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mercoledì 18 gennaio 2012

Pensare col corpo - Jader Tolja, Francesca Speciani

La malattia risponde a un preciso disegno, o meglio a un imprescindibile principio di autoregolazione che, se a livello macroscopico va a compensare tutta la struttura psicologica dell’individuo, a livello macroscopico può riflettersi sulle reazioni.

Il grosso rischio che si corre intervenendo “terapeuticamente” dall’esterno sul processo psicofisico di una persona è quello di interrompere il suo equilibrio. L’organismo umano, infatti, tende naturalmente al mantenimento di una condizione di stabilità (che la scienza chiama “omeostasi”, ma potrebbe essere definito meglio come “oleodinamica” per chiarire il nesso tra il continuo lavoro di adattamento e la stabilità che tale lavoro serve a mantenere). È grazie a questo meccanismo che abbiamo 37° di temperatura sia in estate sia in inverno, sia davanti al camino sia uscendo di casa sotto la neve.
Se dare attenzione a un sintomo può essere vantaggioso per comprendere il messaggio che porta con sé, non è sempre detto che una malattia, lasciata a se stessa, guarisca da sola così come fa un’influenza.
Ciò che conta non è come si interviene, ma l’atteggiamento di chi riconosce alla malattia una sua motivazione, una logica, un’intelligenza, una dignità e una funzionalità anche se su piani che sfuggono l’evidenza. E questo richiede un approccio terapeutico che vada più precisamente nel senso etimologico della parola.  Diverso dalla sua accezione comune è infatti il significato originario del termine greco “therapeia”, ovvero servizio, accompagnamento, assistenza.

Il sintomo non è che una zona d’ombra da indagare, come un aspetto di sé che non si riesce a vivere e a concretizzare. Nel sintomo è già presente la parte di sé che ancora non è emersa alla coscienza. Una volta ritrovato ciò che manca nella propria vita, in genere il sintomo non ha più ragione di essere. La malattia rappresenta dunque un completamento, ma se l’organismo in genere è disponibile ai cambiamenti necessari, non è detto che lo sia anche l’individuo. Dopo tutto, come un programma per computer, non fa quello che si vuole, ma quello che può fare in base a ciò che gli si dice.
Tutto questo implica sostanzialmente che ogni situazione in cui ci si trova o la malattia che si ha è sempre la migliore soluzione a disposizione in quel preciso momento, sulla base delle informazioni di cui si dispone. Tuttavia, queste informazioni possono essere ampliate – questo è l’obiettivo fondamentale della terapia – per arrivare a una soluzione più opportuna.
In una grande quantità di casi guarire significa semplicemente osservare, comprendere e onorare quello che succede, invece che interromperlo o modificarlo.

Le scelte legate al proprio benessere sono quasi sempre vincolate al contesto in cui ci si trova  e, dato che la nostra cultura appare molto spostata verso l’universo del massimo controllo, il primo esempio, benché estremo, può apparire tutto sommato normale.
Più ci si allontana dalla cultura in cui si vive, più alto è il prezzo che si paga in termini di difficoltà e isolamento sociale.

Marcel Proust: “sembra che la natura sia in grado di darci solo malattie piuttosto brevi. La medicina ha inventato l’arte di prolungarle”.

Ogni volta che nelle sue scelte di vita un individuo non tiene conto dei suoi istinti di sopravvivenza, associati all’aggressività e alla sessualità – e quindi si muove solo dopo lunghi ragionamenti o spinto da impulsi affettivi, di fatto opera una chiusura dei centri più bassi agendo sui plessi neuro ghiandolari – o chakra. Se questa situazione si riflette a livello funzionale nella scarsa mobilità del bacino e delle gambe, a un altro livello può condurre a una serie di sintomi associati a questo “fermare”, quali cellule o accumuli di grasso dalla vita in giù, vene varicose, flebiti, gambe pesanti, emorroidi, caviglie gonfie e piedi sudati.

Una chiusura a livello affettivo si riflette invece in un torace fermo e ristretto, talvolta con sofferenza o insufficienza toracica, oppure in una espansione di questa zona, con sintomi quali mal di cuore, bronchiti, asma, mal di gola, enfisema, seno particolarmente minuto o abbondante.

Quando la parte chiusa è quella razionale – come capita quando si desidera evitare costantemente pensieri ritenuti inaccettabili o disturbanti – ecco che possono insorgere problemi quali cefalea, problemi al tratto cervicale della colonna (che unisce la testa al resto del corpo), tumori della testa o problemi di vista.

Il corpo umano, per funzionare, ha bisogno di un’enorme quantità di acqua. In particolare, quanto più è umida e scivolosa la fascia connettivale – ovvero il tessuto che, divide e collega tra loro tutte le strutture anatomiche – tanto minore risulta la distinzione interna tra ossa, muscoli, organi, pelle …
Per contro, quanto più la fascia connettivale è asciutta tanto maggiore è la separazione tra strutture interne. Così nel corpo, il secco ha una funzione separatrice e l’umido di rimescolamento. Analogamente – anche nelle relazioni – quanto maggiore è il bisogno di distinzione e di separazione, tanto più i modi delle persone coinvolte diventano “secchi”; mentre quando due persone cercano una fusione, un’intimità tale da annullare le barriere, i loro modi e i loro corpo si fanno più fluidi, si inumidiscono.

Quando si voglia accentuare o sviluppare il controllo della mente sull’inconscio o sul corpo, uno degli stratagemmi più comuni per l’organismo è quello di asciugarsi, di inaridirsi. Quando ci si muove nella direzione opposta e si desidera in qualche modo “sciogliere” la mente, lasciare che si diluisca all’interno del corpo, l’organismo aumenta il suo tasso di umidità, spostando il cursore verso una situazione più florida.

La fascia connettivale, dal cui stato dipendono in gran parte le caratteristiche del movimento, è bagnata, tramite la guaina dei nervi, dal liquido cerebrospinale, il che spigherebbe perché l’organizzazione di questo tessuto è strettamente connessa alle condizioni del sistema nervoso. La fascia infatti avvolge e tiene organizzate insieme, ma distinte, le varie strutture corporee e permette loro di scivolare una sull’altra donando una maggiore ampiezza, fluidità e grazia ai movimenti quanto più è irrigidita e rendendoli invece più secchi e strutturati quanto più è asciutta.

In una situazione di stress, ciò che normalmente si verifica è una riduzione del funzionamento delle strutture più interne del sistema – quali viscere, organi interni – a favore di uno spostamento dell’energia e dell’attenzione verso le strutture nervose più esterne del cervello come quelle corticali.

Nel momento in cui lo stress cessa, gli organi ricominciano a funzionare e si liberano dei veleni accumulati, il sangue ripulisce la fascia (portando le tossine verso gli organi) e soprattutto ricomincia a irrorarla. Frequentemente questo processo di disintossicazione e reintegrazione viene percepito dal soggetto con l’emergere di un senso di stanchezza fisica e, a livello psicologico, con sensazioni di svogliatezza, difficoltà di concentrazione, passività che, nel caso in esame, potrebbero essere considerate erroneamente come l’effetto del trattamento a cui ci si è sottoposti invece che come la reazione fisiologica dell’organismo alla situazione precedente.

Quando invece di fronte a un malessere si prende un’aspirina per potersi rituffare nella propria grande attività ignorando i segnali del corpo, non si fa che rimandare il momento dei lavori di casa. Tra le sue modalità di funzionamento, l’aspirina ha quella di prosciugare il corpo. Il suo principio attivo, infatti, è l’acido acetilsalicilico, isolato dalla corteccia del salice. Il salice è una pianta che prospera in ambienti umidi e ha appunto bisogno di un principio attivo capace di determinare una secchezza interna che gli permetta di non marcire.

Nell’organismo umano la riduzione del dolore che avviene grazie al processo di “essiccamento” dei tessuti operato dall’acido acetilsalicilico, se protratto può tradursi in una sorta di “mummificazione” progressiva dei tessuti.

Viceversa, dopo una seduta di lavoro corporeo o di una psicoterapia, dopo una terapia che preveda la reintegrazione di vitamine e minerali persi, o in seguito ad altre esperienze di recupero, può emergere in un individuo uno stato di profonda prostrazione. Non è qualcosa di nuovo, ma solo la spossatezza che non ci si è concessi di vivere a suo tempo.

Per il malato con l’artrosi cervicale, potremmo ipotizzare un bisogno, indotto forse da motivazioni di ordine educativo o culturale, di separare la mente dal corpo, cioè di non lasciare che la sua mente sia condizionata dalle informazioni che arrivano dal corpo (quando il collo è rigido, infatti, non si sente che cosa dice il corpo). Forse perché ha imparato a svalutare, forse perché è incapace di gestirle, forse ancora perché non corrispondono al suo modello ideale, ai suoi valori, alla sua concezione della realtà, a ciò che secondo lui “dovrebbe essere adeguato sentire in relazione al modello culturale che ha scelto – più o meno consapevolmente – di rappresentare.

Confondere il modello con la realtà sarebbe come andare in un ristorante e mangiare il menù (Arthur Bloch).

L’individuo che funziona sul bisogno rinuncia a esprimere la sua potenza, incarnando molto bene la fase orale dell’evoluzione. La sua sopravvivenza è legata all’identificazione con la persona che segue e con cui diventa tutt’uno. Il suo obiettivo primario è non crearle problemi.
Per aderire a un’immagine meno sana e capace di quello che sarebbe consona e naturale per la loro età, anche il loro corpo si presenta spesso minuto e privo di potenza, con un’energia che è tutta trattenuta all’interno perché non si manifesti all’esterno, ed è quindi causa di una continua tensione nervosa. Appoggiati su gambe che non esprimono forza e consistenza, hanno torace e spalle più stretti di quanto ci si possa aspettare in persone della loro età.
L’atteggiamento fisico è di tipo “concavo”; il respiro è corto, più scarso del suo potenziale: il mantenimento della strategia basata sul bisogno richiede infatti di non riempirsi adeguatamente. Lasciarsi nutrire e riempire, apprezzare quello che riceve, infatti, porta a crescere, a espandersi, ma mobilitare gli organi addominali (fonte di potenza), e tutto questo non è compatibile con la strategia adottata.

Se una persona tiene il torace in una condizione di costante svuotamento, la sua debolezza “polmonare” si rifletterà in un tipo diverso di disturbi, quali per esempio frequenti bronchiti.
L’eccessiva tensione, contrazione e “implosione” (con tutto il suo corredo di frustrazioni) porterà invece più facilmente a malattie quali la gastrite o l’ulcera.
La pressione arteriosa (forza interna necessaria a contrastare una pressione esterna, fisica o psicologica) di questa persona orientata alla dipendenza, che si assume meno responsabilità, avrà probabilmente una tendenza alla pressione bassa.
Le malattie avranno una stretta relazione con l’indebolimento (anemia, miastenia, anoressia) o con l’impotenza del corpo e col suo progressivo rattrappirsi, come nella sclerosi multipla, nella distrofia muscolare, negli handicap.

Chi basa la sua strategia sul potere si presenta invece con una postura più eretta e una struttura più espansa rispetto a una condizione neutra. Ha un respiro particolare, come se il polmone avesse difficoltà a lasciar uscire tutta l’aria inspirata. Di conseguenza il torace è molto espanso e il diaframma ha un’escursione ridotta e non può massaggiare con il suo ritmico contrarsi e distendersi tutto il contenuto della cavità addominale, che risulta quindi meno mobile di quanto potrebbe. La parte bassa della schiena e gli arti inferiori sono in uno stato di tensione permanente e ricevono poca energia perché, col proprio respiro, con l’attenzione e con la circolazione favoriscono, inconsapevolmente ma regolarmente, la parte superiore e anteriore del corpo, cioè quelle che danno una sensazione maggiore di potere e di forza più immediate a livello visivo. Psicologicamente crede di non aver alternative e quindi cerca di ottenere ciò che gli serve dal potere che ha. Il modo in cui se ne appropria è scoprire su quali aspetti siano più vulnerabili o ricattabili le persone che lo circondano.
Ha una fantasia di essere generoso, ma difficilmente si rende conto che la sua generosità spesso finisce per sottrarre all’altro la sua autostima, la capacità di fare da solo, l’autonomia.

Se una persona tiene costantemente il torace in inspirazione per sentirsi più potente, più facilmente andrà soggetta a malattie quali asma o enfisema.

L’escursione limitata del diaframma e la scarsa mobilità degli organi spesso accompagnati da eccessi alimentari e in particolare di zuccheri – necessari per nutrire le ghiandole surrenali che in questa situazione lavorano molto – rendono più esposti a malattie metaboliche quali il diabete.
La pressione arteriosa (forza interna necessaria a contrastare una pressione esterna, fisica o psicologica) di questa persona fortemente orientata all’indipendenza, che si “carica” di responsabilità al di là del naturale, avrà una tendenza alla pressione alta.
Le malattie come l’handicap, l’incidente che impedisce temporaneamente o definitivamente l’attività, debolezza delle caviglie (storte, slogature), malattie improvvise, sindrome da affaticamento cronico sono tipiche di chi ha esasperato la sua indipendenza.

Dal momento che l’organismo ha bisogno per definizione di essere organico, la sua intelligenza trova sempre un modo per esprimere anche la polarità opposta. Gli “arretrati” della polarità complementare non espressa si manifestano quindi in modi ombra, quali la malattia, altri comportamenti o eventi apparentemente casuali che diano sfogo agli aspetti non riconosciuti di sé.

Altre strategie
Negazione del bisogno: tutto l’impegno è volto a mostrare che non si ha bisogno degli altri (es. il navigatore solitario, l’alpinista individuale …). Il corpo è ovviamente molto tonico, atletico e ben integrato, come deve essere per riuscire ad affrontare le sfide a cui viene sottoposto. In compenso, anche a livello fisico, si nota spesso l’incapacità di abbandonarsi al supporto degli altri. A differenza di chi usa una strategia basata sul potere, che opera in modo che gli altri si appoggino a lui, e di chi adotta quella centrata sul bisogno, che trova sempre qualcuno a cui appoggiarsi, che fa riferimento a questa strategia reagisce in senso opposto al proprio bisogno di appoggiarsi agli altri. Quanto maggiore sarà quindi il suo bisogno di noi, tanto più fortemente sentiremo il suo distacco. In genere potremo individuare questa strategia nella persona che abbiamo di fronte quando abbiamo la sensazione di invaderla, oppure di essere noi ad aver bisogno di lei ma non lei di noi.
Più che a vere e proprie malattie, le persone che negano il bisogno sono soggette a incidenti come chi basa la sua strategia sul potere.

Resistenza: a chi ha questa strategia facilmente succede qualcosa che impedisce di concludere ciò che hanno iniziato controvoglia. Quando si basa la propria strategia sulla resistenza, negli altri (e in se stessi) si evoca una sensazione di impedimento, di frustrazione, di rallentamento dell’attività. Anche il corpo è organizzato per resistere: gambe robuste, bacino largo, piedi callosi con spesso strato corneo, scheletro massiccio. Tendenzialmente prive di eccitazione, leggerezza e piacere. questo genere di persone, capace di grandi sacrifici, spesso nella vita si accompagna a che ha una strategia basata sul potere, anche se in modo ben diverso da chi ha bisogno. Perché una persona con questa strategia riesca a muoversi, è necessario evitare di spingerla – o eventualmente spingerla dalla parte opposta a quella in cui andrà – per funzionare ha bisogno di qualcuno che spinga, e la frustrazione che si avverte in contatto con questo tipo di persona non è che la risposta – né giusta né sbagliata, semplicemente automatica – a uno stato non neutrale rispetto alla vita dell’altro.

Distacco: bisogno di non entrare nella vita di relazione. L’individuo sviluppa una sorta di appiattimento fisico e tende ad accedere a stati più mentali che emotivi. In un corpo piatto non c’è spazio per le viscere e quindi per le sensazioni. Cerca di passare inosservata e osserva gli altri dal di fuori. Controlla l’emozione con tensione e magrezza, analizza e ha una sensazione di non appartenenza. Vuole evitare la responsabilità di esserci.
Le malattie di chi basa la sua strategia sul distacco sono simili a quelle delle persone orientate al bisogno.

Seduzione: caricare le situazioni in modo da ottenere molta attenzione e spesso un’attenzione di tipo sessuale. L’energia sessuale è molto presente ma, non potendo essere riconosciuta a livello di coscienza, si presenta in forme camuffate. In genere dietro ci sta un genitore che si accorge di lei solo quando il figlio o la figlia sono “eccessivi”. Questo succede per esempio quando viene completamente rimossa la componente sessuale del rapporto, es. padre imbarazzato di fronte all’emergere della femminilità della figlia, la ignora totalmente. Così la figlia può sviluppare comportamenti molto vistosi pur di ottenere attenzione.
La confusione nasce dal fatto che la persona crede di non aver mandato messaggi sessuali, quindi per evitare il rischio al quale si espone continuamente, diventa seduttiva soprattutto con le persone impossibili, irraggiungibili, delegando all’impossibilità il suo sogno di proteggersi dalla sua seduzione ad ampio raggio (manca una funzione di orientamento rispetto ai propri bisogni).
Spesso con spalle larghe, molto seno, vita stretta. Questa persona gira su se stessa ma poi non sa scegliere dove andare e di conseguenza il suo piano di movimento più sviluppato è quello orizzontale, rotatorio. Tra i suoi disturbi compaiono spesso patologie che possono respingere, evitare che gli altri si avvicinino troppo e, nelle donne, problemi agli organi riproduttivi. Le malattie in questo caso, servono a controbilanciare gli effetti della strategia. La situazione cambia, ovviamente, quando la persona sceglie di sedurre consapevolmente.

Attività: il fare, andare, scappare. Le persone con questa strategia agiscono prima di aver avuto il tempo di sentire. In compenso non riescono a fermarsi, sempre perché non possono permettersi la sensazione. Non si concedono mai una pausa. In loro compagnia, la sensazione prevalente è di accelerazione, di fretta, una pressione ad arrivare al dunque, una richiesta di prestazioni concrete. È come se non avessero scelta su dove andare, perché qualcun altro ha scelto per loro. Nella vita cercano di avere un obiettivo dopo l’altro. È una vita molto stressante, dove non può esserci integrazione dell’esperienza, assorbimento del nutrimento, perché già incombe l’esperienza successiva.
Fisicamente hanno un corpo organizzato più spesso sull’asse antero-posteriore che su quello destra-sinistra: se li si tocca da dietro partono facilmente in avanti, i loro piedi sono tonici come se fossero sui blocchi di partenza. In alcuni casi hanno pettinature che coprono i lati del viso, che sarebbero insopportabili per persone che vogliono avere prospettiva e guardarsi intorno. Se si fermano temono di restare intrappolati nei loro bisogni. Hanno un forte senso della competizione. La loro strategia può saltare per un incidente. Oppure possono soffrire di problemi ai reni (nefriti, calcoli), ovvero degli organi che entrano in funzione nelle pause di risposo e che, essendo sempre in pista, non hanno il tempo di esercitare la loro funzione (come la diarrea prima della gara), le ulcere (perché l’intestino non è mai rilassato).

Mimetismo: preoccupato di piacere agli altri. Il loro modo di piacervi è prendere la forma che a voi fa piacere, essere esattamente come ci si aspetterebbe che fossero. In genere si tratta di persone gentilissime, affettuose, fini, educate e molto vicine a un’immagine ideale di sé, che riescono bene a interpretare perché rinunciano a essere realmente se stesse, perché non sono in contatto con le loro emozioni mentre capiscono intuitivamente che cosa gli altri si aspettano da loro e desiderano sono adattarvisi. In qualche misura sono simili a che basa la propria strategia sul potere, ma con una qualità più morbida, più pacioccona, più innocua, almeno a prima vista.

Un altro modo per comprendere l’unità psicofisica, oltre a quelle determinato dalla strategia di vita alla quale ogni individuo fa riferimento, è quello di considerare la fase di sviluppo attraverso cui si sta passando.

L’appartenenza/fase orale/bisogno: scopo è sopravvivere a qualsiasi costo, e il modo più rapido per farlo è essere tutt’uno con l’altro, creare una situazione di appartenenza reciproca.

La differenziazione/fase anale/resistenza: quando sopravvivenza e appartenenza sono garantite, si mira alla differenziazione, all’individuazione rispetto all’altro. Differenziarsi, separarsi, respingere, non è ancora scegliere ma è un passo avanti rispetto al garantirsi la sopravvivenza. Il modo più facile per differenziarsi è quello di opporsi, boicottare, fermare qualunque iniziativa dell’altro che non riconosca in maniera chiara la propria indipendenza, la propria diversità.

L’affermazione/fase fallica/attività: per affermare il proprio bisogno bisogna essere un po’ “innamorati” di se stessi, per cui la persona non ha più solo bisogno di separarsi ma anche di valorizzarsi e, nel farlo, impara a conoscere con piacere la propria bellezza, la propria forza, i propri b
isogni, la propria capacità di essere attiva nel prendersi cura di sé.

La scelta/genitale/raggiungere: siamo sopravvissuti, ci siamo differenziati, ci siamo appropriati del nostro potere e non abbiamo più niente da dimostrare. A questo punto possiamo risolvere il problema per quello che è. Non c’è più una priorità dovuta a qualche esigenza di costruzione della propria personalità, che ormai è cresciuta, conosce, sa che può sopravvivere, che è potente, capace, intelligente, bella. Finalmente ci si può permettere di essere se stessi.

Le modalità tipiche di ciascuna fase si ripresentano regolarmente ogni volta che nella vita cambia qualcosa o ci si trova in una situazione nuova. Quando si rimane ancorati a un’unica modalità rispondente a un bisogno profondo, ma senza possibilità di scelta ci si trova nel campo della nevrosi.

Alla nascita, l’organo più importante per sopravvivere è la bocca ed è lì che si concentrano il sistema nervoso e l’attenzione inconscia. Seguendo le indicazioni olfattive, con la bocca il bambino va ad attaccarsi al seno e ritorna tutt’uno con la madre, ricostruisce l’indifferenziazione vissuta durante la gestazione e, con la sicurezza che gli viene dal sentirsi unito col mondo, sempre tramite la bocca comincia a conoscere, a esplorare, a procurarsi piacere (appartenenza).

Una volta conosciute le sue capacità di sopravvivenza, l’evoluzione del bambino richiede una separazione. In questa fase, l’attenzione inconscia si sposta dalla bocca all’ano, ovvero verso l’estremità opposta del tubo digerente. 

Se però in un primo tempo il tubo è costantemente aperto come quello della ciambella, per cui la bocca prende continuamente – non appena c’è uno stimolo – e l’altra estremità rilascia altrettanto facilmente, a un certo punto il bambino comincia a essere consapevole di quando apre o chiude questo spazio interno. Quando l’attenzione e l’energia del corpo si spostano verso l’ano questo aprire e chiudere diventa – a livello cognitivo – la possibilità di dire si è no al mondo, di separarsi, di scegliere se avere uno spazio interno delimitato oppure essere tutt’uno. La funzione del separare presente in questa fase ha un riflesso anche sulla nascita del linguaggio, basata sul binario: sì/no, aperto/chiuso, on/of (differenziazione).

Quando l’interesse comincia a spostarsi sui genitali esterni, pene o clitoride, il bambino o la bambina entrano in contatto con la sensazione di potenza che trovano dentro di sé e che manifestano con l’erezione, reale o simbolica: gesti verso l’alto, passione per le spade, la pistole, tentativi simbolici di rubare la mamma al papà … Nel processo di identificazione con la propria potenza, il bambino o la bambina cominciano a camminare, a correre, a mostrare la propria indipendenza e ad allontanarsi dalla madre. Corrono nudi mostrando i genitali, cominciano a masturbarsi, a toccarsi. In una fase più avanzata, le funzioni falliche sono ben rappresentate dall’affermarsi indipendentemente dai genitori o da altre persone, come da tutte le azioni che tendono a dimostrare di essere bravi, forti, capaci (affermazione).

La fase della scelta è caratterizzata invece da un uso diverso della propria potenza (e delle funzioni acquisite nelle fasi precedenti) semplicemente con l’obiettivo di risolvere un problema pratico e non viceversa. In poche parole, il passaggio dalla fase di affermazione a quella della libertà di scelta porta a un radicale cambiamento della finalità del proprio agire, perché in quest’ultima fase si è liberi dall’identificazione con le singole parti di sé (scelta).

Freud ha analizzato le diverse fasi della crescita riconducendole, entro certi limiti, al piano fisico (orale, anale, fallica, genitale). Forse i tempi non erano maturi, tuttavia, non si è spinto fino ad esaminare in che modo le diverse fasi psicologiche si riflettono peculiarmente anche nell’organizzazione dei movimenti di un individuo.

La fase di appartenenza è caratterizzata dalla capacità di abbandonarsi, di appoggiarsi. 

Nella fase di differenziazione, la possibilità di dire “no” corrisponde alla fase di movimento caratterizzata dallo spingere, ovvero la possibilità di differenziarsi dal piano di appoggio. 

 Nel movimento, la fase dell’affermazione coincide con l’andare verso e con maggiore libertà di movimento sul piano sagittale (ovvero sull’asse antero-posteriore), implicato nelle flessioni in avanti e indietro. 

La fase di scelta corrisponde invece alla fase conclusiva, quella in cui una volta raggiunto ciò che interessa, lo si può anche prendere, quindi incorporare. 

Ognuna di queste fasi ha come premessa le precedenti. Appare evidente che ciò che Freud non ha fatto in tempo a esplorare è come queste fasi psicologiche si riflettano nel corpo, portandolo a organizzarsi e a muoversi in modi totalmente diversi.
Questo stretto rapporto fra fasi psicologiche e fasi di movimento implica una enorme potenzialità a livello evolutivo, in quanto ogni intervento sul corpo volto a riorganizzarlo e a reintegrare le caratteristiche di movimento mancanti comporta a un’analoga riorganizzazione sul piano psichico. Viceversa, una crescita sul piano psicologico dischiude a un nuovo modo di muoversi.

L’organizzazione dello spazio si riflette sul corpo e sull’organizzazione psichica, ma anche, viceversa, cambiamenti a livello psichico e di personalità portano a modificare le caratteristiche dello spazio circostante. Così, se la strategia personale di un individuo prevede una respirazione contenuta, è probabile che anche il suo bisogno di spazio sia scarso, e che la sua identità risulti ristretta rispetto alle sue potenzialità. Mentre se il respiro è più ampio del necessario, il bisogno di spazio potrebbe essere esagerato, al punto di trovarsi spesso a occupare anche quello degli altri.

Se il respiro è uno dei modi più evidenti con cui ci si adatta all’ambiente circostante, ci sono altri meccanismi che più o meno inconsapevolmente vengono messi in atto per riempirlo.
Uno di questi è il volume, ovvero la quantità di spazio che si occupa fisicamente.

Se dunque inspirare è il sistema più veloce e reversibile per modificare il volume (grazie all’estensione toracica), in modo più stabile si può occupare più spazio ingrassando, tento che è abbastanza frequente – nei rapporti con persone obese – osservare alterazioni degli equilibri spaziali reciproci (ben semplificati da invadenza o riservatezza eccessive). Un altro meccanismo è l’odore: esattamente come cani e gatti delimitano il loro territorio segnandolo chimicamente, l’odore di una persona ideale sull’appropriazione dello spazio; sia che si tratti di odore, impregnando un ambiente con le proprie emanazioni lo si fa proprio. Un odore dilagante, che occupa un grosso spazio si accompagna a una rinuncia a “prendersi i propri spazi” consapevolmente, per cui una persona da una parte rinuncia e dall’altra dilaga.

Ogni volta che in una persona cambia in profondità il modo di respirare, tutto il suo corpo e il suo campo energetico vanno incontro a una serie di riorganizzazioni, soprattutto a livello neurologico – che ci opera nel campo delle tecniche corporee conosce bene – e che hanno conseguenze interessanti anche sull’ambiente circostante.

I peperoni e i pomodori, fanno bene o fanno male? Le diete antitumorali li consigliano in virtù delle loro proprietà antiossidanti e dell’elevato contenuto vitaminico. In compenso, vari approcci, come quello macrobiotico, li sconsigliano, per la loro appartenenza alla “famigerata” famiglia delle solancee e quindi per le sostanze tossiche che potenzialmente contengono.
I sostenitori della dieta dissociata, a loro volta, raccomandano di tenere assolutamente separati, all’interno dello stesso pasto, proteine e amidi (es. carne e pasta) per digerire bene, mentre altri naturopati ritengono che sia importante associarli perché, senza gli amidi, non viene secreta una quantità di insulina sufficiente a permettere l’integrazione a livello cellulare delle proteine.
Ma noi, come ci sentiamo se mangiamo i peperoni o facciamo una dieta dissociata?

Se prestassimo attenzione, saranno il nostro stomaco, il nostro intestino o l’energia disponibile a dircelo. Solo così diventa facile orientarsi tra i mille suggerimenti in contraddizione tra di loro e trovare lo stile più salutare per ciascuno.

Rilevare le informazioni del corpo significa comunicare a pensare col corpo. Perché pensare con pochi centimetri di materia grigia quando è possibile usare un’intera rete distribuita su quasi due metri di altezza?



Fonte: Pensare col corpo - J. Tolja, F. Speciani 

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__pensare_col_corpo.php?pn=2028









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