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venerdì 29 marzo 2019

RUNE. Rituali di magia per il terzo millennio – Jean de Blanchefort

In uno dei brani iniziali di un rituale magico del famoso Ordine Ermetico della Golden Dawn è scritto: “Per mezzo dei nomi e delle immagini tutti i poteri sopiti si destano”.
In queste poche e coincise parole è racchiuso il segreto più alto della Magia, e colui che sa vibrare i Santi Nomi Divini e di Potere e sa “costruire” le immagini mentali corrispondenti è già un illuminato.
Le Rune, questi misteriosi glifi tracciati sulle pietre, sui dolmen, sui menhir, su oggetti e manufatti tra i più disparati, sono i caratteri magici della più antica scrittura germanico-scandinava, il cui termine, Runa appunto, significa “mistero”, “scongiuro”, ma anche “mormorio” e “simbolo”.
Le Rune sopra ogni cosa sono espressione del divino, segni di potenza e di conoscenze che le antiche saghe e i carmi norreni definiscono “derivate direttamente dagli dei” e donate dal grande odino affinché le insegnasse agli uomini saggi. Esse vanno intese dunque come archetipi eterni della sapienza universale, simboli dietro ai quali sono nascoste le verità assolute immutabili di cui si parla nelle tradizioni.
La nozione di tradizione fa riferimento alla permanenza di un ordine eterno in cui passato, presente e futuro non hanno che un relativo interesse. Quel che invece conta, per l’individuo odierno sempre più immerso nell’età oscura e piatta dell’odierna civiltà, è ritrovare lo spirito tradizionale, non già come fuga verso mondi improbabili e utopici, ma come volontà trascendente di un ritorno alla fonte sapienziale del tempo dell’Eden e dell’Età dell’Oro. E questo lo si può ottenere anche – e in special modo – attraverso le simbologie nascoste nelle mitologie e nelle cosmologie che ci parlano dell’età aurea del mondo, della luce primordiale, della gioia e del riso degli dei.

La tradizione nordica è concorde nell’attribuire alle rune una origine divina, quasi si trattasse di un linguaggio segreto e iniziatico destinato al perpetuarsi della sapienza occulta primordiale, e ciò naturalmente non riguarda tanto il loro aspetto grafico o fonetico, ma è rivolto soprattutto al contenuto simbolico dietro cui sono celati gli archetipi primordiali.
Questo significa che le Rune sono simboli di conoscenza da usarsi con una certa attenzione. Le strofe 144 e 145 del canto dell’Eccelso (Havamal) sono un preciso ammonimento verso gli incauti che a cuor leggero si applicano alla magia runica:

Tu, sai come si incide? Tu, sai come si interpreta?
Tu, sai come si dipinge? Tu, sai come si sperimenta?
Tu, sai come si prega? Tu, sai come si immola?
Tu, sai come si offre? Tu, sai come si sacrifica?
Meglio non essere pregati che ricevere troppi sacrifici:
sempre il dono attende una ricompensa.
Meglio essere ignorato nelle offerte che troppo riconosciuto.
così ha inciso Thundr (Odino) prima che esistessero
genti, là egli ritornò da dove era venuto.

Possiamo quindi affermare che la conoscenza delle Rune e del loro utilizzo fu tramandato, alle origini, esclusivamente per via orale dai Maestri delle Rune proprio per i motivi accennati. La Runa evoca la potenza e la potenza evocata può creare o distruggere.

La tradizione in merito alla scoperta delle Rune, ci fornisce alcune indicazioni tratte principalmente dell’Havamal, il libro sacro degli antichi vichinghi (strofe 138-140):

Io so che da un albero al vento pendetti,
per nove intere notti,
da una lancia ferito e sacrificato a Odino,
io a me stesso,
su quell’albero di cui nessuno sa
da quali radici s’innalzi.
Pane nessuno mi dette, né corno per bere;
io in basso guardai:
trassi le Rune, dolorante le presi giù: e caddi di là.
Nove canti magici io appresi dall’illustre figlio
Di Bolthor, padre di Bestla,
ed un sorso bevvi di quel prezioso idromele,
attinto ad Odhrerir.

La conquista delle Rune da parte di Odino è una sorta di ordalia, conosciuta come “Giudizio Divino”, vale a dire una prova di forza fisica molto praticata dalle popolazioni tribali del Nord Europa dalla preistoria sino al Medioevo. L’ordalia è sempre in uso dagli sciamani, che attraverso rituali, digiuni prolungati e diverse forme dii auto-sacrificio tendono al contatto con il mondo ultraterreno e le sue divinità. Il mito di Odino vuole che egli sia rimasto appeso all’albero del Mondo a testa in giù, impalato sulla sua stessa lancia, in una ordalia divina che lo voleva significare, attraverso una prova che metteva in forse la sua forma umana; e questa prova gli consentì di guardare nel “pozzo della Conoscenza” e rubare le Rune, che egli memorizzò sia pure nel dolore fisico e che successivamente trasmise agli uomini, iniziando gli sciamani all’uso magico di questi simboli.

Fonte: RUNE. Rituali di magia per il terzo millennio – Jean de Blanchefort







venerdì 16 giugno 2017

La magia – W. E. Butler

Il mago, scorgendo come il Supremo ha “costituito i servizi degli angeli e degli uomini in ordine meraviglioso”, si considera non come uno straniero nell’universo, non come un essere separato da esso, ma come arte di quella diversità vivente nell’unità, e afferma insieme all’antico iniziato greco: “Io sono un Figlio della Terra, ma la mia Razza proviene dal Cielo Stellato”.
Distogliendo lo sguardo dai Luoghi Celesti, egli vede sé stesso in Malkut, il Regno della Terra, e comprende che questa esistenza imperfetta e frustrata nel corpo fisico, è imperfetta e frustrata perché, per quanto egli possa sapere con l’intelletto delle realtà oltre le apparenze, non è stato ancora in grado di afferrare questa verità nel mondo fisico. “Non sapete che siete delle divinità” afferma la Scrittura Cristiana, e un poeta moderno così si è espresso: “Sappi questo, o Uomo, l’unica radice di errore in te è non conoscere la tua propria divinità”.

Poi rivolgendo il suo sguardo all’esterno, egli nota nella sua natura e in quella di quanti lo circondano la prova di una Caduta dalla Perfezione Potenziale. Ma nel bel mezzo di questa Caduta egli vede la dimostrazione di un Ritorno e attraverso le sofferenze di miriadi di vite egli comprende che la Via della Salvezza è la Via del Sacrificio. Così egli formula l’antico assioma ermetico Solve et Coagula, che può essere reso come “Dissolvi e ricostituisci”, usando così i rituali dell’Alta Magia per ottenere quella dissoluzione e quella ricostituzione.
Ma cosa viene dissolto e ricostituito? Non certo quella Scintilla Eterna che “illumina ogni uomo”, ma piuttosto l’Io personale che egli ha per tanto tempo considerato il suo solo Io reale, la personalità cui si è attaccato e che ha difeso con tanta tenacia e indulgenza; è proprio questa persona, questa maschera dell’uomo reale, che deve essere dissolta e ricostituita. Ma ciò che è in sé imperfetto come può produrre la perfezione? “La natura priva di aiuti viene meno” dicevano gli antichi alchimisti, e nelle Scrittura leggiamo: “Se il Signore non costruisce la Casa, il muratore lavora invano”. Così il mago in tutta umiltà cerca la Conoscenza e la Conversazione del suo Santo Angelo Custode, quell’Autentico Io di cui la sua personalità terrena è solo la maschera
Questa è la meta suprema del mago; tutto il resto, incantesimi e formule, riti e cerchi, spade, bacchette e suffumigi, è solo un insieme di mezzi mediante i quali può raggiungere questo scopo. 
Allora, in comunione, anche se breve, con l’Autentico Io, egli viene istruito da quel Sovrano Interno nell’Ata Magia che un giorno solleverà la sua umanità alla Divinità e conseguirà ciò che i Veri Misteri hanno sempre indicato come l’autentico fine dell’uomo: la Deificazione. 


Fonte: La Magia di W. E. Butler


martedì 6 settembre 2016

Ho incontrato uno Strega - Agata Rapisardi

Gera – inizio – la volta scorsa mi hai confermato che anche le streghe si reincarnano, che molte sono tornate, che altrettante hanno paura di usare i propri poteri positivi, perché inconsciamente hanno il terrore delle persecuzioni passare”. Gera annuisce.

Cosa è successo a te? Lo sai? Hai questi ricordi passati?

Fa quasi paura lo sguardo che si accende nei suoi occhi, si alza di scatto, si pone dinanzi alle fiamme del camino, mi volta le spalle.

La voce che mi parla ora è più cupa, più roca, irriconoscibile: “Prima di portarmi nella stanza delle torture, mi hanno fatto assistere all'uccisione dei miei bambini, avevano quattro e sei anni – il tono è quasi spento – mi hanno torturata, mi hanno bruciata sul rogo.

Il silenzio pulsa, quasi, nella cucina fumosa.

La mia voce esce sottile, timorosa: “Perché sei tornata? Per vendicarti?

Scuote il capo: “No, non bisogna né occorre farlo, gli inquisitori di allora stanno già subendo una giustizia che sta al di sopra di quella umana. Chi ha ucciso barbaramente, sarà ucciso allo stesso modo.

La voce estranea mi entra dentro, mi scorre un brivido addosso. Gera si riscuote, torna verso di me.
Anche oggi posso fare qualcosa per gli altri, questo mi basta. Nella prossima vita torneranno anche i miei figli, per me.


Sai Gera, ho letto in questi giorni del giubileo di anni fa”. Lei getta con energia un tronchetto nel camino e mi guarda, non dice nulla. Il suo sguardo è indecifrabile.

Continuo: “Forse hai letto o sentito che in quell'occasione il Vaticano ha chiesto perdono per le persecuzioni che hanno insanguinato i tempi passati, per l’inquisizione
Gli occhi di Gera sono due fessure: “A chi chiedono perdono?

La sua domanda mi sconcerta. “Mah, forse al popolo dei cristiani, forse …
Loro sanno che chi ha subito torture, chi è morto bruciato sul rogo è qui, è di nuovo qui; si rivolgono a questi, ma perché oggi?

Di nuovo devo riflettere sulla domanda e la risposta che mi viene alla mente è solo questa: “Forse l’hanno fatto per inserirsi purificati nell'anno del Giubileo?

Gera scuote il capo: “Non so, allora, a quanto possa servire riconoscere fatti omicidi con parole che non cancelleranno il sangue da anime innocenti.

Tace e poi riprende: “Tu sei giornalista, dimmi, hanno deciso di sottoporre agli studiosi, anche laici, i documenti degli antichi processi d’inquisizione?

Queste parole mi colpiscono, non ci avevo pensato: “No, Gera, non ho sentito che una promessa per il futuro in questo senso. Spero che quegli archivi possano aprirsi un giorno!

Appunto, quello sarebbe un atto ulteriore di pentimento e di umiltà, forse, ma non so se verrà realmente fatto!


Fonte: Ho incontrato una strega - Agata Rapisardi

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__ho-incontrato-una-strega.php?pn=2028



martedì 1 gennaio 2013

Il Matrimonio del Cielo e dell’Inferno – William Blake

Memorabile apparizione
I profeti Isaia ed Ezechiele desinavano con me, ed io chiesi loro come osavano con tanta sicumera affermare che Dio aveva loro parlato; e in pari tempo, se non si rendevano contro che si esponevano all’incomprensione, fornendo così pretesto all’impostura.

Isaia rispose: “Io non ho visto né udito alcun Dio, nel senso d’una percezione finita dei miei organi; ma i miei sensi in ogni cosa scoprivano l’infinito, e allora, quando ebbi certezza, e l’ho tutt’ora, che la voce della giusta indignazione è la voce stessa i Dio, non mi curai delle conseguenze, e scrissi”.

Allora chiesi. “Può la ferma convinzione che così sia una cosa, renderla tale?”

Replicò: “Tutti i poeti lo credono, e nelle epoche d’immaginazione tale fede smosse le montagne; ma sono molti quelli incapaci d’essere convinti d’una cosa, qualunque sia”.

Allora parlò Ezechiele: “La filosofia dell’Oriente insegnò i primi principi della percezione umana. Alcuni popoli ponevano l’origine in un principio, altri in un latro; per noi d’Israele, il Genio Poetico (come lo chiamate ora) fu il vero primo principio, e tutti gli altri erano semplici derivazioni, da ciò derivarono il nostro disprezzo per i Sacerdoti e i Filosofi di altri paesi e le nostre profezie che finalmente sarebbe dimostrato che tutti gli Dei avevano nel nostro la loro origine ed erano tributari del Genio Poetico. Era il Genio che il nostro grande poeta, Re Davi, desiderava ardentemente, e che invoca con pathos proclamando “col tuo aiuto conquisto i nemici e reggo i regni”: e a tal punto amammo il nostro Dio, che in suo nome abbiamo maledetto tutte le deità dei popoli circostanti, e le abbiamo asserite ribelli. Da tali pareti il volgo fu tratto a pensare che finalmente tutte le nazioni sarebbero state soggette agli ebrei”.
“Ciò appunto” egli disse “come succede a ogni ferma persuasione, è accaduto; oggi tutte le nazioni credono nel codice degli ebrei e adorano il dio degli ebrei, e può esserci maggiore assoggettamento?”.

Udii questo discorso con una certa meraviglia e dovetti confessare il mio proprio convincimento. Finito il pranzo, chiesi a Isaia di fare al mondo il favore del recupero delle sue opere perdute; rispose che nessuna di qualche valore era andata perduta.
Lo stesso disse delle sue Ezechiele.
Chiesi anche a Isaia, cosa lo avesse indotto ad andare in giro nudo e scalzo per tre anni: rispose: “Quello stesso motivo che induceva il nostro amico Diogene, il Greco, a farlo”.

A Ezechiele chiesi inoltre, perché s’era nutrito di sterco ed era rimasto per tanto tempo disteso sul fianco destro o sul sinistro. Rispose: “Desideravo sollevare altri uomini sino alla percezione dell’infinito. È pratica, questa, delle tribù del Nord America, e sarà onesto chi si oppone al proprio genio o alla coscienza solo per salvaguardare agi o appagamenti momentanei?”.

L’antica tradizione che il mondo sarà consumato dal fuoco alla fine di seimila anni risponde a verità, secondo quanto ho udito all’Inferno.
Non appena al cherubino con la spada fiammeggiante sarà ordinato di smontare la guardia all’albero della vita, subito l’intero creato sarà consumato e apparirà infinito e sacro, mentre ora non appare che finito e corrotto.
Avverrà ciò per via d’un progredire del godimento sensuale.
Ma prima di tutto, la nozione che l’uomo ha un corpo distinto dall’anima dovrà essere espunta; e sarò io a farlo, stampando col procedimento infernale, con corrosivi, che nell’Inferno sono salutari e medicinali, dissolvendo le superfici apparenti, e rivelando l’infinito che nascondevano.
Se si pulissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa veramente è, infinita.
Poiché l’uomo s’è da se stesso rinchiuso, fino a non vedere più le cose che attraverso alle strette fenditure della sua caverna.


Fonte: Visioni (Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno) – William Blake 

venerdì 5 agosto 2011

Proverbi infernali - W. Blake

Nel tempo della semina impara, in quello del raccolto insegna, d’inverno spassatela

Guida il carro e l’aratro sopra l’ossa dei morti

La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza

La prudenza è una ricca e brutta vecchia zitella corteggiata dall’impotenza

Chi desidera ma non agisce, alleva pestilenza

Il verme tagliato perdona l’aratro

Se gli piace l’acqua buttatelo nel fiume

Lo stolto non vede un albero allo stesso modo del saggio

Chi ha un volto senza un raggio di luce, non diventerà mai stella

L’eternità è innamorata delle opere del tempo

L’ape affaccendata non ha tempo per dolersi

Le ore della pazzia non misurate dall'orologio; ma quelle della saggezza, nessun orologio può misurarle

Per l’unico cibo sano non valgono ne reti ne trappole

Conti, peso e misura, lasciali all’anno di carestia

Nessun uccello sale troppo in alto, se sale con le sue ali

Un cadavere non si vendica se lo insulti

E’ il gesto più sublime anteporre un altro a sé

Se il matto persistesse nella sua follia andrebbe incontro alla saggezza

Pazzia è il travestimento della malizia

Vergogna è la maschera dell’orgoglio

Con le pietre della Legge hanno alzato Prigioni, coi mattoni della Religione, Bordelli

La superbia del pavone, è la gloria di Dio


La lubricità del capro, è la munificenza di Dio


La collera del leone, è la sapienza di Dio


La nudità della donna, è il lavoro di Dio

L’eccesso di dolore ride, l’eccesso di gioia piange

Il ruggire dei leoni, l'ululare dei lupi, l'ergersi del mare furente e il gladio distruttore, sono particelle dell'eternità troppo grandi per l'occhio dell'uomo

La volpe biasima la trappola, non se stessa

Le Gioie fecondano: i Dolori partoriscono

L'uomo indossi le spoglie del leone, la donna il vello della pecora


All'uccello un nido, al ragno una tela, all'uomo amicizia


Il pazzo egoista e sorridente e il pazzo tetro e scontroso saranno entrambi presi per saggi, affinché possano essere una frusta


Ciò che oggi può dimostrarsi, una volta fu solo immaginato 


Topo, gatto, volpe, coniglio mirano alle radici; il leone, la tigre, il cavallo, l'elefante si volgono verso i frutti

La cisterna trattiene, la fonte dilaga


Un pensiero coma l'immensità


Sii sempre pronto a dire ciò che pensi, e il vile ti scanserà 


Qualsiasi cosa che si possa credere, è immagine di verità


L'aquila non sprecò mai tanto il suo tempo come quando si mise alla scuola del corvo


La volpe provvede a sé, ma al leone provvedere Iddio


Di mattina pensa. A mezzogiorno agisci. A sera mangia, di notte dormi

Se uno ti ha permesso di fargliela, è segno che ti conosce

Come l'aratro va dietro alle parole, così Iddio esaudisce le preghiere

Le tigri dell'ira sono più sagge dei cavalli dell'educazione 


Aspettati veleno dall’acqua ferma

Non puoi mai sapere ciò che basta, a meno che tu non abbia conosciuto prima l’eccesso

Dà ascolto ai rimproveri del matto: è privilegio da re


Gli occhi di fuoco, le narici d'aria, la bocca d'acqua, la barba di terra

Chi manca di coraggio è esuberante d'astuzia


Il melo non chiede per crescere consiglio al faggio, né al cavallo il leone per afferrare la preda


Chi è grato nel ricevere si prepara un'abbondante messe


Se non ci fossero stati gli sciocchi, dovremmo esserlo noi


L'anima della dolce gioia, non si potrà mai insozzare


Quando vedi un'Aquila, vedi una particola di Genio: alza la testa!


Come, per deporvi le uova, il bruco elegge le foglie più belle, il prete depone così sulle nostre migliori gioie la sua maledizione


La creazione d'un piccolo fiore è lavoro di ere


Condannare accresce il vigore. benedire, lo attenua


Il migliore vino è il più vecchio, l'acqua migliore è la più nuova


Pregare non ara! Adulare non miete!


La gioia non ride! I dispiaceri non piangono!


la testa, il Sublime; il cuore, Pathos; i genitali, Bellezza; mani e piedi, la Proporzione


Come per l'uccello, l'aria, per il pesce, il mare, così sia il disprezzo per lo spregevole


Il corvo vorrebbe che ogni cosa fosse nera, il gufo che tutto fosse bianco


Esuberanza è Bellezza


Se il leone si lasciasse consigliare dalla volpe, si farebbe furbo


Le migliorie raddrizzano le strade; ma le vie tortuose e prive di migliorie sono quelle del Genio


Sarebbe meglio per te uccidere un bimbo nella culla che cullare desideri inattuati


Dove manca l'uomo, la natura è sterile

La verità detta in modo comprensibile non sarà mai creduta Abbastanza oppure Troppo


Fonte: Visioni (Il Matrimonio del Cielo e dell'Inferno) - William Blake 

martedì 29 marzo 2011

La via del risveglio secondo Meyrink

http://www.rodoni.ch/zemlinski/PRAGA/meyrink.html

Il principio è ciò che all’uomo manca. E non che sia tanto difficile trovarlo. E’ anzi proprio il preconcetto di doverlo trovare che costituisce impedimento. La vita è piena di grazia; ad ogni istante essa ci dona un principio. Ad ogni secondo siamo investiti dalla domanda: «Chi sono io?». Noi non la poniamo. E quest’è la ragione per cui non troviamo il principio. Se però una volta seriamente la poniamo, già spunta il giorno, il cui rosso tramonto significa morte per quei pensieri che sono penetrati nell’aula dei Re e vivono da parassiti alla mensa dell’anima nostra. Lo scoglio corallifero ch’essi con diligenza da infusori si sono andati costruendo nel corso dei secoli e che noi chiamiamo «il nostro corpo», è opera loro ed è il luogo dove albergano e vanno prolificando. Noi dobbiamo innanzitutto aprire una breccia in questo scoglio di calce e colla e poi ridissolverlo in quello spirito ch’esso inizialmente era, se intendiamo riguadagnare il libero mare. I pensieri hanno costruito nell'arco dei secoli ciò che noi chiamiamo "il nostro corpo", in esso albergano e vi proliferano. Chi non impara a vedere in terra, di là non lo impara di certo. La chiave della potenza sulla natura inferiore è arrugginita fin dal diluvio. Essa si chiama: esser sveglio.

Essere svegli è tutto. Di nulla l’uomo è così fermamente persuaso quanto d’esser sveglio. In verità però egli è imprigionato in una rete di sonno e di sogno ch’egli stesso ha intessuto. Più fitta è questa rete e più potente signoreggia il sonno. Quelli che vi sono impigliati passano nella vita come un gregge avviato al macello, ottusi, indifferenti e senza pensieri. Esser svegli è tutto.
Il primo passo in questo senso è così facile che anche un bimbo lo sa fare; solo il maltolto ha disimparato a camminare e resta paralizzato d’ambo i piedi perché non vuol fare a meno delle stampelle che ha ereditato dai suoi antenati. Sii sveglio qualunque cosa tu imprenda! Non credere d’esserlo diggià. No: tu dormi e sogni. 
Irrigidisciti tutto, raccogliti bene e costringiti un momento solo alla sensazione che ti traversa con un brivido il corpo: «ORA SONO SVEGLIO!». Se ti riesce di sentire questo, riconoscerai pure d’un tratto che lo stato in cui solo un istante prima ti trovavi non appare al confronto che come stordimento e sonnolenza.

Ed è questo il primo passo esitante per un lungo, lungo migrare dalla servitù all’onnipotenza. Cammina in questo modo da risveglio a risveglio. Non v’è pensiero tormentoso che cosi tu non possa bandire; esso resta indietro e non può più sollevarsi fino a te; tu lo sovrasti, così come la corona di un albero cresce spaziando al disopra dei rami inariditi. Cadranno da te i dolori come foglie appassite, una volta che tu sia tanto innanzi, che codesto risveglio s’impossessi del tuo stesso corpo.
Le gelide immersioni degli Ebrei e dei Bráhmani, le notturne veglie dei discepoli del Buddha e degli asceti cristiani, i supplizi inflittisi dai fachiri indù per non addormentarsi, altro non sono che riti esteriori cristallizzati, frantumi di colonne che rivelano ai cercatori: «Qui in grigi evi lontani s’erigeva un tempio arcano al “Volere esser svegli “».

Leggi le sacre scritture d’ogni popolo della terra: passa traverso esse tutte il filo rosso della dottrina arcana del risveglio. E’ la Scala Celeste di Giacobbe che lottò con l’angelo del Signore tutta la «notte» finché non si fece «giorno», ed egli riportò vittoria. Dall’uno all’altro gradino di un risveglio sempre più chiaro e distinto tu devi salire se vuoi uccidere la morte, la cui corazza ha per piastre il sonno, il sogno e lo stordimento.
Pensa soltanto che l’infimo gradino di codesta Scala Celeste si chiama genio. 

Che nome dovremmo dare allora ai più alti gradi? Essi restano ignoti alle moltitudini e vengono ritenuti leggenda. Sulla via del risveglio il primo nemico che ti sbarrerà il passo sarà il tuo stesso corpo. Fino al primo canto del gallo egli combatterà contro di te. Quando però tu sia riuscito a vedere il giorno dell’eterno risveglio che ti stranierà dalla schiera dei sonnambuli che credono d’esser uomini e non sanno d’esser degli dèi dormienti, allora sparirà per te anche il sonno del corpo e l’universo intero ti sarà soggetto.

Allora potrai fare miracoli se vorrai e non dovrai attendere, umile, gemendo schiavo, che un crudele Iddio si compiaccia di farti grazia o di farti spiccare la testa. 
Certo: la felicità del cane fedele e scodinzolante, quella di sapere un padrone sopra di sè a cui si possa servire, codesta felicità s’infrangerà per te. Ma intèrrogati bene e rispondimi: Vorresti tu cambiarti, uomo quale oggi sei ancora, col tuo cane? 
Ognuno che senta la terra come una prigione, ogni credente che invoca la redenzione, tutti costoro evocano inconsciamente il mondo dei fantasmi. Fallo anche tu, ma con coscienza. 
Ci sarà, per coloro che lo fanno inconsciamente, una mano invisibile che magicamente tramuti in terraferma le paludi in cui essi necessariamente devono finire? Non lo so. Non voglio contestarlo ma non ci credo.

Quando sulla via del risveglio passerai per il mondo dei fantasmi*, riconoscerai che altro non sono se non pensieri che tu vedi con gli occhi. Quest’è la ragione per cui essi ti sono inconsueti e t’appaiono quali larve. Poiché il linguaggio delle forme è diverso dall’idioma del cervello.

*il mondo dei fantasmi o astrale non è che quello di forze profonde, in parte individuali, in parte collettive e superindividuali agenti nell’uomo integralmente considerato. Tali forze, non appena la coscienza sia svincolata dalla sua connessione col cervello si proiettano e visualizzano in immagini simboliche. L’uomo vede allora come un’esteriorità ciò che prima, essendogli interiore, non poteva realmente conoscere. 
Nel mondo dei fantasmi, egli può dunque conoscere se stesso. Allora le apparizioni si rivelano larve, fantasmi e subentra un temibile senso di solitudine. Questa esperienza è pertanto superata da un’altra il “Senso più profondo” di ciascuna apparizione: dalle varie energie, di cui le immagini astrali sono simbolo, si può effettivamente risalire ad enti reali e cosmici, al cui influsso l’uomo ha soggiaciuto e che sono stati essenziali per la sua vita. 
Se un fuoco di conoscenza e di purificazione arde il mondo dei fantasmi affiora da esso la prima esperienza del regno di “ COLORO CHE SONO”. 

Ed è arrivato allora quell’istante nel tempo in cui si compie la strana permutazione che in te può avvenire: dagli uomini che ti circondano vengono fuori degli spettri. Tutti coloro che ti sono stati cari, diventano d’improvviso larve. Perfino il tuo stesso corpo, è la più terrificante delle solitudini che pensare si possa, è un pellegrinar nel deserto e chi in esso non trova la fonte della vita, muore di sete. Questo è il segno, la stimmata, di tutti coloro che sono morsi dalla “SERPE  DEL MONDO SPIRITUALE”. 

Sembra quasi che due vite debbano innestarsi in noi prima che il miracolo del risveglio possa compiersi. Quel che di solito è disciolto dalla morte, avviene in questo caso per lo svanire dei ricordi, talora per un improvviso intero capovolgimento.
Gli uomini tutti potrebbero arrivare a questo. E la chiave si trova puramente e semplicemente nel rendersi conto della «forma del proprio Io», della propria pelle, vorrei dire, immersi che si sia nel sonno; nel discoprire la stretta fessura traverso la quale la coscienza si fa strada fra lo strato di veglia e quello del sonno più profondo.
La lotta per l’immortalità è una battaglia per il dominio sui suoni e sui fantasmi che hanno in noi la loro dimora; e l’attesa del nostro “IO” di diventare RE , è quanto aspettare il MESSIA.
Tutto ciò che io ti ho detto si trova nei libri dei religiosi di ogni popolo: l’avvento d’un nuovo Regno, la veglia la vittoria sul corpo e la solitudine. Eppure da codesti religiosi ci divide un abisso senza ponti. 

Essi credono che un giorno si avvicini. In cui i buoni entreranno in paradiso e i cattivi saranno sommersi nelle voragini dell’inferno. Noi sappiamo che tempo verrà in cui molti si ridesteranno e verranno divisi dai dormienti. Noi sappiamo che non esiste né il bene né il male, ma soltanto il vero e il falso. 
Essi credono che lo star desti sia tenere aperti i sensi, gli occhi ed eretti il corpo durante la notte, perché l’uomo possa recitare le sue preghiere. Noi sappiamo che lo star desti equivale al risveglio dell’ Io immortale di cui l’insonne stato del corpo non è che la naturale conseguenza. 
Essi credono che il corpo debba venir trascurato e sia da tenersi vile perché peccaminoso. Noi sappiamo che il peccato non esiste; che il corpo è il principio con il quale dobbiamo  incominciare e che noi non siamo discesi sulla terra per trasformarlo in spirito. 
Essi credono che occorra andare col proprio corpo in solitudine per purificare lo spirito. Noi sappiamo che innanzi tutto è il nostro spirito che deve andare in solitudine per trasfigurare il corpo. 

Da te solo dipende di scegliere la tua vita – la nostra oppure la loro. A decidere dev’essere la tua libera volontà.
Ti ho detto che il principio della vita è lo stesso nostro corpo. Chi sa questo potrà ad ogni istante mettersi in cammino.

Adesso voglio insegnarti i primi passi.
Tu devi distaccarti dal corpo, ma non come se tu lo volessi abbandonare. Devi scioglierti da esso come uno che separi la luce dal calore. Già a questa svolta guata il primo nemico. Chi si strappa dal proprio corpo per volare attraverso lo spazio percorre la via delle streghe, che han tratto dal loro rozzo involucro terrestre un corpo di fantasma su cui esse cavalcano, come su di un manico di scopa, nella notte di Valpurga. Le streghe credono di essere al sabba del diavolo, mentre il loro corpo giace in realtà privo di sensi e rigido nella loro camera.
Le streghe credono d’esser al sabba del diavolo, mentre il loro corpo giace in realtà privo di sensi e rigido nella loro camera. Esse scambiano semplicemente la loro percezione terrestre con quella spirituale; perdono il meglio per acquistar la parte peggiore; il loro è un depauperarsi, anziché arricchirsi.
Giacché puoi capire che non è questa la via verso il risveglio. Per comprendere che tu non sei il tuo corpo – come gli uomini credono di sé stessi – devi renderti conto delle armi di cui esso usa per poter conservare il dominio su di te. Certo che adesso stai ancora in sua balia, che la tua vita si spegne se il suo cuore cessa di battere e che t’affondi nella notte non appena esso chiude gli occhi. Tu credi di poterlo muovere, ma è un’illusione: è , al contrario lui che si muove e che solamente prende in aiuto da te la tua volontà. 

Tu credi di creare pensieri. No, è esso che te li manda, perché tu creda ch’essi provengano da te e perché tu faccia tutto ciò che esso vuole. 

Mettiti a sedere ben dritto e proponiti di non muover membro né di batter ciglio e di restartene immobile come una colonna e allora vedrai come esso avvampato d’odio si precipiti su di te e ti voglia costringere ad essergli di nuovo soggetto. Con mille armi esso t’assalirà e non ti darà pace fino a che non gli abbia di nuovo permesso di muoversi. Dalla sua ira feroce, dalla precipitata maniera di combattere per cui esso lancerà freccia su freccia contro di te, potrai accorgerti, se sei accorto, di quanto esso tema per il suo dominio e quanto sia grande la tua potenza , dalla quale esso mostra d’aver tanta paura. 
Dominare il tuo corpo non deve essere lo scopo ultimo che tu persegui. Quando tu gli proibisci di muoversi lo devi fare soltanto per arrivare a conoscere le forze sulle quali si esercita il suo dominio. E sono legioni, quasi insoggettabili per quantità. Esso le lancerà a battagliare contro di te, l’una dopo l’altra se tu non desisterai dal tenergli testa col mezzo, apparentemente così semplice dello stare seduto ed immobile. 
Sarà prima la brutalità rude dei muscoli che vogliono tremare e sussultare; poi il bollore del sangue che ti imperlerà il viso di sudore; e il martellamento del cuore; e la pelle percorsa da brividi così freddi da far rizzare i capelli; e l’oscillazione del corpo che ti prende, come se l’asse di gravità si fosse spostato. Tutte codeste forze tu potrai fronteggiare e vincere, e, in apparenza, grazie alla volontà. Ma non sarà la volontà soltanto: sarà in effetti un risvegliarsi superiore che le sta dietro, invisibile come per la magica virtù dell’elmo di Sigfrido.
Ma anche questa vittoria è priva di valore. Perfino se tu riuscirai a renderti signore del respiro e del battito del cuore, non saresti che un fachiro un «povero», per dirla in povere parole. I campioni che in seguito il tuo corpo manda a fronteggiarti sono gli inafferrabili sciami di mosche dei pensieri. Contro di essi non giova la spada della volontà. Più selvaggiamente tu la vibri contro di loro e più rabbiosi essi ti ronzano intorno e se, per un momento, ti riesce di levarteli di torno, ecco che tu cadi in letargo e sei vinto in un altro modo.
Imporre ad essi di stare fermi è fatica sprecata. C’è solo un modo di scampare da essi: passare ad un grado superiore di risveglio. 

Come tu debba incominciare per arrivarvi, è cosa che tu devi imparare da te. È un continuo prudente andar a tastoni col sentimento, ed è nel contempo un ferreo proposito. Questo è tutto ciò che te ne posso dire. Ogni consiglio che ti si voglia dare riguardo codesta lotta tormentosa è veleno. Qui c’è uno scoglio ad evitare ed a sorpassare, al che non puoi provveder che tu stesso.

Raggiunto che tu abbia questo stato, s’avanza il regno degli spettri del quale già t’ho parlato. Apparizioni spaventevoli o radianti di luci ti si manifesteranno e vorranno farti credere da te esseri soprannaturali. E invece non sono che pensieri in forma visibile sui quali ancora non hai piena potenza.
Più solennemente essi s’atteggiano, più perniciosi sono: rammentalo! Quando però tu abbia trovato il «senso più profondo» che si nasconde in ognuna di queste larve di esseri, tu riuscirai a vedere con l’occhio dello spirito non solo il loro nucleo vivo, ma il tuo stesso. E allora tutto quel che ti sia stato tolto, ti verrà mille volte restituito, come a Giobbe; allora tu sarai di nuovo dov’eri una volta, come volentieri affermeranno ironizzando gli stolti. Non sanno essi che è ben diverso rimpatriare dopo essere stati lungamente in terra straniera, dall’esser sempre rimasti a casa.

Se a te sia fatta parte della stesse forze miracolose dei profeti dell’antichità, o se invece ti sia riservato l’entrare nell’eterna pace è cosa che nessuno può sapere. 
La nostra via porta fino al gradino della maturità. Arrivato che tu sia ad essa sei anche degno di ricevere quel dono.
Una fenice tu sarai diventato in entrambi i casi. Ottener di violenza quel dono è cosa che sta in tuo potere.

Uno tra coloro che conservano la chiave della magia è rimasti in terra e cerca e raduna i suoi chiamati. Così come lui non può morire, non può morire la leggenda che circola su di lui. Sussurrano alcuni che egli sia l’Ebreo errante, altri lo chiamano Elia; gli gnostici sostengono che si tratti di Giovanni Evangelista. Ed è soltanto naturale che ognuno lo veda diversamente un essere, che, come lui, abbia trasmutato il suo corpo in spirito, non può più restare legato alla rigidità d’una qualunque forma. Immortale in verità, non è che l’uomo risvegliato. Astri e Iddii tramontano, egli solo resta e può mandare a compimento tutto quel che egli vuole. Non c’è Dio sopra di lui. Non per niente la nostra via è detta una via pagana. Ciò che il religioso ritiene Dio, non è che uno stato che egli potrebbe raggiungere se fosse capace di credere in se stesso. Egli si crea un’immagine per adorarla, invece di trasformarsi in essa. Se puoi pregare prega il tuo invisibile te stesso. Egli è l’unico Dio che esaudisce le tue preghiere. Gli altri Iddii ti porgono pietre invece di pane. 

… Quando il tuo invisibile te stesso apparirà in te come autista, tu potrai riconoscerlo dal fatto che getterà un’ombra. Io stesso non sapevo chi io mi fossi, fino a quando non ebbi a vedere il mio corpo come un’ombra. 

Tratto da Introduzione alla magia, La via del risveglio secondo Gustavo Meyrink, vol. 1., Edizioni Mediterranee, Roma, ristampa 1987



Da tempo quando mi capita qualcosa sotto gli occhi non cerco più di sapere a che cosa serve, non serve affatto, si fa solo servire. 
Ne ho abbastanza di recitare sempre la solita solfa culturale: prima la pace per preparare la guerra , poi la guerra per riconquistare la pace e così via. Voglio essere un punto a fine frase e non restare virgola in eterno. 
Raggiungere il sorriso eterno è più difficile che scovare fra le migliaia di tombe su questa terra il teschio portato sulle spalle in una precedente vita. L’uomo dovrà aver pianto tutte le sue vecchie lacrime prima di poter osservare il mondo con occhi nuovi, sorridendo. E se pure è davvero difficile il teschio lo si cerca, eccome!


domenica 27 marzo 2011

La conoscenza delle acque - Abraxa

Sia gli Aztechi che i Maya adoravano una divinità che chiamavano Kukulklan (uccello-serpente) disegnato con il corpo di serpente e la testa di un gallo, una figura simile si trova anche sul gran sigillo del Gran Maestro dei Templari in Francia. Abraxas è colui che viene chiamato nell’esoterismo occidentale "Grande Architetto dell’Universo". Era uno dei sigilli dei templari insieme al drago.

La vita elementare degli esseri tutti, senza eccezione, è retta dal profondo da una Forza primordiale. La natura di questa Forza è brama: un appetito che non ha mai soddisfazione, un abbattersi che non conosce termine, irresistibile necessità e cieco, selvaggio volere. Divenire, trasformazione disordinata caotica, incoercibile flusso - generazione - distruzione, attrazione - repulsione, terrore - desiderio, formazione - dissolvimento composte in una mescolanza ignea senza riposo sono l'essenza di questa primordiale cosmica natura. Come una meraviglia e come uno spavento ne parlarono i Saggi. Così la chiamarono: Fuoco universale e vivente, Drago verde, Quintessenza, Sostanza prima, Grande Agente magico. Principio dell'opera universale, è anche il principio della loro «Grande Opera»; perché uno stesso è il Magistero della Creazione e il Magistero con cui, secondo l'Arte, l'uomo costruisce sè stesso. Questa nostra Materia non è una astrazione della filosofia profana né idea di mito né favola, ma invece una realtà vivente e possente, spirito e vitalità della Vita. La razza degli uomini non la conosce. Una provvidenziale legge naturale la cela alla coscienza loro con lo spettacolo-illusione dei fenomeni materiali, della realtà solida senza la quale nessuna requie, nessuna tranquillità per la loro vita. E vuole, la stessa legge, che questo velo di ignoranza sia rimosso, l'occhio del Sapere dischiuso solamente nel punto della crescenza e della presenza di una forza forte abbastanza per sopportare la visione. Sappi dunque che la Vita della tua vita è in Lei. Spiala. Essa si palesa, ad esempio, in tutti i momenti di subito pericolo. Sia la velocità di un'auto su di te, distratto nella via. Sia il venir meno del terreno sotto di te per l'aprirsi di un crepaccio. Sia un carbone ardente senza fiamma o una cosa elettrizzata che hai toccato inavvertitamente. Ecco: in reazione subita si afferma una cosa pronta, violenta, rapidissima. È la tua «volontà», la tua «coscienza», il tuo «io »? No. Non è la tua volontà, la tua coscienza, il tuo io, che giungono solamente dopo, a gesto compiuto. Là, erano assenti, scavalcati. Qualcosa di più profondo, di più veloce, di più assoluto di tutto ciò si è fatto palese, si è imposto, ha agito. Portati alla fame, portati al terrore, portati alla brama sessuale, al panico ed allo spasimo e indomita, violenta, tenebrosa, di nuovo la vedrai. E se tali suoi denudamenti te ne danno la sensazione tu potrai conoscerla gradatamente anche come il fondo invisibile dell'intera tua vita di veglia. Le radici sotterranee delle inclinazioni, delle fedi, degli atavismi, delle convinzioni invincibili ed irrazionali; le abitudini, il carattere, tutto che vive in te come animalità, come razza biologica, tutta la volontà del corpo, cieca ebbra volontà di vivere, covante generazione conservazione prosecuzione; tutto questo si ricongiunge e si con-fonde con lo stesso principio. Di fronte ad esso, di solito non ti è data che la libertà di un cane legato ad una catena. Tu non l'avverti - e ti credi libero - finché non passi un certo limite. Ma se vai oltre, essa si tende e ti arresta. Oppure ti giuoca: ti muovi in circolo e non te ne accorgi. Non ti illudere: anche le «cose supreme» obbediscono a questo dio. Diffida: tanto più intimamente ed aderentemente per quanto più sembrano indipendenti e liberate, secondo la magia dell'ebbrezza, esse gli obbediscono. Che importa a Lei l'una o l'altra forma, l'una o l'altra «ragione» con cui credi di giustificarti, pur che si affermi il suo conato profondo! Travestita, essa ribadisce il suo vincolo. Spia anche questa forza, e conoscila, nella selvaggia possanza dell'immaginazione e della suggestione. È di nuovo una rapidità che fissa e incatena - e nulla tu puoi, quando essa sia; più «vuoi» contro di essa, più la alimenterai a tuo danno. È lo spavento che si moltiplica, più tu lo scacci. È il sonno che fugge finché ti «sforzi» di dormire. Una stretta tavola sull'abisso: è la suggestione del cadere; e tu certo, sicuramente, cadrai se ti imponi di passare, «volendo» contro di essa. È la fiamma della passione, che più acre si innalza per quanto più la tua «coscienza» si sforza di soffocarla, e non scompare che per passare dentro, ad avvelenarti tutto! Qui, di nuovo, è Lei, erompe Lei. Sii consapevole che questo Ente che si amalgama con quello delle potenze emotive ed irrazionali, scende poi giù, ad identificarsi con la stessa forza che regge le funzioni profonde della vita fisica. «Volontà», «pensiero», «io», che possono, su coteste funzioni? Ad esse sono esterni. Simili a parassiti ne vivono, traendone le linfe essenziali pur senza poter scendere dentro fino al tronco profondo. Con arma tagliente, senza paura, scava. Dì, dunque: "Di questo mio corpo, che posso giustificare con la mia volontà? Voglio io il mio respiro? Il fuoco delle mescolanze in cui arde il cibo? Voglio io la mia forma, la mia carne, questo uomo determinato cosi, vivente cosi, felice od infelice, nobile o volgare? Ma se domando ciò, non debbo anche andare piu oltre ancora? La «mia» volontà, la «mia» coscienza, il «mio» io, li voglio - o li sono soltanto? Perché tutto che posso dire di volere, dovrei anche poterlo non volere, e quindi anche essere, senza di esso. E l'io, già, il «mio» io: lo posseggo, o è lui che possiede me?" Tu che ti sei appressato alla «Scienza dei Maghi», sii forte abbastanza per questa conoscenza: Tu non sei vita in te. Tu non esisti. «Mio», non puoi dirlo di nulla. La Vita, non la possiedi - è essa che ti possiede. La soffri. Ed è un miraggio, che questo fantasma di «io» possa sussistere immortale al disfarsi del corpo, quasi che tutto non ti dicesse che la correlazione con questo corpo gli è essenziale, che un malessere, un trauma, un accidente qualsiasi hanno un'influenza precisa sulle facoltà sue, per «spirituali» e «superiori» che esse siano! Ed ora distogliti da te, discendi oltre la soglia, in ritmi di analogia-sensazione, sempre più giù nelle oscure profondità della forza che regge il corpo tuo. Qui essa perde nome ed individuazione. Allora sarà la sensazione di tale forza che si allarga a riprendere «me» e «non-me», a pervadere tutta la natura, a sostanziare il tempo, a trasportare miriadi di esseri come se fossero ebbri o ipnotizzati, riaffermandosi in mille forme, irresistibile, selvaggia, priva di limiti, arsa da una eterna insufficienza e privazione. «Ciò è» - cosi pensa. Se questo sapere a te ti riconduce, e, ghiacciato da gelo mortale, senti l'abisso aperto: «In ciò io sono» - tu qui hai conseguito la CONOSCENZA DELLE «ACQUE».

Fonte: Introduzione alla magia, Conoscenza delle acque, vol. 1., Edizioni Mediterranee, Roma, ristampa 1987