Uno sguardo introduttivo: l’insegnamento zógqen e la cultura del Tibet
Molte persone, al giorno
d’oggi, non sono affatto interessate alle cose spirituali, e la loro mancanza
di interesse è rafforzata dalla prospettiva, generalmente materialistica, della
nostra società. Se si chiede loro in che cosa credono, possono persino rispondere
di non credere in niente. Tali persone ritengono che tutta la religione sia
basata sulla fede, che considerano solo di poco superiore alla superstizione, e
priva di qualsiasi importanza nel mondo moderno. Ma lo Zógqen non può essere
considerato una religione, e non chiede a nessuno di credere in niente.
Piuttosto, suggerisce all’individuo di osservare sé stesso, e di scoprire la
propria reale condizione.
Secondo l’insegnamento zógqen
alle funzioni di un individuo operano a tre livelli interdipendenti, quello del
corpo, quello della voce, o energia, e quello della mente. Anche coloro che
affermano di non credere in niente, non possono dire che non credono nel loro
corpo! Esso è la base della loro esistenza, e i suoi limiti e problemi sono
chiaramente tangibili. Abbiamo freddo e fame, soffriamo dolore e solitudine, e
passiamo buona parte della nostra vita nel tentativo di superare la sofferenza
fisica.
Il livello dell’energia, o della voce, non è così facile da vedere, e per molti non è facile comprenderlo. Persino i medici, in occidente, per lo più lo ignorano, e cercano di curare tutte le malattie sul piano puramente fisico. Ma, se l’energia di un individuo è disturbata, né il suo corpo né la sua mente saranno ben equilibrati. Alcune malattie, come il cancro, sono causate da disturbi dell’energia, e non possiamo essere curate semplicemente con la chirurgia o con i medicamenti. Similmente, molte malattie mentali e anche alcuni disturbi meno sono provocati da una scarsa circolazione dell’energia. La nostra mente è in genere molto complicata e confusa e, anche quando vorremmo stare calmi, possiamo scoprire di non esserne capaci, perché la nostra energia, nervosa e agitata, non ce lo permette. Così, nello Zógqen ci sono pratiche per affrontare questi problemi di corpo, voce e mente, che lavorano con ciascuno dei tre livelli dell’individuo e che, potendo essere integrate on la vita quotidiana, hanno la capacità di modificarne la nostra esperienza globale, da quella di tensione e confusione a quella di saggezza e di vera libertà. L’insegnamento non è solo teorico, ma anche pratico; e, nonostante sia molto antico, è valido per la condizione umana così come lo era per quella di ieri, poiché la natura di corpo, voce e mente dell’individuo non è cambiata.
Lo
stato primordiale
L’insegnamento zógqen è,
nella sua essenza, un insegnamento riguardante lo stato primordiale
dell’essere, che è la natura intrinseca di ogni individuo, sin dal principio.
Entrare in questo stato vuol dire sperimentare sé stessi come si è, come il
centro dell’universo, sebbene non nel senso dell’ego ordinario. La normale
coscienza, centrata sull’ego, non è altro che la gabbia limitata della visione
dualistica, che impedisce l’esperienza della propria vera natura, lo spazio
dello stato primordiale. Comprendere questo stato primordiale vuol dire
comprendere l’insegnamento zógqen, e la trasmissione dello Zógqen ha la
funzione di comunicare questo stato, da parte di uno che lo ha realizzato (che
ha, cioè, reso reale quello che prima era solo latente) a coloro che sono
imprigionati nella visione dualistica. Anche il nome “Zógqen”, che significa
“Grande Perfezione”, si riferisce all’autoperfezione di questo stato,
fondamentalmente puro dal principio, con niente da respingere o da accettare.
Per comprendere lo stato
primordiale e per entrarvi, non c’è bisogno di alcuna conoscenza intellettuale,
culturale o storica. È al di là dell’intelletto per natura. Ma probabilmente,
sentendo parlare di un insegnamento per la prima volta, si vuole sapere
innanzitutto da dove viene, chi l’ha insegnato, e così via. Questo
atteggiamento è comprensibile, tuttavia non si può dire che lo Zógqen
appartenga alla cultura di qualche paese. Per esempio, secondo un tantra dello
Zógqen, il Drá Talgùr Zavai Gyúg, l’insegnamento Zógqen è presente in tredici
sistemi solari oltre al nostro, quindi non si può neanche dire che tale
insegnamento appartenga al pianeta Terra, e men che meno a una particolare
cultura nazionale. Sebbene sia vero che la tradizione che stiamo per
considerare è stata trasmessa attraverso la cultura del Tibet, che l’ha accolta
sin dagli albori della sua storia, non possiamo in fondo neanche dire che lo
Zódqen sia tibetano, perché lo stato primordiale non ha nazionalità ed è
onnipresente, è dappertutto.
Ma è anche vero che
dappertutto gli esseri sono entrati nella visione dualistica, che ostacola
l’esperienza dello stato primordiale. E, quando i realizzati hanno provato a
mettersi in contatto con loro, raramente sono stati capaci di comunicare
completamente lo stato primordiale, senza l’aiuto di parole o simboli, e così
hanno fatto di qualsiasi cultura esistente un mezzo di comunicazione. Perciò la
cultura è spesso connessa all’insegnamento, e, nel caso del Tibet, questo è
vero al punto che non è possibile comprendere l’una senza aver compreso
l’altra.
L’insegnamento Zógqen non è
mai stato particolarmente diffuso o conosciuto in Tibet, anzi il contrario: è
sempre stato in qualche modo riservato. Ma esso è l’essenza di tutti gli
insegnamenti tibetani, ed è così diretto che è sempre stato tenuto un po'
nascosto, e la gente spesso ne ha avuto paura. Inoltre, lo Zógqen esiste anche nel
Bǒn, l’antica tradizione sciamanica del Tibet, antecedente l’arrivo del
Buddhismo dall’India. Così, se consideriamo lo Zódqen come l’essenza di tutte
le tradizioni spirituali tibetane, buddhista e bǒn (anche se in realtà non
appartiene a nessuna delle due), e se comprendiamo che tali tradizioni furono
l’essenza della cultura tibetana, possiamo usare l’insegnamento come una chiave
per comprenderla nella sua pienezza. E, in questa prospettiva, si può osservare
come tutti i suoi vari aspetti si siano manifestati come sfaccettature della
visione totale dei realizzati, i maestri della tradizione spirituale.
Simile a un cristallo posto nel cuore di questa cultura, la chiarezza dello stato primordiale, così come si è manifestato nella mente di molti maestri, ha emanato, come raggi splendenti o riflessi scintillanti, le forme dell’arte e dell’iconografia tibetane, della medicina e dell’astrologia. Così, arrivando a comprendere la natura del cristallo, potremo scoprire meglio il senso dei raggi e dei riflessi che da esso emanano.
La
Base
Tra i tre gruppi di cui abbiamo parlato, parlato conosciuto come “la Base, la Via e il Frutto”[1], è di importanza fondamentale, e ora considereremo, uno alla volta, ciascuno di questi aspetti.
LA BASE:
- Essenza
- Natura
- Energia
La Base, in tibetano Xi. È il termine usato per indicare il
fondamento dell’esistenza, sia a livello universale sia a livello individuale,
essendo i due essenzialmente identici; comprendere l’uno vuol dire comprendere
l’altro. Se comprendiamo noi stessi, comprendiamo la natura dell’universo.
Nei capitoli precedenti
abbiamo fatto riferimento allo stato primordiale che si sperimenta durante la
contemplazione non-duale, ed è proprio in questo stato che l’individuo ritrova
l’esperienza dell’identità con la Base.
Si dice “Base” perché è
qualcosa che è lì sin dal principio, pura e autoperfezionata, senza che ci sia
il bisogno di costruirla. Esiste in ogni essere e non può venire distrutta,
sebbene l’esperienza di essa si perda quando si entra nel dualismo. Allora
viene temporaneamente oscurata dall’interazione degli stati mentali negativi,
provocati dalle passioni dell’attaccamento e dell’avversione, che sorgono
dall’ignoranza, radice della visione dualistica. Ma la Base non è una cosa
esistente di per sé, un oggetto: è piuttosto uno stato, una condizione
dell’esistenza. In un individuo ordinario, essa è latente; in un realizzato è
manifesta.
In generale, tutti gli insegnamenti, non solo lo Zógqen, ritengono che la coscienza non cessi con la morte del corpo fisico, ma che trasmigri: le cause karmiche, accumulate nel corso delle innumerevoli vite, danno origine a ulteriori rinascite finché l’individuo non si realizza, finché il karma non è trasceso e la trasmigrazione portata a termine.
Canto del Vajra:
Non nato,
ma che continua senza
interruzione
senza andare né venire,
onnipresente
Dharma supremo,
spazio immutabile, senza definizione,
spontaneamente
autoliberantesi
-stato perfettamente aperto –
Esistente dal principio,
autocreatosi, senza essere in
un luogo,
senza niente di negativo, da
rifiutare,
e senza niente di positivo,
da accettare,
espansione infinita, che
penetra dappertutto,
senza che ci sia neanche
qualcosa da dissolvere
o da cui liberarsi,
presente al di là di spazio e
tempo,
esistente dal principio,
immenso yìn[2],
spazio interno,
raggiante di chiarezza, come
il sole e la luna,
indistruttibile come il vajra,
stabile come la montagna,
puro come il loro,
forte come il leone,
incomparabile godimento
al di là di tutti i limiti,
illuminazione,
equanimità,
vetta del Dharma,
luce dell’universo,
stato perfetto dall’origine
Fonte: Il Cristallo e la Via della Luce – Namkhai Norbu
https://www.macrolibrarsi.it/libri/__cristallo_e_la_via_della_luce.php?pn=2028
[1]
Ogni insegnamento ha la sua particolare Base, Via e Frutto che ne determinano
le caratteristiche specifiche: come la condizione fondamentale dell’individuo
(Base), che tipo di pratica spirituale deve essere fatta (Via), qual è lo stato
a cui idealmente si tende (Frutto). Qui sono trattati la Base, la Via e il
Frutto dello Zógqen.
[2]
Tibetano: yin, sanscrito: dhātu, “dimensione”.