La tendenza della vita è di
conservare e accrescere se stessa; perciò una vera e propria “lotta per la
vita” avviene in noi.
Se non ci fosse questo,
esisterebbe un caos irriducibile, un atomismo, una polverizzazione psichica. Ma
in realtà non è così: quegli elementi non restano in noi isolati, essi tendono
a consociarsi, ad organizzarsi.
Le principali funzioni e i
più importanti atteggiamenti e rapporti umani formano la trama e le linee
direttive della nostra vita, e formano delle vere e proprie subpersonalità, dei diversi “io” in
noi. Oltre a ciò che noi siamo per noi stessi, vi sono dunque vari gruppi di
“io” in noi.
Vi sono così un “io”
filiale, un “io” coniugale, un “io” paterno o materno, un “io” sociale, un
“io”professionale, un “io” di casta, un “io” nazionale.
William James dice: “un uomo ha tanti “io sociali”,
quanti sono gli individui che lo conoscono e portano l’immagine di lui nella
mente …
Ma siccome gli individui
che portano in loro quella immagine si dividono in tante classi, possiamo dire
che un uomo ha tanto “io” quanti sono i gruppi di persone della cui opinione
egli si preoccupa”.
James è stato precursore di
Pirandello, la cui tesi principale è: ci sono
tanti “io”, tanti esseri contradditori in noi quante sono le apparenze, le
immagini che si riflettono negli altri e che sono costruite dagli altri. Ed
egli mostra come spesso questi “io” siano molto scomodi!
Inoltre, vi sono in noi
personalità diverse che si susseguono nel tempo: “io” infantile, “io”
adolescente, “io” del giovane, “io” dell’adulto …
Non rammarichiamoci di
questa ricchezza interna per quanto tumultuosa e scomoda.
L’unità tra questi “io” è
possibile, ma essa non è un punto di partenza, non è un dono gratuito; è una
conquista, è l’alto premio di una lunga opera; opera faticosa, ma magnifica,
varia, affascinante, feconda per noi e per gli altri, ancor prima di essere
ultimata.
Così intendo la Psicosintesi.
L’inconscio
e la sua esplorazione
Una differenza fondamentale
che esiste nel nostro animo è quella fra la parte cosciente e quella inconscia.
È necessario, allo scopo di
avere una visione d’insieme, rendersene conto.
Sembra che questa attività
inconscia sia multipla; che varie correnti psichiche si svolgano in noi
contemporaneamente durante il sogno: e il fatto che alcuni sogni sono assurdi,
strani, come intrecciati, si spiegherebbe con l’ipotesi che essi siano come una
fotografia composta di due o tre correnti psichiche sovrapposte, intrecciate. È
la teoria di F. Focault che ha varie osservazioni in suo appoggio.
Ostacoli
all’affioramento dell’inconscio:
- “repressione” e “rimozione”. Lo scacciare certi fatti dalla nostra psiche spesso non fa che renderli più liberi di scorrazzare, di insidiare l’inconscio, come delinquenti che tanto più operano indisturbati, quanto più se ne nega l’esistenza.
- La concentrazione della nostra attenzione è sfavorevole all’affioramento degli elementi inconsci. Tutto quello che possiamo ricordare, che è depositato nella nostra memoria, è subcosciente.
- Dai sogni non si può conoscere l’intero nostro incpnscio, perché non di rado essi rivelano solamente una sezione di esso, generalmente quella inferiore. Bisogn quindi aggiungere a questa analisi l’esame, l’esplorazione dei vari livelli dell’inconscio.
Possiamo studiare
l’inconscio direttamente mettendoci di proposito a penetrarlo. Questo si può
fare in due modi:
Passivamente, lasciandolo affiorare mentre manteniamo
l’attenzione vigile, l’atteggiamento dell’osservatore impersonale, senza
reagire.
Attivamente, esplorando metodicamente, spostando
volontariamente la coscienza, l’attenzione. Richiede raccoglimento interno in
cui vengono messe da parte tutte le attività ordinarie coscienti. Occorre
sgombrare il campo, fare il “vuoto” nella nostra coscienza di veglia,
alleggerirla da idee, preoccupazioni, emozioni, impulsi.
Che
cos’è la sintesi
Vi è nella psiche umana la
tendenza fondamentale all’unione, alla sintesi
(dal greco: syn-thesis, che significa
composizione).
L’atomo è un delicato
equilibrio di attrazioni e di repulsioni, di forze centripete e centrifughe.
Basta la proiezione e lo spostamento di un elettrone per cambiare le proprietà
di un atomo, per produrre radiazioni di ogni genere, vibrazioni elettromagnetiche,
fenomeni luminosi che sprigionano somme enormi di energia.
Durante la veglia
prevalgono le funzioni cataboliche,
l’attività esterna, la vita di relazione. Nel sonno prevale, l’attività anabolica, per la riparazione e la
conservazione dell’organismo. Ogni qualvolta una di queste fasi prevale
eccessivamente sull’altra si ha una malattia.
Una manifestazione morbosa
ancora più accentuata, dovuta al difetto del potere di regolazione, sono i
tumori. Questi sono formati da cellule ribelli, che non obbediscono al ritmo
normale dell’accrescimento.
La sensazione, che era
ritenuta dai sensisti un fatto semplice ed elementare, come l’atomo dai
chimici, è invece, alla pari e più di questo, un fenomeno complesso.
Leibniz dimostra come in realtà la sensazione sia
l’aggrupparsi di numerosi piccoli elementi non percepiti chiaramente, cioè, con
termine moderno, subcoscienti.
Giordano Bruno: “Chi vuol sapere i grossi segreti di
natura riguardi e contempli circa i minimi ed i massimi dei contrari e opposti.
Profonda magia è saper trarre il contrario, dopo aver trovato il punto di
unione”.
Anche nella vita psichica,
come nella vita organica, troviamo un ritmico alternarsi di due principi
opposti, quello dell’estroversione e quello dell’introversione.
Estroversione o moto centrifugo = volgere l’interesse
vitale all’esterno (ciò che nella vita organica è il catabolismo, vita di
relazione, di dispendio, di dispersione d energie)
Introversione o moto centripeto = volgere l’interesse,
l’attività, all’interno, (corrisponde all’anabolismo)
Si può essere estroversi in
un campo e introversi nell’altro.
Una successione armonica di
questi movimenti dovrebbe costituire il ritmo della vita. E per arrivare a
questo ritmo è necessaria “un’arte di vivere”.
Come la vita organica non è
abolizione del contrasto fra catabolismo e anabolismo, fra la vita di
relazione, di consumo, e la vita di ricostruzione, così nella vita psichica non
si tratta di annullare uno dei termini a favore dell’altro. Occorre mantenerli
entrambi; occorre che permanga una “tensione” fra essi, ma una tensione
creativa. Bisogna obbligarli ad integrarsi in una vita più ampia, in una realtà
superiore che li comprenda ed insieme li trascenda. Questa è la vera sintesi.
Per attuarla occorre la presenza, l’azione potente di un più alto principio
regolatore. Tale principio nel suo aspetto più elevato è l’elemento spirituale,
che di solito resta più o meno latente nell’animo, ma che, quando si sprigiona
e diviene efficiente, porta ordine, armonia, bellezza, gioia.
Tipi
e gradi della psicosintesi
La passione è stata
definita quale “un desiderio allo stato violento e cronico”.
Una pssione è una forza
potente e pericolosa che bisogna saper maneggiare. Affinché una passione sia
benefica e feconda e non distruttiva, occorrono due cose: anzitutto che il suo
fine sia nobile ed elevato. Però questo non basta, anzi non è sempre vero;
talvolta anche una passione egoistica può produrre del bene. L’ambizione, la
sete di denaro, creano industrie e portano a scoperte, a invenzioni.
D’altra parte anche una
passione nobile può essere pericolosa ed avere effetti nocivi se diviene
eccessiva.
Altri pericoli insidiosi di
passioni nobili sono: il fanatismo, l’intolleranza, l’orgoglio e la durezza.
Occorre dunque essere
padroni e non schiavi di qualsiasi passione, anche delle migliori. E questo
richiede la presenza e l’attività di un Centro superiore, di una visione più
ampia, di una volontà sveglia e potente che sappia “tenere in mano” la
passione, farla elemento, strumento di una sintesi più vasta, individuale e
superindividuale.
Tenere in mano la passione
non vuol dire distruggerla. Essa è forza, vita e fuoco.
Deve divenire consacrata a
quello e non volta, come negli ambiziosi e negli avidi, al raggiungimento di
fini egoistici e personali.
Non è quello che si fa, ma
come lo si fa.
Si tratta, primo, di avere
una chiara visione del tipo o “modello ideale” della speciale funzione che si è
chiamati a compiere o che abbiamo prescelto; secondo, di proporci di attuarla
nel modo migliore possibile.
… vediamo persone che
compiono in modo meschino e ristretto il proprio compito, che si isteriliscono
e si inaridiscono in esso: o si gonfiano che ridicola vanità e presunzione per
l’importanza sociale – reale o supposta – della loro carica.
… vi sono limitazioni e
costrizioni della parte che si deve recitare nella società, e mutilazioni che
essa impone.
Quando uno ha accettato una
funzione, viene dalla società costretto a rappresentare quella e solamente
quella. Se un individuo è poeta non può essere, per la società, che poeta. Se
fa anche il calzolaio, non è preso in considerazione né come calzolaio né come poeta.
Chi si identifica
completamente ed esclusivamente col proprio compito, per quanto nobile esso
sia, tende necessariamente a reprimere nell’inconscio, a lasciare non
sviluppate, atrofiche, altre parti della psiche, che non rientrano in quella
funzione, ma che pure sono vitali ed avrebbero diritto ad un adeguato sviluppo
e ad una opportuna espressione.
Per andare verso la propria
psicosintesi occorre riconoscere che le qualità che vediamo nell’altro sesso
sono manifestazioni, proiezioni esterne, per così dire, di qualità e facoltà
rimaste in noi latenti, rudimentali, represse nel nostro inconscio.
“Il valore intellettuale e
morale di una personalità, è del tutto indipendente dai sintomi morbosi che
possono affliggerla e che essa può avere in comune con altre personalità
inferiori o veramente degenerate.
Se è vero che santa Teresa,
santa Caterina da Siena e tante altre nobili figure di religiose sono state
affette da isterismo ciò non deve diminuire la nostra ammirazione per le loro
doti spirituali; dobbiamo invece modificare la nostra opinione sul carattere
delle isteriche. Se fosse, vero, come ha preteso di dimostrare un certo medico
francese, che Gesù, quel sublime ideale di umanità, sia stato un pazzo, ciò
vorrebbe dire soltanto che la pazzia sarebbe infinitamente superiore alla
saviezza dei normali … compresi gli psichiatri”.
Il mito è una “realtà psicologica” di grande efficacia; un Grande
Essere risulta un misto di realtà e di qualità aggiunte, proiettate dalla fede
di chi lo ammira.
Vi sono però dei pericoli:
- restare sopraffatti, abbagliati dalla grandezza degli Eroi dello Spirito
- la proiezione senza introiezione; si ammirano le qualità di un altro essere senza cercar di viverle in noi; si porta cioè il nostro centro nell’essere ammirato e si resta quindi “fuori di sé”
- imitazione meccanica, formale. Scimmiottare esterno, esagerato, di alcune caratteristiche di una data personalità fino a farne una caricatura
Come evitare questo? Non
dimenticare che la nostra immagine di un Grande Essere è un misto variabile di
realtà e di idealizzazione.
L’Io
quale centro unificatore
Nel nostro esame delle
varie forme e dei vari tipi di psicosintesi, abbiamo fin’ora preso in
considerazione quelli nei quali il centro unificatore è costituito da una
tendenza della personalità (es. da una passione) o da una funzione vitale, cioè
la maternità; o da una attività o un compito sociale, professionale …; o infine
da un “modello ideale” che ammiriamo.
Ma questi centri
unificatori non sono atti a produrre una psicosintesi completa, né una
psicosintesi indipendente ed autonoma, cioè non bastata su elementi estranei al
vero essere individuale.
Per attuare una
psicosintesi di tal genere occorre un centro unificatore che abbia altri
caratteri.
Questo centro deve essere
di natura diversa da quella di tutti gli elementi singoli e particolari che
costituiscono la nostra psiche.
Esso deve essere diverso e
superiore ad essi perché solo così può avere il potere di dominarli, dirigerli,
comporli in una unità organica.
Tale Centro non deve essere
qualche cosa di esterno alla personalità, bensì intimo ad essa, qualcosa di
veramente “centrale”. Tentiamo di portar luce, armonia in noi stessi, tentiamo
di riconoscere, fra gli innumerevoli pensieri, sentimenti, impulsi che si
avvicendano, quelli che sono veramente l’espressione del nostro essere più vero
e più profondo e quelli invece che provengono da suggestioni esterne o da
tendenze istintive, e ci sforziamo di dominare e di eliminare quelle che
riconosciamo non nostre e non degne di noi.
Ma dobbiamo riconoscere, se
vogliamo essere sinceri, che tali tentativi hanno spesso un risultato ben poco
soddisfacente; essi restano un’aspirazione non appagata.
Le opinioni e le tendenze
suggeriteci dall’ambiente si mascherano facilmente per nostre, senza che ce ne
accorgiamo, mentre spesso mettiamo in dubbio e respingiamo le nostre intuizioni
più elevate.
Gli istinti, le passioni,
le abitudini che tentiamo di dominare resistono ostinatamente ai nostri sforzi
e sfuggono abilmente alla nostra presa, celandosi nell’inconscio, donde poi si
insinuano subdolamente in noi e ci assalgono violentemente, di sorpresa, e nell’uno
o nell’altro modo ci sopraffanno.
Innumerevoli sono le
identificazioni col corpo, con le emozioni, con le funzioni che svolgiamo.
Se ad esempio un sentimento
triste viene ad occupare la nostra coscienza, noi diciamo: “Io sono triste”. Se
una sensazione di stanchezza la occupa, esclamiamo: “Io sono stanco”.
Se proviamo un seno di
languore allo stomaco diciamo: “Io ho fame” …
Nello stesso modo ci
identifichiamo con particolari caratteristiche fisiche, morali, intellettuali,
sociali, che rispecchiano solo aspetti parziali di noi stessi; così diciamo via
via: io sono bello o brutto, io sono forte o debole, io sono uomo o donna, io
sono padre o figlio, io sono idealista o positivista …
A volte se ci sentiamo
tristi per qualcosa, e poi questa cosa cambia, anche noi cambiamo e diciamo “Ora
mi sembra di essere un’altra persona!”. Questa esclamazione indica che la persona
sa di non essere realmente un’altra
persona, mentre l’Io fenomenico cosciente si identifica via via con i vari
contenuti della coscienza, vi è qualcosa in noi che non si identifica, che non
cambia col cambiare degli stati d’animo, che resta sempre eguale, fisso,
inattaccabile.
Questo è il nostro vero IO,
il Centro della nostra individualità, la sostanza stessa del nostro essere.
Se si riesce ad arrestare
per qualche istante la “corrente mentale”, a tenere il campo della coscienza
libero dagli stati d’animo che di solito lo occupano, si può giungere ad avere
una certa coscienza dell’Io superiore.
È una esperienza non
facile, che richiede particolari condizioni. Continuamente sensazioni interne
ed esterne invadono il campo della coscienza, continuamente sorgono in noi
sentimenti, emozioni, pensieri, ed è arduo respingerli, distogliere da essi l’attenzione
e rivolgerla e tenerla fissa sull’Io. Per poterlo fare occorrono pazienti
esercizi di raccoglimento e di meditazione; oppure condizioni psichiche
straordinarie in cui si produca la sospensione dell’attività mentale consueta.
“Conosci te stesso” non
vuol dire soltanto “analizza i tuoi pensieri, i tuoi sentimenti, esamina le tue
attività”; esso significa: “scopri il tuo Io più intimo, il tuo vero essere,
apprendi le sue mirabili potenzialità”.
L’Io in realtà ed essenza è
UNICO. Ciò che noi chiamiamo “Io ordinario” è quel tanto dell’Io superiore” che
la coscienza di veglia sa accogliere, assimilare, attuare in un dato momento. Esso
è quindi qualche cosa di contingente e di mutevole, una quantità variabile. È un
riflesso che può divenire sempre più chiaro e vivido e che potrà forse anche un
giorno arrivare ad unificarsi con la sua Sorgente.
Per dare un’idea concreta e
quasi sensibile di questi rapporti fra l’Io profondo o superiore e l’Io
ordinario empirico e delle loro connessioni con gli altri elementi della nostra
vita psichica, trovo utile usare uno schema. Premetto che ogni schema con cui si
cerchi di obbiettivare e fissare una realtà complessa, sottile, dinamica, qual
è la vita psichica, non può apparire che semplicistico, inadeguato, incompleto.
Ma, con questa riserva, ritengo che, come prima approssimazione, lo schema
proposto possa recale qualche chiarimento, dare una prospettiva ed una
inquadratura iniziale in cui disporre le nostre conoscenze.
Inoltre non si creda che
questa concezione, questo riconoscimento del nostro più alto essere debba
portare ad una esaltazione, ad una deificazione dell’Io individuale. Ciò avverrebbe
solo se lo si considerasse isolato, avulso dalle sue naturali e intime
connessioni con la Realtà, cioè con gli altri esseri, con Dio.
Essa invece è il modo di
renderci più chiaro conto di tali connessioni e quindi di accoglierle e
aderirvi in modo più consapevole e volenteroso.
Il valore spirituale e l’importanza
pratica del riconoscimento dell’esistenza e della vera natura dell’Io, sono
immensi. Tale riconoscimento costituisce una vera rivelazione; è l’inizio di
una nuova vita, la chiave per risolvere tanti problemi, per comprendere tanti
fatti della vita e la base necessaria per ogni opera di auto dominio, di
liberazione e di rigenerazione: la vera PSICOSINTESI.
Non si deve credere che il
campo dell’indagine dell’inconscio sia un campo esclusivamente riservato agli
specialisti. Tutti dovrebbero cominciare
a studiarlo e in questo studio dobbiamo volgerci tanto verso l’alto che verso
il basso del nostro essere e sempre con sereno atteggiamento di osservatori.
In tutti noi esistono
elementi inferiori, istintivi, che dobbiamo conoscere e disciplinare senza
lasciarcene turbare e sgomentare. La loro esistenza per se stessa non è un “male”;
l’importante è riconoscerli sinceramente e quindi farne uso degno. Ma non basta
scoprire la parte inferiore di noi stessi; dobbiamo anche volgerci in alto.
Fonte: Psicosintesi - Roberto Assagioli - astrolabio
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