Morte
e rinascita nei riti di passaggio
I riti di passaggio segnano
un cambiamento decisivo nella vita di un individuo o di una cultura. La scelta
del momento opportuno coincide con cambiamenti fisiologici importanti come la
nascita, la circoncisione, la pubertà, il matrimonio, la menopausa e la morte:
occasioni nella quali il corpo, la psiche e il ruolo sacro degli iniziati
cambiano in modo significativo.
Rituali di questo tipo
vengono celebrati anche per l’iniziazione l rango di guerriero, l’accettazione
nelle società segrete, alcune feste legate al calendario, le migrazioni di
gruppi umani nuovi territori.
Nelle civiltà
industrializzate dell’Occidente i periodi più significativi di transizione da
una fase all’altra della vita sono generalmente carichi di valenze negative.
Questo è sicuramente vero per la pubertà, la mezza età, la vecchiaia e,
ovviamente, la morte.
Il morente è spesso visto
come un peso sociale ed economico.
La
transizione
Nella seconda fase, che Gennep ha chiamato “transizione”, i neofiti passano da
un apprendimento principalmente intellettuale a profonde esperienze dirette di
stati olotropici di coscienza, indotti da potenti tecniche in grado di alterare
la mente: “tecnologie del sacro”.
Tra le più potenti
tecnologie del sacro vi sono diverse piante psichedeliche. Il loro uso a fini
rituali e spirituali risale a migliaia di anni fa.
La pozioni leggendaria
divina, chiamata haoma nell’antico testo persiano Zend Avesta e soma in India, era conosciuta
migliaia di anni fa dalle tribù indo-iraniane e probabilmente fu la fonte più
importante della religione e della filosofia vedica.
Le preparazioni ottenute da
differenti varietà di canapa venivano fumate e ingerite sotto forme diverse
(hashish, charas, bhang, ganja, kif, marijuana) in Oriente, in Africa e
nell’area caraibica per svago, per piacere e durante le cerimonie religiose:
hanno rappresentato un importante sacramento per gruppi molto diversi, come i
Bramini, alcuni ordini di Sufi, gli antichi Sciti e i Rasta giamaicani.
L’uso cerimoniale di vari
materiali psichedelici ha una lunga storia nell’America Centrale. Le piante che
provocano l’alterazione dello stato mentale erano ben conosciute presso diverse
culture indiane preispaniche, tra cui gli Atzechi, i Maya e i Toltechi.
Le più famose sono il cactus peyote messicano (Lophophora williamsii), il sacro fungo teonanacatl (Psilocybe mexicana) e ololiuqui, semi di diverse varietà del
Morning Glory (Ipomoea violacea e Turbina
corymbosa). Queste sostanze sono usate ancora oggi nelle cerimonie di
consacrazione dai Huicholes, dai Mazatec, dai Chichimeca, dai Cora, e da altre
tribù del Messico, come pure dalla Native American Church.
Il famoso yajé o ayahuasca sudamericano è un decotto ottenuto con una liana della
giungla (Banisteriopsis caapi) e con
altre piante.
Le tribù aborigene
dell’Africa ingeriscono e inalano preparati ricavati dalla corteccia dell’arbusto iboga (Tabernanthe
iboga), che utilizzano in piccole quantità come stimolante e in dosi
maggiori per i rituali di iniaziazione di uomini e donne.
Composti psichedelici di
origine animale comprendono le secrezioni
della pelle di alcuni rospi (Bufo
alvarius) e la carne del pesce Kyphosus fuscus che si trova nel
Pacifico.
Il
rito di passaggio Okipa
Un esempio di un rito di
passaggio particolarmente potente e complesso è la festa Okipa dei Mandans, una tribù di indiani delle
Grandi Pianure del Nord America che vivevano sul fiume Missouri.
Questo rituale, che
comportava la mutilazione e un fortissimo dolore fisico, dimostra quanto alcune
culture valutino le esperienze di trasformazione e a quali estremi siano
disposte a spingersi nel perseguirle, anche se molti altri riti di passaggio
non sono così radicali ed elaborati quanto la festa Okipa.
Gli
antichi misteri di morte e rinascita
Nel mondo antico i misteri
della morte e della rinascita rappresentano un’altra forma importante di
addestramento alla morte. Si tratta di eventi rituali basati su storie
mitologiche di varie divinità che erano morte e tornate alla vita o che avevano
visitato gli inferi, il regno dei morti, ed erano riapparse incolumi.
Capire le dinamiche di
questi eventi e il loro legame con le storie di morte e di rinascita degli dèi
e degli eroi richiede un’interpretazione completamente nuova della natura e
della funzione dei miti.
I miti sono
tradizionalmente considerati il prodotto della fantasia e dell’immaginazione.
Tuttavia le opere di Jung e Joseph Campbell hanno contribuito a un’interpretazione
radicalmente nuova della mitologia.
Secondo questi studiosi i
miti non raccontano le avventure fittizie di personaggi immaginari in luoghi
inesistenti, non sono il prodotto arbitrario della fantasia di alcuni
individui, ma piuttosto hanno la loro origine nell’inconscio collettivo
dell’umanità e sono manifestazioni di quei principi primordiali che mettono
ordine nella psiche e nel mondo, e che Jung ha chiamato “archetipi”.
Gli
archetipi e il mondo imaginale
Gli archetipi sono principi
primordiali eterni che stanno alla base del mondo materiale, formandone e
informandone la struttura.
La tendenza a interpretare
il mondo in termini di principi archetipici è apparsa per la prima volta nella
Grecia antica e fu una della caratteristiche più singolari della filosofia e
della cultura greche.
Gli archetipi possono
essere visti da diverse prospettive.
I poemi omerici presero la
forma di figure mitologiche personificate o di divinità, come Zeus, Poseidone,
Era, Afrodite, Ares.
Nella filosofia di Platone erano descritti come puri principi metafisici
trascendenti: Idee, Forme, O Archai
divini che esistevano indipendentemente in un regno non accessibile ai sensi
dell’uomo. In tempi moderni, Jung ha fatto rivivere e ha riformulato il
concetto di archetipo descrivendolo principalmente come principio psicologico.
Gli junghiani si
riferiscono al mondo delle figure e dei domini archetipici come “imaginale” per
distinguerlo dai prodotti immaginari della mente umana. Benché vi si possa
avere accesso attraverso l’autoesplorazione intrapsichica, il mondo imaginale
possiede un’esistenza oggettiva.
Gli archetipi sono essenze
atemporali, principi ordinatori del cosmo che possono manifestarsi anche sotto
forma di personificazioni mitiche o divinità specifiche di varie culture.
Si esprimono attraverso la
psiche e i processi profondi dell’individuo, ma non hanno origine nella mente
dell’uomo né sono da essa prodotti. Trascendono la psiche dell’individuo e
funzionano come principi che la governano. Stando agli ultimi lavori di jung,
gli archetipi hanno una natura “psicoide”; operano nella zona crepuscolare che
si colloca tra la coscienza e la materia. Modellano non solo i processi della
psiche umana, ma anche gli eventi del mondo fisico e della storia dell’uomo.
L’inconscio collettivo
rappresenta la comune eredità culturale di tutta l’umanità nel corso dei
secoli.
L’eroe
dai mille volti
L’eroe
dai mille volti (1948),
testo di Joseph Campbell, fu un libro innovatore
che nei decenni successivi influenzò profondamente la ricerca e la comprensione
dell’argomento.
Analizzando un ampio
spettro di miti provenienti da diverse regioni del pianeta, Campbell si rese
conto che tutti contenevano variazioni di una formula archetipica universale,
che chiamò “monomito”. Era la storia
dell’eroe, maschio o femmina, che lascia la sua casa e, dopo fantastiche avventure,
vi ritorna come essere deificato. Campbell trovò che l’archetipo del viaggio
dell’eroe si svolge in tre fasi peculiari, simili a quelle descritte come le
sequenze caratteristiche dei tradizionali riti di passaggio: separazione,
iniziazione e ritorno.
L’eroe lascia il territorio
familiare, volontariamente o costretto da una forza esterna, subisce una
trasformazione attraverso una serie straordinaria di prove e avventure e,
infine, viene di nuovo accolto nel suo ambiente originario con un ruolo diverso.
Il mito del viaggio
dell’eroe inizia quando la vita quotidiana del protagonista viene interrotta
improvvisamente con l’intrusione di elementi di natura magica che appartengono
a un diverso ordine di realtà.
Campbell si riferisce a
questo invito all’avventura come alla “chiamata”. Se l’eroe risponde alla
chiamata e accetta la sfida, si imbarca in un’avventura che comprende
molteplici sfide, visite a strani territori, incontri con animali fantastici ed
esseri sovrumani.
L’avventura spesso culmina
in un’esperienza di morte e di successiva rinascita. Dopo aver compiuto il
viaggio con successo, l’eroe torna a casa e vive una vita gratificante come
essere deificato: come leader riconosciuto, guaritore, veggente o maestro
spirituale.
Il monomito del viaggio
dell’eroe rappresenta la fotocopia della crisi trasformatrice che tutti gli
esseri umani possono sperimentare quando i contenuti profondi dell’inconscio
emergono alla coscienza. Il viaggio dell’eroe non fa che descrivere il terreno
di esperienze che l’individuo deve attraversare durante i periodi di profonda
trasformazione.
La
morte e la rinascita degli dèi e degli eroi
In una forma simbolica
sicuramente meno ovvia, lo stesso motivo è a volte rappresentato dall’esperienza
di essere divorati e rigurgitati da mostri terrificanti per poi riuscire a
scappare: dal biblico Giona, che passò 3 giorni
e 3 notti nella pancia del “grande pesce”, al greco Giasone
e a Santa Margarita di Antiochia, che vennero
entrambi ingoiati dal drago.
La ricerca psichedelica e
le terapie sperimentali hanno dimostrato che l’archetipo della morte e della
rinascita è legato alla nascita e questo spiega perché sia un motivo così
universale che appare tanto frequentemente nella mitologia. Il passaggio
attraverso il canale del parto è un evento che minaccia la vita: ecco perché
nel nostro inconscio morte e nascita sono profondamente connesse. Ed è questo
il motivo per cui le sequenze di morte e di rinascita psicologica sono quelle
che più frequentemente si osservano negli stati olotropici, spontanei o indotti
artificialmente. Queste giocano un ruolo estremamente importante nel processo
psicologico di trasformazione della personalità e di apertura spirituale.
I
misteri di morte e rinascita
Il molte zone del mondo i
miti della morte e della rinascita forniscono la base ideologica per i “sacri
misteri”, potenti eventi rituali nei quali i neofiti sperimentano la morte e la
rinascita e una profonda trasformazione psico-spirituale. Ben poco si sa sulle
tecniche usate per indurre stati olotropici: i misteri venivano mantenuti
segreti oppure nel corso del tempo è andata persa la specifica informazione che
li riguarda. Tuttavia è probabile che le procedure fossero simili a quelle
usate nei rituali sciamanici e nei riti di passaggio: tamburella menti, canti,
danze, cambiamenti nel ritmo del respiro, esposizione a stress, dolore e
situazioni che minacciano la vita, apparentemente o realmente.
Tra gli strumenti più
efficaci senza dubbio vi erano pozioni che contenevano sostanze vegetali dalle
proprietà psicoattive.
Le esperienze potenti, e
spesso terrificanti, indotte negli iniziati rappresentavano un’occasione unica
per mettersi in contatto con le divinità o con i domini divini ed erano vissute
come necessarie, desiderabili e, infine, guaritrici. In alcuni casi, inoltre,
l’esposizione volontaria a questi stati estremi di coscienza era considerata
una protezione contro la vera pazzia.
Gli antichi Greci si
rendevano conto che le forze pericolose nosacsote nella psiche devono essere
espresse in un contesto adeguato.
Nel dialogo Fedro, Platone
parla di quattro tipi di follia
conferiti dagli dèi: la mania erotica, dovuta alla possessione di Afrodite ed
Eros; la mania profetica, causata dall’intervento di Apollo; la mania
artistica, dovuta all’ispirazione di una delle Muse e la mania rituale, o
telestica, provocata da Dioniso.
In grande filosofo descrive
in modo vigoroso il potenziale terapeutico della mania telestica portando a esempio
un tipo di mistero greco meno conosciuto, i riti coribantici: consistevano in
una serie di danze selvagge al suono dei flauti e dei tamburi culminanti in
un’esplosiva liberazione di emozioni che induceva uno stato di profondo
rilassamento e tranquillità.
Fu Aristotele,
celebre discepolo di Platone, il primo a dichiarare esplicitamente che il
processo di sperimentare e liberare pienamente le emozioni represse, da lui
chiamato “catarsi” (purificazione), era un efficace trattamento dei disturbi
mentali.
Aristotele affermava che i
misteri della morte e della rinascita fornivano un potente contesto per questo
processo. Sosteneva la tesi fondamentale del culto orfico (una delle più
importanti scuole mistiche del tempo), secondo la quale il caos e il delirio
dei misteri conducevano a un ordine superiore.
Tra i misteri di morte e di
rinascita più antichi ci sono i riti babilonesi e assiri di Ishtar e di Tammuz, basati sul mito
della Dea Madre Inanna (Ishtar) e
della sua discesa agli inferi governati dalla sorella, la terribile dea Ereshkiga. Lo scopo del viaggio di
Ishtar era di ottenere un elisir per riportare alla vita il dio della
vegetazione Tammus, che era sia suo figlio che suo marito.
Negli antichi templi egizi
di Iside e Osiride, gli iniziati si sottoponevano a prove complesse sotto la
guida dei sommi sacerdoti per superare la paura della morte e ottenere
l’accesso alle conoscenze esoteriche sull’universo e sulla natura umana.
Nel corso di questo
processo, i neofiti sperimentavano l’identificazione con il dio Osiride che,
secondo il mito sul quale si basavano i misteri, fu ucciso e smembrato da Seth, il suo malvagio fratello.
Successivamente, Osiride fu riportato in vita dalle due sorelle, Iside e Nefti, e divenne sovrano
degli inferi. In questo contesto il tema della morte e della rinascita era
legato al ciclo giorno-notte e al viaggio archetipico del dio Sole attraverso
il Cielo e gli Inferi.
I misteri eleusini, i più importanti dell’antichità, furono celebrati
per quasi 2000 anni (1500 a.C – 400 d.C) a Eleusi, una città situata a circa 25
chilometri a occidente di Atene; erano basati su un’interpretazione del mito di Demetra, dea greca della
fertilità, e di sua figlia Persefone.
Persefone fu rapita da Ade, il dio
degli inferi, ma in seguito all’intervento di Zeus, questi la lasciò libera a
condizione che tornasse da lui ogni anno per 4 mesi. Il marito, solitamente
considerato un’allegoria della crescita ciclica delle piante nel corso delle
stagioni, per gli iniziati ai misteri eleusini divenne il simbolo delle lotte
spirituali dell’anima, periodicamente imprigionata nella materia e liberata.
Il culto orfico si concentrava sulla leggenda della deificazione di Orfeo, il bardo tracio impareggiabile
musicista e cantore, che visitò gli inferi nel tentativo non riuscito di
liberare l’amata Euridice dalla
schiavitù della morte.
Lo stesso Orfeo morì
tragicamente fatto a pezzi dalle donne dei Ciconi per aver interferito nei
baccanali.
Secondo la leggenda, la sua
testa decapitata, gettata nel fiume Ebro, continuò a cantare e ad annunciare
oracoli.
I riti dionisiaci, o baccanali,
erano basati sulla storia mitologica del giovane Dioniso che, dopo essere stato smembrato dai Titani, fu poi fatto
risuscitare quando Pallade Atena
recuperò il suo cuore. Nei riti dionisiaci gli iniziati sperimentavano
l’identificazione con il dio ucciso e rinato grazie a bevande inebrianti, danze
orgiastiche, corse nei campi e mangiando la carne cruda degli animali.
I misteri samotraci dei Coribanti (sacerdoti della dea Cibele) erano connessi strettamente
alle celebrazioni dionisiache. Il dramma rituale che vi era associato
descriveva l’omicidio di Cadmillo da
parte dei suoi tre fratelli.
Il culto mitriaco, era una fede sorella del cristianesimo, cui contese
il ruolo di religione del mondo. I santuari sotterranei mitriaci (mithraea) spaziavano dalle spiagge del
Mar Nero fino alle montagne della Scozia e al confine del deserto del Sahara.
Il famoso mito di Adone, ispirò i misteri del mondo
antico. Durante la sua gravidanza Smina, la madre, fu trasformata dagli dèi in
un albero di mirra. Adone nacque quando un cinghiale aprì il tronco con le sue
zanne liberando il neonato. Afrodite fu così affascinata dalla bellezza di
Adone che lo affidò alle cure di Persefone, dea degli inferi. Quando più tardi
Persefone si rifiutò di restituirlo, Zeus decise che Adone avrebbe vissuto un
terzo dell’anno con Persefone e un terzo con Afrodite. Il rimanente terzo fu
lasciato alla sua discrezione, ma la leggenda vuole che Adone trascorresse
sempre due terzi di ogni anno con Afrodite.
Il mito che soggiace ai misteri nordici di Odino (Wotan)
si riferisce alla storia dell’assassinio e della resurrezione di Balder, il figlio favorito di Odino.
Balder era giovane e bello ed era l’unico dio pacifico di Valhalla. Loki, l’imbroglione, la
personificazione del male, convinse con l’inganno il dio cieco del fato Hoder a colpire Balder con una freccia
di vischio, l’unica rama che poteva ferirlo. Balder fy trafitto al cuore e
morì. La dea della morte Hel, mossa
dalle suppliche degli dèi affranti, promise di far ritornare Balder nella terra
dei vivi a una condizione: ogni cosa nel mondo, morta o viva, doveva piangere
per lui. In effetti ogni cosa pianse eccetto Loki, e così Balder dovette
rimanere negli inferi. Tuttavia, il mito predisse che dopo la battaglia finale
di Ragnarok, quando un nuovo mondo sarebbe sorto dalle sue ceneri, Balder
sarebbe rinato. Nei misteri di Odino il neofita beveva idromele santificato da
una tazza ricavata da un teschio. Identificandosi con Balder, si sottoponeva a
un’ardua prova in un complesso di nove stanze sotterranee, superata la quale
era in grado di svelare il mistero di odino con i più preziosi segreti della
natura e dell’animo umano.
Nei misteri druidici della Bretagna, il confine tra morte simbolica e
morte biologica era piuttosto confuso. Dopo essere stato seppellito vivo in una
bara, il candidato era mandato in mare su una barca aperta, una messa in scena
simbolica della morte del dio Sole.
In questa singolare ordalia
molti iniziati perdevano la vita; coloro che sopravvivevano all’ostico rituale
erano definiti “rinati”.
I dettagli e le tecniche
utilizzate per alterare lo stato mentale nel corso di questi riti segreti sono
rimasti per lo più sconosciuti.
Tuttavia, il kykeon,
la sacra pozione che svolgeva un ruolo cruciale nei misteri eleusini era molto
probabilmente una mistura contenete alcaloidi di segale cornuta, simile
all’LSD. È anche molto probabile che nei baccanali e in altri tipi di rituali
fossero implicate sostanze psichedeliche.
Negli stati olotropici
questo materiale mitologico emerge spontaneamente dalle profondità della psiche
senza alcuna programmazione e spesso sorprende tutti coloro che vi sono coinvolti.
Immagini archetipiche e
intere scene tratte dalla mitologia di varie culture spesso appaiono nelle
esperienze di individui che non hanno alcuna cognizione delle figure mitiche e
dei temi in cui si imbattono.
Fonte: l'ultimo viaggio - Stanislav Grof