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domenica 2 giugno 2013

Teosofia – Rudolf Steiner

La massima di voler ammettere i mondi superiori solo dopo averli veduti è di impedimento alla veggenza. La volontà di comprendere prima attraverso il sano pensare quel che più tardi potrà essere veduto promuove tale veggenza; evoca forze importanti dell’anima le quali appunto conducono alla veggenza.

La natura dell’uomo
Il pensiero di Goethe richiama l’attenzione dell’uomo su tre cose.
  • Anzitutto sugli oggetti dei quali gli perviene continuamente notizia pel tramite dei sensi, e che egli tocca, odora, gusta, ode, vede. (ciò lo accetta come un fatto)
  • Secondariamente sulle impressioni che gli oggetti fanno sopra di lui, sul piacere e dispiacere, il desiderio e l’avversione che gli suscitano e pei quali egli giudica gli uni simpatici e gli altri antipatici, gli uni utili e gli altri dannosi. (ciò fa del mondo una cosa che ha importanza per lui)
  • In terzo luogo sulle cognizioni che egli, quale “essere per così dire divino”, acquista intorno alle cose, ai segreti della loro natura e della loro attività che gli si rivelano. (ciò lo considera come una metà verso la quale deve tendere incessantemente)
Perché il mondo appare all’uomo in questo triplice modo?
La semplice osservazione può mostrarlo. Cammino su di un prato fiorito. Attraverso i miei occhi i fiori mi rivelano i loro colori (dato di fatto).
Godo dello splendore delle tinte (trasformo il dato in una vicenda mia propria).
Attraverso i miei sentimenti, congiungo i fiori con la mia propria esistenza e l’anno dopo gli stessi fiori mi susciteranno un nuovo compiacimento (sentimento congiunto con il mio essere).

Con la parola CORPO s’intende ciò mediante cui si palesano all’uomo le cose che l’attorniano.
Con la parola ANIMA si vuole indicare ciò mediante cui egli congiunge le cose con la sua esistenza, sente in relazione ad esse piacere e dispiacere, letizia e disgusto, gioia e dolore.
Per SPIRITO s’intende ciò che nell’uomo si rivela quando, secondo l’espressione di Goethe, egli guarda le cose quale “essere per così dire divino”.

In questo senso l’essere consiste di corpo, anima e spirito.

Mediante il corpo egli può mettersi in relazione momentanea con le cose. Attraverso il corpo egli è imparentato con le cose che si offrono ai suoi sensi da fuori. Le materie del mondo esterno compongono il suo corpo; le forze del mondo esterno agiscono in esso. Tutto ciò che in me è processo corporeo, può essere percepito dai sensi corporei.
Mediante l’anima conserva in sé le impressioni che queste fanno su di lui. Il mio piacere e dispiacere, la mia gioia e il mio dolore non possono essere percepiti né da me, né da altri mediante i sensi corporei. L’anima è inaccessibile alla percezione corporea.
Mediante lo spirito gli si rivela ciò che le cose custodiscono in se stesse. Attraverso lo spirito il mondo esterno gli si rivela però in un modo superiore. I segreti del mondo esterno si rivelano bensì nel suo intimo, ma egli esce spiritualmente fuori di se stesso e lascia le cose parlar di sé, di quel che ha importanza per esse, non per lui.

Corpo, anima, spirito
L’uomo può comprendere se stesso in modo giusto solo quando si chiarisca l’importanza che il pensare ha nel suo essere. Il cervello è lo strumento corporeo del pensare. Come l’uomo può vedere i colori solo con un occhio ben costituto, così il cervello, adeguatamente conformato, gli serve per pensare. L’intero corpo dell’uomo è formato così da trovare nell’organo dello spirito, nel cervello, il proprio coronamento.
Si può capire la struttura del cervello umano solo considerandola in relazione col suo scopo, che è di esser la base corporea dello spirito pensante.
Negli anfibi il cervello è ancora piccolo in confronto al midollo spinale; nei mammiferi è proporzionatamente maggiore. Nell’uomo raggiunge la massima grandezza rispetto a tutto il resto del corpo.
Contro osservazioni come quelle esposte intorno al pensare, regnano vari pregiudizi. Alcuni tendono a sottovalutare il pensare e a porre più in alto “l’intima vita del sentimento”. Dicono che alle cognizioni superiori non ci si elevi per mezzo dell’”arido pensiero”, bensì mediante il calore, la forza immediata del sentimento. Quelli che parlano così temono che un pensiero chiaro smorzi i sentimenti. Nel pensare quotidiano, rivolto solo alle cose utilitarie, avviene certo così. Ma nel caso dei pensieri che guidano alle regioni superiori dell’esistenza accade l’opposto. Non esiste alcun sentimento o entusiasmo che, in fatto di calore, bellezza ed elevatezza, sia paragonabile ai sentimenti accesi dai puri e cristallini pensieri che si riferiscono ai mondi superiori. I sentimenti più alti non sono quelli che presentano “da sé”, ma quelli che si conquistano con un energico lavoro di pensiero.
Il corpo umano ha un’organizzazione rispondente al pensare. Le medesime materie e forze che esistono anche nel regno minerale, nel corpo umano sono combinate in modo che, mercé questa combinazione, il pensare può manifestarsi. Questa struttura minerale conforme al suo compito verrà chiamata, nelle considerazioni seguenti, il corpo fisico dell’uomo.
La forma dell’essere vivente si tramanda attraverso l’eredità. Lo sviluppo di un essere vivente dipende dall’essere paterno e materno da cui è nato o, dalla specie alla quale appartiene.
La specie è ciò che determina la combinazione delle materie. A questa forza che configura la specie, daremo il nome di forza vitale.
Come le forze minerali si esprimono nei cristalli, così la forza vitale formatrice si esprime nelle specie o forme della vita vegetale e animale.
Con i sensi ordinari l’uomo non percepisce le manifestazioni della forza vitale. Egli vede i colori della pianta, odora il suo profumo; a questo modo di osservazione la forza vitale non si palesa.
Col dischiudersi di quell’organo, sorge per l’uomo un mondo tutto nuovo. Egli non si limita ormai a percepire i colori, gli odori e le altre manifestazioni degli esseri viventi, ma percepisce la loro stessa vita.
In ogni pianta, in ogni animale egli avverte oltra alla figura fisica la figura spirituale piena di vita.
Per avere un vocabolo che indichi questa figura spirituale, possiamo chiamarla corpo eterico o vitale.
Per l’investigatore della vita spirituale il corpo eterico non è solo un prodotto delle materie e delle forze del corpo fisico, ma è un’entità autonoma, reale, che risveglia alla vita tali materie e forze. Il corpo vitale è una entità mercé la quale, in ogni istante della vita, il corpo fisico viene preservato dalla distruzione.
Per vedere il corpo vitale, per poterlo percepire in un latro essere, è necessario aver desto l’occhio spirituale. In mancanza si potrà ammettere l’esistenza del corpo eterico per ragioni logiche.

Per la sua organizzazione rispetto allo spirito pensante, il corpo eterico dell’uomo differisce da quello delle piante e degli animali.

Dopo la morte il corpo fisico si dissolve nel mondo minerale; il corpo eterico, nel mondo vitale.

Corpo non deve essere confuso come “forma corporea fisica” ma in questo libro, questo vocabolo può essere usato anche per quanto di animico o spirituale prende forma.
Il corpo vitale è ancora qualcosa di esterno all’uomo.
Col primo moto della sensazione l’interiorità stessa risponde agli stimoli del mondo esterno. Per quanto lontano si arrivi a seguire quel che si ha il diritto di chiamare mondo esterno, non si potrà trovare la sensazione.
I raggi luminosi penetrano nell’occhio; si propagano fino alla retina. Là (nel pigmento visivo) provocano processi chimici; l’effetto di tali stimoli si propaga attraverso il nervo ottico fino al cervello, dove sorgono ulteriori processi fisici. Se li potessimo osservare, vedremmo semplicemente processi fisici, come altrove nel mondo esterno.
Se fossi in grado di osservare il corpo vitale, vedrei che il processo cerebrale fisico è insieme un processo vitale.
Se l’essere di chi riceve i raggi fosse esaurito col corpo fisico e col corpo eterico, la sensazione non potrebbe avere luogo. Dalla forza vitale la sensazione suscita un’esperienza interiore, se non la suscitasse, si avrebbe un semplice processo vitale, quale si osserva anche nella pianta.

Ci si rappresenti l’uomo che riceve impressioni da ogni parte. In tutte le direzioni da cui egli riceve le impressioni bisogna anche pensarlo come fonte dell’attività che risponde alle impressioni con le sensazioni.
Questa fonte d’attività può essere chiamata anima senziente, la quale non è meno reale del corpo fisico.
Se un uomo mi sta dinanzi, ed io prescindo dalla sua anima senziente, rappresentandomelo solo come corpo fisico, è proprio come se di un quadro io considerassi la sola tela.

Anche riguardo alla percezione dell’anima senziente va detto qualcosa di simile a quel che è stato detto del corpo eterico. Gli organi corporei sono “ciechi” per essa.
Così pure l’organo capace di percepire direttamente la vita. Ma quest’organo percepisce il corpo eterico, così, attraverso un organo ancora superiore, il mondo interiore delle sensazioni può rivelarsi a una particolare percezione soprasensibile. L’uomo allora non riceve solo le impressioni del mondo fisico e di quello vitale, ma vede le sensazioni.
Quando l’occhio spirituale è aperto, s’illumina per la vista spirituale esteriore quel che altrimenti vive solo nell’interiorità dell’altro essere.

A scanso di malintesi sia detto che il veggente non sperimenta in sé quello che l’altro essere racchiude come parte sua propria del mondo della sensazione. Questi sperimenta le sensazioni dal punto di vista della propria interiorità; il veggente percepisce invece una manifestazione, una rivelazione del mondo della sensazione.
L’anima senziente dipende per la sua attività dal corpo eterico, poiché da esso attinge quel che deve far risplendere come sensazione. E poiché il corpo eterico è la vita dentro il corpo fisico, l’anima senziente dipende indirettamente anche da questo.
Così la corporeità agisce sull’anima senziente, determinata e limitata nella sua azione dal corpo.
Ma il limite dell’anima senziente non coincide con quello del corpo fisico. Quest’anima sporge sul corpo fisico, ed è più possente di esso. Ma la forza che la limita emana dal corpo fisico. In tal modo tra il corpo fisico e l’eterico da un lato e l’anima senziente dall’altro s’inserisce un altro elemento il corpo animico o corpo senziente.
Una parte del corpo eterico è più fine dell’altra, e questa parte più fine del corpo eterico costituisce un’unità con l’anima senziente, mentre la parte più grossolana forma una specie di unità col corpo fisico.

La sensazione non è che una parte dell’essere animico.
Alle sensazioni si aggiungono i sentimenti di piacere e dispiacere, gli impulsi, gli istinti, le passioni. Tutto ciò porta, come le sensazioni, il medesimo carattere di vita personale e dipende, come quelle, dal corpo fisico.

Come col corpo, l’anima senziente entra in reciprocità d’azione anche col pensare, con lo spirito. Innanzitutto si serve del pensare.
L’uomo forma pensieri intorno alle proprie sensazioni. In tal modo si spiega il mondo esteriore.
L’uomo non segue alla cieca nemmeno i propri impulsi, gli istinti e le passioni; con la riflessione egli si procura l’occasione di soddisfarli.
È forza di pensiero quella che ha costruito navi, strade ferrate, telegrafi, telefoni; e tutto serve per soddisfare i bisogni dell’anima senziente.

Come la forza vitale formatrice compenetra il corpo fisico, così la forza pensante compenetra l’anima senziente.
La forza vitale formatrice congiunge il corpo fisico ad ascendenti e discendenti e lo inserisce in un ordine di leggi che non concernono soltanto ciò che è minerale.
La forza pensante colloca l’anima in un ordine di leggi al quale, come semplice anima senziente, essa non appartiene.
Per l’anima senziente l’uomo è affine all’animale. Anche nell’animale osserviamo l’esistenza di sensazioni, impulsi, istinti e passioni. Ma l’animale li segue immediatamente.
In lui essi non sono attraversati da pensieri autonomi, trascendenti l’esperienza immediata.
Lo stesso accade fino a un certo punto anche nell’uomo non evoluto.

La semplice anima senziente è perciò diversa dal superiore e più evoluto elemento animico che pone il pensiero al proprio servizio.
L’anima servita dal pensiero si chiamerà anima razionale.
L’anima razionale compenetra l’anima senziente. Chi possiede l’organo capace di “vedere” l’anima, vede l’anima razionale come un’entità particolare rispetto alla semplice anima senziente.

Mediante il pensare l’uomo s’innalza oltre la sua vita personale. Si conquista qualcosa che va al di là della sua anima.
Le leggi del pensiero concordano con l’ordine dell’universo. Nella sua anima egli cerca la verità. Ciò che attraverso il pensiero è stato riconosciuto come verità ha un significato autonomo che si riferisce alle cose del mondo, non solo all’anima.
Quel che è realmente vero non sorge e non passa: ha un valore indistruttibile.
A ciò non contraddice che singole “verità” umane abbiano valore transitorio perché, dopo qualche tempo sono riconosciute come errori parziali o totali.
Se la verità non sussistesse in sé, se derivasse il proprio valore dal sentimento dell’anima umana, non potrebbe rappresentare una meta unica per tutti gli uomini.
Il bene morale, come verità, ha il proprio valore eterno in sé e non lo riceve dall’anima senziente.
Chiamiamo anima cosciente ciò che di eterno risplende nell’anima.
Di coscienza si può parlare anche in relazione ai moti inferiori dell’anima.
La più ordinaria sensazione è oggetto della coscienza. Sotto questo aspetto anche l’animale possiede una coscienza.

ANIMA COSCIENTE = nocciolo della coscienza umana, l’anima nell’anima. Elemento costitutivo particolare dell’anima.

ANIMA RAZIONALE = impigliata in sensazioni, istinti, emozioni …
Duratura è solo quella verità che si è liberata da simpatie e antipatie. La verità è vera anche quando tutti i sentimenti personali le si sollevano contro.
La parte dell’anima ove vive questa verità può dirsi anima cosciente.
Anche nell’anima si possono distinguere 3 parti:
  • anima senziente
  • anima razionale
  • anima cosciente
Il corpo eterico riempie tutto il corpo fisico, in ogni direzione sul corpo eterico sopravanza il corpo animico, dal quel sporge l’anima senziente, e poi razionale che tanto più si allarga quanto più accoglie in se verità e bene, i quali ne determinano l’espansione.
A queste formazioni, nel cui centro il corpo fisico appare come avvolto da una nube si può dare il nome AURA.

Nell’Io l’uomo riassume tutto ciò che sperimenta come entità corporea e animica.
Corpo e anima sono i portatori dell’io, in essi l’io opera.
Come il corpo fisico ha il suo centro nel cervello, così l’anima lo ha nell’io.
Quanto più l’io domina corpo e anima, tanto più differenziata, varia e ricca di colori è l’aura.
Corpo e anima si offrono all’io per servirlo, ma l’io si offre allo spirito perché questo lo riempia.
L’io vive nel corpo e nell’anima; lo spirito vive nell’io, e ciò che dello spirito vive nell’io è eterno. In quanto vive entro il corpo fisico, è soggetto alle leggi minerali; quanto il corpo eterico è soggetto alle leggi di riproduzione e crescita: quanto all’anima senziente è razione è soggetto alle leggi del mondo animico; in quanto accoglie in sé l’elemento spirituale, è soggetto alle leggi dello spirito. Nasce e perisce ciò che le leggi minerali e vitali formano. Lo spirito però non ha nulla a che fare col nascere e perire.

Lo spirito forma l’io dall’interno all’esterno. Il mondo minerale lo forma dall’esterno all’interno.
Il sé spirituale porta in sé la medesima verità, ma accolta dall’io, da esso individualizzata e assunta nell’essere autonomo dell’uomo.
L’anima cosciente entra in contatto con la verità indipendentemente da qualsiasi simpatia e antipatia, ed è esistente di per sé.

Le manifestazioni del mondo corporeo = sensazioni
Le manifestazioni del mondo spirituale = intuizioni

L’entità spirituale dell’uomo si suddivide dunque in 3 parti: uomo spirituale, spirito vitale, se spirituale.
L’aura umana è dunque costituita di 2 parti che si interpenetrano: esistenza fisica e spirituale.

Mediante il corpo l’anima è chiusa nel fisico, mediante l’uomo spirituale le crescono le lai per muoversi nel mondo spirituale.
Il corpo si edifica coi materiali del mondo fisico
  • la sua struttura è ordinata al servizio dell’io pensante
  • attraversato dalla forza vitale diviene CORPO ETERICO o vitale e grazie ai 5 sensi si apre verso l’esterno e diviene CORPO ANIMICO
L’anima senziente lo compenetra e forma con esso un’unità.
L’anima senziente non riceve solo le impressioni dall’esterno quali sensazioni; ha la sua propria vita che feconda da un lato con il pensiero e dall’altro con le sensazioni.
Diviene così ANIMA RAZIONALE e per divenirlo si apre alle intuizioni e verso il basso (sensazioni), ed è perciò ANIMA COSCIENTE.

L’uomo spirituale è congiunto in un’unità con l’anima cosciente, come nel corpo animico, il corpo fisico è unito all’anima senziente.
Anima cosciente e se spirituale formano un’unità.
In questa unità l’uomo spirituale vive quale spirito vitale, come il corpo eterico offre la base vivente corporea al corpo animico.

Come il corpo fisico è racchiuso nelle pelle fisica, così l’uomo spirituale è racchiuso dall'involucro spirituale. Avremo:
  • Corpo fisico
  • Corpo eterico o vitale
  • Corpo animico
  • Anima senziente = sensazioni+sentimenti (piacere/dispiacere)
  • Anima razionale  =anima servita dal pensiero; ancora impigliata in istinti, sensazioni, emozioni
  • Anima cosciente
  • Sé spirituale
  • Spirito vitale
  • Uomo spirituale
Il corpo animico l’anima senziente e l’anima razionale formano un’unità. E perciò anche il corpo animico cade sotto le leggi dell’ereditarietà fisica che danno al corpo la sua figura. Essendo poi la forma più mobile e per così dire più labile della corporeità, deve anche presentare gli aspetti più mobili e più labili dell’ereditarietà. Mentre dunque il corpo fisico varia poco per i singoli uomini, o soltanto a seconda della razza, del popolo e della stirpe, e il corpo eterico mostra già differenze maggiori, benché vi predomini ancora una certa uniformità, la differenza nel corpo animico è già molto grande. Vi si manifesta quel che già sentiamo come caratteristica personale esterna dell’uomo. Il corpo animico è dunque il portatore di questa caratteristica personale trasmessa ai discendenti dai genitori, dai nonni … 
L’anima cosciente e il sé spirituale formano un’unità.

Avremo:
  • CORPO FISICO
  • CORPO ETERICO o VITALE
  • CORPO ANIMICO SENZIENTE o CORPO ASTRALE[1]
  • ANIMA RAZIONALE
  • ANIMA COSCIENTE PERVASA DALLO SPIRITO
  • SPIRITO VITALE
  • UOMO SPIRITUALE
L’io sfolgora nell’anima, riceve il suo impulso dallo spirito e diventa così portatore dell’uomo spirituale. In virtù del corpo fisico-eterico-animico ha radice nel mondo fisico; in virtù del sé spirituale, fiorisce nel mondo dello spirito.
Le parti dell’essere animico non sono così nettamente divise come quelle corporee, in senso superiore esse si interpenetrano.

Avremo:
  • Corpo fisico
  • Corpo eterico
  • Corpo astrale
  • Io quale nucleo dell’anima
  • Sé spirituale quale corpo astrale trasformato
  • Uomo spirituale quale corpo fisico trasformato
L’anima è posta tra presente e l’eterno in quanto sta in mezzo tra corpo e spirito.
Mediante il ricordo l’anima conserva l’ieri; mediante l’azione prepara il domani. Quel che oggi ha il compito resta per domani.

La rappresentazione suscitata dal ricordo è una rappresentazione nuova, non l’antica conservata.
Il ricordo consiste nel potere rappresentare di nuovo, non nel fatto che una rappresentazione passata possa riaccendersi.
“Io mi ricordo” significa: “sperimentiamo qualcosa che non c’è più. Congiungo un avvenimento passato con la mia vita presente”.
L’immagine odierna mi è data dalla percezione, cioè dalla mia organizzazione sensoria.
Ma ciò che suscita l’immagine di ieri è l’anima, senza questa fedele conservatrice del passato ogni impressione esteriore risulterebbe sempre nuova per l’uomo.
Quale conservatrice del passato, l’anima aduna continua tesori per lo spirito.
Lo spirito in me non è limitato alle impressioni de presente, l’anima estende il campo visivo di esso sul passato.
Le impressioni che l’uomo trae dalle esperienze scompaiono gradatamente dalla memoria. Non però i loro frutti. Nessuna esperienza trascorre non utilizzata: l’anima la serba come ricordo, e lo spirito ne trae quel che può arricchire le sue facoltà, il suo contenuto di vita. Lo spirito umano cresce in virtù delle esperienze che ha elaborato.
Benché nello spirito non si possono dunque conservare le esperienze passate, se ne ritrovano gli effetti nelle facoltà conquistate dall’uomo.

Ogni corpo vitale è una ripetizione del suo antenato.
Le forze che hanno reso possibile la mia figura umana erano nei miei antenati.
Come la figura umana fisica è sempre una ripetizione, una reincarnazione della specie, così l’uomo spirituale deve essere sempre una reincarnazione del medesimo uomo spirituale poiché, come uomo spirituale, ognuno costituisce una specie a sé.
Chi non confida nella forza del pensare, non arriverà a conoscere nulla dei fatti spirituali superiori.

L’anima è l’anello di congiunzione tra il corpo e lo spirito, in quanto permea il terzo elemento corporeo, il corpo animico, con la facoltà della sensazione e, quale anima cosciente, compenetra il primo organo dello spirito: il “sé spirituale”.
In tal mondo, durante la vita, partecipa sia alle condizioni del corpo sia a quelle dello spirito. Tale partecipazione si esprime in tutto il suo essere.
Dall'organizzazione del corpo animico dipenderà il modo in cui l’anima senziente potrà sviluppare le sue disposizioni.
E dalla vita dell’anima cosciente dipenderà dall'altro lato il grado di sviluppo che potrà raggiungere in lei il “sé spirituale”.
Quanto meglio sarà conformato il corpo animico, tanto meglio si svilupperà il nesso, dell’anima senziente col mondo esteriore.
E il “sé spirituale” diverrà tanto più ricco e possente quanto maggiore alimento gli verrà offerto dall'anima cosciente.
Abbiamo mostrato che durante  questo alimento viene fornito al “sé spirituale” mediante le esperienze elaborate interiormente e i loro frutti, poiché la reciproca azione dell’anima sullo spirito e dello spirito sull'anima può naturalmente verificarsi soltanto là dove essi s’interpenetrano, e cioè nella congiunzione del “sé spirituale con l’anima cosciente”.

Durante la vita lo spirito è collegato all'anima  essa riceve dallo spirito la facoltà di vivere nel vero e nel buono e di manifestarsi così nella propria vita, nei suoi istinti, nelle sue inclinazioni e passioni lo spirito stesso.
Il “sé spirituale” reca all’”io”, dal mondo dello spirito, le leggi eterne del vero e del buono. Attraverso l’anima cosciente queste si congiungono con le esperienze della propria vita animica.
Le esperienze stesse passano, ma i frutti ne rimangono. L’essere stato congiunto con le esperienze animiche produce una durevole impressione sul “se spirituale”. Se lo spirito umano si accosta ad un’esperienza che somiglia ad un’altra con la quale già fu collegato, vedrà in essa qualcosa di noto e saprà comportarsi altrimenti che non trovandosela di fronte per la prima volta. Su ciò poggia tutto l’apprendere. I suoi frutti sono facoltà acquisite.
I frutti della vita transitoria vengono in tal modo impressi nello spirito eterno.

In una vita lo spirito umano compare quale ripetizione di se medesimo recando i frutti delle esperienze di incarnazioni precedenti.

Questa vita è in tal modo la ripetizione di altre che la precedettero, e porta con sé quel che il “sé spirituale” si è conquistato nella vita passata. Quando il “sé spirituale” accoglie qualcosa di pronto a divenire frutto, si compenetra di “spirito vitale”.
E come il corpo vitale ripete la forma attraverso la specie, così lo “spirito vitale” ripete l’anima da esistenza personale a esistenza personale.

Quando ci si affaccia a questa vita compare un corpo fisico che riceve la sua figura per le leggi dell’ereditarietà. Tale corpo diviene il portatore d’uno spirito che ripete in forma nuova un’esistenza precedente. Fra corpo e spirito sta l’anima che conduce una vita propria, raccolta in sé. Le sue simpatie e antipatie, i suoi desideri e le sue brame servono a lei medesima; essa pone il pensare al proprio servizio. Quale anima senziente essa riceve le impressioni del mondo esteriore e le porge allo spirito affinché ne tragga profitti duraturi.
L’anima ha per così dire una parte mediatrice, e quando l’ha assolta il suo compito è finito. Il corpo le forma le impressioni; essa le trasforma in sensazioni, le conserva nella memoria quali rappresentazioni e le consegna infine allo spirito perché questi conferisca loro durata.
L’anima è propriamente l’elemento per cui l’uomo appartiene alla sua vita terrena. In virtù del suo corpo, egli appartiene alla specie umana fisica, ne è membro. Col suo spirito vive in un mondo superiore. L’anima collega temporaneamente i due mondi.

Ma il mondo fisico in cui penetra lo spirito umano non è una scena a lui estranea. Vi stanno impressi i segni delle sue azioni. C’è in questa scienza qualcosa che gli appartiene. Questo qualcosa reca l’impronta del suo essere, è imparentato con lui. Come un tempo l’anima ha trasmesso allo spirito le impressioni del mondo esteriore, perché in lui avessero durata, così, quale organo dello spirito, essa ha tradotto in azioni, parimenti durature nei loro effetti, le facoltà che ha ricevute da lui. Con ciò l’anima è realmente fluita in quelle azioni.

La mia vita precedente determinerà il mio ambiente; attirerà per così dire da tutto il mondo circostante le cose che le sono affini. Così è del “sé spirituale” . in una nuova esistenza esso si circonda necessariamente di quel che per le vite precedenti gli è affine.

Il corpo soggiace alla legge dell’ereditarietà; l’anima soggiace al destino che si è creato. Con un’antica espressione tale destino si chiama Karma. E lo spirito sta sotto la legge della reincarnazione, delle ripetute vite terrene.

I TRE MONDI
Mondo animico: come nel corpo l’occhio e l’orecchio si sviluppano quali organi di percezione, quali sensi aperti ai processi corporei, così l’uomo può sviluppare in sé organi di percezione animici e spirituali che gli dischiuderanno il mondo animico e quello spirituale.
All’inizio l’uomo deve conoscere attraverso similitudini i mondi superiori. Poi potrà pensare a procurarsi la possibilità della visione diretta.
Come le sostanze e le forze che costituiscono e governano il nostro stomaco, il cuore, i polmoni, il cervello, e così via provengono dal mondo corporeo, così le nostre proprietà animiche, le brame, gli stimoli, i sentimenti, le passioni, i desideri, le sensazioni, provengono dal mondo animco. L’anima umana è una parte del mondo animico, come il corpo umano lo è del mondo fisico corporeo.
Come alle forme corporee sono propri la dimensione e il moto spaziali, così alle cose e agli esseri animici è propria la sensibilità, la brama impulsiva.
Il mondo animico si chiama perciò anche “mondo della brama o del desiderio”, o “mondo della cupidigia”. Queste espressioni sono ricavate dal mondo animico umano. Bisogna quindi tener presente che, nella parte del mondo animico che giace fuori dell’anima umana, le cose sono altrettanto diverse dalle forze animiche che si trovano nell’anima, quanto le materie e le forze del mondo corporeo esteriore sono diverse da quelle che costituiscono il corpo umano fisico (impulso, desiderio, cupidigia sono designazioni per la sostanza del mondo animico. Questa sostanza può essere chiamata “astrale”).
Nel mondo animico dominano leggi del tutto diverse da quelle del mondo fisico. Molte forme animiche sono però legate a quelle degli altri mondi. L’anima umana è legata ad esempio sia al corpo fisico sia allo spirito dell’uomo.
Nello spazio animico tutte le cose, vicine e lontane appaiono al veggente nelle distanze che hanno per la loro natura interiore.
Per orientarsi nel mondo animico bisogna saper distinguere le varie specie in cui si suddividono le forme che ne fanno parte, come nel mondo fisico usiamo distinguere  i corpi solidi, liquidi, aeriformi o gassosi. Per fare questa distinzione bisogna conoscere le due forme fondamentali che qui hanno la massima importanza: simpatia e antipatia. Dal modo come agiscono in una forma animica, se ne determina la specie.
  • Col nome simpatia si indica la forza mediante la quale una forma animica ne attrae altre, cerca di fondersi con esse, afferma la propria affinità con esse.
  • Antipatia è invece la forza mediante la quale le forme animiche si respingono, si escludono, affermano ciascuna la propria particolarità.
Dalla misura in cui queste due forze fondamentali esistono in una forma animica dipende la parte che essa rappresenta nel mondo animico. A seconda dell’azione che simaptia o antipatia esplicano in esse, possiamo cominciare col distinguere tre specie di forme animiche:
  • Prima specie: essa ne attrae altre in virtù della simpatia operante in lei. Oltre alla simpatia esiste in lei anche antipatia, mediante la quale essa rela simpatia prevale sull’antipatia. L’antipatia determina l’egoistica “autoaffermazione”; questa però si rotrae per l’inclinazione verso le cose dell’ambiente. spinge altre cose dell’ambiente. Da fuori tale forme sembrerà solo antipatica. Ma non è così, c’è simpatia e antipatia in lei; quest’ultima però prevale, ha il sopravvento sulla prima. Tali forme respingono molto di quanto le attornia e solo poco attraggono con amore. Perciò si muovono nello spazio animico quali forme immutabili. Per la simpatia che è in loro appaiono avide. E questa avidità si mostra nello stesso tempo insaziabile, perché l’antipatia predominante respinge una parte così grande di quanto loro viene incontro che nessun appagamento è possibile. Si può paragonare ai corpi fisici solidi (brama ardente).
  • Seconda specie: le due forze fondamentali sono in equilibrio, quindi simpatia e antipatia agiscono con la stessa forza. Queste muovono incontro ad altre forme con una certa neutralità. Non segnano nessun netto confine tra sé e l’ambiente. Lasciano continuamente che altre forme agiscano su di loro. Si può paragonarle con le sostanza fluide del mondo fisico (sensibilità fluida).
  • Terza specie: la simpatia prevale sull'antipatia  L’antipatia determina l’egoistica “autoaffermazione”; questa però si ritrae per l’inclinazione verso le cose dell’ambiente. Ci si rappresenti una tale forma entro lo spazio animico. Essa appare come il punto centrale di una sfera di attrazione che si estende sopra gli oggetti del mondo circostante. Tali forme vanno più precisamente indicate come sostanza del desiderio (a causa dell’antipatia che seppure debole esiste in essa, l’attrazione agisce in modo che gli oggetti attratti vengono portati nell'ambito della forma animica stessa. La simpatia riceve così un tono fondamentalmente egoistico. Questa “sostanza del desiderio” può essere paragonata ai corpi gassosi del mondo fisico). Come un gas tende a diffondersi in tutte le direzioni, così questa “sostanza del desiderio” si espande da ogni parte).
I gradi superiori della sostanza animica sono caratterizzati dal fatto che una delle forze fondamentali, e cioè l’antipatia, si ritrae del tutto e rimane propriamente attiva solo la simpatia.
La forza della simpatia nell’interno di una forma animica si esprime in quello che si chiama piacere. Ogni diminuzione di tale simpatia è dispiacere. Il dispiacere è solo un piacere diminuito.
Il sentimento è l’attività dell’anima in se stessa.

Avremo:
  • regione della brama ardente
  • regione della sensibilità fluida
  • regione dei desideri
  • regione di piacere e dispiacere
  • regione della luce animica
  • regione della forza animica attiva
  • regione della vita animica
nelle prime tre regioni le forme animiche ricevono le loro proprietà dal nesso di simpatia e antipatia; nella quarta la simpatia agisce entro le forme animiche stesse;
nelle tre superiori la forza della simpatia si libera sempre più; qui le sostanze animiche attraversano lo spazio animico illuminando e vivificando; risvegliando ciò che di per sé dovrebbe perdersi nel proprio isolamento.

Queste sette regioni del mondo animico non sono sperate le une dalle altre. Come il solido, il fluido e il gassoso s’interpenetrano nel mondo fisico, così la brama ardente, la sensibilità fluida e le forze del desiderio s’interpenetrano nel mondo animico.

L’anima nel mondo animico dopo la morte: l’anima è l’anello di congiunzione tra lo spirito dell’uomo e il suo corpo. Le sue forze di simpatia e di antipatia che mediante la loro relazione reciproca producono le manifestazioni animiche di bramosia, sensibilità, desiderio, piacere e dispiacere non agiscono solo tra una forma animica e l’altra, ma si manifestano anche di fronte alle entità degli altri mondi, del mondo fisico e di quello spirituale.
Quando le funzioni fisiche del corpo si svolgono regolarmente, nell’anima sorge piacere e benessere; quando sono disturbate, sopravviene malessere e dolore.
L’anima partecipa anche alle attività dello spirito: un pensiero la riempie di gioia, un altro di dolore.
Il grado di evoluzione di un uomo dipende dal fatto che le inclinazioni della sua anima vadano piuttosto verso l’una o l’altra direzione. Un uomo è tanto più perfetto quanto più la sua anima simpatizza con le manifestazioni dello spirito; è tanto più imperfetto quanto più le sue inclinazioni vengono soddisfatte dalle funzioni corporee.

Lo spirito è il centro dell’uomo; il corpo è il tramite attraverso cui lo spirito osserva e conosce il mondo fisico e opera in se stesso. L’anima poi è mediatrice tra corpo e spirito. Trae l’impressione fisica che le vibrazioni dell’aria producono sull'orecchio la sensazione del suono e gode di questo suono.
Un pensiero che sorge nello spirito viene dall’anima trasformato in desiderio di attuazione e soltanto così, con l’aiuto dello strumento fisico, può diventare azione.

La morte considerata come fatto del mondo fisico, rappresenta un mutamento delle attività corporee. Con la morte il corpo cessa di fare con la sua struttura da strumento all'anima e allo spirito.
Quando lo spirito si è sciolto dal corpo, resta ancora unito con l’anima. E come durante la vita fisica il corpo lo ha incatenato al mondo fisico, così ora l’anima lo incatena a quello animico.
Ma nel mondo animico non sta il vero essere originario dello spirito. Il mondo animico deve soltanto congiungerlo col campo della sua attività, col mondo fisico.

Dopo la morte l’anima non è più congiunta al corpo, ma lo è solo con lo spirito.
Essa vive ormai in un ambiente animico. Le sole forze di quel mondo possono quindi ancora agire su di lei. E a questa vita dell’anima nel mondo animico è a tutta prima vincolato anche lo spirito. È vincolato ad essa come lo è al corpo durante l’incarnazione fisica.
Il momento della morte del corpo è determinato dalle leggi di questo. In generale si può dire: non l’anima e lo spirito abbandonano il corpo, il corpo viene piuttosto dimesso da anima e spirito quando le sue forze non possono più operare nel senso dell’organizzazione umana. Tale è anche il nesso tra anima e spirito. L’anima lascerà andare lo spirito nel mondo superiore, spirituale, quando le sue forze non potranno più agire nel senso dell’organizzazione animica umana. Lo spirito sarà liberato nell'istante in cui l’anima avrà abbandonato al dissolvimento quel che essa può sperimentare soltanto entro il corpo e abbia conservato unicamente quel che può continuare a vivere con lo spirito. Questa parte così conservata, che è si stata sperimentata nel corpo, ma anche può venire impressa come frutto nell'elemento spirituale, unisce l’anima allo spirito nel mondo puramente spirituale.
L’anima aveva il compito di dare allo spirito la direzione verso il mondo fisico. Dal momento in cui ha assolto tale ufficio, prende la direzione verso il mondo spirituale.
Alla morte vien dietro, per lo spirito umano, un periodo in cui l’anima si libera delle sue inclinazioni verso l’esistenza fisica, per tornare a seguire le sole leggi del mondo animico-spirituale e liberare così lo spirito. È naturale che questo periodo sia tanto più lungo quanto l’anima sarà stata vincolata al mondo fisico.

Quando l’anima entra dopo la morte nel mondo animico, soggiace alle sue leggi.
Queste leggi agiscono su di lei, e dalla loro azione dipende il modo in cui sarà cancellata in lei la tendenza verso il mondo fisico.
L’anima si purifica dunque attraverso le regioni animiche descritte, finché nella zona della perfetta simpatia si unifica con l’insieme del mondo animico. Lo spirito con l’anima è congiunto direttamente mentre con il corpo è congiunto indirettamente tramite l’anima.
Per via di questa unione diretta con l’anima, lo spirito può sentirsi libero da lei solo quando essa si è fusa con l’insieme del mondo animico.
In quanto dimora dell’uomo subito dopo la morte, il mondo animico può essere chiamato “regione delle brame”.
I vari sistemi religiosi che hanno accolto nelle loro dottrine la coscienza di queste condizioni, designano questa “regione delle brame” col nome di “purgatorio”, “fuoco, purificatore” …
La regione più bassa del mondo animico è quella della “brama ardente”. Là dopo la morte, vengono cancellate dall'anima tutte le brame egoistiche più grossolane connesse con la vita inferiore del corpo.
È uno stato di tenebre quello in cui le anime si trovano, e in una tale condizione cadano solo gli uomini i cui appetiti, durante la vita fisica, tendevano alle cose più grossolane.

Il triplice mondo si differenzia così:
  • regno delle entità archetipiche amorfe (primo regno elementare)
  • regno delle entità creatrici di forme (secondo regno elementare)
  • regno delle entità animiche (terzo regno elementare)
  • regno delle forme create (cristalli)
  • regno che diviene percepibile ai sensi in forme, nel quale però lavorano entità creatrici di forme (regno vegetale)
  • regno che diviene percepibile ai sensi in forme, nel quale però operano anche le entità creatrici di forme e quelle che si esplicano animicamente (regno animale)
  • regno in cui le forme sono percepibili ai sensi e in cui però operano le entità creatrici di forme e quelle che si esplicano animicamente, e nel quale inoltre lo spirito plasma se stesso in forma di pensiero entro il mondo fisico (regno umano)
Le parti fondamentali dell’uomo vivente nel corpo fisico sono connesse col mondo spirituale. Il corpo fisico, il corpo eterico, il corpo animico senziente e l’anima razionale vanno considerati come archetipi del mondo spirituale condensati nel mondo sensibile.

Il corpo fisico si forma per il fatto che l’archetipo dell’uomo si condensa fino a divenire percepibile ai sensi. Si può dire che il corpo fisico è un’entità del primo regno elementare condensata fino ad essere fisicamente visibile.
Il corpo eterico nasce per il fatto che la forma fisica così sorta è mantenuta mobile da un’entità che spinge la propria azione entro il regno sensibile, ma rimane invisibile ai sensi. Questa entità ha origine nelle più alte sfere del mondo spirituale, e nella seconda regione diviene archetipo della vita, e opera nel mondo sensibile.
L’entità che costruisce il corpo animico senziente ha origine nelle somme regioni del mondo spirituale, diviene nella terza regione archetipo del mondo animco, e come tale opera nel mondo sensibile.
L’anima razionale si forma perché l’archetipo dell’uomo pensante diviene pensiero nella quarta regione del mondo spirituale, e come tale opera direttamente nel mondo sensibile quale essere umano pensante.
Così l’uomo sta nel mondo sensibile; così lo spirito lavora intorno al suo corpo fisico, al suo corpo eterico e al suo corpo animico senziente. Così lo spirito si manifesta nell’anima razionale.

Ai tre corpi inferiori dell’uomo gli archetipi collaborano dunque in forma di entità che gli stanno in certo modo esteriormente di fronte; nell’anima razionale, l’uomo lavora (coscientemente) su se stesso.
Le entità che lavorano sul corpo fisico dell’uomo sono le stesse che formano la natura minerale.
Al suo corpo eterico lavorano entità simili a quelle che, invisibili ai sensi, vivono nel regno vegetale; al suo corpo animico senziente lavorano entità simili a quelle che, dal pari invisibili, vivono nel regno animale, che però estendono la loro attività in questi regni.
Così cooperano i diversi mondi. Il mondo in cui vive l’uomo è l’espressione di tale collaborazione.

Spirito del popolo o spirito nazionale: si esplica nelle sensazioni, nei sentimenti, nelle inclinazioni comuni ad un popolo. È un’entità che non si incorpora fisicamente, ma come l’uomo forma il suo corpo in modo percepibile ai sensi, così essa forma il proprio dalla sostanza del mondo animico.
Il corpo animico dello spirito del popolo è come una nube entro la quale vivono gli uomini appartenenti a un dato popolo.

Le forme-pensiero e l’aura umana: nelle diverse persone varia la grandezza dell’aura, in media ci si può rappresentare che nella sua totalità l’uomo appare alto il doppio e largo il quadruplo dell’uomo fisico.
Nell’aura fluttuano i più svariati colori. E questo fluttuare dà una fedele immagine della vita umana interiore. Mutevoli come questa sono singole tonalità di colore. Ma certe qualità durevoli: capacità, abitudini, prosperità del carattere, si esprimono in toni fondamentali costanti.

L’aura varia molto secondo i vari temperamenti e le disposizioni animiche degli uomini; varia anche secondo i gradi di evoluzione spirituale.

La triplice aura è l’espressione soprasensibile visibile dell’entità umana. Le tre parti costitutive dell’uomo: corpo, anima e spirito, si esprimono in essa.
  • La prima aura è un’immagine riflessa dell’influenza che il corpo esercita sull'anima.
  • La seconda caratterizza la vita propria dell’anima che si è elevata sopra gli stimoli. immediati dei sensi, ma non si è ancora dedicata al servizio dell’eterno.
  • La terza rispecchia il dominio che lo spirito eterno ha conseguito sull'uomo mortale.


Nell'aura si esprime così quel che l’uomo ha fatto di se stesso nel corso delle sue incarnazioni.


Fonte: Teosofia - Rudolf Steiner 












[1] Agiscono da prima gli appetiti, le brame, le passioni. Quando l’i si compenetra di sé spirituale, l’anima a sua volta riempie il corpo astrale della forza del sé spirituale. Per la sua partecipazione al mondo spirituale l’io è diventato signore nel mondo degli appetiti, brame … nella misura in cui questo si verifica il sé spirituale si palesa nel corpo astrale di conseguenza questo si modifica. Per cui il corpo astrale è duplice: una parte immutata e una parte trasformata.  Sé spirituale = corpo astrale trasformato. 

lunedì 8 aprile 2013

Le piante del fascino – Devon Scott

Appurato che la natura è in grado di curare, non commettete l’errore di considerare automaticamente benefico tutto quello che arriva dalle piante: la fitoterapia, anche se non necessita di prescrizione medica, si basa su estratti di piante che possono avere gli stessi effetti di farmaci e anche gli stessi inconvenienti.

Inoltre molti farmaci hanno principi attivi derivati proprio dalle piante: per esempio, il chinino usato contro la malaria è estratto dalla corteccia di china; contro infiammazione e febbre si prendono i salicilati, derivati dalla corteccia di salice; contro l’insufficienza cardiaca si è usata per decenni la digitalina, estratta dalla digitale, che è tossica e può uccidere se presa a dosi elevate.
Alcune piante hanno reazioni con atre piante o con farmaci comuni, dei quali potrebbero aumentare o diminuire l’assimilazione.

Esempio:
  • Aglio (peggiora l’ulcera), salvia (sconsigliata negli ipertesi e negli epilettoidi. Sconsigliata anche durante l’allattamento potrebbe alterare il sapore del latte, e inoltre favorisce le contrazioni uterine, potrebbe causare parti prematuri) e papaya interferiscono con gli anticoagulanti, potenziandone l’effetto e facendo rischiare un’emorragia.
  •  Liquirizia provoca ritenzione idrica e alza la pressione negli ipertesi
  • Iperico aumenta l’eliminazione dei farmaci che abbassano il colesterolo e lascia macchie sulla pelle di chi si espone al sole.
  • Achillea dà sensibilità cutanea ai raggi solari.
  • Alloro può provocare dermatiti da contatto.
  • Carciofo e aneto danno cattivo sapore al latte, se assunti da una mamma che allatta al seno.
  • Rabarbaro aumenta la stitichezza.
  • Arnica, che si usa nelle pomate per le contusioni, se messa su cute non integra può dare vomito, diarrea e allucinazioni per effetto dell’arnicina che passa direttamente nel sangue attraverso graffi o ferite.
  •  Guaranà può dare agitazione, tachicardia, ansia e vomito a che bene molto caffè, per eccesso di caffeina nel sangue
  •  Crusca che aumenta naturalmente la massa fecale e contrasta la stitichezza di chi mangia poca pasta e poco pane, assorbe parte dei farmaci, col rischio che il paziente non ne assuma abbastanza.


Paracelso “Tra cura e veleno è solo un questione di dose


CROMOTERAPIA

Rosso = è il colore dell’energia; regola la circolazione del sangue; stimola il metabolismo e facilita l’eliminazione delle scorie; cicatrizza i tessuti lesi e si ritiene un anti-invecchiante contro rughe e tessuti rilassati. Viene usato come decongestionante per migliorare il microcircolo, in particolare nella cellulite.

Arancione = mescolanza di giallo e rosso, è il colore dell’entusiasmo e dell’ottimismo, che scaccia la malinconia. Cura i disturbi respiratori, in particolare l’asma; stimola la tiroide e la funzionalità epatica. Combatte la stanchezza.

Giallo = stimola la mente (alza il livello di attenzione), i muscoli volontari, la digestione e la motilità intestinale; aumenta il numero di globuli bianchi e permette di reagire meglio alle infezioni. È energizzante per il fisico e la mente, accresce la fiducia in se stessi e calma i problemi digestivi da iperacidità nervosa.

Verde = è un colore doppio: nei toni chiari e vividi (verso il giallo) è energizzante e stimolante, nei toni scuri è disinfettante. Rilassa e calma gli stati febbrili e l’irritabilità; decongestiona gli occhi, depura fegato e reni, è antibatterico.

Blu = è il colore del rilassamento e della clama. È antinfiammatorio sul fisico, induce alla calma e alla tranquillità sulla mente. Combatte la tachicardia, l’insonnia, il mal di testa e l’ipertensione.

Indaco = mescolanza di blu e viola, è soprattutto un sedativo, calma gli stati infiammatori e purifica. Viene usato per le diarree profuse e nei disturbi del sistema nervoso.

Viola = è il colore della spiritualità e dell’equilibrio. Stimola i depressi, gli introversi e i malinconici ad aprirsi agli altri con fiducia; calma gli esagitati e induce il distacco dalla cose materiali negli avidi e negli egoisti. È il colore coadiuvante delle diete dimagranti ed è un ottimo antistress.


GEMMOTERAPIA

Pietre rosse: primo chakra (Muladhara) affine al rosso e all’elemento Terra.
  • riparare le ossa e le unghie
  • curare i reumatismi
  • i problemi di impotenza
  • stimolare il fegato
  • migliorare la circolazione del sangue

Si usano: rubino, ematite, diaspro sanguigno, granato


Pietre arancioni: secondo chakra (Svadhisthana) affine all’arancione e all’elemento Acqua.
  • problemi agli organi interni a livello della vita: reni e intestino
  • migliorano la respirazione
  • sono tonificanti e antistress
  • fissano il calcio nelle ossa (ottime per l’osteoporosi)

Si usano: corallo, onice, corniola, agata


Pietre giallo: terzo chakra (Manipura) è affine al giallo e all’elemento Fuoco.
  • quelle giallo vivo migliorano la digestione e la muscolatura flaccida
  • quelle giallo pallido aiutano a espellere i medicinali in chi ha patologie croniche e si sottopone a terapia pesanti e protratte nel tempo

Si usano: topazio, ambra gialla, quarzo citrino


Pietre verdi: quarto chakra (Anahata) è affine al verde e all’alemento Aria.
  • migliorano la vista e clamano agendo sulla pressione e sull’adrenalina

Si usano: agata verde, giada, smeraldo, malachite


Pietre azzurre: quinto chakra (Visuddha) è affine all’azzurro, blu e all’elemento etere
  • infiammazioni e infezioni
  • abbassano la febbre
  • rendono più calmi

Si usano: agata blu, zaffiro, turchese, lapislazzuli


Pietre indaco: sesto chakra (Ajna) è affine all’indaco e non ha elementi.
  • stimolano i reni
  • alzano la pressione
  • colore coadiuvante nei problemi sessuali femminili

Si usano: tormalina blu, occhio di gatto


Pietre violette: settimo chakra (Sahashrara) è affine al violetto e, non ha elemento
  • curano muscoli, ossa e articolazioni
  • coadiuvanti nelle anemie

Si usano: ametista, quarzo bianco, diamante




Fonte: Le piante del Fascino - Devon Scott



venerdì 1 febbraio 2013

Manifestare la mente - Daniel Pinchbeck

IBOGA
I Bwiti credono che prima della cerimonia il neofita non sia niente”, mi disse Daniel Lieberman quel mio primo mattino in Gabon. “È solo tramite l’iniziazione che si diventa qualcosa”.
E cosa si diventa?”, “Un baanzi. Colui che conosce l’altro mondo, perché lo ha visto con i propri occhi”.
Per i bwti l’iboga è un’entità spirituale supercosciente che guida il genere umano.

Il sacramento botanico bwiti, la Tabernanthe Iboga, è un arbusto commestibile che produce frutti arancioni insapore e appiccicosi. In condizioni ottimali, l’iboga può crescere come albero di almeno dodici metri. Il composto allucinogeno è concentrato nella scorza della radice, che viene grattata via, fatta seccare e ridotta a una polvere di colore grigio.
Per uno straniero proveniente dagli Stati Uniti, l’iniziazione bwiti costa 7,000,00$ compreso il biglietto aereo, più il costo del rito e la percentuale per il botanico.

Il Bwiti è come il Buddhismo, tutti possono abbracciarlo se vogliono essere iniziati. La parola Bwiti significa semplicemente l’esperienza con la pianta iboga, che è l’essenza dell’Amore”.

Non volevo le cose che volevano gli altri, ma non sapevo come trovare quello di cui avevo bisogno.

Avevo bisogno di un sollievo che andasse oltre la risata.
Viviamo in un mondo sovraccarico di media e smog in cui ogni cosa ci distrae da qualsiasi altra.

Ralph Waldo Emersonperché non dovremmo godere anche di una relazione originale con l’Universo?, perché non dovremmo avere una poesia e una filosofia dell’intuizione e non della tradizione, e una religione che si riveli a noi, e non soltanto la loro storia?”.

I miei genitori erano parte della Beat Generation e del recrudescente Espressionismo Astratto degli anni’50 e ’60.
Una generazione più tardi, vidi la bolla distruttiva del determinismo economico demolire i resti dalla loro cultura liberale.
Sentivo che stavo diventando un fantasma, un sopravvissuto senza corpo di qualche lontana epoca.
Al punto più basso, mi tornarono in mente le illuminazioni clandestine ottenute da pezzi essiccati di funghi masticabili e piccoli quadratini di carta che avevo mangiato negli ultimi anni del collage.
Quello che ricordavo era lo splendore sensoriale – l’espansione dei colori, i suoni, gli odori – con cui i veli dell’astrazione sembravano cadere subito giù dalla mia mente. A quel tempo i funghi trapassavano le mie sensazioni di alienazione postadolescenziale, sebbene a volte ingigantissero le mie ansie più profonde.
L’acido temporaneamente spazzava vi la mia identità.

Un anno dopo, provai la droga della foresta amazzonica ayahuasca, la leggendaria sostanza, conosciuta come yagé, che William Borroughs nei primi anni ’50 inseguì in tutto il sud America, in cerca di una cura visionaria per la sua dipendenza da eroina.
Calici della droga venivano elargiti col contagocce a 200$ al bicchiere nel corso di una cerimonia in un appartamento a downtown, organizzata da una coppia di californiani. Prima di bere, ci venne dato un pannolino Adult Depends e un secchio di plastica per vomitare. L’amara pozione mi procurò delle intuizioni e immagini sorprendenti, rampicanti verdi smeraldo che si muovevano davanti a una cascata d’acqua, e ore di nausea. Una donna gemette ed ebbe conati per ore mentre quegli sciamani New Age si dimenavano intorno a lei con serpenti e piume. Sembrava che stesse rivomitando il suo essere profondo. La sua condizione limitò il mio trip interiore.
Il viaggio con l’ayahuasca, sebbene intrigante, mi lasciò profondamente insoddisfatto. La mia abilità di avere visioni sembrava estremamente misera.
In quanto testa dura, non avevo la capacità di “allucinarmi”.

Guidammo fino al villaggio del Re, lungo quaranta chilometri di strada polverosa e foresta coperta da terra rossa lontano da Lambaréné.
Quando arrivammo, il Re ci convocò al tempio. Voleva altri soldi, ma avevamo già consegnato 600$ pattuiti e così iniziò a strillare.
La situazione sembrava fuori controllo, non ci sentivamo sicuri … infine venne deciso che l’iniziazione sarebbe andata avanti nonostante li avessimo imbrogliati, ma alla fine del rituale, il Re non ci avrebbe dato l’olio speciale che conferiva una conoscenza più profonda delle nostre visioni per tutto l’anno.

Quando giunse la notte, gli uomini del Bwiti mi si avvicinarono ed io mi sentivo imbarazzato: sapevo che per loro non ero tanto una persona quanto un archetipo, ero un fantasma bianco, un pallido intruso dal mondo coloniale che cercava di ritornare alla sorgente spirituale.
Alcuni uomini reggevano delle torce, altri suonavano i tamburi e i sonagli e i corni in una marcia sinistramente divertente. Moutamba , avvolto in una pelle di leopardo, mi ordinò di spogliarmi completamente e di entrare nel bel mezzo del torrente. Mentre tremavo in quell’acqua gelida, il ragazzo che mi venne assegnato per farmi da “padre bwiti” mi versò addosso del liquido saponoso, una medicina protettiva dello Spirito. Poi mi spalmò una pasta rossa e ruvida sul torace e la faccia. I Bwiti cantavano mentre indossavo l’uniforme da iniziazione, una tunica rossa corta con strisce dorate di pelle di animale e anelli di conchiglia intorno al petto e sugli avanbracci. Una piuma rossa era attorcigliata nei miei capelli.
Era tempo di iniziare a mangiare l’iboga.
Il Re sollevò l’albero di plantago con due mani. Il mio padre bwiti mi portò cautamente questo sacramento sotto gli sguardi degli altri. Guardai il frutto tenuto davanti alle mie labbra: era stato aperto e riempito con grigi granellini di polvere di iboga. Togliendomi i vestiti e indossando la veste rossa da iniziato, ero simbolicamente morto. Dopo aver mangiato la polvere essiccata, sarei rinato.

La polvere sapeva di segnatura corretta con l’acido di batteria, era totalmente rivoltante, la sostanza più amara che abbia mai messo in bocca. Ancora peggio, il plantago era secco e duro e ogni morso richiedeva una lunga masticazione. La mia lingua si seccò e si gonfiò, quasi soffocai nel tentativo di rigettare quella roba schifosa. Dopo aver finito il plantago, mi vennero dati un altro po’ di cucchiai di quella droga mista a miele. Lo sciamano annuiva incoraggiandomi. Lottavo per tenere quella cosa in bocca.
Il giornalista ha mangiato molto, molto”, disse.
Tornammo al villaggio. Le mie gambe erano diventate gommose e avevo la nausea. Nel cortile principale, alcuni uomini si sedettero attorno a me, suonando i tamburi.
Mi misero un mazzo di foglie nella mano destra e una striscia di cardo selvatico nella sinistra dicendomi di agitarle entrambi al ritmo della musica. Questo gesto meccanico mi avrebbe aiutato a rimanere fermo durante le visioni. Ogni volta che smettevo di scuotere i sonagli, un uomo della tribù accorreva e mi costringeva a continuare.
Mi fecero mangiare altra iboga e mi portarono, tremolante, nel tempio illuminato dalle torce. Ero instabile, confuso. Mi fecero sedere da solo al centro, di fronte al mio specchio, circondato da foglie di felce e statuine incise. Il Re e i vecchi della tribù sedevano alla mia sinistra e il resto della tribù su panche alla mia destra, forse trenta persona in tutto.
Molto tempo trascorso, ma non succedeva nulla.
Nello specchio vedevo la mia faccia che cambiava forma. Sembrava che invecchiassi, rughe e linee si spandevano sulla mia pelle. Poi ritornai più giovane. Questi effetti erano fluttuanti e duravano pochi istanti. Poi tornavo a rimirare me stesso, una pallida faccia sconcertata con occhiali di tartaruga e una tunica tribale.
Non vedo niente”, dissi agli impazienti uomini della tribù che mi guardavano.
Infine, da un angolo dell’occhio, ebbi la mia prima visione: una grande statua di legno, una figura simile a un golem scuro e senza volto che emergeva da ruvidi ceppi, camminava per la stanza e si sedeva sulla panca. Incrociando le gambe, si sporse in avanti come per guardarmi con interesse.
La visione fu molto rapida. Sembrava totalmente reale. Un momento dopo, dalla superficie crepata e scheggiata dello specchio venne fuori un piccolo schermo. Su di esso vedevo, attraverso la finestra, il mio appartamento di Manhattan. Attraverso le piante aeree, guardavo il mio salone vuoto. Poi vidi una folla attraversare un incrocio su Broadway, gli ombrelli aperti per la pioggia. Le immagini erano impressioni fantasma con ombre di grigio, come quelle di un vecchio film; erano chiare, totalmente distinguibili, ma solo per un attimo. Quando provavo a studiarle tremolavano e svanivano.
Se vedi una finestra devi provare ad attraversarla”, mi istruì il Re attraverso il traduttore, “e se incontri qualcuno devi provare a parlargli. Forse hanno un messaggio per te, qualche informazione”.
I Bwiti insistevano perché riportassi ad alta voce quelle che vedevo, ma non mi sentivo pronto per una cosa simile. Mi ero fatto l’idea che ciò che vedevo fosse solo di mio interesse, ma i Bwiti non approvavano le mi idee occidentali di privacy. “Tutto ciò che vedi deve essere condiviso”, mi esortò il Re, “potresti avere un messaggio per la tribù, alcune informazioni”.
Nel mio stato sconvolto, avevo la lingua bloccata e percepivo la loro rigida disapprovazione del mio silenzio.
Davanti ai miei occhi passarono velocemente altre immagini – una composizione memento mori di candele, teschi fiammeggianti e facce di goblin; dai confini della mia visione ecco figure di donne vestite di nero che allungavano verso di me le loro lunghe braccia bianche – solo che quando provai a parlare di loro scomparvero.
Il Re riprese a strillare: “Quando inizierà a vedere i favolosi castelli? Le città degli spiriti”, chiese esasperato. All’improvviso uscì dalla stanza. “credo che continueranno a farti mangiare iboga finché non inizierai a parlare”, mi sussurrò Lieberman.
Ero fradicio di sudore. La mia testa sembrava un pallone, svariate volte più grande del normale. Mi chiedevo se stavo per morire. Ebbi conati e vomitai della melma verde nel secchio.
Quando mi sentii un po’ meglio, i Bwiti mi riportarono nel tempio. Mi misero su un materasso poggiato sulla dura terra e mi diedero istruzioni su come sdraiarmi.
Gli uomini della tribù ripresero a suonare i tamburi e a cantare. Il terrificante suono riempì il tempio, rimbombando sulle pareti del mio cranio. Provavo un’incredibile sensazione di fallimento e nello stesso tempo disprezzavo la mia stupidità: chi ero per provare ad entrare nel mondo spirituale africano? Sentivo di poter comprendere che il Re mi stava deridendo, si prendeva gioco del mio corpo, delle mie visioni fallimentari, delle mie debolezze; diverse volte avevo chiesto una coperta e un cuscino, ma i Bwiti avevano respinto le mie richieste.
Gli stranieri dicono di volere la vera iniziazione Bwiti”, sembrava dire il Re con un ghigno. “Ebbene, questo è ciò che vogliono. Ma ora si lamentano, vogliono una coperta, vogliono un cuscino, il vero Bwiti non vuole alcuna comodità”.
Alla fine il Re smise di prendermi in giro. La musica impossibilmente bella, canti polirtmici, ricominciò.
Con gli occhi chiusi vidi luminosi disegni colorati, forme come piante a spirale e geometrie danzanti che turbinavano a ritmo di musica. Caddi in trance, fluttuando insieme ai canti bwiti. Venni trasportato in un nuova fase del viaggio.
Pezzo dopo pezzo, nella mia mente iniziò ad emergere il disegno del mio passato. Per le ore successive, mi dimenticai degli uomini della tribù che mi guardavano. Ero testimone di un “teatro della memoria”, un replay scrupoloso di tutte le forze che mi avevano modellato nella persona che ero. Rividi i momenti della mia infanzia: la separazione dei miei, l’assenza di mio padre nella mia fanciullezza, l’impronta della solitudine e della depressione di mia madre, la mia solitudine e l’amore per la lettura, i tanti mesi in un letto d’ospedale, alle barocche sorgenti degli incubi e della fantasie di bambino, la paura originaria dei mostri sotto il letto, la grotta delle tenebre dentro l’armadio.
Vidi le desolate, disperate parti della mia vita e i lampi di potere e inventiva che pure mi appartenevano. Separato da me stesso, eppur racchiuso dentro me stesso, seguivo le tracce dell’essere che ero stato, che mi venne dato, mentre si srotolavano nel tempo.
L’estensione del Sé, mi resi conto fu un processo naturale, simile allo sbocciare di una pianta, ma mentre la pianta si estende verso il Sole per tutta la sua vita, gli esseri umani evolvono internamente. Cresciamo e ci sviluppiamo, o ci rattrappiamo e regrediamo, man mano che reagiamo alle forze che ci schiacciano. La nostra crescita si svolge nel regno invisibile del nostro spazio mentale, e il sole irraggiungibile verso cui tendiamo è la conoscenza, del Sé e dell’Universo.

Permettendomi di percepire la forma del mio Sé passato, l’iboga sembrò anche liberarmi dal fardello di quello stesso passato. L’azione della droga, come avevo sentito dalle descrizioni ma senza crederci, effettivamente fu pari a dieci anni di psicoanalisi racchiusi in un’interminabile notte.

Attraverso l’iboga, riconobbi il mio Io esistente come prodotto di tutte le forze fisiche e psichiche che avevano agito su di me. Eppure sembrava esserci qualcosa al di là di tutto questo, qualcosa che era “mio”, un’energia del mio destino biografico proiettata fuori. Quell’energia era il Sé, e la tremenda capacità del Sé di straformarsi.
Il viaggio divenne un ciclone cinematico, immagini vorticanti e scene ad alta velocità. Comparvero una serie di case sconosciute, grigi paesaggi suburbani fantasma che non avevo mai visto prima. Mentre svanivano mi ci persi dentro.
Poi apparizioni di vecchie ragazze disperse come nebbia, i loro corpi che danzavano allontanandosi nell’etere. Vidi l’insegna di un ristorante, il Teacher’s Too, un ritrovo d’infanzia.

Il canto e il suono divennero assordanti in quel tempio dal soffitto basso. Mel mio stato alterato i canti suonavano fantastici nella loro bellezza. Realizzai la profondità del legame della tribù con questa pianta che mostrava loro le cose.
Più tardi i Bwiti ci fecero alzare e ballare con loro.

Sapevo, a livello intellettivo, che i gruppi tribali attribuiscono uno Spirito e una sensibilità alle piante.
Può una pianta avere un’anima o un’intelligenza? Prima di allora non avevo mai preso sul serio questa ipotesi.

Quando il rituale terminò io e l’analista barcollavamo storditi, ma il Re iniziò immediatamente a strillarci: “Ora siete stati iniziati, e mi farete regali in soldi”.
Decidemmo di fuggire e prenotammo un hotel a Lambaréné.
Convincemmo uno dei figli del Re a portarci all’Ogobue Palace, un placido hotel con vista sul fiume. Nella mia stanza, mi resi conto che il viaggio con l’iboga stava proseguendo.
Goutarel credeva anche che le visioni dell’iboga differivano nei soggetti rispetto a quelle indotte dell’LSD. Le allucinazioni da LSD “appartengono a una dimensiona angelica ed elevata di sensazioni estetiche”. La dimensione dell’ibogaian, al contrario, “è quella del mondo sotterraneo di Freud, dell’impulso animale e della regressione”. Similmente, Claudio Naranjo, uno psichiatra cileno che ha utilizzato l’ibogaina in terapia, ha messo a confronto le visioni dell’iboga con quelle prodotte da armalina e armina, i composti psicoattivi dell’ayahuasca. Ha scoperto, che l’ibogaina, “che la qualità della fantasia è generalmente più personale e riguarda il soggetto stesso, i suoi genitori e le altre persone per lui significative”.

Goutarel: “Tuttavia, il fatto è che nonostante l’ibogaina sia considerata come un allucinogeno (oneirofrenico), non produce alcuna dipendenza ed è anzi stato dimostrato che elimina la dipendenza dagli oppiacei, le anfetamine, la cocaina, l’LSD e anche dall’alcool e dal tabacco”.
L’ibogaina ha fatto una breve apparizione nel commercio di droga sotterraneo degli anni ’60, poi è svanita. Scrive Goutarel: “L’iboagina è sparita improvvisamente sul mercato e sembra che gli spacciatori si siano resi subito conto del fatto che il suo uso li avrebbe privati di una parte della clientela”.

La dottoressa Deborah Mash dell’Università di Miami è la sola ricercatrice autorizzata dal governo che attualmente sta studiando l’ibogaina come possibile trattamento per la dipendenza.
La Mash e i suoi collaboratori hanno stilato la lista degli effetti di una singola dose di ibogaina, seguita da una terapia post-trattamento, effettuata su 27 tossicodipendenti. Hanno concluso in tal modo:
Dopo il trattamento con l’ibogaina, i soggetti dipendenti dagli oppiacei erano meno propensi ad aspettarsi risultati positivi dall’uso dell’eroina (o altri oppiacei), meno propensi a credere che l’uso di eroina ( o dell’oppio) alleviasse la disforia da privazione e più propensi a credere nel loro controllo dall’aspettarsi o fermare il loro uso di droga. Il trattamento con l’ibogaina ha anche diminuito il desiderio dei partecipanti e l’intenzione di far uso di eroina”.

Attualmente gli scienziati sanno che qualcosa nell’iboga influenza il cervello, ma non molto. La molecola di ibogaina è un alcaloide estremamente complesso (il minaccioso nome chimico è 3-metil5-etilpiridina).
Come la maggior parte delle droghe psichedeliche conosciute, ha una struttura simile al neurotrasmettitore della serotonina, che si pensa metta in moto molte funzioni e aiuti a regolare l’informazione sensoriale. Anche la psilocibina, la mescalina e l’LSD sono alcaloidi che assomigliano alla serotonina. L’allucinogeno superpotente DMT (NN-dimetiltriptamina) è un parente molto prossimo alla serotonina, ha una struttura molecolare simile con la differenza di due gruppi di metil. La serotonina selettiva riattiva gli inibitori (SSRIs), che gli antidepressivi Prozac e Zolotof, e limita le oscillazioni dell’umore modulando il rilascio della serotonina.

Poiché sono così intimamente connesse alla serotonina, le sostanze psichedeliche si legano temporaneamente a molti degli stessi recettori come la serotonina e simili neurotrasmettitori, e quella è la causa principale della loro attività.

Goutarel scrisse: “L’ibogaina inibisce l’ossidazione della serotonina, e catalizza quella delle catecolamine tramite un MAO (monoammino ossidasi), la ceruloplasmina”.
La monoammino ossidasi è un enzima dello stomaco che rende molti composti potenzialmente influenti sulla mente inattivi prima che raggiungano il cervello. L’iboagina, come la psichedelica ayahuasca, contiene un inibitore MAO naturale. La pozione di ayahuasca, tuttavia, è una mistura di due piante con differenti proprietà. Da sola, la pianta dell’iboga è un fattore chimico straordinario.

Attualmente, nessuna teoria scientifica spiega come l’iboga si prenda il disturbo di creare alcaloidi psicoattivi. Per i botanici i composti non sembrano conferire alcun beneficio evolutivo e, per essere prodotti, richiedono una grande quantità di sforzi e di tempo.
Quindi perché le piante producono alcaloidi non si sa: forse per tenere lontane le formiche, qualcuno dice che gli alcaloidi sono la discarica dei rifiuti dell’azoto, ma perché produrre un composto che impiega due anni per sintetizzare?
La molecola di ibogaina è particolarmente complessa, più della maggior parte delle sostanze psichedeliche. È così articolata che non può essere sintetizzata in un laboratorio. Oltre ad essere un “potente composto serotonergico”, che lavora cioè nei punti dei recettori della serotonina, l’ibogaina sembra anche interagire con la dopamina, un altro neurotrasmettitore, che regola l’esperienza corporea del piacere ed è associata ai bisogni della dipendenza.
Nel 1944, il New York Times Magazine pubblicò un articolo sull’ibogaina pieno di interessanti informazioni ma che risultò disastroso per il futuro dell’ibogaina come trattamento principale per la dipendenza da droga. L’articolo seguiva un programma sperimentale di cura con l’ibogaina fatto in Olanda. Durante la visita del giornalista in quel paese, il programma venne interrotto a causa della morte di una giovane tossicodipendente. La ragazza probabilmente aveva continuato a prendere eroina poco prima dell’inizio del trattamento con l’ibogaina. L’ibogaina sembra aumentare il maniera rilevante la potenza di tutte le droghe presenti nel flusso sanguigno. Per i tossicodipendenti che cercano di utilizzare l’ibogaina, è prima necessario un intero giorno di disintossicazione, proprio per evitare una reazione tossica.

Ma come fa l’ibogiana a interrompere la dipendenza? Ha fatto notare il Times: “L’eroina e la cocaina normalmente stimolano il rilascio della dopamina nel “centro del piacere” del cervello, producendo sentimenti di euforia. L’ibogaina sembra interrompere questo meccanismo, bloccando alcuni rilasci e stimolandone altri”.
Questo potrebbe temporaneamente impedire gli effetti della droga ma l’articolo proseguiva chiedendosi: “Come può l’ibogaina influenzare il comportamento molto tempo dopo la sua scomparsa dal flusso sanguigno?”.
Un ipotesi è che l’ibogaina ristabilisce un equilibrio tra i due emisferi del cervello.
Il dott. Carl Anderson del McLean Hospital, in Virginia, suggerisce che, “gli scontri interemisferici, principalmente come risultato di abusi subiti dal bambino, possono rappresentare la causa psicologica fondamentale per la dipendenza dalla droga”. Probabilmente questa è un’esagerazione. Tuttavia, le disparità fra il cervello sinistro e destro sconvolgono il sonno REM che, come nota Anderson, è “essenziale per la regolazione emotiva, l’apprendimento e il consolidamento della memoria”.
L’iboga accede al ciclo REM in modo potente e, a causa di questo, la maggior parte delle persone ha bisogno di meno sonno per settimane o perfino mesi dopo una dose forte e prolungata.

Incontrammo un giovane sciamano, Papa Simone e Liberman gli chiese di organizzare un’altra cerimonia notturna per noi con il suo villaggio bwiti, un rituale di chiusura per donarci l’olio che il Re aveva tenuto per sé. Durante quella notte di balli, percussioni e canti, vidi “l’essenza dell’Amore”.
Per la cerimonia vollero farci mangiare di nuovo l’iboga, ma non riuscii a ingoiare più di un cucchiaio di scorza, che non fu sufficiente a provocare visioni. La tribù di Papa Simone comprendeva un grande e sorridente omaccione che indossava un perizoma rosso. Verso il mattino disse che vedeva uno Spirito che roteava sul punto in cui ero seduto, e specificò che era quello di mia nonna, da parte di madre. “Lei ti amava molto, ma ora è morta e non vuole lasciarti andare, il suo Spirito pende su di te. Ti impedisce di avere visioni, e di visitare l’altro mondo”.

Mesi dopo ebbi un incubi vivido su mia nonna e all’alba mi svegliai per scriverlo. Nel sogno mia nonna mi chiamava. Stava in casa mia, puliva e cercava in tutti i miei armadi, i cassetti e sul mio tavolo “i documenti” o “la questione”. Riuscivo a vederla nel mi appartamento, una figura antica, confusa e sconvolta che rovistava nelle mie cose. Io ero furioso con lei, urlavo al telefono quasi con fervore disumano, ordinandole di lasciare stare le mie cose, di andare via, a riposarsi, guardare la televisione e non cercare più quei documenti. Lei allora si ritrasse. La sua voce era così reale, vibrante.
Nei giorni successivi, mi sentii purificato, come se il mio Spirito, acquisendo forza, l’avesse scacciata dalla casa. Sentivo come se mi si fosse sollevato un velo nero.

L’iboga non mi ha mostrato molto dell’universo spirituale africano, piuttosto mi ha svelato il mio mondo interiore, quel complesso assemblaggio di abitudini, umori, eventi passati e relazioni, come una costellazione ammirata attraverso un telescopio.

Dopo aver scoperto la psilocibina, Wasson proseguì il suo lavoro di ricercatore sui funghi in tutto il mondo. Egli scoprì tracce di funghi psichedelici o enteogenici (“Che manifestavano Dio”) nella genesi, nei Misteri Eleusini, e nel testo sacro indù, i Rig Veda. Nonostante le rivelazioni avute fra i Mazatechi, egli si convinse che l’enteogeno essenziale del mondo antico era il Soma, l’Amanita muscaria, che contiene l’agente psicoattivo chiamato muscarina e non la psilocibina.

Gli scritti di Benjamin passano dagli estremi di rivoluzione e rivelazione. Egli vedeva il pensare come una forma di intossicazione. Riconosceva che la ricerca con la droga, o quella dell’esperienza visionaria, poteva essere un’estensione di una ricerca intellettuale e razionale: “Le dialettiche dell’intossicazione sono in effetti curiose”, scrisse. “Che forse tutta l’estasi di un mondo non umilia la sobrietà in questo complementare ad essa?”. Pensare sotto l’influenza dell’hashish era come srotolare un rocchetto di filo attraverso un labirinto: “Andiamo avanti; ma così facendo non solo scopriamo le svolte e le anse della caverna, ma godiamo anche del piacere di questa scoperta sullo sfondo dell’altra, ritmica gioia del dipanarsi del filo”.
Per Banjamin il vero significato della Prima Guerra Mondiale era “un tentativo di una nuova e inaudita mescolanza con le energie cosmiche”.
Era preoccupato del modo in cui l’alienazione del genere umano da se stesso stesse diventando più profonda, “a un tale livello da poter fare esperienza della propria distruzione come un piacere estetico di prim’ordine”.

Egli vide che nessuna rivoluzione poteva avere successo a meno che non trasformasse il regno interiore del pensiero – il significato della percezione, la relazione dei sensi con il mondo fisico – così come le relazioni economiche. Era sempre attento a scovare l’anima del rituale primitivo e della credenza magica nascosti all’interno del processi apparentemente “razionali” della modernità.

Per molte migliaia di anni, la conoscenza diretta del sacro era una parte universale e naturale dell’esistenza umana, mentre oggi rimane nelle culture tribali. Con la crescita dello stato moderno e della chiesa, l’interazione con le realtà mistiche venne negata alle masse ed esplicitamente demonizzata. La comunione col sacro era riservata ai preti. Durante l’inquisizione, scherzare con gli Spiriti della natura e contattare le anime dei morti divenne eresia. La punizione per tali reali era severissima.
Il processo dialettico che creò la mentalità possessiva del capitalista e lo sguardo “razionale” del tecnocrate richiesero la distruzione delle vestigia premoderne delle credenze comuni e animistiche.
Questa distruzione era parte del processo che Karl Marx definì di alienazione di tutti i nostri sensi fisici e intellettuali in uno: il senso del possesso. Naturalmente, “il senso del possesso” non è davvero un senso, è un’illusione di appagamento che sembra estendersi al di fuori del Sé.

Nel suo libro Mito e significato. Cinque conversazioni radiofoniche, Il Saggiatore, Lévi-Strauss ammise il suo shock iniziale quando apprese che gli uomini delle tribù native americane erano capaci di vedere il pianeta Venere a occhio nudo di giorno.

Abbiamo sacrificato le nostre capacità percettive in favore di altre abilità mentali, come concentrarsi su uno schermo di computer mentre stiamo seduti in una posizione per molte per in tensione, oppure bloccare multipli livelli di coscienza mentre guidiamo la macchina nel traffico intenso. In altre parole, veniamo cresciuti in un sistema che ci insegna a posporre, differire ed eliminare la maggior parte delle informazioni sensoriali in favore di una futura ricompensa. Viviamo in un loop a reazione di perpetuo rimando. Per la maggior parte, non siamo neanche consapevoli di quel che abbiamo perso.

La consapevolezza moderna è risvegliata al materialismo, all’incorporeo “senso del possesso”, alla visione meccanicistica e al metodo scientifico dell’osservazione empirica. La sua antitesi è la mente arcaica, risvegliata sul mondo dei sensi, a contatto ravvicinato con il sacro rivelato attraverso il mondo naturale, i sogni e le visioni.

Lo sciamanismo arcaico è una tecnica per l’esplorazione della verità “soggettiva” della mente attraverso la visione, il sogno, il mito e l’interazione con la Natura. Secondo la psichiatria contemporanea, i disordini mentali hanno cause fisiche che possono essere curate, fino a un certo punto, con medicine appropriate. Dalla prospettiva sciamanica, non solo i disordini mentali ma anche quelli fisici hanno cause non fisiche, spirituali. Che devono essere affrontate se si vuole che una cura sia efficace.
Le piante visionarie sono gli Spiriti Guida delle culture arcaiche. Risvegliano la mente ad altri livelli di consapevolezza. Nel mondo moderno, le sostanze che derivano da queste piante continuano a essere demonizzate, ridicolizzate e soprattutto soppresse. Nei primi anni ’60 quando un recensore ridusse la fascinazione di Aldous Huxley per le droghe psichedeliche a un “divertimento coi funghi”, Huxley replicò in termini caustici: “Cos’è meglio, il divertimento coi i funghi o l’Idiozia con l’Ideologia, farsi la guerra per le parole, ritrovarsi coi misfatti di domani per via dei falsi credo di ieri?”.

Le sostanze psichedeliche, i catalizzatori chimici che aprono i mondi interiori, rimangono banditi e incompresi perché occupano quel punto di contraddizione diretta e possibile sintesi fra il materialismo fondato sul cervello e lo Sciamanesimo orientato allo Spirito.

Le opere di Shakespeare esplorano il legame fra il sogno e la veglia. Anche quando sono svegli, i suoi personaggi si comportamento spesso come fossero ipnotizzati. È facile dimenticarsi che, mentre siamo svegli, siamo costantemente sommersi in differenti livelli di coscienza, in stato semicoscienti in cui sogniamo a occhi aperti, spaziamo o guardiamo pubblicità; ci concentriamo senza attenzione, siamo “distratti dalla distrazione”.

LA MEDICINA
Lo scopo di ingerire – yagé – è di tornare all’utero … dove l’individuo vede le divinità tribali, la creazione dell’Universo e dell’umanità, la prima coppia umana, la creazione degli animali e la fondazione dell’ordine sociale” (Gerardo Reichel-Dolmatoff – Flesh of the Gods)

Personalmente penso di avere avuto un’intuizione riguardo a ciò che fosse l’ayahuasca, ancora prima di provarla. In Amazzonia, lo yagé è la “medicina”, la “purga”, “il vino delle anime”, “la fune della morte”. È la sostanza che rivela la cosmologia degli Indios dell’Amazzonia, la sorgente della saggezza indigena. Gli sciamani dell’Amazzonia dicono che tutta la loro conoscenza, delle piante e del mondo spirituale, deriva dall’ayahuasca.

Viviamo in una cultura in cui ogni cosa è progettata per il nostro confort o intrattenimento ma nulla ci soddisfa.
Nel nostro profondo, rimaniamo insaziabili, costantemente a caccia di nuove comodità e sensazioni piacevoli che riempiono il vuoto. “La vita sa di buono”, proclama la pubblicità della Coca Cola. Lo yagé, al contrario, fa estremamente schifo. È un intruglio amaro, fatto con la scorza di un rampicante e le foglie di un arbusto. Il suo sapore è come l’essenza distillata di bosco marcio. I bevitori di yagé vomitano e valla al bagno, tremano e sudano, e contemporaneamente ricevono visioni oltraggiosamente belle. La pozione è un antidoto – seguendo Benjamin, sarei tentato di dire una cura dialettica – per la nostra attuale condizione. Come mi ha detto uno sciamano hippy al Burning Man: “La medicina dell’uomo bianco all’inizio ti fa sentire bene, e dopo male. La medicina degli indios prima ti fa sentire male, e poi bene”.

Gli indios rispettano l’ayahuasca per i suoi poteri curativi. La purga da tossine e parassiti è parte del processo di guarigione. Mi sentivo come se un’intelligenza mi stesse scorrendo attraverso, esaminando i miei organi, nervi e processi cellulari, facendo leggeri aggiustamenti. Era come se fossi un computer e l’ayahuasca il programma che faceva scansioni e riparazioni. Una volta compiuto il lavoro, vomitai. Il vomito fu come il beep alla fine dell’esecuzione del programma.
I miei pensieri si appisolarono. Guardai una scena che si svolse all’interno della mia mente. Particelle, come piccoli bagliori di luce, si univano all’interno di nubi che fluttuavano verso l’alto; una volta salite, l’attenzione della mia consapevolezza passò improvvisamente a un altro soggetto. Mi resi conto che stavo guardando un modello di pensiero, del processo neurochimico del mio subconscio che generava pensieri. Queste nubi erano concentrazioni sinaptiche, reti neurali; una dopo l’altra fluttuavano verso la superficie della mia coscienza. Quando l’informazione aveva raggiunto una densità sufficiente “mi” sarebbe stata presentata una nuova percezione.
Questa visione rappresentò una piccola rivelazione. Mi resi conto che la maggior parte dei pensieri sono accadimenti impersonali, come macchine autoassemblanti. A meno che non ci alleniamo, i pensieri che ci passano per la testa hanno poco a che fare con la nostra volontà. Per la maggior parte del tempo, pensare è un processo autonomo, qualcosa che accade fuori dal nostro controllo.

L’ayahuasca è un composto chimico della giungla altamente sofisticato. La bevanda generalmente è composta di due ingredienti, la scorza del rampicante ayahuasca (il Banisteriopsis caapi, che cresce in spesse spirali a forma di doppia elica sugli alberi della foresta pluviale) e le foglie di Psychotria viridis o di qualche altra piante. Il rampicante contiene un tipo di droghe psicoattive e sedative chiamate beta-carboline, che comprendono armina e armalina. Le foglie possiedono DMT (dimetiltriptamina), un allucinogeno molto potente che viene anche prodotto nel nostro corpo umano, ritrovato alla base della spina dorsale e del cervello.
Nonostante sia potente quando viene estratta e poi fumata, la DMT non è attiva oralmente. Gli enzimi di monoaminossidasi (MAO) nell’intestino la abbattono prima che raggiunga il cervello. Se ne possono mangiare grandi quantità senza sortirne alcun effetto.
Tuttavia, le beta-carboline nel rampicante sono naturali inibitori MAO, il che significa che consentono alla DMT di funzionare.
L’infuso di ayahuasca, secondo il Santo Daime, una religione brasiliana che contempla lo yagé come suo sacramento, è una combinazione della “forza” del rampicante e della “luce” delle foglie.
La DMT, fumata da sola, crea una rapida esperienza visionaria a ripetizione, un’immersione travolgente in un mondo estremamente alieno che dura meno di dieci minuti. Le beta-carboline, prese da sole, creano allucinazioni subdole e monocromatiche che risultano delicate, calde e umanizzate.
Un mio amico, dopo una forte dose, ha descritto la visione di facce materne compassionevoli che fluttuavano su di lui. Mescolate insieme nell’infuso di ayahuasca, le beta-carboline sembrano avere un effetto pacificante e umanizzante sulle visioni della DMT, che agiscono come interfaccia ed estendono l’esperienza da qualche minuto a poche ore.
Non si sa come gli indios, che vivono fra centinaia di migliaia di piante nella foresta, abbiano imparato a combinare questi ingredienti botanici, che generalmente vengono cotti insieme per alcune ore. Gli indios sostengono che è stato il rampicante ayahuasca a insegnare loro come fare.

Negli ultimi decenni, sono state ritrovate molte altre piante con i composti chimici identici, a volte con quantità molto più concentrate. I botanici hanno scoperto il DMT; in particolare, in un’ampia varietà di flora, comprese alcune erbe comuni. Il mio infuso era ricavato dal DMT rossiccio contenete la scorza della Mimosa ostilis e un estratto di polvere nera di Ruta Siriana (Peganum harmala), una pianta del Vicino Oriente che producer una mistura di beta-carboline, come il vino di ayahuasca. La Ruta Siriana ha una storia antica di utilizzo rituale nel Vicino Oriente.
Alcuni ricercatori hanno suggerito che le allucinazioni con motivi gemetrici rossicci provocati ingerendo la Ruta Siriana potrebbero essere l’origine storica dei disegni sui tappeti arabi, come pure la fonte del mito arabo dei tappeti volanti.
Seguii le ricette di Jonathan Ott, il cui libro Ayahuasca Analogues descrive il modo in cui produrre i composti di ayahuasca utilizzando piante da ogni emisfero.

Al contrario dell’LSD o dei funghi o dell’ecstasy, lo yagé non può essere mercificato o consumato per svago: la sua gnosi va guadagnata.

Nell’ottobre del 2000 feci visita agli indios Secoya, una piccola tribù di 750 persone nell’Amazzonia ecuadoregna.
La cultura dei Secoya è basata sulla comunione con il popolo del cielo che vive lungo il fiume e nel cielo”, ha detto Jonathon, l’etnobotanico che ha organizzato il mio viaggio. “Bevono lo yagé per vederli”.

Negli Stati Uniti e in Europa, gli sciamani sono stati rivalutati come figure eroiche dagli antropologi, da avatar psichedelici come Terence McKenna e populisti New Age.
Mas il fatto è che l’ambiguità aleggia sullo Sciamanesimo, laddove appare. I Poteri magici acquisiti attraverso l’uso disciplinato dell’ayahuasca possono essere rivolti al bene o al male. The Yagé Drinker è il titolo dell’autobiografia del famoso sciamano secoya Ferdinando Payaguaje, redatta con interviste rilasciate si suoi nipoti. Payaguaje parla della tentazione della stregoneria: “Alcune persone bevono yagé solo per raggiungere quel punto di potere in cui si arriva alla stregoneria; con queste arti magiche, possono uccidere una persona. Uno sforzo ancora maggiore e un ulteriore consumo di yagé sono necessari per raggiungere un livello più alto, dove si ottiene accesso alle visioni e ai poteri della guarigione”.
Micheal Harner, studiando lo Sciamanesimo degli indios Jivaro dell’Amazzoni, ha notato che gli sciamani Jivaro padroneggiano strali magici, tsentsak, che potevano essere utilizzati per curare o uccidere. I Jivaro, come la maggior parte dei gruppi tribali, vivevano costantemente terrorizzati dalla stregoneria. La stregoneria è l’inevitabile lato oscuro dello Sciamanesimo.

Gli occidentali che hanno riscoperto la Magia e gli Spiriti come fatti concreti dell’esistenza umana, trasformati nel loro profondo essere interiore dalla conoscenza, desiderano reintrodurre queste forze nel mondo contemporaneo. Eppure queste forze elementali non possono essere separate dall’ambiguità e dal pericolo. La Magia sfuma nella stregoneria e la comunicazione con la dimensione spirituale è molto prossima all’invocazione occulta.

L’ayahuasca, come ha fatto notare Ralph Metzner, è un “catalizzatore gnostico”. Apre le porte a quelle dimensioni occulte della realtà psichica che vengono vigorosamente negate dal moderno razionalismo.
Nel suo libro Il Serpente CosmicoJeremy Narby (giovane antropologo) tanta di interpretare le dimensioni visionarie aperte dall’ayahuasca in un modo che potrebbe adattarsi alla visione del mondo scientifico. Egli pensa che il tema del serpente, in particolare dei serpenti gemelli – il caduceo di Hermes e il simbolo della medicina occidentale – appaia negli arcaici miti della Creazione di tutto il mondo e nella Kundalini, il simbolo occulto indù della forza della vita. Narby collega il serpente o i serpenti attorcigliati, spesso visto sotto l’effetto dell’ayahuasca, alle spirali doppie e intrecciate del DNA. Teorizza che “nelle loro visioni gli sciamani riescono ad abbassare la loro coscienza a livello molecolare”. Gli sciamani, secondo Narby, ricevono immagini e informazioni dal DNA. Il DNA, una stringa di dati codificati simile a un serpente, è anche un cristallo aperiodico, largo quattro atomi, che emana fotoni.
La rete globale della vita basata sul DNA emette onde radio ultra deboli, che al momento sono il limite minimo misurabile ma che non riusciamo comunque a percepire … nelle allucinazioni e nei sogni” scrive. Egli ipotizza che questa trasmissione sia la “gnosi vegetale” e la coscienza collettiva del mondo naturale.
Secondo i reperti fossili, le specie sembrano apparire improvvisamente, pienamente formate e fornite di tutti i tipi di organi specializzati, e rimangono stabili per milioni di anni”.
Altri avatar psichedelici condividono il sospetto di Narby secondo cui quello che avviene durante l’evoluzione è più che la risultante di indefinite reazioni chimiche. Come ha scritto lo psichiatra pioniere dell’LSD Stanislav Grof: “La probabilità che l’intelligenza umana si sia sviluppata direttamente dalla melma chimica dell’oceano primordiale soltanto attraverso sequenze causali di causali processi meccanici è stata paragonata con precisione alla probabilità che un tornado che soffi attraverso una gigantesca discarica di rottami assembli per caso un jumbo 747”.

Narby è convinto che “in particolare il DNA e la natura in generale posseggano una mente. Questo contravviene il principio fondatore della biologia molecolare che rappresenta l’ortodossia corrente”. Egli sospetta che il succo di ayahuasca possa essere esattamente ciò che gli sciamani dicono che sia: lo Spirito senziente della Natura, la mente della foresta, che comunica direttamente con gli esseri umani attraverso questa interfaccia chimica.
L’esistenza di ciò che non può essere qualificato viene non solo ignorata ma negata in maniera veemente dagli scienziati occidentali che dimenticano come “l’assenza di prove non è la prova dell’assenza”.

La maggior parte degli antropologi crede che tutti i rituali religiosi funzionino per ordinare e unificare la società. Taussig con lo yagé scopre esattamente l’opposto: le cerimonie aprono uno spazio trascendente al caos. Per Taussig, lo Sciamanesimo conserva un luogo per la conoscenza in cui si può curare perché si pone al di fuori di ogni sistema. Le visioni con lo yagé aprono costellazioni di ignoto, significati ottusi e “incertezza e possibilità”.

Lo yagé spalanca una zona giocosa di “incertezze e possibilità” e nello stesso tempo sembra comunicare particolare messaggi sul mondo biologico, e spesso crea modelli specifici di processi naturali. Più delle altre sostanze psichedeliche, l’ayahuasca sembra dissolvere4 le rigide categorie che la moderna cultura ha eretto fra poesia e scienza, medicina e Magia, conoscenza del Sé e conoscenza dell’Universo.


Fonte: Manifestare la mente - Daniel Pinchbeck