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giovedì 1 novembre 2018

Politica della bellezza – James Hillman

La risposta estetica come azione politica
Una prefazione

Coniugare estetica e politica, o bellezza e città, può sembrare un’idea decisamente azzardata, ai giorni nostri, mentre era comune e fondamentale nella vita della Grecia antica. Despoti orientali e principi europei dilapidarono i loro patrimoni per far erigere monumenti di imperituro splendore, in gloria dei loro Dei – e naturalmente di loro stessi – ma anche per allietare la gente che governavano – e che tassavano. Una popolazione turbolenta veniva placata dalla bellezza: giardini d’acqua, palazzi d’estate, padiglioni stravaganti, cattedrali, mausolei, memoriali; cosa che ancora oggi continua, con i grandi viali e gli imponenti edifici delle nazioni repubblicane. Le opere estetiche guadagnavano al sistema politico l’orgoglio e il consenso della gente, e questo sia nella Mosca comunista che nella Pietroburgo zarista, sia nella Roma fascista che a Washington, con templi di marmo bianco per i suoi eroi secolari.
Questo modo di coniugare estetica e città lascia però la psiche insoddisfatta. L’estetica è ridotta a politica, mentre la bellezza serve uno scopo ulteriore: la manifestazione tangibile, concreta, della dottrina. La propaganda fissata nella pietra.
Io credo invece che la relazione fra estetica e politica sia più personale e psicologica. Sta nelle nostre reazioni nei confronti del mondo in cui viviamo. Ogni giorno il nostro senso del bello gira per il mondo, ci accompagna in macchina, nei negozi, in cucina. Nell’arco della giornata è un continuo, sottile rispondere esteticamente al mondo. Vediamo le sue immagini, sentiamo gli odori che ci trasmette, e impercettibilmente ci aggiustiamo al suo volto. Ed è in questi aggiustamenti, proprio perché subliminali, che oggi è nascosto “l’inconscio”. Siamo inconsci delle nostre risposte estetiche. E anche se il compito della terapia resta essenzialmente quello che è stato per tutto il ventesimo secolo, e cioè il tentativo di risvegliare la coscienza, è invece cambiato il focus di questa coscienza risvegliata. Adesso, diventare coscienti significa non soltanto diventare coscienti dei nostri sentimenti e dei nostri ricordi, ma soprattutto risvegliare le nostre risposte personali al bello e al brutto. Siamo diventati inconsci dell’impatto sul mondo, le nostre anime come murate nei suoi confronti. 

Se l’anima, come dice Platone, “è sempre un’Afrodite”, allora essa ha sempre a che fare con la bellezza, e le nostre risposte estetiche sono la prova dell’attiva partecipazione dell’anima al mondo. Il nostro senso del bello e del brutto ci porta fuori, nella polis, attivandoci politicamente. Il solo fatto di accorgerci di quello che ci sta intorno, e di rispondervi con un moto di istintivo disgusto o di desideroso trasporto, fa sì che veniamo coinvolti. La nostra psiche personale è sintonizzata con il presentarsi dell’anima del mondo. La risposta estetica è immediata, istintiva, animale, e precede nel tempo e nell’ontologia i gusti che rendono elaborata la risposta e i giudizi che la giustificano.
Ogni repressione di quella risposta non soltanto è deleteria per la nostra natura animale, ma è anche una ferita istintuale nociva al nostro benessere, come è nociva la repressione di qualunque altro istinto. Ma la risposta estetica negata, questo ignorare l’impulso estetico della psiche, è anche un arrogante insulto alla presenza del mondo. Passeggiare accanto a un edificio maldisegnato, vedersi servire del cibo preparato in modo sciatto e accettarlo, mettere sul proprio corpo una giacca tagliata e cucita male, per non parlare del non sentire gli uccelli, del non accorgersi del crepuscolo … tutto questo significa ignorare il mondo. Eppure, questo stato di ignoranza, questa an-estesia, è in larga misura la condizione umana attuale. Ed è sostenuta e favorita dalla nostra economia, dal nostro modo d’impiegare il tempo libero, dall’uso che facciamo della refrigerazione, dai nostri mezzi di comunicazione e di trasporto e, naturalmente, dai nostro modi di curarci.
Dal momento che questa anestesia, questo “ottundimento psichico” – come la chiama Robert J. Lifton, che ha studiato a fondo le catastrofi collettive – è così diffusa ai nostri giorni, ho il sospetto che favorisca la passività politica del cittadino euro-americano, e quindi aiuti i poteri dominanti a proseguire, senza impedimenti, sulla loro rotta rovinosa. Se noi cittadini non facciamo caso all’assalto del brutto, restiamo psichicamente ottusi, ma siamo ancora affidabilmente funzionali come lavoratori e come consumatori. Possiamo ancora affrettarci a lavorare, a comprare, a tornare a casa alla TV, quotidianamente, diligentemente, faticando come bestie – come cavalli da tiro con i paraocchi – nella convinzione errata che le nostre sofferenze personali abbiano la loro esclusiva origine nelle nostre relazioni personali. E le psicoterapie colludono con queste convinzioni errate, insistendo che la depressione e l’aggressività ce proviamo derivano dai rapporti umani del passato e non dalle inumane violenze che il nostro istinto estetico riceve nel presente. La terapia fallisce il suo scopo quando perde di vista l’importanza quotidiana che Afrodite riveste per l’anima.
Non riconoscendo la realtà dell’anima mundi e il riflesso che ha sulla nostra personale, prendiamo ogni sofferenza su di noi – mea culpa – e restiamo inconsapevoli della sofferenza dell’anima del mondo, di come siano torturate le sue strutture, di come essa sia esiliata in una nichilistica natura selvaggia, e di come aneli a tornare a una cosmologia che dia il primo posto alla sua bellezza.
Tutti sappiamo come impegnarci nell’azione politica: partecipa a campagne, a marce, protestare, resistere. Sappiamo il coraggio che l’azione richiede e il rischio che comporta, ma non sappiamo di avere anche altri mezzi di azione, mezzi che richiedono anch’essi coraggio: il coraggio del cuore di battersi per le sue percezioni. E se non ci battiamo, se non ci esprimiamo in favore del nostro senso estetico, quel velo funebre che è la conformità ottundente finirà per togliere ogni forza al nostro linguaggio, al nostro cibo, ai luoghi dove lavoriamo, alle strade delle nostre città.
Piccoli atti di protesta e di apprezzamento aprono delle brecce nella condizione di ottundimento. Ciascuno di noi può essere un eroe del cuore, perché questo tipo di risposta personale, per quanto semplice possa sembrare, va ancora più in profondità delle consuete proteste sui generi, sul razzismo, sull’ambientalismo. Qui non ci sono “ismi”, non c’è ideologia: siamo al servizio dell’inestinguibile desiderio di bellezza che ha l’anima. Non dobbiamo dimenticare che, nel racconto di Apuleio, Psiche era immaginata come il personaggio più bello di tutto il mito classico.
Sono fermamente convinto che se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe ribellione per le strade. Non è stata forse l’estetica, ad abbattere il Muro di Berlino e ad aprire la Cina? Non il consumismo e i gadget dell’Occidente, come ci viene raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica conduce all’azione politica, diventa azione politica, è azione politica.

Thompson, agosto 1999

Fonte: Politica della bellezza di James Hillman

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