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mercoledì 13 maggio 2015

Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli

Tutti nasciamo con un bagaglio molto consistente di attitudini, capacità, organizzazione, specializzazioni, e questo è vero sia sul piano biologico che su quello psicologico.

… ogni manifestazione individuale si configura come la migliore risposta che riusciamo a fornire alle sollecitazioni dell’ambiente in cui viviamo, una risposta che è il frutto di un’interazione tra il nostro apporto individuale e la miglior risposta che la specie e la nostra famiglia hanno fornito a problematiche uguali o simili.
Si tratta di veri e propri “programmi speciali” – per la maggior parte inconsci – che si attivano per risolvere gli squilibri che si generano o si sono generati nel corso della vita, la nostra e quella dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni ecc., arrivando a certi livelli (biologici) addirittura ai nostri antenati ancestrali.

La Nuova Medicina di R.G. Hamer e la Psicogenealogia o psicanalisi transgenerazionale (che ha in Europa una capostipite in A.A. Schützenberg) costituiscono di fatto la complessificazione di due ambiti disciplinari ancora oggi molti restii al cambiamento, decisamente ancorati a una visione quantomeno ottocentesca dell’essere umano: una psiche da sondare, bagaglio di esperienze inconsce del bambino da zero a tre anni per la psicanalisi e la psicologia; un ammasso meccanico-elettrico-chimico di cellule da tagliare, cucire, riassemblare per la medicina.

Questa immagine dell’essere umano – e di conseguenze della realtà e della stessa conoscenza – è caduta a partire dall’inizio del Novecento grazie alla grande svolta costituita dalla teoria della relatività di Einstein.
La teoria dei sistemi (promulgata alla metà del secolo scorso) l’ha poi definitivamente distrutta, sostituendola con i principi dell’autoreferenzialità e dell’autoorganizzazione dei sistemi viventi che finalmente complessificano (e non complicano) la vita e le sue emergenze.

Riconnetterci con la vita su tutti i piani – biologico, familiare, individuale e relazionale – reinserirci nella grande ruota della vita, è necessario sia a livello di psiche che di corpo: se il senso della vita è metaforicamente e concretamente rappresentato dal sangue, infatti, i legami di sangue ne determinano in larga parte la salute, la salite del sangue.
La Nuova medicina e la Psicogenealogia costituiscono le nuove frontiere della medicina e della terapia psicologica.

… oggi l’essere vivente è visto come un sistema complesso dove ogni elemento è in relazione con ogni altro elemento all’interno di un’organizzazione in costante dialogo-scontro con l’ambiente in cui si muove e di cui fa a sua volta parte. Una rete di complessità di reti di intercomunicazione costante che fa di ogni individuo un biotipo (specie), un antropotipo (società), un genotipo (famiglia) e un fenotipo (specificità singola) al contempo.

Limitarsi a una sola di queste caratteristiche significa ridurre la complessità di un individuo a un solo punto di vista.

… lo studio della persona e della sua provenienza sul piano psichico si può definire “psicanalisi transgenerazionale” o “psicogenealogia”, e si tratta in sostanza dello studio dell’albero genealogico per evidenziare e analizzare le modalità di strutturazione dell’individuo e delle sue caratteristiche nell’arco delle generazioni, vale a dire come una persona viene “costruita” dalla storia delle generazioni che l’hanno preceduta.
Così come non c’è alcun dubbio che l’essere biologico sia il risultato finale di un’evoluzione il cui inizio risale ad almeno 3,5 milioni di anni fa, altrettanto si può dire che l’essere psichico, il quale è l’esito finale raggiunto dalla sua specie e dalle modalità particolari tramite le quali questa ha garantito la propria sopravvivenza, la propria riproduzione e la sua stessa evoluzione.
Queste modalità si riassumono concretamente nell’incrocio e nella relazione tra maschile e femminile che è alla base della vita, in altre parole, per l’essere umano, in quell’istituzione sociale – su basi biologiche ed evolutive – che è la famiglia.

Se a livello biologico il maschile e il femminile rappresentano i biotipi di base, essi lo sono anche sul piano psichico e genealogico, e si possono racchiudere in una formula che li riassume per l’uno e per l’altro livello: archetipi primari.
Gli “archetipi primari” sono quindi il maschile e il femminile, l’uomo e la donna, il padre e la madre, il figlio e la figlia.

La psico-bio-genealogia basata sulla teoria degli archetipi primari che qui viene presentata non ha nulla o poco a che vedere con il genosociodramma in senso stretto, con la genealogia e la psicogenealogia comunemente intesi e nemmeno con la Nuova Medicina tout court.

Questo approccio prende naturalmente in considerazione gli approdi e gli apporti della psicogenealogia e della Nuova medicina, e anzi se ne serve al massimo, però li fonde all’interno di un percorso più sistemico e forse più radicale per entrambi i punti di vista, i quali spesso (ma verrebbe voglia di dire sempre) si escludono a vicenda.

La grande potenza dell’inconscio – che la Nuova medicina chiama “psiche”, anche se non la identifica con esso – risiede nel determinare i conflitti e il tipo di risposta a questi conflitti, ma se l’inconscio è potente nel malessere può essere altrettanto potente per il benessere: oltre alla presa di coscienza, che rappresenta di per sé già il 70% di ogni guarigione, l’inconscio necessità cioè di una nuova informazione, per non tornare a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni e dell’evoluzione.

… la presa di coscienza del conflitto rappresenta di per sé già il 70% della “guarigione”, anche nella terapia della Nuova medicina, ma se si tratta di processi inconsci c’è la necessità assoluta di fornire a questo – all’inconscio – una nuova informazione, affinché non torni a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni precedenti e della nostra stessa biografia (ciò che ci ha portato al conflitto e alla sua soluzione biologica).

È proprio qui che interviene l’atto “paradossale” od “ordalia” nella definizione di M. Erickson e di J. Haley, l’” atto psicomagico” nella definizione di A. Jodorowsky, che atto risolutivo, un atto che io chiamo “poetico”, ma che nella sostanza è di fondo lo stesso per tutti: un’azione pratica – il più delle volte carica anche di un forte valore simbolico – perché il linguaggio dell’” agire” è l’unico che l’inconscio recepisce.
Il passaggio all’atto è fondamentale, dopo la presa di coscienza, e procede di pari passo con essa: in termini fisiologici, la presa di coscienza agisce sul sistema nervoso volontario, mentre l’atto agisce sul sistema nervoso neurovegetativo. La prima agisce sulla neo-psiche, cioè, mentre il secondo interviene sulla psiche arcaica.
È quindi il passaggio all’azione simbolica, “psicomagica” o “poetica”, che va propriamente a riequilibrare gli archetipi primari sul piano inconscio, che rappresenta l’approdo più difficile da raggiungere a livello terapeutico: un’azione che ristabilisce, radica una nuova informazione e incammina verso la nostra vera e unica strada, senza più incorrere nella ripetizione e nella recidiva.


Fonte: Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli





giovedì 7 maggio 2015

Totm #41 - Essere o non essere

Se iniziamo veramente a considerare la questione dell’attenzione, avremo alcune strane sorprese. La nostra percezione del mondo si altererà in modo radicale. Iniziando ad usare la nostra attenzione come andrebbe veramente usata - come un’essenza - noi violeremo i limiti che il corpo impone sopra la nostra attenzione.
Il corpo è comunque una bassa forma di energia; non è così importante. Esso impone i suoi limiti; altrettanto fa la mente. Esistono limiti fisici, limiti psicologici, limiti emotivi; ed ogni volta che l’essenza usa l’attenzione come dovrebbe, questi limiti saranno violati.

Alla macchina non piace quando violiamo i suoi limiti auto-imposti. Siamo stati ben addestrati e ben indottrinati a trattare tali limiti come potenti tabù - talmente potenti che essi sono tutto fuorché inviolabili. Ogni singolo pezzetto di condizionamento che, nella vita, ci è stato versato dentro con munificenza da parte della vita organica, ogni singola unità di condizionamento della macchina, ed il condizionamento che noi, come essenza, abbiamo acquisito dentro, va in direzione opposta al corretto uso dell’attenzione.

Siamo intrappolati in quanto non possiamo usare la nostra attenzione. Ecco quello che ci tiene prigionieri - questo e nient’altro. Iniziando ad usare correttamente la nostra attenzione, tutti i limiti cadranno da soli. L’uso dell’attenzione da parte dell’essenza brucia tutti i limiti della macchina e quelli dei centri inferiori; cioè, l’uso dell’attenzione nel modo in cui dovrebbe essere usata, come dovrebbe essere intesa, nel modo in cui era destinata ad essere usata. Come ce l’abbiamo avuta sempre a disposizione, e non l’abbiamo mai usata.

Una cosa non usata si atrofizza, si intorpidisce e non è più usabile. L’esperienza di aver avuto una mano ingessata per un anno dovrebbe bastare a dimostrare la difficoltà di usarla, una volta tolto il gesso. Ci vorranno settimane, mesi o perfino anni per riacquistare la stessa libertà di movimento - se mai si riacquista pienamente.

Se non esercitiamo la nostra capacità naturale (e noi abbiamo in realtà due sole abilità, quella di essere qui, e quella di guardare le cose) se non esercitiamo queste due abilità, esse si atrofizzano.

Ora, il punto non è che si atrofizzeranno; si sono già atrofizzate. Dobbiamo renderci conto che iniziamo con dei muscoli molto cigolanti poiché inutilizzati. E ci faranno male. Come ogni muscolo nuovo o che non abbiamo usato da molto tempo.

Quando iniziamo ad usare l’attenzione come si dovrebbe, farà male; dobbiamo semplicemente aver la disciplina di continuare, di andare avanti giorno dopo giorno; e se lasciamo correre un giorno, non usando l’attenzione come dovremmo, se non la usiamo tutti i giorni, la perderemo. Un po’ come una lingua, se non la usiamo la perdiamo. Perdiamo qualunque capacità che abbiamo sviluppato, se non la esercitiamo.

Iniziando a riacquistare la nostra attenzione come dovrebbe essere, ci sentiremo come se fossimo stati a dormire per decenni, e forse per migliaia e milioni di anni. Inizieremo a ricordare noi stessi come veramente siamo, non come una macchina, ma a ricordare veramente noi stessi. L’unico modo in cui potremo farlo è di iniziare ad usare le nostre vere capacità, gli unici due poteri che effettivamente abbiamo; questo significa ri-addestrare la nostra attenzione.

Sarebbe interessante impegnarci proprio esattamente in questo - esercizi di attenzione appositi per aiutarci a riconquistare queste due abilità così profondamente importanti. E così tutto il resto brucerà da solo. Niente resisterà alla presenza di queste due cose.

Se riusciamo ad invocare la nostra stessa presenza nel presente, in questo spazio e in questo tempo, possiamo invocare noi stessi dovunque attraverso barriere dimensionali, dovunque vogliamo. Possiamo invocare noi stessi dovunque, quandunque ed in ogni circostanza. Ed essere dove vogliamo essere.
Se sviluppiamo la capacità di guardare, se impariamo a porre la nostra attenzione, a ritirarla da dove viene attratta, ed a porla dovunque vogliamo, questo di per se’ sarà tremendamente potente.

Se la nostra attenzione viene attratta dall’interesse, dalla fame, si radica lì, e non possiamo sollevarla di lì. Questa non è la nostra attenzione. Non ci appartiene. La nostra attenzione è stata attratta da qualcosa. Non abbiamo controllo su di essa. Dunque per riuscire a controllarla, dobbiamo esser capaci di ritirarla, di riportarla indietro e di porla di nuovo dove desideriamo; escludendo le intrusioni. La nostra attenzione dovrebbe essere nostra, non dovrebbe essere soggetta ad intrusioni.

Se siamo capaci di far questo, la nostra memoria tornerà. Sarà come se ci svegliassimo da un brutto sogno confuso. Saremo funzionanti come un se’ essenziale, come un’essenza. E questo è ciò che cerchiamo. Una situazione in cui possiamo imparare. Dove possiamo imparare che la nostra macchina è secondaria, ma anche che possiamo funzionare senza di essa. Noi desideriamo imparare ad assemblare la forma della macchina senza aver bisogno della macchina stessa. Dovremmo esserne capaci, ma non lo siamo, perché non abbiamo l’attenzione.

Quando un’attenzione altamente addestrata ed altamente disciplinata viene posta sulla macchina, la macchina stessa viene portata immediatamente in stato di veglia. Questo funziona solo con un’attenzione molto raffinata e molto potente. Può funzionare perfino per svegliare la macchina di qualcun altro, quando l’attenzione viene posta su di essa, sebbene dobbiamo stare attenti a non farlo.

Si possono fare anche altre cose con la nostra attenzione; solo facendola posare su qualcosa o qualcuno possono succedere delle cose.  Cose che alcuni possono chiamare magia o misticismo, ma questi termini sono fuorvianti. Le cose che accadono sono semplicemente effetti del collocamento dell’attenzione. Il potente collocamento dell’attenzione, o il collocamento di potente attenzione su un oggetto ha profonda influenza sull’oggetto.

Ricordate che, per definizione, l’attenzione è sempre specifica e la consapevolezza è sempre generale. Non è mai il contrario. Possiamo mettere la nostra attenzione su un oggetto, poi includervi, secondo un modello radiante, tutto ciò che sta intorno o è connesso ad essa, continuando ad espanderla indefinitamente.

Se togliamo l’attenzione via da tutto questo e la poniamo su un solo oggetto, tutta la nostra attenzione è, per il momento, solo su quell’oggetto. Ma la nostra consapevolezza generale è su tutto il resto. La nostra attenzione può aprirsi a ventaglio ed essere ancora specifica. Possiamo muoverla attorno come una torcia elettrica o un laser; solo un po’ più espansiva.

L’attenzione può espandersi o contrarsi, fermarsi e poi muoversi ancora; può essere sollevata del tutto, o essere divisa; ma è sempre specifica. Non è una consapevolezza generale. Dovremmo tener presente che ci sono due tipi molto differenti di guardare. Uno è consapevolezza generale e l’altro è attenzione.

L’attenzione non deve essere focalizzata, può essere “sfocalizzata”, o anche diffusa. Ma anche così non è ancora consapevolezza. Qui sono all’opera due cose. La consapevolezza viene da sola; si insinua tra le percezioni e le impressioni. Il termine “impressioni” significa “tutti i tipi di cose che ci arrivano”. Attenzione è qualcosa che noi dirigiamo; non è passiva, ma attiva.

L’attenzione dev’essere diretta intenzionalmente. Possiamo guardare un libro con la nostra consapevolezza, ma dirigere la nostra attenzione altrove. Possiamo richiamare indietro l’attenzione e dirigerla sul libro; è come una cosa fisica che prendiamo da dove si trova e mettiamo dove vogliamo.

Possiamo fare anche altre cose: possiamo togliere la nostra consapevolezza e mettere solo la nostra attenzione. In presenza di certe persone con alto grado d’attenzione possiamo sentire la differenza; c’è una precisa sensazione.

Non possiamo generare e dirigere le emozioni fin quando non riusciamo a lavorare con la nostra attenzione, poiché le emozioni - i veri stati d’animo - sono una funzione dell’attenzione. Non sono “sentimentali”, che significa “aver sensazioni fisiche prodotte dalla mente”; in Latino “sentire” significa “avere sensazioni fisiche” e “mens” significa “la mente”.

Operando con una consapevolezza generale, le nostre emozioni sono egualmente dipendenti dallo stimolo. Sono delle reazioni a stimoli. Ci interessa sviluppare qualcosa che non è una reazione o una risposta ad uno stimolo. Un qualcosa che viene da dentro, che proviene da noi. E perché venga da noi, dev'essere generato da noi. Non possiamo generarlo finche non ci alleniamo a farlo. Iniziamo dalle piccole cose. Partiamo da un punto atrofizzato, quasi un niente, e dobbiamo svilupparlo da soli.

Non è diverso da preparare più o meno qualsiasi esercizio che possiamo immaginare. Se non vogliamo farci male, dobbiamo prima fare un po’ di riscaldamento; arrivare a qualunque cosa sia molto lentamente. Dovremo prepararci.

Prendiamo la nostra attenzione e la poniamo su un bicchiere, per esempio. Il bicchiere pare essere infuso di luce, sembra più brillante, più vivo. Ha una sua auto-luminosità. La macchina non è più sveglia, ma quel tipo di attenzione - se diretta su di essa - la risveglierà. Se applicata al bicchiere, sveglierà un poco di più il bicchiere.

Dobbiamo lavorare con semplice attenzione. Prendiamola dal livello uno e portiamola avanti. Non ci dovremmo preoccupare di svegliare la macchina per ora. Quando poniamo l’attenzione che abbiamo attualmente sulla macchina, non succede nulla. Non c’è bisogno di chiederci perché! Quella che la maggior parte della gente chiama attenzione, e l’attenzione di cui stiamo parlando qui sono due cose differenti.
Impariamo facendo. Poco a poco, l’insegnamento dev'essere adattato al tempo, al luogo e alla gente.

Due, tre o quattromila anni fa, se fossimo riuniti a Sumer, per esempio, e dirigessimo la nostra attenzione sulla macchina, saremmo stati allevati durante tutta la vita con un certo tipo di attenzione, e potremmo contare sul fatto che quell’attenzione è del tipo che risveglia la macchina. Metteremmo l’attenzione sulla nostra macchina e sarebbe efficace. La nostra macchina si sveglierebbe e non sarebbe un grande shock.

Ma poiché siamo stati allevati in una società che è distruttiva rispetto a quel tipo di attenzione, all'uso dell’attenzione in questo modo, quando ci vien chiesto di porre sulla macchina la nostra attenzione, quest’ultima è talmente debole ed inefficace che non succede nulla di reale; non c’è l’effetto-risveglio. Non siamo maghi, stregoni, ‘sorcerers’, ‘sourciers’, qualcuno che è una sorgente; un ‘sorcerer’ è uno che è ‘causa delle cose’.

Poi c'è l'altra questione: da dove viene la nostra attenzione? Dapprima sembra provenire dai nostri occhi o da dietro di essi o da qualche punto dentro la testa, o attorno al corpo, o dentro di esso; potrebbe essere il petto, o la testa o la gola.

Ma in effetti la nostra attenzione non è in nessuna parte del corpo. Noi siamo associati con il corpo ed identificati con esso, ma non siamo per nulla vicini al corpo. La sorgente dell'attenzione, la nostra autentica collocazione, ci diverrà sempre più chiara; noi abbiamo una reale collocazione, ed una apparente.

Quella apparente è sempre stata ovvia; come essere, quella reale ci apparirà sempre più evidente, mentre esercitiamo la pratica dell'attenzione, come essa dovrebbe essere veramente usata. Certo, solo perché dovremmo usarla in quel modo non significa che ci venga imposto di usarla in quel modo. Se vogliamo avere vita come esseri, allora dovremmo usare l'attenzione come dovrebbe esser usata, poiché questo ci darà la chiave della vita.

Ma se decidiamo di non vivere come un essere, allora non c'è urgenza diretta di usare l'attenzione come un essere. In questo caso, qualunque uso o non-uso dell'attenzione va bene. La scelta è fra vivere come un essere, fra dischiudere la nostra vita come essere, oppure no. Essere o non essere, questo è il problema.

Fin quando non risolviamo questo problema, non possiamo procedere. Fin quando non prendiamo una decisione in un senso o in un altro, non sono possibili ulteriori progressi. Dobbiamo scegliere. Vivremo o continueremo come siamo. Prima va fatta questa scelta. Dopo, e solo dopo, possiamo iniziare a svelare il segreto della vita. Sto per vivere la vita come essere, oppure continuerò come ho sempre fatto. Adesso ci sta davanti questa scelta. E ci starà davanti fin quando decideremo in un senso o nell'altro.

Non possiamo evitare di scegliere. E nessuno può scegliere in vece nostra. Nessuno ci può incoraggiare in un senso o nell'altro; noi dobbiamo scegliere l'una o l'altra strada. O possiamo anche decidere di non scegliere; nel qual caso saremo ributtati laddove eravamo, prima di venire eccitati come esseri, prima di venir stuzzicati dai baffi del gatto, come un cristallo di germanio o un chip di silicone viene stimolato e fatto entrare in eccitazione.

Qualcosa ha eccitato il nostro essere e lo ha fatto venir fuori. Ora ci sta di fronte una scelta e non possiamo fare alcun movimento ulteriore, procedere oltre, o fare nulla finché no scegliamo l'una via o l'altra. La scelta non se ne andrà. Ci starà sempre di fronte. Non possiamo mendicare, comprare, prendere a prestito, ne rubare niente, con quella scelta davanti.

Si deve comprendere molto bene, questa scelta. Possiamo scegliere sia la vita dell'essere, il se' essenziale, sia la vita della macchina. Bisogna fare questa scelta prima di fare anche solo un semplice esercizio di attenzione. Altrimenti gli esercizi non ci faranno alcun bene. Perché dev'essere così? Qui c'entrano delle leggi reali, delle cose che si possono muovere come blocchi...

Non ci sono altre alternative. Possiamo sperimentare infilando le dita in una presa di corrente, ma dobbiamo fare una scelta, se vogliamo davvero fare esperienza di quanto ne conseguirà, se siamo in grado di prevederlo. Altrimenti i nostri sforzi saranno fuorviati di proposito. Se scegliamo la vita della macchina, essa non includerà una cosa come un esercizio di attenzione. Una volta decisa la strada, gli eventi avranno luogo di conseguenza.

Come diventa il corpo di una donna che fa body-building dopo che i muscoli si sono sviluppati? Il corpo somiglia molto a quello maschile, ma con muscoli di proporzioni più piccole. Grosse braccia e schiene ondulate, grandi bicipiti, e gambe grosse e spesse.

Chiunque decida di imbarcarsi in una classe di body-building deve veramente decidere se vuole che quello diventi il suo tipo di corpo. Prima di fare la più piccola cosa in termini di sviluppo del corpo, dobbiamo decidere se quello è ciò che vogliamo diventare; se vogliamo diventare una cosa grottesca così.

Immaginate come sarebbe grottesco per il se' essenziale svilupparsi secondo lo stesso concetto e divenire potente, molto più potente che nel corso ordinario degli eventi; nel corso ordinario della vita, generalmente un essere umano ha un se' essenziale molto poco sviluppato. Perciò avere un se' essenziale altamente sviluppato appare molto brutto per un essere umano medio; così strano, particolare, così alieno quanto ci appaiono queste creature dal corpo costruito.

Non potremmo proprio funzionare in un mondo umano, nel mondo ordinario, se fossimo così. Dovremmo rivestirlo dentro qualcosa; proprio come se costruissimo il nostro corpo in quel modo, dovremmo nasconderlo quando andiamo in strada. Potremmo solo scoprirlo tra altri body-builders.

Allo stesso modo, se sviluppiamo il se' essenziale lungo questa direttiva, svilupperemo la capacità del se' essenziale di auto-invocarsi. Ciò significa che saremo capaci di inviare noi stessi attraverso il labirinto, di sollevarci al di sopra del dedalo, e lasciarci cadere attraverso dove vogliamo cadere, usando alcuni trucchi topologici. Diverremo sciamani, viaggiatori e lavoratori nel Grande Labirinto.


Incontri con Fabio Pellegrini

https://www.facebook.com/fabio.pellegrini.56


martedì 14 aprile 2015

Invito al benessere – Annalisa Faliva

La suggestione può scatenare delle “tempeste” chimico umorali che spesso possono favorire la guarigione.

Ippocrate parlava di vis medicatrix natura: la forza risanatrice è insita nella nostra natura umana, e …

Proprio non so quanto sollievo puoi ottenere e non so quando … forse sarà nella mattinata verso le 10.30 o nel primo pomeriggio … o sarà stasera verso le 19.20 … o stanotte … non so quando precisamente … ma credo che sarà piacevole per te notare che a un certo punto … puoi sentirti bene … notare improvvisamente … quanto bene ti senti … ma anche se ti senti meglio più tardi stamattina, questo pomeriggio … questa sera o perfino questa notte, e potrai dormire profondamente bene … e non è straordinario sapere che non c’è proprio bisogno di sapere come o perché qualcosa succede, per godersi il semplice fatto che è successa? Qualunque risultato tu ottenga chiedi alla tua Mente Inconscia di imparare come è riuscita a ottenerlo … così che possa riprodurlo ogni volta che tu ne abbia bisogno.

Esercizi per imparare a fissare l’attenzione:
Pensa a un limone, visualizzalo più dettagliatamente che puoi, senti la buccia porosa nella mano, immagina di tagliarlo in due, di avvicinare una metà al naso e di odorare l’odore aspro del limone tagliato, di spremermene qualche goccia in bocca … Nota se inizi a salivare.

Immagina di stare salendo su un vulcano: è molto caldo e tutto scotta, il terreno sotto ai piedi è caldo, l’aria è bollente e trema di caldo attorno a te. Poco lontano il vulcano erutta colate di lava rossa e incandescente; il calore ti circonda, l’aria che respiri è calda; e lì, nella tua immaginazione, hai caldo, stai sudando e boccheggiando ti spogli. Nota quale impatto ha questo sulla tua temperatura.

Pensa ai brani musicali che ti emozionano; scegline uno che ti piace particolarmente. Inizia a sentire la musica nella tua mente: le vibrazioni che ti trasmette, lo stato d’animo che ti comunica; nota che effetto ha sul tuo spazio interiore. Ora pensa a un genere diverso; ascolta quest’altra musica dentro di te, e di nuovo osserva che cosa succede. Hai notato che, a seconda del genere musicale cambia anche il tuo spazio interiore?

Tieni il braccio destro sollevato davanti a te suggerisci a te stesso: “Ora il braccio sollevato diventa sempre più pesante, molto pesante … davvero pesante. Tutti i muscoli sempre più pesanti, come un pesante pezzo di cemento; così pesante, pesante, veramente pesante …” Nota che cosa succede.

Il respiro
Se la nostra respirazione è superficiale, indica un livello di rimozione, se è libera e profonda siamo in grado di accogliere parti inconsce e integrarle.

Esercizio 1: stenditi su un tappetino e solleva le ginocchia, poi appoggia i piedi a terra.
Fai dei respiri profondi e lascia che il corpo si lasci andare sempre di più ad ogni respiro. Le tensioni in alcune zone possono essere più marcate. Porta l’attenzione su quelle parti che necessitano di lasciarsi andare e attraverso il respiro invitale a sciogliersi. Potrebbero emergere ricordi lascia andare anche quelli. Lascia che la mente vada sui particolari che l’attraggono, e invita il corpo a sciogliere le tensioni. In questo modo puoi invitare tutto ciò che ha bisogno di andarsene a scivolare via.

Esercizio 2: siedi comodamente, chiudi gli occhi e fai cinque o sei respiri profondi.
Inspira dal naso e conta sino a 3. Trattieni contando sino a tre; espira più lentamente contando sino a sei. Ripeti l’intero ciclo per alcune volte.
La respirazione profonda permette una migliore ossigenazione che stimola il cervello e nutre le cellule del corpo. Inspirare dal naso fa sì che la gola non secchi e impedisce che la testa giri, per l’aumento di ossigeno. L’espirazione rilascia anidride carbonica e favorisce il rilassamento muscolare.
Con il tempo più inspirare contando sino a 5 o 6 ed espirando per il doppio o il triplo del tempo-.
Non sforzare mai il corpo, conta sino a dove comunque ti senti bene.
Mentre continui a respirare nota quale dei tuoi sensi a metterti meglio in contatto con la respirazione: vedere un’immagine di te che respiri, sentire i suoni del respiro e una voce che dice “sempre più rilassato” con ogni espirazione, o sentire il petto e la pancia che si alzano e si abbassano a ogni respiro … imparando a osservare tutto questo da dentro di te … sempre più presente e rilassato allo stesso tempo … facilmente … osservare ogni cosa.


Fonte: Invito al benessere, Annalisa Faliva, Urra Edizioni

martedì 3 marzo 2015

L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp

L’accoppiamento sessuale nelle sue molteplici forme
Graduatoria dell’energia sessuale
Il microsesso si conclude con gli sponsali delle cellule, l’unione tra l’agile, irrequieto spermatozoo e l’immobile, rigonfia cellula-uovo. Il codice genetico subisce un rimaneggiamento. Ne deriva un nuovo essere simile ma non identico ai due che lo hanno generato.

L’energia sessuale si può dunque a ragion veduta definire la forza che opera con l’intento di avvicinare e unire il corpo del maschio e il corpo della femmina. Un’energia che negli esseri viventi si manifesta in varie maniere e a vari livelli. Ora è necessario passare in rassegna le diverse forme in cui essa si estrinseca. Cominciamo con una graduatoria di questa energia.
Sul gradino più basso della scala troviamo le manifestazioni più deboli. Esaminando ostriche, stelle marine, meduse e anche altri organismi molto più complessi quali l’anfiosso e altro cefalocordati non si trova la minima traccia di una forza che operi per spingere all’unione il maschio e la femmina. Spermatozoi e uova vengono sparsi nelle acque degli oceani e si incontrano per caso, soltanto perché ne viene prodotto un quantitativo enorme. Non si può certo dire che le piante, impossibilitate a muoversi, manifestino anche un minimo di energia sessuale. Alcune, come il masi, poiché fanno assegnamento sul vento per ottenere che i soffici stigmi dei fiori femmina siano impollinati, per misura precauzionale sono costrette a fabbricare quantitativi iperbolici di polline. Né si può dire che le piante che si servono del curioso sistema di affidare agli insetti il trasporto del polline da un fiore all’altro rivelino di possedere energia sessuale. L’impollinazione entomofila è un’anomalia delle forma evolutiva della vita e non trova posto sulla scala dell’energia sessuale.
Un gradino più su delle ostriche e delle stelle marine possiamo collocare ad esempio il tritone. I tritoni non si congiungono nell’atto della copulazione, anzi non si abbracciano nemmeno. Ciononostante il maschio è attratto dalla femmina, le danza intorno, depone un involtino di sperma ai suoi piedi Leggermente superiore la forza che opera spingendo il maschio della sanguisuga a depositare il proprio seme nel corpo della femmina. I pesci si accoppiano spinti da forze che li inducono a un comportamento per noi mammiferi veramente stupefacente. Sebbene in alcuni di essi, come nel pescecane ad esempio, la fecondazione avvenga all’interno del corpo della femmina, la vera e propria copula non si verifica. Le rane si appiccicano e restano unite a lungo, ma la copulazione propriamente detta non può avvenire perché il maschio è sprovvisto di pene.
Di copulazione vera e propria possiamo invece parlare quando si tratta di insetti, rettili e mammiferi.

Per gli insetti sono certi composti chimici a fungere da esca. La maggior parte dei mammiferi è condizionata dal ciclo di produzione degli ormoni col risultato che il maschio è attirato dalla femmina soltanto in determinati periodi dell’anno.

L’uomo, guidato più dal cervello che dagli ormoni, costituisce una categoria a sé: maschio e femmina possono congiungersi in qualsiasi momento e sentono reciproca attrazione più o meno costantemente.

I suoi cugini, gli scimpanzé e le altre scimmie, hanno molto più ritegno, paragonati a lui.

Probabilmente è nell’uomo che l’energia sessuale si manifesta più spesso e forse con l’impulso più potente.
Per quanto riguarda la ricchezza in assoluto nel campo dell’esperienza sessuale il primo posto va aggiudicato alla chiocciola e agli altri ermafroditi che si accoppiano nello stesso modo. Perciò sono stati collocati in una categoria speciale. Tra le creature vivente sono quelle più doviziosamente dotate sessualmente e le loro orge di accoppiamenti ermafroditi con esasperate componenti sado-masochistiche fanno sembrare tediosa e scialba qualsiasi intemperanza umana.

Seme gettato al vento o sparso nell’acqua
Le ostriche non sono davvero amanti ardenti. Esse trascinano la loro monotona esistenza ancorate a una roccia, estraendo il loro cibo dall’acqua marina che filtrano coi movimenti ritmici ed incessanti delle cellule ciliate delle loro lamelle.
Tra maschio e femmina non è visibile la minima differenza; per meglio dire, come molti altri molluschi, esse possono essere l’una e l’altra cosa. Non allo stesso tempo però. L’ostrica europea, di forma piuttosto piatta, sfrutta al massimo i vantaggi di entrambi i sessi alternandoli: un anno è femmina, l’anno seguente è maschio. Nel campo della riproduzione questo tipo di ostrica è un po’ meno sciattona della sua parente americana. Quando è maschio sparge a casaccio il suo seme nella acque marine, ma quando è femmina trattiene le uova tra le lamelle. Lo sperma viene aspirato insieme alle altre particelle contenute nell’incessante flusso d’acqua che si insinua tra le valve. Non si sa bene per quale misteriosa ragione riesce a non farsi mangiare: feconda le uova. L’ostrica americana non si prende tanto disturbo, sparge le uova, così come lo sperma, nelle acque del mare. Per questo motivo, allo scopo di garantire la riproduzione, è costretta a fabbricare una miriade di uova. Per quanto sciattona questa ostrica americana ha per lo meno una buona abitudine: quella di buttare in mare uova e sperma nello stesso periodo di tempo. La sciagurata sarebbe estinta da un pezzo, se non fosse per questo suo tempismo. Molti altri animali marini e la maggior parte delle piante marine (le alghe) per riprodursi usano lo stesso sbadato sistema dell’ostrica. L’attinia, il riccio di mare, la stella marina, hanno tutti il vizio di spargere uova e sperma nel mare. Alcune stelle marine hanno sviluppato un sistema di riproduzione simile a quello dell’ostrica europea: producono una quantità ridotta di uova ricche di vitellino e le raccolgono in sacchettini, impedendo così la dispersione. Ma comunque la unione tra maschio e femmina non avviene. Lo sperma vaga negli oceani in quantità enorme e il suo incontro con le uova dipende dal movimento dell’acqua.

Insetti paraninfi
Le piante che producono fiori possono avere, distribuiti separatamente, alcune i fiori maschi ed altre i fiori femmina, oppure dare fiori forniti sia degli organi maschili sia di quelli femminili: gli stami che producono il polline e gli stigmi che il polline lo ricevono.
In entrambi i casi, per ottenere a mezzo della riproduzione sessuata una fusione di codici genetici è necessario che il polline, l’equivalente dello sperma degli animali, venga trasferito sugli stigmi del fiore di una altra pianta. L’impollinazione affidata al vento è incerta e richiede una smisurata produzione di polline; perciò alcune piante hanno escogitato un meccanismo biologico che è tra i più curiosi: l’impollinazione a mezzo degli insetti.

Amore vorace
La sanguisuga, per esempio, è una creatura a dir poco repellente le cui abitudini in campo sessuale non sono meno disgustose del suo metodo di alimentazione. Le sanguisughe sono ermafrodite, il che significa che lo stesso individuo produce sia le uova che lo sperma. Però non posseggono nessuno degli organi tradizionalmente considerati strumenti dell’atto sessuale, essendo prive sia del pene per introdurre il seme, sia della vagina per ricevere il seme stesso. Quando le sanguisughe si accoppiano, quella che assume il ruolo di maschio si avvinghia al corpo di quella che funge da femmina. La facente funzione di maschio deposita sul corpo della compagna una capsula a forma di sacchetto chiamata Spermathophora, che contiene sperma compresso. Nel punto in cui aderisce, questa capsula produce un enzima ad alto potere dissolvente che dove tocca scava addirittura un buco nelle carne. Attraverso questo buco lo sperma viene iniettato a forza nella cavità interna del corpo della “femmina”, dove a sua volta viene attaccato da cellule speciali che lo fagocitano. Gli spermatozoi sopravvissuti alla strage hanno la possibilità di essere trasportati verso le ovaie dal flusso degli umori corporali e può darsi che riescano a perforare le pareti delle ovaie e a fecondare le uova. La sanguisuga femmina ci guadagna una ferita profonda che ci mette tre giorni per rimarginare.

Un’altra tecnica degna di stuzzicare la fantasia del marchese de Sade è quella scelta da alcuni vermi di mare appartenenti al gruppo dei Platelminti. Quando giunge il periodo per la riproduzione, questi vermi sciamano a frotte, si riuniscono, e una volta messa insieme una bella folla di maschi e femmine si abbandonano a orge. Le femmine assalgono i maschi, staccano le loro code con un bel morso e le ingoiano: un festino d’amore nel senso letterale della parola! I maschi, come la maggior parte dei vermi, posseggono uno sviluppatissimo potere di rigenerazione perciò abbandonano il campo a nuoto e si fanno ricrescere i segmenti mancanti. Le femmine digeriscono quanto hanno ingerito durante il festino cannibalesco, il pezzetto di maschio che, guarda caso, contiene proprio i testicoli e tutta la riserva di sperma. Gli spermatozoi, liberati dall’involucro a causa dell’azione dei succhi gastrici della femmina, perforano la parete dell’intestino, si fanno strada nella cavità interna del corpo, localizzando e fecondando le uova. Il passaggio attraverso l’apparato digerente della femmina, per quanto rischioso possa apparire, è indispensabile per attivare lo sperma. Gli spermatozoi che non passano attraverso questa prova del fuoco non sono in grado di fecondare l’uovo.

In tutte queste forme la forza che spinge il maschio e la femmina ad unirsi è difficilmente valutabile. I frutti dell’amore appaiono strani e poco invitanti. La sanguisuga esce dall’amplesso con dei buchi nella carne. Al maschio Platynereis viene portata via la coda con un morso. La femmina Peripatus riceve una stilettata nei visceri.

La via sessuale dei ragni sembrerebbe ancor più deludente; per la verità è circondata da tanti pericoli che è un vero miracolo se queste creature sono riuscite a sopravvivere. Lungi dal sentirsi spinto ad abbracciare la sua compagna, il ragno maschio ha tutte le ragioni per starle il più lontano possibile, viste che la signora ha il brutto vizio, una volta sacrificato a Venere, di rifocillarsi sgranocchiando il marito. Perciò il maschio tiene la femmina a distanza, nel senso letterale della espressione e per espletare la funzione sessuale non usa quell’organo intimo che è il pene, ma il palpo, un’appendice situata in fondo a una delle sue quattro paia di zampe. Dato che il palpo non è collegato direttamente con le ghiandole produttrici di sperma, per trasferire il suo seme il ragno usa il sistema indiretto. Anzitutto tesse una ragnatela speciale, poi depone in questa ragnatela una goccia di seme, dopo di che immerge il palpo nello sperma per riempire un organo minuscolo, simile a una siringa ipodermica lillipuziana, chiamato receptaculum seminalis. Il ragno introduce una di queste siringhe nell’orifizio dell’apparato genitale della femmina, inietta il suo sperma e se la dà a gambe più in fretta che può per sfuggire all’abbraccio della compagna e al pericolo di venire trasformato in uno spuntino.

In certi insetti la tendenza al cannibalismo di cui dà mostra il ragno femmina arriva molto più in là. Jean Henri Fabre, l’acuto e sensibile studioso della vita degli insetti, rimase addirittura disgustato da tali deviazioni dell’impulso sessuale. “Che dire”, egli domanda, “della cavalletta, che prima di deporre le uova, squarta il corpo del compagno e ne mangia quanto più può? E del grazioso grillo, la cui femmina si trasforma in una iena, sfascia l’arpa dell’amato che le ha appena dedicato una splendida serenata strappandogli senza pietà le ali e, a prova della propria gratitudine, se lo divora parzialmente?”.

Il primo premio per questi festini di carattere amatorio-cannibalesco probabilmente spetterebbe alla mantide religiosa, le cui usanze sono state anch’esse descritte da Fabre.
“La mantide, in genere, non è mai sazia di estasi nuziali e di banchetti. Dopo un periodo di riposo che varia a seconda se le uova vengono deposte o no, un secondo maschio è accolto amorosamente e poi divorato come il primo. Gli succede un terzo: questi porta a termine la funzione per cui è nato, viene mangiato e scompare dalla scena. Un quarto subisce il medesimo destino. Ho visto la stessa mantide distruggere in questo modo, nel corso di due settimane, ben sette maschi. Essa se li stringe al seno e poi li costringe a pagare con la vita l’estasi nuziale. Vediamo una di queste orribili coppie impegnate come segue: il maschio, assorto nell'esercizio delle sue funzioni vitali è avvinghiato alla femmina in uno stretto abbraccio. Ma il disgraziato non ha più testa, non ha collo, a malapena si può dire che abbia ancora un corpo. L’altra, le mandibole rovesciate, continua placidamente a rosicchiare ciò che resta del cigno gentile. È nel frattempo, quel moncherino di maschio, abbarbicato fermamente alla femmina, continua la sua bisogna! Si dice che l’amore sia più forte della morte. Preso alla lettera, mai l’aforisma ha ricevuto più brillante conferma. Una creatura decapitata, un insetto amputato della parte superiore del corpo, un vero e proprio cadavere, persiste nello sforzo di trasmettere la vita. Desiste soltanto quando la femmina prende d’assalto l’addome, nel quale sono situati gli organi della riproduzione”.
Queste scoperte riempivano Fabre di tristezza. “Ho visto con i miei propri occhi e ancora non sono rinvenuto dallo stupore”.
Probabilmente avrebbero invece fatto la delizia di un latro francese, di colui che non si stancava mai di sottolineare le peculiarità criminali insite nella natura: “O, state tranquilli, nessun delitto al mondo potrà mai attirare su di noi la collera della natura; tutti i delitti servono ai suoi scopi, tutti le sono utili e quando essa ci spinge a commetterli state pur certi che è perché ne ha bisogno” (De Sade, Juliette).


L’amore in fabbrica
Cominciamo dalle api. Apis Mellifera, o ape mellifica. Abbiamo di fronte una situazione in cui l’attività sessuale è stata eliminata dall'esistenza di quasi tutti i membri della colonia. Nell’arnia la copulazione è un fatto sconosciuto. Le migliaia di lavoratori che vanno e vengono incessantemente, trasportando il polline o il nettare proveniente dai fiori che hanno visitati, sono tutte femmine. Femmine esclusivamente in rapporto alla genetica, però, perché i loro organi sessuali sono atrofizzati ed esse non possono accoppiarsi.
Nell'alveare, l’energia sessuale si manifesta soltanto una volta in tutta la vita della regina. E questo avviene in maniera talmente drammatica da risvegliare lo stupore degli scienziati e l’ammirazione dei poeti.

Maeterlinck, scrivendo prima che la “Grande Illusione” rendesse gli scrittori piuttosto cauti in fatto di entusiasmi, dedicò parecchie pagine di prosa fiorita alla descrizione dell’avvenimento. “Essa sfreccia verso l’alto, verso una zona luminosa che le altre api non raggiungono in nessun momento della loro vita. Da lontano i maschi, che cullano la loro pigrizia tra i fiori, hanno scorto l’apparizione, hanno respirato l’affascinante profumo che dilaga all’intorno finché ogni alveare dell’apiario ne è impregnato. Immediatamente si raccoglie una folla di pretendenti che insegue la regina nel mare della beatitudine, la cui trasparente frontiera è sempre più evanescente. Essa, ebbra del gioco delle sue ali, obbedendo alla splendida legge selettiva della sua specie che le impone di eleggere ad amante il più forte, l’unico che saprà raggiungerla nella solitudine degli spazi eterei, sale, sale sempre più. Per la prima volta nel corso della sua vita, l’aria azzurrina del mattino penetra negli stigmi della sua trachea simile a un nettare divino, cantando la sua canzone nella miriade di tuboli delle sacche tracheali colme di vento al centro del suo corpo. Ancora più in alto. Deve trovare una zona non disturbata dal volo degli uccelli che potrebbero profanare il mistero. Sale ancora; e già la frotta eterogenea che la insegue sta diradandosi, sfoltendosi. I deboli, i malati, i vecchi, i derelitti, i denutriti provenienti da cittadelle in letargo o impoverite rinunciano all'inseguimento e scompaiono nel vuoto. Resta soltanto un piccolo grappolo di infaticabili, sospeso nell'infinita distesa opalina. La regina costringe le proprie ali a uno sforzo supremo, ed ecco che il prescelto da forze misteriose la raggiunge, l’afferra e con essa si libra verso l’alto in un impeto congiunto. La spirale ascendente del loro volo intrecciato turbina per un istante nella ostile follia dell’amore”.
La “ostile follia”, in questo caso, è un riferimento al fatto che la femmina uccide il compagno; non divorandolo come fa una mantide religiosa, ma strappandogli dall’addome l’apparato genitale al completo. Il Romeo sbudellato precipita al suolo. La regina “scende dalle alture celesti e torna all’alveare, trascinando, come un orifiamma spiegato al vento, i visceri dell’amante”.
La morte del fuco non ha nessun importanza. La regina gli ha portato via la sola cosa che conti e ha immagazzinato nella propria spermateca una riserva di spermatozoi sufficiente a metterla in grado di deporre uova fecondate al ritmo di duemila al giorno, durante i seguenti cinque anni.

Da certe ghiandole speciali, le operaie secernono un cibo che gli apicoltori chiamano gelatina reale; durante i primi tre giorni di vita tutte le api vengono nutrie con questa sostanza, ma in seguito con la gelatina reale sono alimentate unicamente quelle destinate a diventare regine, e che nasceranno da uova collocate in celle particolari, molto più grandi delle altre. Dopo sedici giorni, dalle larve emergono le giovani regine. La prima che spunta, immediatamente, d’istinto, assassina tutte le consorelle regine, trafiggendole prima ancora che escano dalle loro celle. Dopo di che intraprende il volo nuziale già descritto.

L’assassinio delle regine rivali è soltanto uno dei massacri che sistematicamente si verificano nell'alveare. Ancor più drammatico è il genocidio dei fuchi, dei maschi in soprannumero che vengono periodicamente assaliti dalle operaie e sterminati senza pietà.



L'energia sessuale - Robert. S. De Ropp - Longanesi & C. 

domenica 1 febbraio 2015

Master Game - Robert S. De Ropp

LE CINQUE STANZE
Possiamo essere ancora più precisi e sostenere, basandoci su valide prove, l’esistenza di cinque livelli di coscienza accessibili all'essere umano:
  • Sonno profondo senza sogni – Primo livello
  • Sogno – Secondo livello
  • Sonno da svegli (identità) – Terzo livello
  • Trascendenza di sé (ricordo di sé) – Quarto livello
  • Coscienza oggettiva (coscienza cosmica) – Quinto livello
La natura fornisce all'essere umano il primo, il secondo e il terzo livello di coscienza. Sono i livelli indispensabili per la vita, per la conservazione del corpo fisico e la perpetuazione della specie. Non fornisce invece l’esperienza del quarto e del quinto livello. È come se, per un errore nel suo schema evolutivo, l’essere umano avesse sviluppato un meccanismo che rende difficile sperimentare i due stati superiori di coscienza. 

SONNO SENZA SOGNI: la percezione è assente. L’attività è ridotta al minimo. Sono in atto i respiro, il battito cardiaco e altri processi involontari, ma manca completamente la consapevolezza di sé. È il sonno senza sogni, l’oblio fratello della morte. È la prima stanza in cui l’essere umano deve trascorrere gran parte della vita, perché solo nel sonno gli organi del corpo preposti alla rigenerazione (le nostre batterie vitali) si ricaricano.
Se gli viene impedito l’ingresso nella prima stanza, l’organismo può subire danni irreparabili. L’incapacità di dormire è uno dei primi sintomi della schizofrenia, una delle più comuni e più gravi forme di malattie mentali.

STANZA DEI SOGNI: non passiamo mai l’intero periodo del sonno nella prima stanza, e farlo sembra produrre effetti non salutari. Obbedendo a una legge ancora poco conosciuta, di tanto in tanto lasciamo la prima stanza ed entriamo nella seconda, quella dei sogni. Qui “vediamo” scene ed eventi davanti a noi, come se fossero proiettati su un grande schermo. Ho messo il verbo “vedere” tra virgolette perché, con gli occhi chiusi e la stanza immersa nell’oscurità, la retina non può essere impressionata da alcuna immagine. Si tratta di un vedere puramente mentale, eppure, attraverso un misterioso collegamento tra il cervello e gli occhi, quando sogniamo questi ultimi si muovono rapidamente, come se seguissero effettivamente una scena.

SONNO DA SVEGLI: il terzo stato di coscienza sorge quando l’individuo si sveglia dal sonno fisico e si trova immediatamente sprofondato in una condizione chiamata “identificazione”. L’identificazione è infatti il tratto distintivo del terzo stato di coscienza, in cui l’individuo non ha una consapevolezza autonoma, ma si perde in tutto ciò che fa, pensa e sente. Essendo l’essere umano perso e non presente a se stesso, Gurdjieff definisce il terzo stato di coscienza “sonno da svegli”.
L’uomo che si trova in questa condizione non è l’uomo vero, bensì una macchina priva di unità interiore, di reale volontà e di un io permanente, mossa e manipolata da forze esterne come un burattino dal burattinaio.
Inoltre, questa persona addormentata è attorniata da latri dormienti, e la cultura in cui vive è intesa a perpetuare questo stato di sonno. 
  
TRASCENDENZA DI SÉ: la possibilità di entrare nel quarto stato di coscienza dipende dall'averne già fatto esperienza.
… l’uomo può avere, e ha, dei barlumi di questo stato in seguito a un’emozione religiosa provata davanti a un’opera d’arte, nell'estasi sessuale o in situazioni di grave pericolo. In circostanze come queste, si dice che egli “si ricorda di se stesso”.
Il ricordo di sé è una separazione della consapevolezza da tutto quello che facciamo, pensiamo e sentiamo. Il suo simbolo è la freccia a due punte, che indica una duplice consapevolezza. C’è un agente e c’è un osservatore, che è la consapevolezza oggettiva di sé; c’è il senso di essere separati, staccati dalle limitazioni del copro fisico; c’è un senso di distacco, di non identificazione.

Quando veniamo a sapere dell’esistenza della quarta stanza, la nostra vita giunge a un bivio. Possiamo cercare di ignorarla, comportandoci come se non esistesse e ricadendo nello stato di totale identificazione, oppure provare il desiderio di giocare il Master game e cercare qualcuno che ci spieghi le tecniche del gioco.
Tutte le ricchezze di Creso non avrebbero consentito ad un re del passato di fare un’esperienza per noi normale come salire su un aereo.
La terza stanza è così comoda, sicura e piena di cose, quindi, perché dovremmo salire nella quarta? Che cosa può offrirci di più della terza?
La risposta è ovvia. La libertà. Solo nel quarto stato di coscienza ci liberiamo dalla tirannia dell’io e dalle paure e sofferenze che questa entità provoca. Una volta entrati nella quarta stanza, e dopo aver imparato ad abitarla, siamo liberi dalla paura. Le parole “io” e “mio” perdono il loro significato. Non ci identifichiamo più con il corpo fisico e non attribuiamo eccessiva importanza ai processi materiali.
Uno dei poteri che si sviluppano nella quarta stanza è la capacità di morire volontariamente.
L’uomo che vive nella terza stanza può credere di essere padrone di se stesso, ma in realtà non ha nessun controllo sulle sue azioni. Non è nemmeno capace di camminare per strada senza perdersi nelle più svariate impressioni che “colpiscono la sua immaginazione”. Padrone di sé è solo chi vive nella quarta stanza: sa dove sta andando, sa di stare facendo una certa cosa e perché la fa. Il suo segreto è il distacco dal risultato delle azioni, e misura il successo e il fallimento non in base ai risultati esteriori, ma in termini di consapevolezza interiore. 

COSCIENZA COSMICA: R.M. Bucke scrive, nel suo La coscienza cosmica, che la sua caratteristica principale è appunto una “coscienza del cosmo, cioè della vita e dell’ordine dell’universo”.
Un altro esempio è la visione cosmica che Krishna rivela ad Arjuna nella Bhagavad Gita.
Un contatto scorretto con la quinta stanza, attraverso le droghe o altri strumenti, può provocare danni irreversibili causati dalla potenza delle impressioni su una consapevolezza non sufficientemente preparata.
Nessuno, per quanto dotato di grandi capacità, può trasmettere a un’altra persona un diverso livello di coscienza. 


Fonte: Master Game