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domenica 10 febbraio 2019

La città Mirabile - Enzo Coffani

Ho terminato di leggere questo romanzo verso la fine di gennaio (2019).
E' con molto piacere che mi accingo a proporne un estratto. L'opera presenta una visione molto gurdjieffiana della condizione umana accompagnando il lettore lungo le varie "Ottave".  

A fine pagina è possibile essere indirizzati al link per la lettura integrale del libro. 

Buona lettura!

Capitolo sesto - L'uomo salame

Il pittore, che salmodiava l’incredibile racconto con gli occhi verso il basso, in atteggiamento compunto e con lievi ondulazioni del tronco, come in certe invocazioni ebraiche, d’un tratto drizzò gli occhi in quelli di Guido e, avvicinandosi d’un passo, lo ghermì per il braccio.

«Ora, caro signore, per esigenze sulla cui necessità io non mi permetto di sindacare, anche se il tempo è contro di noi, io reputo doveroso che lei ascolti la fine del mio racconto, per null’altro che per sua informazione; ed apra bene le orecchie perché queste notizie sono destinate a lei. Il suo caro amico deve aver ricevuto altrove e molto tempo fa le medesime indicazioni, ed a quanto vedo, ora egli non è più un uomo salame, benché senz’altro la sua condizione attuale sia probabilmente più dolorosa. Ma egli non è più un pezzo di carne come lei e come me. E sa come l’ho riconosciuto? Di norma un uomo salame quale io sono non è in grado di vedere che altri salami come lui, dentro quell’immensa cantina di salumi di proprietà privata della Luna, chiamata Terra. Ma, veda, questo quadro l’ho dipinto esattamente 43 anni fa e l’avrò illustrato ad alcune centinaia di persone in questi anni. Si dev’essere formata una sorta di capacità nel mio cervello, che mi consente, grazie probabilmente a questo esercizio continuo di osservazione e colloquio con le persone che si sono via via dimostrate interessate ai concetti sottesi al mio squallido dipinto, di riconoscere coloro che non sono più uomini ordinari, senza tuttavia sapere nulla delle caratteristiche di queste persone non più meri manicaretti per la Luna».

«D’accordo, lasci il braccio, però, ascolterò quello che mi vuole dire... Tu, ne sai qualcosa? Ma cosa dice?»

«Sì, ascoltiamolo, non ci costa nulla» mormorò con il viso disteso e quieto.

«Orbene, visto che, scelleratamente, siete affetto anche voi dal morbo moderno della velocità, cercherò di condensare la mia trattazione informandovi del fatto che, quando mi riferivo al posto più buio dell’universo, intendevo dire che la Luna è quanto di meno intelligente ci sia. E, non si sconvolga, al secondo posto in questa triste classifica, abbiamo la Terra. Il nutrimento indicato e prediletto dal nostro tanto cantato satellite è l’uomo salame. Abbiamo notizia delle crisi bulimiche lunari quando sulla terra scoppia una guerra, che sarà vasta in proporzione all’intensità dell’accesso di fame. Ma, normalmente, va detto che si accontenta dei normali decessi e di succhiare certe sostanze, continuamente, anche dai vivi. Per aiutarla a comprendere, si figuri l’uomo ordinario come una noce di cocco che, cava e con latte all’interno, venga raggiunta da una cannuccia che si tuffa nel latte e la cui altra estremità arriva dritta nella bocca della Luna. Proprio così, siamo il drink perfetto per il sostentamento e l’adolescenza di questa affamatissima neonata cosmica. E le sostanze di cui va ghiotta sono quelle di cui noi continuamente disponiamo per edificare i nostri corpi sottili, ma che sprechiamo non sapendo come fare per generare quelle pressioni enormi, dentro di noi, che servono alla produzione del diamante, o, come preferisce lei, dell’anima. Ora, l’uomo salame, finché rimane salame, non ha la minima possibilità di sottrarsi alle fauci della Luna. Ella lo mungerà tutti i giorni della sua vita ed alla morte egli sarà distrutto per sempre. Ho detto distrutto. Si decomporrà e, non avendo costruito alcun corpo sottile in grado di resistere alle leggi che regolano la vita terrena, di lui non rimarrà la minima traccia. Tuttavia, ad alcuni uomini è dato di rendersi superficialmente conto di essere delle bistecche, un po’ complesse certo, ben guarnite, ma pur sempre delle bistecche pronte, in un piatto. Succede quando si ha la fortuna di avere un enorme dolore cosciente. È necessario avere un dolore enorme, ma dev’essere cosciente. Ogni forma di occultamento dev’essere sbandita senza por tempo in mezzo. È così difficile che reputo la coscienza del dolore tutto sommato un caso. Date queste due condizioni, l’uomo è ad un bivio: cercare di aumentare la coscienza di essere un nulla senza alcuna anima, un pezzo di arrosto, sacrificando progressivamente ogni e qualsiasi opinione su se stesso fino a riposare sulla propria assenza totale, oppure stordirsi, e continuare ad essere un salamaccio infame in attesa di essere addentato. Ed il mondo è imbandito per offrire ogni genere di stordimento. Capirà, è nell’interesse della Luna. Ha capito, caro lei?»

«Sì, mi pare di aver capito».

«Lei non ha capito un bel nulla, ma ora, invece di fischiettare, userò delle vere e proprie trombe di Gerico. La situazione che ho descritto or ora, dell’uomo che, per somma casualità, ha avuto piena coscienza di un enorme dolore ed ha dunque preso superficiale coscienza di essere un tacchino nel giorno del Ringraziamento, è precisamente ed indubitabilmente la sua condizione attuale. Come non mettere in relazione la terribilità del sogno riguardante sua figlia, del sogno della sua condanna a morte per eccesso di umidità nella casa, con i benefici ma dolorosi influssi esercitati da un autentico nemico della Luna quale il suo accompagnatore è? Le esigenze della Luna la invitavano al torpore, all’oblio dell’angoscioso dolore della vita spezzata anzitempo di sua figlia, le consigliavano di rimuovere qualsiasi ricordo ma, per una benefica casualità, lei ha incontrato Angelo. Veda, Acqua e Luna sono sinonimi, diciamo che l’acqua è la cannuccia attraverso cui la Luna succhia il nostro latte. Ricorda come l’acqua nelle sue visioni fosse presentata come minacciosa e potente, nel caso del fiume che ha inghiottito sua figlia, o viceversa insinuante e nascosta, ma ugualmente letale, come nel caso dell’umidità? L’influenza sottile di questo benemerito, suo malgrado, benefattore, le presentava, agendo con immagini di portata emozionale intensissima, la ferocia della Luna, e la pone oggi ad una soglia: potrà rimanerci come lo sono io da 40 anni e più, potrà morire senza che questo faccia la minima differenza in ordine alla sua distruzione completa, oppure qualcosa di ulteriore potrà accadere, anche se il soffio del tempo ci pone tutti quanti letteralmente con l’acqua alla gola. Con questo, mi congedo da voi». 

Fece un inchino e tornò al suo caffè. Chissà se l’amico che gli porgeva la tazzina era anche lui un salame.

Capitolo settimo - Gli inganni della Luna

«Non capisco perché l’acqua, considerata fonte di vita, è stata descritta come l’arto rapace di un’assassina, come una mortale cannuccia».

«È una questione di proporzioni. Il nostro creatore non ha, come erroneamente si crede, un occhio di riguardo per la specie umana, ma tutto emana da lui, massima luce, degradando fino al massimo buio, e gradualmente riacquistando luce, per tornare a lui. Come ti diceva il pittore, la Terra è, dopo la Luna, il posto meno intelligente, o cosciente, o luminoso, dell’universo. Quindi noi siamo sostanza divina quasi massimamente degradata e, dopo aver raggiunto la più elevata degradazione possibile, cioè dopo essere stati mangiati dalla Luna, riconquisteremo gradualmente coscienza, fino a completa ricongiunzione con l’Assoluto. Questo avviene automaticamente. Per tornare alla tua domanda, l’acqua è una funzione di questo automatismo, è necessaria e benedetta. Solo per l’uomo che voglia sottrarsi a questo meccanicismo essa è una grande maledizione, poiché spinge verso la massima involuzione, cioè la Luna, invece di permetterci di raggiungere il successivo grado di intelligenza che, rispetto alla Terra, è il Sole. Nel piccolo vale la stessa cosa: tu potevi scegliere a quale influenza esporti, e ti sei esposto alla mia, che, rispetto a te, è solare, nemica dell’acqua, nemica della Luna. L’universo è un grande gioco di scatole cinesi che ubbidiscono alle medesime leggi, un’infinita serie di matrioske. La nostra opportunità consiste nell’accelerare un ritorno che, comunque, avverrà. È solo una questione di tempo, anche se il tempo per potersi assoggettare all’una o all’altra influenza, lunare o solare, sta finendo».

«Da cosa capisci che sta finendo?»

«Dalla Luna, la sua fame è imperiosa, le acque stanno salendo, sta apparecchiando il tavolo, preparando i coltelli, disponendo i piatti. Vedi questo pantano? Quant’è che siamo su questo sentiero? Due ore? E la terra era secca e riarsa mentre ora è greve e imbevuta d’acqua. Il tempo sta finendo».

«E quando il tempo finirà cosa succederà?»

«Non lo so, non sono più un uomo salame, ma non sono così evoluto da saperlo, mi sembra ragionevole continuare a passeggiare, se sei d’accordo».

«C’è una cosa che mi ha fatto una profonda impressione, una cosa che ha detto il pittore ma che poi ha lasciato cadere: la Luna figlia di una violenza, ti ricordi? Ha detto proprio così, che avrà voluto dire?»

«La Luna è un imprevisto, è una figlia non voluta, è figlia di un errore. È nata dalla collisione fra una cometa e la Terra, e la Terra, come ora sai, si occupa del suo mantenimento e della sua crescita. Certamente quello scontro non doveva esserci e la Luna sarebbe dovuta nascere molto tempo dopo. Diciamo che la Terra è una ragazza madre che nutre, con grossi sacrifici, la figlioletta prematura».

«Perché fai tutto questo? Dunque per te costruire mobili è una vocazione».

«Costruire mobili è il mio modo di oppormi all’acqua della Luna. Grazie ad uno stato interiore che conseguo prima e durante la costruzione, e rispettando certe regole che riguardano le proporzioni del manufatto, sono in grado di trasmettere la mia influenza a grandi distanze, così che il proprietario, per rimanere assoggettato al mio influsso, non debba necessariamente essere in relazione costante con me. Questa è la mia speciale abilità, ma non si tratta di vocazione, semplicemente è l’unica cosa sensata che posso fare finché sono nella presente condizione, e cioè non più salame, ma nemmeno ancora qualcos’altro. Quindi il mio destino, finché non sarò stabilizzato in un superiore grado di essere, non può essere che quello di aiutare altri uomini a liberarsi dalla "salamità", così come il Sole aiuta la Terra ad elevarsi alla sua intelligenza, e la Terra aiuta la Luna ad elevarsi al suo grado di coscienza, in una perpetua catena».

Lungo il fiume, chiazzato di sole, scivolava una barca snella, dalla lunga prua e dal legno scuro. Dietro, a reggere la barra del timone, un uomo osservava i passanti e i quadri che gli davano la schiena.

«Ehi voi, gente! Che guardate? Non c’è più niente da vedere, ormai. Guardate la mia barca, gente! Robusta, agile, l’avevo costruita per questa smisurata deriva, per questo eterno corso d’acqua, per un perfetto scivolamento infinito. Ma come potevo sospettare, gente! Come potevo sospettare che lo scorrere avesse un termine? E, se ha i fianchi snelli per insinuarsi fra le rapide, se è leggera per evitare i massi affioranti, quanto le potranno servire queste sue qualità quando affronterà la grande cascata all’incontrario? Nessuno l’ha mai vista, nessun marinaio ne ha raccontato o scritto, gente! Tutti i fiumi vanno verso una grande pentola d’acqua, e qualcuno ha già buttato il sale! Manca poco, gente!»
Qualcuno agitò la mano in segno di saluto. Il barcaiolo mollò la barra del timone e si mise in piedi, con fare solenne, un po’ ingobbito.

«Non sono mai riuscito a volervi bene, gente! Ciao! Ciao!» E scivolò oltre il ponte, accompagnato da molti sguardi, riparati dal sole con una mano, come un goffo saluto militare.

«Nemmeno io sono mai riuscito a voler bene alla gente» commentò Guido.

«È normale, sai? L’odio è un interesse economico ben preciso. Ma non te ne crucciare adesso: tu non ne hai nessuna colpa. Non ci pensare, non ci pensare».

«Non ci penso, faccio già fatica a camminare con questa fanghiglia che si appiccica alle suole come una ventosa». Un cagnolino affondato nella melma, riposava, guardando gli uomini, senza fare una piega.

Com’era lontano e inutile anche solo il giorno prima! Sembrava come se, ad ogni passo, una parte della memoria abbandonasse il cervello per consegnarsi all’abbraccio della terra imbevuta d’acqua, spugnosa e indistintamente famelica. Guido guardò ai suoi simili, un po’ più radi, e ai loro contorni, nella prima luce del tramonto.

«Tu, per esempio, che hai una faccia così interessante, e anche una certa altezza, perché non ti interessi di teatro? Noi stiamo cercando una nuova persona per il nostro balletto moderno, ma non ti preoccupare: non si tratta proprio di un balletto, è una cosa che puoi fare anche se non hai coordinazione né ritmo. Per farlo non serve nulla, basta la tua sola volontà: noi non ambiamo a niente di speciale, è un modo per stare insieme, non ti pare che sia già un buon motivo per fare teatro, lo stare insieme? E comunque vieni con me che ti faccio vedere, dai! Non essere timido, non ce n’è motivo, anche se la timidezza alla fine è una bella cosa, no? In questo mondo sempre così arrogante e violento, la timidezza è una cosa buona, non trovi? Dai, vieni, cosa aspetti?» Una ragazza minuta, con i capelli ricci fermati da una specie di pennarello, occhi azzurri sparati nei suoi, vitrei. Sotto gli occhi, un sorriso smagliante. Aveva intercettato Guido letteralmente tagliandogli la strada. Pantaloni aderenti scamosciati, camicetta di sciarpe cucite insieme, anellone di legno intagliato al collo, una specie di mantellone alla D’Artagnan sulle spalle.

«No, signorina, grazie – le rispose Guido con un sorrisetto imbarazzato – non ho mai saputo recitare e poi stiamo guardando i quadri».

«Però scommetto che ti è sempre piaciuto il teatro, del resto il tuo viso, si vede benissimo, è adatto alla recitazione. Molla gli ormeggi, lascia fluire la tua creatività, e se anche porterà con sé del dolore potrai sempre condividerlo con noi. La condivisione è importante, bisogna superare i particolarismi, gli scetticismi, lasciare che sia il gruppo a gestire il tuo dolore. È una conquista, sai? È una grande lezione. E noi cerchiamo di impararla insieme. E poi noi facciamo anche degli incontri. Sono belli, gli incontri, c’è gente giustissima che riceve con grande rispetto le tue esperienze. È un grande successo del collettivo quando uno offre le proprie esperienze per il bene della comunità. Non è così?»

«Senz’altro ma... come le dicevo... adesso non posso, non me la sento, però magari, un’altra volta».

La ragazza assunse un’espressione come di navigata saggezza: lo sguardo perso oltre le spalle di Guido, il capo leggermente reclinato, una leggera smorfia di dolore.

«Ci sono treni che passano una sola volta, è importante decidere subito. Vieni anche solo a vedere. Aspetta, ma non è che ti vergogni perché sei anziano? Sciocco, non devi, nel nostro gruppo siamo tutti uguali, non c’è nessuna differenza. Ognuno ha gli stessi identici diritti, nessuno ti farà sentire un peso solo perché hai molti anni in più, e poi, guarda, uno di noi è perfino più anziano di te, credimi , ti troverai bene, è così saggio, lo ascolterei per ore, e anche tu, mi sembri un uomo con molto da dire e da dare. Ci piace tanto ascoltare le sue rievocazioni: del resto, il passato è così affascinante. Senza il passato non si può capire il presente, è vero o no? E poi, il passato è così terribilmente romantico, io me ne sto persa per ore a rievocare certi viaggi, certe sensazioni della mia infanzia, l’età dell’oro. Anche tu: vieni a raccontarci i bei tempi che furono, raccontaci la tua infanzia. Quanti tesori che non devono essere dimenticati rimangono nascosti nell’infanzia di ognuno. Quanto amore non si è manifestato per colpa dell’indifferenza di questo mondo crudele, cattivo. E il rimedio sarebbe così semplice, semplice».

«Signorina, mi creda, è tutto interessante ma non è il momento». In fondo, per quanto forsennata, era simpatica.

«Sento che anche tu, come me, sei un’anima sofferente. Te lo leggo negli occhi, sono una sensitiva, io. Sai di cosa abbiamo bisogno? Di un ritorno alla semplicità: tutto, intorno a noi, è troppo complesso. Bisogna accettare gli istinti, via dalla cappa di piombo della fredda razionalità. L’istinto è garanzia di verità. Hanno scritto del buon selvaggio, no? E allora, cosa aspettiamo, dipende solo da noi, liberiamoci! Torniamo a radicarci nella terra, a contatto con la sua saggezza innata, con la sua religiosità naturale. L’animismo! ecco dove dobbiamo tornare. Al centro del nostro cuore, del nostro intimo sentire. A che servono queste comodità, queste case piene di cose inutili, quando ci basterebbe un rustico, e lo spettacolo di un tramonto, riscoprendo i canti popolari dei nostri nonni, e le loro deliziose poesie e proverbi, saggezza eterna. E anche il sesso: dobbiamo far circolare quest’immensa energia che la natura ci ha dato e che ci sovrasta.. Dobbiamo abbandonare tutte le manie di possesso, dobbiamo vedere il sesso come un modo per accedere a piani superiori di coscienza, e per far questo, è necessario viverlo nella più assoluta autonomia, consci del nostro ruolo cosmico di esseri d’amore. Per cui ognuno deve accoppiarsi con chi vuole, il più possibile, per distruggere tutte le costruzioni mentali repressive che abbiamo dentro. Non è importante l’età o la bellezza: il sesso prescinde da noi». E, slanciandosi in punta di piedi, fece una lievissima carezza sulla fronte di Guido, che avvertì la pressione delle sue tette sul torace.

«Signorina, non riuscirei mai a danzare, con la schiena irrigidita che mi ritrovo, però, se vuole, dopo aver visto tutti i quadri, ripasso e mi fermo con voi una mezz'oretta, così vedo di che si tratta».

«Ma dai, come te lo devo dire? Non c’è bisogno, per il nostro balletto, di nessuna abilità fisica: ognuno fa quello che può. E per il teatro, basta essere se stessi. È una conquista, essere se stessi. Qualunque cosa fai, sii sempre te stesso, ricordatelo. Anche alla tua età, niente è perduto, devi solo essere te stesso. Nella nostra organizzazione i più deboli sono tenuti in massimo conto. Le parole di chi soffre sono intrise di saggezza. Noi li teniamo per grandi saggi. Nessuno conosce la vita come chi ha visto le profondità del dolore, nessuno è saggio come chi vive una vita fatta di ristrettezze, economiche, di salute, è uguale. Noi diamo il nostro amore ai disgraziati, ai poveracci, ai sofferenti: ci opponiamo a questa logica barbara che vuole interessante il vincente, l’aggressivo. Guardati intorno e vedi quanto danno ha fatto la cosiddetta cultura! L’importante è l’anima, l’amore, l’amicizia, la compassione, la sensibilità, la coerenza. Ma, purtroppo, sinceramente, coi tempi che corrono, non c’è alcun posto all’infuori della nostra associazione in cui questi valori vengano insegnati, nel rispetto della persona. Le persone che hanno sbagliato, che percorrono il sentiero della desolazione, o anche dell’abiezione, sai? Queste meritano il nostro amore. Tu per esempio, che hai un bel vestito, sei ricco? E allora perché non sei felice? Lo vedo che non sei felice. Vieni con noi, ti insegneremo che hai sbagliato tutto finora, e ti doneremo quello che cerchi, tu come tutti: calore, comprensione, fratellanza. Dai vieni, sbloccati!» Ora gli scuoteva il braccio, ma delicatamente, e lo tirava nella direzione del loro teatro che, montato in mezzo al grande prato vicino all’argine, era un grande telone nero senza aperture, quadrato, retto da pali metallici come quelli delle impalcature dei muratori, con attorno una dozzina di persone che saltavano, girando lentissimamente intorno al tendone. Si udiva qualche incomprensibile mugugno, portato dal vento.

«Angelo, ti dispiace se vado a vedere laggiù? Mi aspetti qualche minuto...» Il sorriso della ragazza era scomparso.

«Non c’è più tempo. Guido, dobbiamo continuare».

«Cinque minuti cosa vuoi che siano?» La ragazza lo teneva per mano, accarezzandogliene il dorso col pollice.

«Hai sentito il pittore, hai sentito anche il barcaiolo, ci manca il tempo!»

«Io vado, tu fai come ti pare. Non mi aspettavo da te una simile rigidità».

«Ok, andiamo insieme, vengo anch’io».

«No, mi spiace, tu non puoi». La ragazza aveva gli occhi socchiusi.

«E perché non posso? Non si è forse uguali laggiù? Cos’è questa discriminazione?»

«Certo che siamo tutti uguali, però tu non credi nei nostri valori d’uguaglianza, lo dimostra il fatto che hai cercato di trattenere Guido».

«E chi lo trattiene? Gli ho solo risposto facendogli presente che, in un’altra situazione, un giretto al teatro sarebbe stato un peccatuccio veniale, invece adesso, mancando il tempo, sarebbe deleterio, finale».

«No no, caro mio, tu cerchi di sopprimere la volontà del tuo amico, sei castrante!»

«Non è vero, sei tu che lo incateni con la tua mano». Immediatamente, Guido, tolse la mano da quella della fanciulla, che accennò a trattenerlo, ma lasciò fare. Il contatto con quella mano gli appesantiva la testa, che sentiva come riempita di caldo cotone... tutto sbiadiva al suo sguardo, da quando la ragazza aveva iniziato a parlargli. Ora, si sentiva incomparabilmente più lucido.

«Cosa succede laggiù? Guarda bene, Guido: il teatro non è lontano come sembrava, puoi vedere benissimo, sono pochi metri in verità, appena sotto la scarpata dell’argine. Girati e guarda, vedrai da te, era la nostra malandrina signorina ad impedirti di vedere, prima, facendoti sembrare tutto molto lontano e indistinto».

Guido si voltò verso il prato e vide meglio il telone nero, e le persone intorno ad esso. Saltavano stancamente, di pochi centimetri, imbambolati, . E mormoravano tutti insieme, ogni qualche saltello, la loro identità: «Siamo le madri!» Saltelli. «Siamo i padri!» Saltelli.«Siamo i figli!» Saltelli.«Siamo amanti!» Saltelli. «Siamo dottori!» Saltelli. «Siamo malati!» Saltelli. «Siamo buoni!» Saltelli. «Siamo cattivi!» Saltelli. «Siamo lavoratori!» Saltelli. «Siamo disoccupati!» Saltelli. «Siamo Americani!» Saltelli. «Siamo Europei!» Saltelli.«Siamo quelli giocati».Saltelli. «Siamo quello che vuoi tu, che stai dentro al telone nero!» Poi, ricominciavano daccapo, orbitando intorno alla cortina nera.

«Signorina, chi c’è dentro al telone?»

«Ora devo andare».

«Chi c’è dentro al telone?»

«Nessuno». Tutto si era spento, come un luna park alla fine dell’ultima sera, sul volto della ragazza. La pelle s’era fatta opaca, lo sguardo luminoso sbandito e accortinato da lacrime d’allergia. E l’abbigliamento, così inusuale e confortevole, ora sembrava una vecchia giubba da soldato, per niente divertente. Li abbandonò scendendo la scarpata, puntando i piedi per non inciampare.

«Ma chi era quella ragazza? Una grandinata di parole... mi sentivo in suo potere, quasi non vedevo altri che lei... dio mio che stordimento».

«Guido, hai potuto vedere gli effetti della Luna che, come un furbo pastore, inventa ogni genere di storielle edificanti e confortevoli, calducce, per acquietare gli istinti bradi delle proprie pecore, e farle riposare tranquille nel recinto, finché non cali su di loro, a tempo debito, la mannaia. E, siccome la Luna è il più furbo dei pastori, ha inventato anche una serie di magnifiche favolette per far sì che le pecore nemmeno più la vedano per quello che è, la mannaia, ed anzi giungano ad un certo punto a desiderarla, in un vortice sereno di sonnambulismo. Per ogni scemenza che un uomo riesca a scoprire, la Luna ne ammannisce a decine, per garantirsi i pasti.

«Nulla di quanto ha detto la ragazza è degno di considerazione?»

«Al contrario, è stato un sunto perfetto di tutto il ciarpame che la Luna ha saputo inculcare nei cervelli della stragrande maggioranza degli uomini. In questo senso, hai fatto un incontro massimamente istruttivo, che, se il tempo non incalzasse, avrebbe avuto anche degli aspetti comici».

«Io tendo a farmi contagiare dall’entusiasmo altrui, mi rendo conto benissimo che molte delle cose dette dalla ragazza erano banalità accostate senza discernimento l’una all’altra. Però... la vitalità di certe persone, quella mi fa sempre un certo effetto».

«Entusiasmo... è una parola che ha molta presa su di noi, anche per il suo significato, oltre che per il suo suono. «Dio dentro», significa. Ma quella che tu hai scambiato per vitalità era solo disperazione, il dibattersi di un tonno avvitato verso l’ultima camera della tonnara che, avvertendo un’invincibile rete farsi sempre più prossima e non riuscendo a contrastarla in alcun modo, si risolve a dimenticare il suo destino cercando compagni di sventura. Chi cerca seguaci, chi vuol fare proseliti, sta solo cercando di annegare in compagnia. Naturalmente, questo ha qualche apparente immediato vantaggio: ci si sente invariabilmente meno addolorati, lontani da tutto e, forse, anche uomini straordinari. Con loro puoi scoprirti più ragionevole, maturo, responsabile, ammirato, bello, affascinante, sexy. Puoi sperimentare mille e una identità, e relativi vezzi, e puoi anche essere molto alla moda, nell’abito ma anche nella questione scottante del giorno su cui la tua opinione porrà il punto finale, acclamata e ricalcata da mille goffi imitatori. Con loro potrai anche stare da solo, fare l’asceta, e nel contempo farlo sapere a tutti, ma senza parlare, parleranno altri per te. Ogni genere di paramenti sono disposti per la vita laica, e per quella religiosa. Stupende poesie affioreranno dalla tua penna, o, se lo crederai, ponderose e stringenti speculazioni filosofiche nutriranno la tua mente fino a farti scoppiare di sapienza. Molto amore è predisposto per te, attraverso mille amanti, tre per quattro figli, cinque per sei amici., sette per otto angeli. E una per ogni perla della collana preferita della Luna saranno le tue occupazioni, una per ogni granello dell’anello di Saturno le tue preoccupazioni. Morirai esalando l’ultimo sogno, e non sarà necessariamente un sogno piacevole. Ma, soprattutto, morirai come un salame, allucinato e cucinato a puntino».

«Andiamo avanti».

«Sì, andiamo avanti, Guido, si è alzato un filo di vento».


Fonte: La città mirabile di Enzo Coffani 

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