaggio non avviene senza riti, i giovani d’oggi devono cercare alternative. Le prime sigarette, fumate quasi ritualmente fra amici, costituiscono un tentativo in questo senso. 
Sapendo bene di non essere ancora adulti, osano anticipare uno dei privilegi del mondo dei grandi proibito a loro. 
Infrangendo questo tabù gli adolescenti sperano inconsciamente di ottenere l’ingresso nel nuovo modello. 
Proprio come nei riti arcaici della pubertà, il gesto è dominato dalla paura. 
Un altro rito compensativo ancora importante è l’esame della patente. Per poter guidare un’automobile, è necessario dimostrare di esserne all’altezza. Superato questo vero e proprio esame di maturità, iniziano sulla strada le prove di coraggio. 
Il problema di tali azioni compensatorie è che, per mancanza di consapevolezza e soprattutto per l’assenza di un aiuto esterno, in questo caso da parte degli adulti, i giovani non trovano sicurezza, diventano dipendenti da questi rituali sostitutivi e diventano accaniti fumatori e guidatori folli, ma non adulti. 

Nei tempi antichi, l’inizio della vita veniva celebrato con un rituale di nascita, mentre la fine dell’esistenza con un rituale di morte. 
Oggi abbiamo per lo più confinato entrambi nelle cliniche e, di conseguenza, in una sorta di nascondiglio, dove si svolgono rituali inconsci. I rituali della medicina possono aiutarci a capire il valore generale della ritualistica nei processi di guarigione e saranno perciò oggetto di un’analisi accurata. 

Rituali della medicina moderna
Nei tempi antichi, l'inizio della vita veniva celebrato con un rituale di nascita, mentre al fine dell'esistenza con un rituale di morte. Oggi abbiamo per lo più confinato nelle cliniche e, di conseguenza, in una sorta di nascondiglio, dove si svolgono rituali inconsci. I rituali della medicina possono aiutarci a capire il valore generale della ritualistica nei processi di guarigione e saranno perciò oggetto di un’analisi accurata.
Osservando attentamente, ci si rende conto che nelle cliniche moderne ha luogo una quantità impressionante di magie che farebbero onore a qualsiasi medico. Quando anticamente i pazienti si mettevano sotto la protezione di un guaritore, si affidavano di fatto all’altro mondo e, rimettendosi a Dio, ovvero alla sciamano suo rappresentante, rinunciavano ad autogestirsi. Anche oggi, a livelli ancor più alti, si verifica qualcosa di simile: il paziente moderno, una volta arrivato alla porta della clinica, rinuncia ad ogni diritto di autodeterminazione. La porta costituisce sempre un punto importante di ogni clinica, poiché sorveglia l’ingresso nell’altro mondo, svolgendo le funzioni che in passato erano proprie della porta del tempio: il mondo al di là della porta fa paura per la sua imperscrutabilità e per tutto ciò che si cela dietro a ogni malattia. I pazienti non di rado si sentono angosciati per ciò che dovranno affrontare e che riescono solo a intuire. Simili sensazioni erano probabilmente vissute anche da chi nell’antichità andava alla ricerca della guarigione in un tempio di Esculapio.
Non appena i pazienti, seguendo una procedura molto severa, vengono registrati, sono subito mandati a letto. Anche quando arrivano in piena salute, la sera prima di una visita o di un’operazione, essendo in ospedale devono necessariamente stare a letto. La testa, centrale di comando del corpo, non deve mantenersi in posizione eretta: deve in linea di principio restare bassa. Con ciò si acquisisce la certezza che i pazienti, almeno fisicamente, sono ai piedi dei medici e che i rapporti non avvengono allo stesso livello. Ora non c’è più molto da discutere e meno ancora da decidere. Nella forma e nel contenuto i malati vengono trasformati in tempi brevissimi in pazienti (=lat. colui che ha pazienza). Che vengano messi a letto come bambini da un’infermiera, dopo essersi spogliati su suo ordine, rientra nel gioco: essi non decidono più niente da soli, che venga loro
detto perfino quando andare a letto e quando alzarsi. Iniziano a scendere la scala che li porta a livelli infantili. nella maggior parte delle cliniche, ci si ritrova in parecchi nella stessa stanza come quando si era piccoli. Ne consegue che è l'infermiera a decidere quando si deve dominare  per il bene dei "cari bambini" naturalmente... luci spente e occhi chiusi! La mattina seguente, dopo aver eseguito l'ordine di lavarsi, viene distribuita la colazione, ovviamente non secondo i gusti dei pazienti. Spetta di nuovo ad altri decidere ciò che è meglio per loro, e se non mangiano tutto, ricevono benevoli rimproveri con relative occhiatacce. Alcune infermiere aggravano ancora di più questa situazione, utilizzando inconsapevolmente una specie di linguaggio per bambini, a fin di bene naturalmente, ma che contribuisce ad assegnare un ruolo sempre più inesorabile.
In ospedale quindi viene celebrato un rituale in grande stile allo scopo di trasformare le persone in pazienti e i pazienti in bambini. Tanti piccoli dettagli favoriscono questo processo: se i pazienti vogliono passeggiare, lo devono fare in pigiama in camicia da notte o in accappatoio, certamente non come farebbero adulti normali. Del resto, tanto sano non possono essere se durante la visita devono rimanere a letto, aspettando pazientemente che i loro semidei pronuncino la loro sentenza. Sono proprio loro, infatti, a decidere ampiamente della sorte dei pazienti, ai quali vengono comunicati soltanto i risultati finali: mentre i medici si consultano, si servono infatti di un linguaggio misterioso difficilmente comprensibile ai più, confrontano curve, grafici e misurazioni, che hanno l'apparenza di impenetrabili arcani.
La visita, cioè il controllo medico al capezzale del malato, si svolge sempre secondo un rigido rituale: in genere viene celebrato un saggio di perfetta gerarchia. Gerarchia significa letteralmente in greco "dominio degli dei". E quindi è una logica conseguenza che il capo, posto in cima a questa gerarchia, domini come il sacerdote del sole e ripartisca i poteri tra coloro che fanno parte del suo seguito. Le libertà, che la fanteria delle infermiere concede, vengono gradualmente escluse: lui dà l'impressione di sapere tutto e non ha bisogno di fornire alcuna motivazione.
Nella mente dei pazienti può affiorare il ricordo di un padre severo, di un autoritario capo di famiglia. Rispetto e stima vengono imposti se non si instaurano spontaneamente. I tentativi di quest'epoca democratica di eliminare le gerarchie incontrano proprio in medicina ostacoli profondamente radicati.
L'intero rituale di regressione, progettato con cura, ha per i pazienti anche lati piacevoli: ad esempio, vengono portati in giro quasi sempre col proprio letto, perfino quando potrebbero camminare. l'importante è che non si affatichino e che non pensino troppo. La pace del corpo, dell'anima e dello spirito viene raccomandata caldamente. Così un'altra conseguenza è che non i pazienti, bensì i dottori, decidano quando i primi possano ricominciare a muoversi con le proprie gambe e tornare a casa.
Se i pazienti non capiscono i segni e non si comportano secondo i dettami dei medici, vengono rimproverati e rimessi al loro posto attraverso sanzioni. "Quello del 17 è un tipo difficile" annotano le infermiere e lo comunicano eventualmente alle alte sfere. Se si tratta di un paziente veramente difficile, il direttore stesso, utilizzando preferibilmente il plurale maiestatis, si rivolge a lui dicendo: "Che problema abbiamo oggi ...?".
Naturalmente la medicina ha inventato molte motivazioni per giustificare tali disposizioni, senza bisogno di ricorrere alla parola rituale. Ma uno sguardo razionale riesce sempre a smascherare i fatti. Si dice che i dottori di diverse nazionalità, per potere comunicare tra loro, dovrebbero parlare latino: in realtà, in vent'anni di studio e di pratica non mi è mai capitato di incontrare un medico che parlasse tale lingua con un collega e che all'occorrenza fosse in grado di farlo. Se fosse tentato di farlo, sarebbe senz'altro preso per pazzo. In ogni caso, c'è sempre abbastanza latino tra i medici: le parole decisive vengono espresse in codice davanti ai pazienti, ai quali, come ai bambini, non si vuole far conoscere tutta la verità.
Lo stesso accade con il bianco "sterile" del personale della clinica, per il quale non fa alcuna eccezione. Motivi igienici per scegliere il bianco, o il giallo, non ne esistono. Perché allora in tutto il mondo è stato scelto il bianco? Forse per il fatto che il Papa veste di bianco, come la maggior parte dei guro? Forse anche i semidei hanno bisogno di abiti rituali per le loro cerimonie segrete, anche se non vogliamo ammetterlo? Oppure il bianco è inseparabile dall'esperienza medica, perché unisce in sé tutti i colori ed è quindi il colore della totalità e della perfezione?
Molti elementi, tra cui la magia relativa all'igiene, fanno pensare a motivazioni più profonde. All'origine il bianco era ostacolato dalla medicina, però nel tempo l'igiene è riuscita ad ottenere un posto fondamentale tra i nuovi riti sostitutivi. Oggi il bianco viene difeso energicamente e talvolta in modo irrazionale, proprio come in origine era combattuto. Queste cariche emotive così forti sono in genere un segnale nascosto dietro a una situazione. In questo caso, le norme igieniche emergono dal profondo insieme delle cerimonie di purificazione. Una purificazione densa di significato è quella che si può osservare nei chirurghi nella fase preparatoria all'operazione. Si lavano le mani per diversi minuti sotto acqua calda corrente, servendosi di un sapone forte e di una spazzola dura. I tempi di questo lavaggio sono prestabiliti e controllati scrupolosamente con orologi di precisione.
Tuttavia al termine di quest’ operazione le mani sono ancora così "sporche" che alla fine vengono nuovamente irrorate a lungo con dell'alcol ad alta gradazione. Infine restano ancora molti dubbi sulla loro reale pulizia e vengono quindi nascoste sotto guanti di gomma sterilizzati. Nei riti magici erano consapevolmente previste delle cerimonie di purificazione per le mani, però non altrettanto minuziose.

Le molte pratiche minori di purificazione che caratterizzano la vita quotidiana di una clinica possono essere considerate riti, poiché in realtà non producono nulla dal punto di vista dell'igiene il medico disinfetta ogni cosa, perfino la parte di cute su cui si fa l'iniezione, quando è stato ormai dimostrato che tale gesto non ha alcun valore igienico. I medici, però, con una buona ragione, non vogliono abbandonare questo rito a cui sono legati. Cercano piuttosto le più strane giustificazioni per preparare la parte da trattare alla maniera degli antichi sciamani; operano prima con gesti privi di reale efficacia ma validi sul piano della magia. L'alcol svolge in questo contesto la stessa funzione dell'acqua santa quando si entra in chiesa. Da questo punto di vista igienico, nessuno dei due purifica ma tuttavia purificano e consacrano in senso più profondo.  I dottori rimangono a buon diritto ancorati al loro rituale, atteso altrettanto giustamente dal paziente, poiché tali cerimonie, tanto in medicina quanto in altri campi, sono realmente necessarie. Talvolta le motivazioni sono veramente strane, per il motivo che difendono gli antichi rituali dagli eventuali riformatori. Scopo e motivazione rimangono quindi intatti.
Anche la normale prassi medica cela una quantità di rituali inconsci. Dopo aver legittimato la loro posizione a personale subalterno attraverso certificati medici e dopo una lunga ed estenuante attesa, i pazienti diventano degni del loro nome. In un'atmosfera di tensione, insieme ad altri malati, bramano il momento decisivo in cui verranno finalmente dimessi. Lo attendono e lo temono proprio come mille anni fa i pazienti aspettavano l'incontro con Esculapio, il dio della guarigione. Ammessi infine ai misteri del medico, questi si rivelano tutt'altro che chiari. Il senso e lo scopo delle apparecchiature utilizzate su di loro restano per i pazienti ancora oscuri. Tuttavia, si sentono rassicurati nel vedere e nel verificare che il loro dottore è pronto ad affrontare qualsiasi evenienza, anche se tali strumentazioni, non sempre sono messe a punto, non servono allo scopo. Naturalmente, il medico ha sempre poco tempo a disposizione: come potrebbe, del resto, essere altrimenti vista l'importanza del suo incarico! Per i malati l'idea di fare attendere anche per un solo minuto lui che in genere fa pazientare per almeno un'ora, è impensabile. Alla fine, per un decisivo e brevissimo istante, il medico rivolge la parola ai "pazienti!": prima essi sarebbero stati definiti verbalmente malati, oggi, invece, lo sono solo in base a una documentazione scritta.
Contemporaneamente viene pronunciato il giudizio finale sulla malattia: vengono fissati scadenze e farmaci ai quali dovrà cedere. Con la prescrizione il medico, forte della sua autorità, stabilisce e decreta una proroga per il paziente e il suo sintomo. Una volta trascorso il periodo stabilito, il paziente è automaticamente guarito. Questa minaccia era stata prima attestata con un certificato di inabilità al lavoro, ora invece con un secondo documento il paziente viene rapidamente dimesso. Ma tale documentazione continua a rimanere oscura per due motivi diversi: Da un lato, l'ortografia è illeggibile, dall'altro le parole e i segni appartengono ad un altro mondo. Ma il farmacista, ugualmente parato di bianco e quindi appartenente alla stessa categoria[1] di iniziati, decifra la ricetta e porge al paziente le salvifiche gocce o compresse. Il modello è antico ed efficace.
I dottori hanno collocato la loro rispettata posizione al centro di queste procedure magiche, in modo che sia immediatamente evidente quanto essa sia importante e decisiva. Anche se in realtà solo Dio può decidere della vita e della morte, una categoria di persone cerca di operare nello stesso modo. Se si osservano tutti i gesti esteriori di uno sciamano, ecco apparire un medico. Anche la divisa, come a entrambi e va al di là del colore. Le differenze gerarchiche sono indicate perfino sui camici: oggi le infermiere possono fare a meno delle loro cuffiette, ma ahimè, bisogna ricordare che un tempo indossavano un mantello dal colletto rigido, il che dava loro la possibilità di arrogarsi uno dei privilegi del medico. I veri sciamani rinuncerebbero con riluttanza ai loro amuleti carichi di forza, mentre, dal canto loro, i dottori portano invece stetoscopi che, all'occasione, passano sul corpo o sul cuore del paziente. Gli sciamani si servono di continuo di una lingua incomprensibile per i non iniziati ed eseguono gesti e rituali il cui significato più profondo è noto solo a loro, ma i nostri medici moderni non sono da meno. La dignità dei guaritori si esprime spesso in atteggiamenti che tengono ben poco conto delle cose del mondo. Possono permettersi di lasciar attendere i pazienti e di curarli in base alla gerarchia, dall'alto in basso. In virtù della loro posizione, non vogliono avere niente a che fare con problemi materiali e lasciano che siano altri a raccogliere le offerte. Anche i dottori di oggi sfruttano al massimo questa possibilità, in primo luogo con i pazienti e le loro mutue, in secondo luogo presso le disponibili case farmaceutiche. E, proprio come tanto tempo fa, hanno dei collaboratori che svolgono al loro posto io compiti meno dignitosi[2]. In conclusione anche i guaritori sono circondanti da segni che esigono rispetto, impressionano i non iniziati, o addirittura, incutono paura. In questo contesto colpisce il rapporto, sviluppatosi nel corso della storia, tra i dottori e il serpente compagno di Esculapio che si attorciglia pericolosamente attorno al bastone che porta il suo stesso nome. Esculapio, il primo medico, aveva potere sul serpente e il suo regno, la polarità. Il vero guaritore è in grado di rendere visibile la propria irradiazione, creando una sorta di aureola attorno al capo. I medici moderni non hanno gli stessi poteri e cercano di compensare in qualche modo questa carenza. Colpisce, però, il fatto che il loro prototipo sia oggi rappresentato dallo spettrografo dell'otorinolaringoiatra che, quanto meno, tenta di imitare la corona di luce e, posto sulla fronte, richiama alla memoria ancora un altro simbolo del sole: lo specchio che, grazie ai suoi raggi luminosi, attira su di sé l'attenzione dei non iniziati.

Leggendo la nostra ironica descrizione si può avere l'impressione che ci si trovi di fronte a relitti bisognosi di restauro del potere dei medici o della loro megalomania. Questa valutazione tiene conto, però, solo di una delle facce della medaglia. Osservando con attenzione anche l'altra, si scopre il modello centrale ed efficace, oggi come ieri  di una medicina che non sa neppure perché funzioni.
La malattia è sempre una regressione e porta automaticamente l'uomo ad assumere l'atteggiamento di chi è stato consegnato alla giustizia o di chi si trova in una condizione di assoluta impotenza. La posizione orizzontale fa capire una cosa: non è la vita che giace ai nostri piedi, ma siamo noi che giaciamo ai piedi della vita. Questo rende ogni forma di malattia dignitosa e onesta. L'atteggiamento di umiltà, unito alla necessità di raccoglimento e all'obbligo di obbedire alle parole "Sia fatta la Tua volontà", ha effetti salutari. La malattia permette, allora di prendersi una vacanza dall'estenuante comportamento umano e, soprattutto, dal "sia fatta la mia volontà". Più consapevolmente si accetta questa condizione e si trova l'umiltà necessaria ad affrontarla, più efficace risulterà il rito di guarigione.
Da questo punto di vista i tentativi di dare al paziente uguaglianza di diritti, pur pensati in buona fede, risultano sempre controproduttivi  rispetto al vero e proprio modello di guarigione descritto. Ciò è particolarmente evidente nei reparti ospedalieri privati, dove il trattamento di prima classe non determina affatto guarigioni migliori: non si tratta, perciò di immettere il paziente nella situazione determinata dalla sua malattia o di far valere i suoi diritti: quello di cui ha bisogno è l'acquisizione della consapevolezza della propria situazione di impotenza. Anche gli inconsapevoli riti moderni, che hanno luogo negli ospedali, possono soddisfare tale esigenza.
Veramente pericolosi per le opportunità di guarigione non sono l'organizzazione gerarchica della clinica o i rituali che vi vengono celebrati, bensì le onnipotenti fantasie dei medici ciechi alla realtà, che si illudono di avere potere su tutto.
In realtà proprio questi dottori, nonostante il contributo che hanno dato alla costruzione della torre della scienza medica, non hanno mai incontrato il vertice gerarchico, l'elemento sacrale. Anche se oggi costruiscono con l'avorio, condividono il destino dei loro laboriosi progenitori quando eressero la torre di Babele.
L'effetto placebo, considerato con sospetto dai medici che pensano in modo soltanto scientifico, e, più che mai, la "droga-medico" sono parti essenziali del rituale moderno della medicina[3].
Tanto più i pazienti sono messi nella condizione di riconoscere, almeno simbolicamente, la sovranità incontrastata del sacro all'interno della gerarchia, tanto più grandi diventano le loro possibilità di guarigione. il dottore è, in questo caso, colui sul quale è proiettata la nostalgia di una guida che si accompagni e ci aiuti a raggiungere un luogo più alto, se possibile altissimo. Una medicina, che lascia fuori Dio, cioè il principio dell'unità, avrà sempre bisogno di divinità sostitutive, oppure la guarigione le sfuggirà sempre dalle mani. Il semidio vestito di bianco è solo una caricatura, ma è sicuramente meglio di nessun Dio. Neppure la medicina scientifica, che cerca di condurre la sua attività in modo oggettivo e esente da influenzamenti psichici, può rinunciare a un Dio, che chiama semplicemente "scienza". Per i fedeli della scienza, anche il credere in un orribile e onnipotente medicina rappresenta una possibilità di guarigione. Dallo scetticismo che caratterizza la religione della scienza, non deriva però alcuna reale possibilità di guarigione.



[1] La ricetta ha di fatto lo stesso valore di un documento. Se una persona non autorizzata osasse apportare in essa delle modifiche, si renderebbe giuridicamente perseguibile per falso in atto pubblico.
[2] I dottori trovano per lo più umiliante o addirittura logorante, rispetto al loro specifico lavoro, dover compilare i moduli della mutua per i loro pazienti.
[3] Con effetto placebo si intende ogni importante effetto farmacologico non dovuto al prodotto somministrato, ma alla suggestione e che quindi è connesso col rituale della somministrazione del farmaco, presieduto dal medico. Anche nei ritrovati chimici più potenti è stata riscontrata la presenza di questo effetto. Perfino le droghe come la morfina possono talvolte essere sostituite con prodotti che si sono dimostrati in grado di produrre un effetto placebo adeguato.


Rituali della medicina antica
La medicina antica ci rivela la forza dei campi energetici creati dai rituali. Gli ospedali dell’antichità erano templi del dio Esculapio. I malati e coloro che avevano bisogno di assistenza affrontavano lunghi viaggi per raggiungerli. Al loro arrivo, venivano introdotti dai servitori del tempio a riti preparatori di armonizzazione e purificazione. La medicina così come la concepiamo oggi non esisteva. Non venivano eseguite operazioni, né tanto meno somministrati medicinali secondo le concezioni odierne. Tra le scienze oggi conosciute, soltanto l’igiene e la dietetica avevano un ruolo, che peraltro era molto più ampio di quello loro attribuito ai nostri giorni.
Al centro di questa medicina c’era il tempio stesso di Esculapio, inteso come spazio. I tanti rituali creavano il campo in cui poteva avvenire la guarigione. Il paziente per intere settimane veniva preparato a vivere nella notte decisiva dei suo soggiorno il sonno del tempio – la cosiddetta incubazione. In quella notte particolare, si coricava in quel punto specifico del tempio, in un’atmosfera appositamente preparata con luci ed essenze profumate e alla fine si addormentava. L’avvenimento decisivo accadeva nel sonno, secondo il detto: “Ai suoi il Signore dona nel sonno”. Il paziente sognava la soluzione del suo problema: o la vedeva concretamente in immagini davanti ai suoi occhi, oppure gli appariva Esculapio, che gli spiegava dove portava la sua strada.
Per le nostre concezioni moderne questa procedura sembra ingenua, però dovremmo prendere atto del fatto che questa medicina aveva successo e produceva guarigioni. In base alla moderna psicologia, potremmo dire che veniva creato uno spazio all’interno del quale la soluzione poteva emergere dall’inconscio.
Se si intende la guarigione in senso più profondo e non solo in quello di riparazione, questa medicina non ha affatto bisogno di nascondersi al confronto di quella moderna: al contrario, conosceva processi che noi stiamo riscoprendo soltanto adesso. Nella misura in cui impareremo a prendere coscienza dei campi che ci dominano e a lavorare con essi, ricominceremo ad avere rispetto per la medicina antica, che si basava sulla conoscenza del rituale.
Molte cose ci fanno pensare che i campi morfogenetici costituiscono le vere e proprie strutture in cui si realizzano crescite e guarigioni.
È possibile così spiegare armonicamente anche la grande crescita, l’evoluzione: i campi creano la cornice all’interno della quale si prepara tale evoluzione. Ad una cornice specifica si adattano però soltanto immagini specifiche, e così nell’evoluzione non tutto è possibile, bensì soltanto ciò che si adatta alla cornice. Perciò anche la guarigione nel senso di completo ristabilimento non è raggiungibile in ogni caso, ma solo se rientra nella natura del soggetto, se cioè è prevista nel suo modello. La guarigione, intesa come redenzione del proprio modello, è invece sempre possibile.

Malattia e modello
Le malattie costituiscono dei campi: ad ogni sintomo non corrisponde soltanto una forma corporea, bensì anche un relativo campo costituito da modelli di comportamento e di strategie di vita (e di sopravvivenza).
Nella malattia una certa quantità di energia si trasforma in una struttura fissa, che si radica profondamente nell’inconscio come modello.
Soltanto l’aspetto formale emerge fino a divenire visibile, proprio come la punta di un iceberg.
Specie per i tossicodipendenti è importante capire che questo modello non può essere cambiato e che l’unica possibilità consiste nel viverlo in altra forma.
Il campo che crea la malattia si nutre del modello celato nel profondo.
Ad esempio un problema di aggressività stabilisce il modello. A livello superficiale può assumere anche aspetti visibilmente molto diversi, come allergie, pressione alta, calcoli biliari o mangiarsi le unghie, ma tali manifestazioni descrivono soltanto il livello corporeo superficiale, con cui lo stesso modello può esprimersi.
Frequenti accessi di rabbia, comportamento violenti, caratterizzato dall’impulsività e anche approcci offensivi ai temi dell’ombra, sono esempi di tale possibilità.
Anche sul piano del pensiero il modello potrebbe assumere diverse configurazioni: fantasie aggressive di tipo sessuale ne costituiscono un esempio possibile, come anche il pensiero radicale, che con le sue radici è rivolto a un settore fondamentalmente oscuro. A livello psicologico i sentimenti di auto-aggressione rappresenterebbero una variante, o anche fantasie auto-distruttive e depressioni, oppure una vita emozionalmente e sentimentalmente radicale.

Il mondo della psiche non si comporta né in modo logico né in modo cronologico – qui regnano sincronicità e analogia, come ci mostrano i sogni che facciamo ogni notte.

La vera guarigione richiede un’alternativa nell’ambito del modello precostituito. Limitarsi a combattere un sintomo col suo opposto procura un sollievo di breve durata, però a lungo termine ingigantisce il problema. Involontariamente questa battaglia rinvigorisce ciò che si combatte, cosicché col tempo devono essere erette mura difensive sempre più resistenti.
Chi combatte un esantema con il cortisone, avrà ben presto una pelle levigata, però spinge le anergie corrispondenti in profondità, in genere fino ai polmoni, il nostro secondo organo di contatto dopo la pelle. Più si combatte un’eruzione a livello cutaneo, più il potenziale della malattia aumenta in profondità e addirittura aumenta insieme alle misure difensive. In linea di principio accade la stessa cosa quando si cerca di combattere la tristezza con le parole allegre. Le cosiddette affermazioni positive restano infatti a livello superficiale e il potenziale depressivo si sviluppa. Dopo un breve miglioramento che viene erroneamente interpretato come guarigione, il tema rimosso affiora rapidamente altrove.

I rituali costituiscono la struttura di base della vita sociale umana, essendone, in modo consapevole o inconsapevole, i modelli-ombra.
Le malattie sono i rituali d’ombra che possono mantenere l’uomo in equilibrio ed essere sostituiti attraverso rituali consapevole dello stesso principio.

Le quattro “cause” possono contribuire a decifrare il rituale al quale il sintomo ci invita. Occorre inoltre individuare il campo in cui l’interessato vive. Le domande di base sarebbero:
  1. (causa efficiente: che agisce dal passato) Da dove viene il sintomo?
  2. (causa finale: tensione allo scopo) Su quale base materiale si muove la malattia e che cosa ci rivela l’organo colpito?
  3. (causa formale: modello) In quale ambito si estende il sintomo? Quali sono le sue regole del gioco?
  4. (causa materiale: base materiale) A cosa tende il sintomo? Dove vuole portare il soggetto?

Domande sul rituale della malattia e sulla sua cornice:
  • In che modo proprio io ho determinato l’insorgere di questo problema?
  • Perché succede proprio adesso? Nei processi cronici: quando sono stato colpito per la prima volta? Quando in modo particolarmente intenso?
  • Perché questo disturbo colpisce proprio me?
  • Quale modello ricorrente della mia vita si rivela nel rituale della malattia?

Fonte: Malattia linguaggio dell'anima - Rüdiger Dahlke





domenica 17 giugno 2012

Il tradimento della medicina

La medicina ufficiale, terza causa di morte:
  • Integratori alimentari 0,0001%
  • Punture d'ape 0,0008%
  • Punture d'insetti (altri) 0,0020%
  • Infortuni sportivi 0,0020%
  • Fulmini 0,0041%
  • Morsi d'animali 0,0048%
  • Corse a cavallo 0,0052%
  • Allergia da penicillina 0,010%
  • Scivoloni/cadute 0,019%
  • Incidenti elettrici 0,038%
  • Assideramenti 0,048%
  • Armi da fuoco (incidenti) 0,079%
  • Avvelenamento 0,17%
  • Asma 0,19%
  • Incendi casalinghi 0,19%
  • Annegamento 0,21%
  • Alimentazione 0,24%
  • Gas radon 0,62%
  • Assassini 0,94%
  • Suicidi 1,41%
  • Incidenti stradali 2,57%
  • Alcolismo 4,49%
  • Fumo 7,19%
  • Pratiche mediche (uso corretto di medicinali autorizzati 5,18% + errori medici 2,40%) 7,58%
  • Cancro 22,11%
  • Problemi cardiovascolari 47,00%

I dati della tabella 1 sono tratti da uno studio di Ron Law[1] basato su statistiche ufficiali degli USA. Con minime differenze numeriche da paese a paese, essi rispecchiano la stessa situazione per tutte le nazioni "occidentali". Nella tabella vengono utilizzati i valori minimi del range (non vogliamo essere accusati di esagerare).
Le medicine testate, autorizzate, prescritte e normalmente usate, incidono per il 5,18% delle cause di morte; cosa che non viene mai pubblicizzata. (Fonte: Journal of the American Medical Association, dalle 90.000 alle 160.000 morti annue). Ogni anno in USA muoiono migliaia di persone a causa degli effetti della semplice aspirina.
Le disgrazie mediche evitabili (errori) incidono per il  2,40% (Fonte CDC - Center for Disease Control, dalle 40.000 alle 90.000 persone). In Australia muoiono 9.000 persone all'anno a causa di errori medici evitabili. (Fonte, Australian Medical Journal). Sempre in Australia ogni anno 50.000 persone riportano danni permanenti (menomazioni, mutilazioni) sempre per lo stesso motivo.
Per contro, quando i medici scioperano il numero delle morti diminuisce nettamente!

La medicina è la prima causa di morte in USA.
(Ma anche negli altri paesi occidentali la situazione non è molto diversa)
In verità la situazione è anche peggiore di quanto appare dalla precedente sezione. Una ricerca statistica, più vasta e completa di quella di Ron Law, è stata pubblicata recentemente. I seguenti medici e ricercatori, Gary Null PhD, Carolyn Dean MD ND, Martin Feldman MD,  Debora Rasio  MD,  Dorothy Smith  PhD,  basandosi sui  dati statistici  pubblicati  in  molte  decine  di  lavori  scientifici,  hanno analizzato i risultati del sistema sanitario degli USA degli ultimi dieci anni. Nel dicembre 2003 il lavoro è stato pubblicato in 46 pagine scioccanti: “Death by Medicine” (Morte da Medicina).

Cause
Morti
Reazioni da farmaci in ospedale
106.000
Reazioni da farmaci non in ospedale
199.000
Errori medici
98.000
Piaghe da decubito
115.000
Infezioni ospedaliere
88.000
Malnutrizione
108.800
Procedure mediche non necessarie
37.136
Conseguenze da interventi chirurgici
32.000
Totale morti per medicina
783.936


Risulta che ogni anno in USA avvengono in media i seguenti decessi per le seguenti cause
I dati sono riferiti ampiamente per difetto.
Facciamo un confronto con altri due dati:
  • Morti per malattie cardiocircolatorie: 699.697
  • Morti per cancro                                      : 553.251

Il sistema sanitario risulta dunque essere la prima causa di morte, perfino davanti alle malattie cardiocircolatorie.
Per   quanto   riguarda i  farmaci,  e  intendiamo  i  farmaci regolarmente sperimentati e autorizzati, è ormai quasi di routine che, dopo un uso di 10 o 20 anni o più, si scopra che sono gravemente nocivi. Vengono ritirati dal commercio per essere sostituiti da altri, i quali alcuni anni dopo seguiranno lo stesso destino.
Due esempi.
I farmaci di sostituzione ormonale per ritardare la menopausa e sconfiggere  l'osteoporosi.  Ora si  è  scoperto  che  due  di  questi medicinali, il  Premarin  e  il  Prempro,  provocano cancro, embolia polmonare,    infarto    e    demenza.    In    USA,    dato    che    sono commercializzati da 40 anni, sono circa cento milioni le donne che lo hanno usato e che ora sono in pericolo.
Sull'autorevole    rivista    British    Medical    Journal    è    stata recentemente pubblicata una ricerca dell'Università di Nottingham sui rischi legati agli antidolorifici a cura di Julia Hippisley-Cox e Carol Coupland. Hanno tenuto sotto osservazione 9.218 pazienti che avevano già sofferto di un primo infarto. È risultato che l'assunzione di antidolorifici aumenta il rischio di infarto dal 21 al 55%, a seconda del principio attivo contenuto nel farmaco usato. In particolare ha destato preoccupazione il fatto che l'ibuprofen, contenuto in molti farmaci  e  considerato  estremamente  sicuro,  tanto  da  sostituire  il pericoloso  rofecoxib  (principio  attivo  del  Vioxx,  recentemente ritirato dal commercio), aumenta il rischio di infarto del 24%.
Ma i  medici  che  considerazione  hanno  di  ciò  che  stanno facendo? Bé, qui gettano la maschera! Nessun psichiatra si è mai sottoposto  ad elettroshock; la percentuale di medici che si  fanno operare è vicina allo 0%; il 70% degli oncologi dichiara che mai si farebbe sottoporre a chemioterapia.
Ma generalmente le persone pensano ai danni procurati dalla medicina come ad tassa più o meno inevitabile in cambio di infiniti vantaggi: allungamento della vita, guarigione da innumerevoli malattie, ecc... Anche in questo caso, dietro questa benevola credenza
popolare, si tiene nascosta una terribile verità. Questo e un elenco piu o meno completo dei principali mali che affliggono i corpi e le menti dei popoli di questo pianeta, con particolare riferimento a quelli dei paesi occidentali.
  • Cancro
  • Diabete
  • Ictus cerebrale
  • Infarto
  • Ipertensione
  • Paraplegia da incidente
  • Sindrome di Down
  • Morbo di Alzheimer
  • Morbo di Parkinson
  • AIDS
  • Sclerosi multipla
  • Distrofia muscolare
  • Asma
  • Artrosi
  • Allergie
  • Artrite reumatoide
  • Osteoporosi
  • Influenza
  • Raffreddore
  • Sclerosi laterale amiotrofica
  • Morbo di Crohn
  • Schizofrenia
  • Altre psicosi
  • Nevrosi
  • Malattie genetiche
  • Psoriasi
Queste malattie hanno tutte in comune una peculiarità: sono inguaribili. In verità questa caratteristica non e propria di queste patologie in se, questo e il carattere generale di tutta la medicina ufficiale: attualmente essa non guarisce alcuna malattia!
Bé,  trattamenti  sì,  c'è  ne  sono  tanti.  C'è  tutta  una  quantità impressionante di trattamenti di tutti i tipi: per migliorare la “qualità della vita”, per aumentare la sopravvivenza, per diminuire i sintomi, per  rallentare  il  decorso  della  patologia,  ecc,  ecc...  Ma  se  per guarigione intendiamo il fatto che prima c'era una malattia e ora non c'è più e che il paziente ora sta bene e non ha più bisogno di nessuna terapia...  ahimé!  sfido  chiunque  dei  miei  venticinque  lettori  che conosca una sola delle affezioni sopra elencate che trovi guarigione o   prevenzione  presso  la  medicina  ufficiale  dello  stato  e  delle
multinazionali farmaceutiche.

AIDS e Hiv, il virus inventato
Se chiedete spiegazioni sul fatto che l'Hiv sia la causa dell'AIDS a un “esperto”, a un “addetto ai lavori”, egli vi riferirà frasi del tipo: “non ce n'e bisogno; tutti ormai sanno che...”: Ma se volete andare a fondo della faccenda, se volete trovare e leggere la pubblicazione originale che riferisce della scoperta, dei metodi e dei risultati usati per arrivarci, ecc... come si usa per qualsiasi normale lavoro di ricerca scientifica, potrete passare il resto dei vostri giorni a
cercarla, dato che... non esiste!
Un giorno il premio Nobel per la chimica, Kary B. Mullis, scrivendo una relazione scientifica sull'AIDS, si accorse di non conoscere le fonti scientifiche che avvaloravano la frase che aveva appena scritto: “L'Hiv è la causa probabile dell'AIDS”. Anche se i suoi colleghi gli dicevano che non ce n'era bisogno perche ormai “si sa”, per serietà professionale, si mise a cercarle. Dopo due anni e una quindicina di congressi, aveva chiesto invano a quasi tutti quelli che pensava potessero dargli una risposta.
Finalmente ebbe l'occasione di avvicinare Luc Montagnier che era a S. Diego per tenere una conferenza. Ricordiamo che questo ricercatore è considerato dai media, assieme a Robert Gallo, lo scopritore dell'Hiv come causa dell'AIDS. Val la pena di sentire lo “storico” incontro dalla testimonianza di Mullis.
“Immaginavo che Montagnier sapesse la risposta. Cosi gli esposi il mio problema. Con un'occhiata stupita e condiscendente, Montagnier mi disse: Perché non cita il rapporto del Cdc? Risposi:Perche quel rapporto non risponde al quesito se l'Hiv sia o meno la probabile causa dell'AIDS, non e cosi? Certo, ammise lui, senza dubbio chiedendosi quando mi sarei tolto dalle scatole. Cercò sostegno con lo sguardo fra le persone che gli si erano radunate attorno, ma tutte, come me, avevano l'aria di aspettare una risposta
più definitiva. Perche non cita il lavoro sul Siv? mi suggerì il buon dottore.
Ho letto anche quello, dottor Montagnier, risposi. Ciò che accadde a quelle scimmie a me non ha fatto venire in mente l'AIDS. Inoltre quel lavoro scientifico e stato pubblicato solo un paio di mesi fa. Io sto cercando il lavoro originario in cui qualcuno ha dimostrato
che l'Hiv provoca l'AIDS. A questo punto, invece di rispondermi, il dottor Montagnier si allontanò rapidamente per andare a salutare un conoscente all'altro capo della sala”.

Ma come mai ad un certo punto si e cominciato a parlare di Hiv causa dell'AIDS?
Nel 1981 i virologi americani, che fino a quel momento avevano ricevuto finanziamenti faraonici per trovare il virus del cancro, si erano resi conto già da tempo del fallimento totale della loro ricerca e di essere ormai giunti alla fine di un vicolo cieco. Avevano tutti paura di perdere da un momento all'altro i loro grassi stipendi. Robert Gallo era uno di loro... così un giorno ebbe un colpo di genio che risolse i problemi finanziari suoi e di tutta questa gente.
Montagnier gli aveva spedito un virus trovato in un linfonodo di un omosessuale malato di AIDS e, dato che aveva appoggi politici, si fece organizzare una conferenza stampa dal ministro della Sanità, Margaret Heckler.
Lì, di fronte alla stampa mondiale, con gesto teatrale si tolse lentamente gli occhiali da sole e disse: “Signori, abbiamo trovato la causa dell'AIDS”.
Ecco: la fonte “scientifica” che Mullis cercava è questa.
Le cure, le statistiche, i test, le ricerche, ecc... poggiano tutte su questa fonte, cioè sul nulla!
Ma di cosa muoiono i malati d’immunodeficienza? Be, d’immunodeficienza, ovviamente; ma anche di “terapie”. Pensate che l'AZT, uno dei farmaci più usati in questa patologia, era stato accantonato dalla ditta farmaceutica che lo aveva sperimentato perché non serviva a niente e uccideva tutti i topi da laboratorio; un ottimo topicida, insomma. Lo tirò fuori dal “cassetto” dopo la “scoperta” di Gallo e lo riciclo ottenendone ottimi profitti.


Psichiatria
Lo sapete che i pareri di uno psichiatra hanno un peso tale nell'amministrazione della giustizia, che possono fare la differenza tra una condanna di 30 anni e un'assoluzione?
La psichiatria è qualcosa di semplicemente incredibile. E l'unica scienza democratica esistente al mondo. Infatti quando gli psichiatri vogliono stabilire una verità scientifica sulla mente, si riuniscono, votano e la stabiliscono a maggioranza (sic!). La cosa sarebbe molto umoristica se non ci fossero due fatti che gettano una luce sinistra su questa attività. Primo: la psichiatria, in tutta la sua storia, non ha mai, mai, mai guarito nessuno. Secondo: l'elettroshock, i letti di contenzione, le torture, le camicie di forza, le mutilazioni chirurgiche
al cervello, i manicomi e, più recentemente, gli psicofarmaci, vere e proprie droghe che distruggono la mente, non sono gli strumenti per guarire, ma una pratica abbietta che deve scomparire per sempre e al più presto dalla faccia del pianeta.
Sul logo dell'Associazione Psichiatrica Americana figura l'effige di Benjamin Rush,  considerato a ragione il  padre della moderna psichiatria. Questo individuo “scoprì” che tutti i neri sono malati di negritudine, una malattia affine alla lebbra che li rende degli esseri inferiori. Un suo collega, Samuel Cartwright invece scoprì che i neri che tentano di scappare dalla schiavitù hanno un disturbo mentale detto  drapetomania.  Trovò  anche  la  cura  per  questa  sindrome: frequenti frustate.
Che dire delle nuove “sindromi”, le patologie che gli psichiatri sfornano continuamente di anno in anno. Se andate in palestra, potete essere “sport-compulsivi”; se vi curate con l'omeopatia, anche per voi c'è una malattia mentale bella e pronta: la mania di curarsi con le medicine non convenzionali; se il vostro piccolo è troppo vivace, ha la   sindrome  di  iperattività  e  dovrà  prendere  un'anfetamina,  il metilfenidato, classificato dal Ministero della Salute come una delle droghe più pericolose.
Bisogna anche sapere che dei 170 esperti che contribuiscono alla stesura del manuale DSM (la “bibbia” della psichiatria, dove sono elencate tutte le sindromi), più del 50% ha avuto legami finanziari con case farmaceutiche che vendono medicinali per la cura di questi disturbi. Percentuale che diventa il 100% per i cosiddetti esperti che formano i gruppi di ricerca su disturbi del comportamento e psicosi.

Fonte: Il tradimento della medicina - http://www.aerrepici.org/





[1] Ron Law è direttore dell'Associazione Nazionale della Nuova Zelanda per gli integratori alimentari e membro di un gruppo di lavoro del governo neozelandese incaricato a suggerire nuove strategie per la riduzione degli errori medici.