La Lotta
dei Maghi
Il gruppo
chiese se avremmo mai visto il balletto “La lotta dei Maghi”.
G. rise
profondamente e disse che avremmo potuto coreografarlo e metterlo in scena noi
stessi, e che di fatto eravamo gli unici a poterlo fare; lui poteva “mettere a
punto il palcoscenico” e “sistemare le luci” ma in ultima analisi noi eravamo i
registi del balletto, i direttori di scena ed i coreografi.
Un
balletto di questo tipo può essere messo in scena solo se si conoscono i nome
dei due antagonisti principali, i potenti maghi che rappresentano le forze
della luce e del buio, uno che si chiama “Ayo Vertabed” (Dottor Sì) e l’altro
che si chiama “Na Vertabed” (Dottor No).
Sebbene
entrambi impieghino gli stessi metodi ed i loro eserciti siano composti
esattamente dagli stessi soldati, quando l’uno o l’altro diviene attivo, i loro
lacchè sono di due caratteri completamente opposti.
Ordinariamente
il loro stato di guerra semplicemente accade; non è organizzato e perciò è
inutile per il nostro lavoro. Dobbiamo trovare un modo di organizzare la loro
guerra e di renderla profittevole per il nostro lavoro. Dobbiamo diventare
industriali delle munizioni, fornire il materiale e continuare ad alzare l’uno
contro l’altro. È nostro interesse mantenerli in guerra l’uno contro l’altro.
Nell’uomo
ordinario troviamo, se ci prendiamo la pena di guardare, la presenza di
condizioni reciprocamente inconciliabili di sensazioni, pensieri, ricordi, modi
di dire e manifestazioni, che non rappresentano che una frazione di un qualche
tutto sconosciuto.
Tutte
queste condizioni si oppongono in modo alquanto potente l’una all’altra e non
possono coesistere pacificamente nello stesso organismo. Come dice il cow boy
americano, “Questa città non è abbastanza grande per tutti e due”.
Ogni
singola cellula dell’organismo può essere un condensatore di accumulo per un
umore, un’idea, una manifestazione o un ricordo. Essi si accumulano senza
prendere in considerazione la logica o la ragione poiché non vi è presenza di
un singolo “io” che sia in grado di dare una categoria precisa ad
un’impressione quando questa entra nella macchina.
Tutte
queste contraddizioni si collocano in parti differenti dei centri in cui “è
semplicemente successo” si sia accumulato allo stesso modo “piove” o “splende
il sole”; esse non sono in grado di fondersi e di costituire il modo interiore
di un uomo completo.
Se l’uomo
ordinario dovesse improvvisamente sentire tutte queste contraddizioni in se
stesso allo stesso momento senza degli speciali ammortizzatori, egli sarebbe
continuamente tormentato e confuso, sentendo di essere divenuto matto; per
poter funzionare, però, egli si è creato da qualche parte degli ammortizzatori
che fungono da dispositivi di isolamento fra queste contraddizioni interne.
È per via
di questi ammortizzatori che egli è in grado di esistere molto tranquillamente
malgrado un centro di gravità che si sposta continuamente e di una differente
serie di opinioni, idee e umori ogni momento o due.
Senza
questi ammortizzatori egli avvertirebbe inevitabilmente l’orrore del caos
interiore, il suo vero stato organico. Un uomo senza unità non può vivere a
lungo senza ammortizzatori; egli deve o schiacciare queste contraddizioni come
fossero una pulce, schiacciare come una pulce la propria coscienza, oppure
andare in manicomio.
Anche se
non può esattamente distruggere la coscienza, egli riesce a dormire più o meno
bene ponendo questi ammortizzatori fra tutti i dati del suo mondo interiore.
Questi
piccoli “me”, se presi tutti insieme, formano il suo falso io, o ciò che
chiamiamo “personalità”.
È alla
presenza e dialogo continuo di questa macchina artificiale della personalità
che l’uomo ordinario attribuisce il suo meraviglioso “essere cosciente”.
Tutto ciò
non può fare a meno di danneggiare la macchina, renderla sporca ed arrugginita.
In alcuni luoghi si sono posti questi meccanismi artificiali composti da
ammortizzatori molto potenti al fine di evitare la distruzione completa. Se
questi venissero manomessi da un dilettante, la macchina si ridurrebbe
rapidamente in conduzioni irrimediabili.
È vitale
comprendere che l’isolamento avviene solo perché ogni sfaccettatura della
personalità è accumulata in una parte differente di un differente centro. Ciò
avviene a caso ed una qualunque parte della personalità può accumularsi in una
qualunque parte di qualunque centro.
Nello
studio di queste contraddizioni ammortizzate possiamo considerare come una
forma completa, anche se caotica, tutti quei piccoli “me” che compongono quella
macchina complessa che chiamiamo “personalità” cui l’uomo attribuisce tutti i
suoi atteggiamenti, potere, idee, iniziative e presenza.
In breve,
la personalità attribuisce a se stessa degli attributi.
L’uomo
ordinario ha in se stesso la presenza di questo “ego” piuttosto che la presenza
del suo vero “io”, capace di sola e semplice presenza. Solo molto più tardi
l’”io” sarà in grado di apprendere a dirigere la macchina, e solo una volta che
tutti gli ammortizzatori siano stati eliminati.
In un
uomo in cui ciascun ammortizzatore contiene un “piccolo me”, vi è un centro di
gravità che si sposta continuamente e che sembra una gemma molto complicata con
molte facce, che cambiano secondo modelli che possono apparire casuali, che
però di fatto obbedisce a certe leggi che possiamo apprendere e capire.
Impiegando
la forza della riconciliazione, possiamo apprendere a fondere queste
contraddizioni, a “sollevare Atlantide”, e quindi a far crescere l’organo della
“coscienza”.
Le nostre
storie di vita reale sono rivelazioni di noi stessi alla luce di queste
contraddizioni, e la oloro riconciliazione finale possiamo chiamarla
“redenzione”. Riconoscendo questa storia di vita reale e fondendo queste
contraddizioni possiamo riparare al passato e redimere noi stessi per il lavoro
superiore.
Per
fondere queste contraddizioni è necessario eliminare gli ammortizzatori che si
sono posti fra loro. Lo scontro diretto di forze di contraddizione in
opposizione fra loro possono fare questo per noi se solo sappiamo come
impegnarle in combattimento. Gli ammortizzatori sono troppo piccoli e non sufficientemente
solidi perché noi siamo in grado di afferrarli direttamente.
Ordinariamente
conosciamo solo un terzo della storia della nostra vita in ogni momento, a
seconda di quale “piccolo me” è presente in quel momento. In questo senso,
quella parte di se stesso che l’uomo crede di conoscere meglio e che lui crede
sia il suo alleato più stretto è il suo vero nemico, la fonte del suo amor
proprio e della sua vanità.
L’unità e
la coscienza interiore possono essere ottenute mediante la creazione
intenzionale di condizioni interne per la battaglia fra le forze del “sì” e del
“no”. Questa battaglia dovrebbe assumere una forza definita ed avere un
obiettivo definito.
Per
evocare una grande battaglia di “sì” e di “no” è necessario sacrificare
qualcosa di grande, altrimenti la macchina rende tutto uguale a qualsiasi altra
cosa e il mondo interiore diviene solo “rose”, “rose”.
Dobbiamo
trovare uno scopo sufficientemente importante per il “Dottor Sì” contro il
quale il “Dottor No” si senta costretto a inviare tutte le sue forze. Deve
essere una minaccia molto grave altrimenti il Dottor No non emergerà dalla sua
usuale compiacenza, qualcosa che lo faccia spaventare molto, contro la quale
egli continuerà a combattere senza pietà.
Quale
scopo possiamo dare al nostro “Dottor Sì” che conduca il “Dottor No” ad una
disperazione tale da fargli dichiarare lo stato di guerra?
Fece una
breve pausa, con un dito sulla bocca, e poi proseguì: Per generare necessità
organiche al nostro “Dottor Sì” e gratificazione personale al nostro “Dottor
No”, dobbiamo almeno provocare il nostro centro istintivo-motorio poiché
combatta per se stesso. Ma come possiamo fare questo per l’insieme di noi
stessi e non per un solo centro della macchina? Come possiamo fare di noi un
centro psichico per la lotta?
Dobbiamo
in primo luogo comprendere che “sì” e “no” sono la stessa cosa di “amore” e
“odio”.
Per colui
che “ama” il gelato, ma “odia” il cinema o la zuppa di piselli non è possibile
comprendere “sì” e “no”.
Sì e no
non sono atteggiamenti o sensazioni, ma forze che si oppongono.
Possiamo
fare qualche piccolo esempio di obiettivi in conflitto fra loro che forse
possono aiutarci a mettere in scena il balletto della “lotta dei maghi”.
Ad
esempio quando siamo stanchi possiamo rifiutare di giacere e riposarci e magari
fare un lavoro molto pesante quale scavare una fossa o erigere un muro.
Possiamo, se siamo attratti dai dolci, mettere davanti a noi un bon-bon e
negarci questa piccola indulgenza.
Possiamo
forzare le nostre macchine a lavorare con un tempo differente da quello
normale; possiamo rifiutare di esprimere piacere o fastidio nei modi usuali;
possiamo intenzionalmente rimanere in compagnia di qualcuno che ordinariamente
ci ripugna, soprattutto qualcuno la cui chimica ci ripugni. Per forzare idee in
conflitto da riconciliare dobbiamo, se necessario, essere pronti a giacere e a
convincere noi stesse che stiamo in piedi.
Questi
piccoli conflitti sono facili da comporre. Successivamente, per mettere in
scena un balletto reale, dobbiamo coinvolgere questi due potenti maghi in una
vera lotta per sopravvivere. Il balletto deve avere un grande conflitto per
mantenere la lotta fra queste grandi forze.
Ho
un’idea. Trovate lo scopo di conflitto più grosso possibile, che metta a questi
due maghi la voglia di combattere. Deve trattarsi di un conflitto così grande
che entrambi si sentano costretti a combattere per sopravvivere, tuttavia non
così grande che l’organismo si ammali per effetto della battaglia.
Dobbiamo
avere un balletto di combattimento, non esattamente come la guerra ordinaria;
vi è sia bellezza sia orrore, ma non è che semplicemente accadono: sono
coreografe, messe in scena e controllate dal regista.
Se potete
trovare lo scopo di conflitto finale per il quale entrambi i maghi si sentono
obbligati a combattere per ottenere la loro stessa vita ed impedire quella del
nemico, date prova di comprendere la vostra macchina; in quel caso può esservi
d’aiuto.
Non ha
importanza quale parte vinca, il risultato è lo stesso perché il “Dottor Sì” ed
il “Dottor No”, come i loro danzatori-combattenti, sono lo stesso individuo,
entrambi i ruoli giocati dallo stesso attore, il vuoto che combatte contro il
nulla.
Cercate
di vedere come questo possa essere un esperimento reale per voi, e che potete
fare adesso, non semplicemente un divertente filosofare.
Qualcuno
nel gruppo chiede come si potesse fare “Non ci avete dato abbastanza per
lavorarci su” disse J. “come possiamo incominciare questa battaglia a meno che
non ci diciate più esattamente come procedere”?
“Basta”
disse G. “ho addirittura dato troppo. Oggi non una parola di più”.
RE NUDO
Numero 67 – gennaio/febbraio 2003 – Traduzione di Marco Maria Bonello (ibjbon@tin.it)