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domenica 14 gennaio 2018

Il Metodo Bates – W.H. Bates

Tutti gli oftalmologi che abbiano una certa esperienza sanno che la teoria dell’incurabilità non si adatta alla realtà che si osserva. Non sono infrequenti casi di guarigione spontanea, oppure di cambiamento da una forma all’altra.
Per molto tempo c’è stata la tendenza a ignorare questa realtà molesta, oppure a giustificarla, e fortunatamente per coloro che ritengono necessario appoggiare a tutti i costi le vecchie teorie, la funzione di accomodazione della visione attribuita al cristallino offre, nella maggior parte dei casi, un metodo di spiegazione plausibile.
Secondo questa teoria, che molti di noi hanno appreso a scuola, l’occhio cambia la sua focale per vedere a distanze variate modificando la curvatura del cristallino; cercando quindi una spiegazione della variabilità dell’errore di rifrazione che in teoria è costante, gli studiosi ebbero la brillantissima idea di attribuire al cristallino una capacità di mutare la sua curvatura non solo a scopo di normale accomodazione, ma anche per compensare o produrre errori da essa causati.
Nel caso dell’ipermetropia (generalmente ma impropriamente definita vista lunga, anche se il paziente che accusa un difetto del genere non riesce a vedere chiaramente né da lontano né da vicino), l’asse anteroposteriore dell’occhio è troppo breve, sicché tutti i raggi di luce, sia quelli convergenti provenienti da oggetti vicini sia quelli provenienti da oggetti lontani, sono a fuoco oltre la retina anziché su di essa. Nel caso della miopia l’asse anteroposteriore dell’occhio è eccessivamente allungato, ragion per cui mentre i raggi divergenti provenienti da oggetti vicini arrivano alla retina, quelli paralleli provenienti da oggetti lontani non la raggiungono.
Si ritiene che entrambe queste condizioni siano permanenti, l’una congenita e l’altra acquisita.
Allora, se una persona a volte sembra affetta da ipermetropia o da miopia, e a volte sembra che non lo sia o lo sia in misura inferiore, non è lecito pensare che nel bulbo oculare sia intervenuto un cambiamento di forma. Perciò, nel caso in cui l’ipermetropia scompaia o diminuisca, ci viene detto che l’occhio, nell’atto di vedere sia da lontano sia da vicino, aumenta la curvatura del cristallino quanto basta per compensare in tutto o in parte la piattezza del bulbo oculare.
Al contrario, nel caso della miopia ci viene detto che effettivamente l’occhio si deforma, creando una condizione anormale o peggiorandone una già presente.
In altre parole, si dice che il cosiddetto muscolo ciliare, che si suppone controlli la sagoma del cristallino, possa entrare in uno stato di contrazione più o meno lungo, tenendo così il cristallino ininterrottamente in uno stato di convessità che esso, si sostiene, dovrebbe assumere soltanto al punto prossimo della visione distinta.
Può darsi che al profano queste curiose prestazioni appaiano innaturali, ma gli oftalmologi ritengono che la tendenza a indulgervi sia talmente radicata nella consuetudine dell’organo della vista che nella prova degli occhiali è consuetudine immettere atropina nell’occhio – le “gocce” che chiunque abbia consultato un oculista conosce bene – allo scopo di paralizzare il muscolo ciliare e, di conseguenza, di impedire mutamenti nella curvatura del cristallino, mettendo in evidenza la “ipermetropia latente” ed eliminando la “miopia palese”.
Si ritiene tuttavia che l’interferenza del cristallino sia solo fino a un certo punto responsabile di moderati gradi di variazione negli errori di rifrazione, e ciò soltanto durante i primi anni di vita.
Quanto ai gradi di variazione più grandi, o a quelli che si presentano dopo i quarantacinque anni, quando si presume che il cristallino abbia perduto più o meno la sua elasticità, non si è mai trovata una spiegazione plausibile.
La scomparsa dell’astigmatismo, ovvero il mutare delle sue caratteristiche, costituisce un problema ancora più sconcertante. Nella maggior parte dei casi questa condizione è dovuta a un cambiamento asimmetrico nella curvatura della cornea, da cui deriva la mancata messa a fuoco dei raggi di luce in un punto qualsiasi: si presume che l’occhio possegga una capacità limitata a superarlo, anche se l’astigmatismo va e viene molto facilmente come altri errori di rifrazione. Inoltre è noto che lo si può provocare spontaneamente. Alcuni individui sono in grado di produrre fino a tre diottrie (a diottria è la forza di messa a fuoco necessaria per mettere a fuoco raggi paralleli a distanza di circa un metro). Io stesso sono capace di produrne una e mezza.

Col tempo scoprii che la miopia e l’ipermetropia, come l’astigmatismo, si potevano provocare a volontà; che la miopia non si accompagnava, come per tanto tempo si è creduto, all’uso degli occhi al punto prossimo (è il punto dell’asse ottico più vicino all’occhio, per il quale è ancora possibile la visione distinta. La distanza dal punto prossimo aumenta con l’età. Il punto dell’asse ottico più lontano dall’occhio per il quale è ancora possibile la visione distinta è detto punto remoto) bensì a uno sforzo per vedere oggetti lontani, in quanto lo sforzo al punto prossimo è collegato con l’ipermetropia; che un errore di rifrazione non era mai una condizione costante; che, infine, l’errore di rifrazione poteva essere eliminato se di grado basso e migliorato se di grado alto.

Ala fine mi impegnai in una serie di osservazioni riguardanti gli occhi degli esseri umani e degli animali inferiori, i cui risultati convinsero me e altri che il cristallino non è un elemento dell’accomodazione e che la regolazione necessaria per vedere a diverse distanze viene effettuata nell’occhio, esattamente come nella macchina fotografica, modificando la lunghezza dell’organo, variazione che viene compiuta dai muscoli che agiscono sulla parte esterna del bulbo oculare.

Ugualmente convincente fu la dimostrazione che gli errori di rifrazione, presbiopia compresa (rigidezza del cristallino, che crea difficoltà per l’accomodazione e recessione del punto prossimo) sono dovuti non a un mutamento organico della forma del bulbo oculare o della struttura del cristallino, bensì a uno squilibrio funzionale nell’azione dei muscoli esterni al bulbo oculare, che quindi può essere eliminato.

Fonte: Il metodo Bates di W.H. Bates



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