Immerso
ininterrottamente nel flusso dell’esistenza, modellato da ogni circostanza in
cui si viene a trovare, succede che l’uomo veda rafforzarsi alcuni aspetti
della sua manifestazione, instaurarsi determinate abitudini e formarsi
atteggiamenti e opinioni che pretendono, spesso in buona fede, di esprimere al
momento dato la sua tonalità. È così che in ogni circostanza egli dice “io” e
s’immagina di essere interamente “se stesso” attraverso ciascuno dei personaggi
cui man mano è identificato. E senza che egli se ne renda minimamente conto,
tutti questi “io”, quasi sempre privi di rapporto tra loro, finiscono man mano
per allontanarlo dalla propria “individualità”, cioè dal proprio “essere
interiore”.
Come
riconoscermi in questo amalgama di qualità, alcune delle quali mi appartengono
in proprio e altre no? “Risalite alla vostra infanzia”, ci dice A., “e
ritrovate il gusto suscitato in voi dalle impressioni di allora: ciò vi
insegnerà molte cose sulla vostra essenza” …
Uno
strano gusto, un gusto di cui un tempo ero saturo, e che oggi posso ritrovare
solo giù nel profondo, dove a lungo è rimasto dimenticato, un gusto su cui oggi
passa e ripassa l’ombra delle nostre azioni apprese, dei pregiudizi e delle
immaginazioni invadenti …
Nonostante
gli sforzi, mi riesce difficile distinguere la mia vera essenza, ma, in ogni
movimento mentale o affettivo che sorge dentro di me, posso riconoscere senza
ombra di dubbio i tratti della mia personalità.
PRIME
ESPERIENZE
Cerco di
sentirmi essere.
Dalla mia
testa s’irradia un’energia capace di esercitare un potere su ciò che mi sta
intorno e sul mio corpo, che essa percorre rendendo vivida la mia gioia ed
esaltando la sensazione di vivere. Per poterla isolare, io concentro le forze su
ciò che ne ritengo la fonte, e tra quel punto e il mio corpo si stabilisce una
certa distanza. Per conoscere il mondo psichico che non ho ancora mai
affrontato in tale modo, cerco di separalo dal corpo. Seduto a gambe
accavallate, tento di essere soltanto quel “potere”: il corpo si allontana, non
lo sento più; mi concentro ulteriormente: finirò per svenire? Dove sono? Il
tentativo mi sembra pericoloso.
Lascio
che le cose riprendano lentamente il loro posto.
Che cosa
è successo? In quale momento è cessata la sensazione di essere? Sono le domande
che ho fatto alla prima riunione seguita a questa esperienza.
“Il suo
tentativo è completamente sbagliato. Al contrario, bisogna calmarsi, fare
silenzio, ascoltare e raccogliere in sé tutta l’attenzione possibile. Bisogna
decontrarsi al massimo: solo la decontrazione può aprire la strada che permette
all’attenzione di attraversare la massa opaca dell’immaginazione e del corpo
teso”.
Una
decontrazione per svegliarmi? Il rilassamento muscolare non contribuisce piuttosto
a preparare le condizioni del sonno?...
Ma di ben
altro si tratta. Qui la decontrazione è una simultaneità di due sforzi
essenzialmente molto diversi, il “rilassamento muscolare” e l’”attenzione”, con
il corollario di un evento che testimonia la giustezza degli sforzi compiuti:
la “sensazione di sé”.
Seduto a
gambe accavallate, comincio a osservare me stesso, attento al silenzio che il
pensiero immobile introduce di colpo nel mondo brulicante in cui mille
preoccupazioni vorticano come falene intorno alla fiamma.
Il potere
che irradia dallo stesso punto in cui sorge il pensiero, adesso lo chiamo
“attenzione”. Diretta successivamente sulle varie parti del corpo, essa le
percorre lentamente mentre io mi rilasso, cioè mentre sciolgo, prima in
superficie e poi più profondamente, le tensioni che poco fa non sentivo
nemmeno. All’interno di ogni livello muscolare se ne presenta un altro in cui
l’attenzione cancella qualcosa. Sono perfettamente immobile, nulla si muove se
non il respiro sempre più calmo e il cuore, il cui ritmo costante non subisce
alcuna influenza da parte mia.
Mi sento
aggredito da tutte le parti. Il corpo, inquieto, mendica un movimento, e ogni
sua richiesta interrompe il flusso dell’attenzione; non solo, ma non appena si
sviluppa insidiosamente la speranza di un risultato immediato, quel flusso
addirittura svanisce, e nonostante uno sforzo tanto delicato quanto insistente,
sopraggiungono alcuni pensieri a inaridirne di colpo la fonte.
L’unico
modo per liberarmi dalle potenze che invadono solitamente il mondo dei pensieri
e dei sentimenti è quello di ristabilire il contatto attenzione-corpo. I rendo
conto che questa invasione rappresenta il mio stato abituale, cioè una
condizione di sonno contrapposta allo stato di presenza a me stesso: presenza
che posso sperimentare nella sua realtà solo quando cessa lo stato di sonno. La
mia lotta consiste proprio nel ristabilire quel contatto, nonostante
l’incessante attacco delle forze che cercano di riportarmi al livello
ordinario.
Fonte: Battaglia per il presente di Henri Thomasson