La risposta estetica come
azione politica
Una prefazione
Coniugare
estetica e politica, o bellezza e città, può sembrare un’idea decisamente
azzardata, ai giorni nostri, mentre era comune e fondamentale nella vita della
Grecia antica. Despoti orientali e principi europei dilapidarono i loro
patrimoni per far erigere monumenti di imperituro splendore, in gloria dei loro
Dei – e naturalmente di loro stessi – ma anche per allietare la gente che
governavano – e che tassavano. Una popolazione turbolenta veniva placata dalla
bellezza: giardini d’acqua, palazzi d’estate, padiglioni stravaganti,
cattedrali, mausolei, memoriali; cosa che ancora oggi continua, con i grandi
viali e gli imponenti edifici delle nazioni repubblicane. Le opere estetiche
guadagnavano al sistema politico l’orgoglio e il consenso della gente, e questo
sia nella Mosca comunista che nella Pietroburgo zarista, sia nella Roma
fascista che a Washington, con templi di marmo bianco per i suoi eroi secolari.
Questo
modo di coniugare estetica e città lascia però la psiche insoddisfatta.
L’estetica è ridotta a politica, mentre la bellezza serve uno scopo ulteriore:
la manifestazione tangibile, concreta, della dottrina. La propaganda fissata
nella pietra.
Io
credo invece che la relazione fra estetica e politica sia più personale e
psicologica. Sta nelle nostre reazioni nei confronti del mondo in cui viviamo.
Ogni giorno il nostro senso del bello gira per il mondo, ci accompagna in
macchina, nei negozi, in cucina. Nell’arco della giornata è un continuo,
sottile rispondere esteticamente al mondo. Vediamo le sue immagini, sentiamo
gli odori che ci trasmette, e impercettibilmente ci aggiustiamo al suo volto.
Ed è in questi aggiustamenti, proprio perché subliminali, che oggi è nascosto
“l’inconscio”. Siamo inconsci delle nostre risposte estetiche. E anche se il
compito della terapia resta essenzialmente quello che è stato per tutto il
ventesimo secolo, e cioè il tentativo di risvegliare la coscienza, è invece
cambiato il focus di questa coscienza
risvegliata. Adesso, diventare coscienti significa non soltanto diventare
coscienti dei nostri sentimenti e dei nostri ricordi, ma soprattutto
risvegliare le nostre risposte personali al bello e al brutto. Siamo diventati
inconsci dell’impatto sul mondo, le nostre anime come murate nei suoi
confronti.
Se
l’anima, come dice Platone, “è sempre un’Afrodite”, allora essa ha sempre a che
fare con la bellezza, e le nostre risposte estetiche sono la prova dell’attiva
partecipazione dell’anima al mondo. Il nostro senso del bello e del brutto ci
porta fuori, nella polis, attivandoci
politicamente. Il solo fatto di accorgerci di quello che ci sta intorno, e di
rispondervi con un moto di istintivo disgusto o di desideroso trasporto, fa sì
che veniamo coinvolti. La nostra psiche personale è sintonizzata con il
presentarsi dell’anima del mondo. La risposta estetica è immediata, istintiva,
animale, e precede nel tempo e nell’ontologia i gusti che rendono elaborata la
risposta e i giudizi che la giustificano.
Ogni
repressione di quella risposta non soltanto è deleteria per la nostra natura
animale, ma è anche una ferita istintuale nociva al nostro benessere, come è
nociva la repressione di qualunque altro istinto. Ma la risposta estetica
negata, questo ignorare l’impulso estetico della psiche, è anche un arrogante
insulto alla presenza del mondo. Passeggiare accanto a un edificio
maldisegnato, vedersi servire del cibo preparato in modo sciatto e accettarlo,
mettere sul proprio corpo una giacca tagliata e cucita male, per non parlare
del non sentire gli uccelli, del non accorgersi del crepuscolo … tutto questo
significa ignorare il mondo. Eppure, questo stato di ignoranza, questa
an-estesia, è in larga misura la condizione umana attuale. Ed è sostenuta e favorita
dalla nostra economia, dal nostro modo d’impiegare il tempo libero, dall’uso
che facciamo della refrigerazione, dai nostri mezzi di comunicazione e di
trasporto e, naturalmente, dai nostro modi di curarci.
Dal
momento che questa anestesia, questo “ottundimento psichico” – come la chiama
Robert J. Lifton, che ha studiato a fondo le catastrofi collettive – è così
diffusa ai nostri giorni, ho il sospetto che favorisca la passività politica
del cittadino euro-americano, e quindi aiuti i poteri dominanti a proseguire,
senza impedimenti, sulla loro rotta rovinosa. Se noi cittadini non facciamo
caso all’assalto del brutto, restiamo psichicamente ottusi, ma siamo ancora
affidabilmente funzionali come lavoratori e come consumatori. Possiamo ancora
affrettarci a lavorare, a comprare, a tornare a casa alla TV, quotidianamente, diligentemente,
faticando come bestie – come cavalli da tiro con i paraocchi – nella
convinzione errata che le nostre sofferenze personali abbiano la loro esclusiva
origine nelle nostre relazioni personali. E le psicoterapie colludono con
queste convinzioni errate, insistendo che la depressione e l’aggressività ce
proviamo derivano dai rapporti umani del passato e non dalle inumane violenze
che il nostro istinto estetico riceve nel presente. La terapia fallisce il suo
scopo quando perde di vista l’importanza quotidiana che Afrodite riveste per
l’anima.
Non
riconoscendo la realtà dell’anima mundi
e il riflesso che ha sulla nostra personale, prendiamo ogni sofferenza su di
noi – mea culpa – e restiamo inconsapevoli
della sofferenza dell’anima del mondo, di come siano torturate le sue
strutture, di come essa sia esiliata in una nichilistica natura selvaggia, e di
come aneli a tornare a una cosmologia che dia il primo posto alla sua bellezza.
Tutti
sappiamo come impegnarci nell’azione politica: partecipa a campagne, a marce,
protestare, resistere. Sappiamo il coraggio che l’azione richiede e il rischio
che comporta, ma non sappiamo di avere anche altri mezzi di azione, mezzi che
richiedono anch’essi coraggio: il coraggio del cuore di battersi per le sue
percezioni. E se non ci battiamo, se non ci esprimiamo in favore del nostro senso
estetico, quel velo funebre che è la conformità ottundente finirà per togliere
ogni forza al nostro linguaggio, al nostro cibo, ai luoghi dove lavoriamo, alle
strade delle nostre città.
Piccoli
atti di protesta e di apprezzamento aprono delle brecce nella condizione di
ottundimento. Ciascuno di noi può essere un eroe del cuore, perché questo tipo
di risposta personale, per quanto semplice possa sembrare, va ancora più in
profondità delle consuete proteste sui generi, sul razzismo, sull’ambientalismo.
Qui non ci sono “ismi”, non c’è ideologia: siamo al servizio dell’inestinguibile
desiderio di bellezza che ha l’anima. Non dobbiamo dimenticare che, nel
racconto di Apuleio, Psiche era immaginata come il personaggio più bello di
tutto il mito classico.
Sono
fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di
bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse l’estetica, ad
abbattere il Muro di Berlino e ad aprire la Cina? Non il consumismo e i gadget dell’Occidente, come ci viene
raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il
ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica
conduce all’azione politica, diventa azione politica, è azione politica.
Thompson, agosto 1999
Fonte: Politica della bellezza di James Hillman
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