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sabato 18 luglio 2015

Secret talk whit Mr. G. volume 2, capitolo 2 – E.J.Gold

G. sedette in silenzio per tutta la lettura del pomeriggio, respirando a fatica con un brutto colorito, e tuttavia non diede nessuna manifestazione esterna di disagio. Dopo il capitolo, egli incominciò il discorso della sera senza preamboli o domande dal gruppo.

Oggi ho notato qualcuno di voi che lavorava in cucina che litigava come dei cani di mezza età intorno ad una cagna in calore, su una qualche banalità o altra, probabilmente anche voi vi siete dimenticati di che cosa si trattasse.
Molti anni fa avevo un altro gruppo così che faceva litigare esteriori l’uno contro l’altro per faccende senza senso. Non erano come voi, che avete un desiderio reale di diventare dei candidati reali per il Lavoro. Erano occultisti e non sapevano nulla né volevano sapere nulla con comprensione.
Sembrava comprendessero l’idea di emozione negativa, valutandosi sempre fra loro di come un giorno sarebbero stati in grado di vincere le emozioni negative in loro stessi.
Allora non capivo come comprendessero le emozioni negative: per loro era semplicemente una regola in più, regola che io avevo creato dal niente e versavo nel vuoto.
Per un periodo avemmo l’occasione di vivere insieme in una piccola casa in condizioni molto difficili. Tutto il giorno e tutta la notte ognuno di noi lavorava duramente per assorbire idee. Improvvisamente dopo varie settimane esplose un litigio fra loro per una cosa da nulla, nulla in confronto alle condizioni di vita in cui furono costretti a vivere dopo.
Compresi allora che non ha importanza ciò che si diceva, all’inizio almeno essi comprendevano le idee come fosse filosofia, non molto pratica, o in ogni caso non relativa al sé superiore. Essi vedevano l’idea di emozioni negative come psicologiche in senso ordinario.
Dopo questo dissolsi il gruppo.
Vidi per la prima volta che anche il più serio degli uomini ordinari è troppo schiavo della debolezza personale, e fui costretto a riprendere in considerazione tutto ciò che insegnavo ed a cambiare il mio sistema per fare posto a queste sue debolezze.
L’”io” reale non considera seriamente questa banalità della vita sulle quali l’uomo ordinario combatte continuamente. Anche le grosse questioni non le prende troppo seriamente, al contrario della personalità che si sente interessata solo dalle banalità e si perde in piccolezze: associazioni, oggetti, condizioni di vita e addirittura quale colore devo vestire oggi.
Si può dire in questo senso che la personalità sia la somma complessiva dei riflessi del centro istintivo-motore. Riflesso significa esattamente quello che dico. Può rispondere solo quando è colpito dall’impatto di impressioni, e solo con quelle risposte che si sono impiantate per la forza dell’abitudine nell’organismo, generalmente in modo più o meno permanente.
Ecco perché l’uomo ordinario non può fare; è una macchina reattiva non troppo complicata che è forzata a rispondere sempre nello stesso modo in ogni situazione contingente che assomigli a quelle situazioni in cui è stato condizionato a rispondere quando era molto giovane. Per questa ragione il suo “io” è senza aiuto e anche in caso di emergenza può continuare indisturbato nel suo assopimento.
La presenza, per l’uomo ordinario, non è necessaria. La macchina di per se può fare per lui tutto quanto la vita richiede. Anche se ci prova con impegno, non può interferire con la macchina; la macchina è troppo potente.
L’uomo ordinario non ha emozioni reali. Ciò che egli chiama in se stesso “emozione” è in realtà solo “il riflesso del centro motore” che si riverbera attraverso i suoi organi e muscoli. La macchina ha solo emozioni inferiori, riflessi del centro motore. Ciò che gli occultisti chiamano emozioni superiori è Charlotte Russe (un dessert tipo bignè alla crema, molto dolce).
Nel lavoro dobbiamo imparare al più presto, dopo che incorporiamo nella nostra vita quotidiana la battaglia per generare la presenza di “io”, a sopportare le manifestazioni spiacevoli di altri nei nostri confronti. Le manifestazioni degli altri sono la causa principale del sorgere dei riflessi delle emozioni inferiori nel nostro organismo.
Non possiamo sopportare alcune manifestazioni degli altri perché sebbene queste possano essere le stesse manifestazioni che esprimiamo noi, esse significano, secondo il condizionamento che abbiamo ricevuto nella nostra infanzia, qualcosa di completamente differente di quanto possano significare per altri. Quando vediamo che il sig. Smith fa certi gesti ed impiega un certo tono, riteniamo che con questo egli intenda esattamente quello che noi intenderemmo con quei gesti e quel tono.
Le emozioni negative che emergono in questo modo dall’errato giudizio di manifestazioni altrui non sono emozioni vere. Sono il sorgere automatico di riverberi organici causati dal semplice riflesso del centro istintivo-motore.
Se solo potessimo apprendere ad arrestare questi riverberi organici, a rendere atto tranquillo all’interno, potremmo apprendere a sopportare facilmente le manifestazioni spiacevoli e ad eliminare in noi la maggior parte della nostra negatività e della nostra sofferenza meccanica.
Dobbiamo apprendere a vivere senza emozioni negative. Non ne abbiamo bisogno per fare nulla. L’uomo senza emozioni negative può essere tutto ciò che vuole, persino un lavoratore per l’immortalità.
Sopportare tutte le manifestazioni di tutti è troppo per incominciare; può essere lo sforzo finale per un uomo reale senza virgolette.
Però sopportare una sola manifestazione di una persona che adesso non potete sopportare per tutta una giornata senza consentire un riverbero organico nel sé, questo potremmo essere in grado di farlo.
Che cosa pensate che significhi “riverbero organico”? Pensate a come quando qualcuno che sia per voi una “fonte ambulante di vibrazioni negative” sentite all’interno qualcosa o qualcos’altro che voi chiamate “risposta emotiva”. Magari il centro della sensazione è lo stomaco, o il petto, o risuona nelle orecchie.
Sempre con l’”idea di emozione”, percepirete alcune associazioni di sensazioni organiche che si riverberano attraverso l’organismo e scompaiono solo lentamente quando si sono miscelate come le vibrazioni generali della vita organica sulla terra. Questi riverberi di sensazione causati da impressioni esterne sono ciò che l’uomo chiama in sé “emozioni”. Egli confonde sentire con percepire (in inglese “feeling” e “sensing” N.d.T).
Poiché gli shock di impressioni esterne hanno impatto sui suoi centri, l’uomo ordinario consente loro di causare shock interni che si irradiano all’esterno da ogni centro, diffondendosi e riverberando attraverso il suo intero sistema organico comprese le ossa, il midollo, il sistema delle ghiandole linfatiche, il tessuto muscolare, gli organi di ingestione e di eliminazione, il suo flusso sanguigno, la parte superiore del cervello ed il sistema nervoso.
Se egli cerca di ingerire cibo o di ragionare con se stesso durante questo riverbero organico, il suo cibo avrà un sapore completamente assolutamente insolito per lui e le sue relazioni ne soffriranno.
Tutte le sue sensazioni ed impressioni cambiano continuamente in relazione ai riverberi organici delle emozioni negative.

A questo punto madame parlò con tranquillità: “Il riverbero organico abbassa anche la resistenza del corpo alle energie elettriche”.

G. si illuminò e sorrise: “È molto importante. Vorrei avessimo oggi alcuni dispositivi che un tempo avevo per far vedere quanto questo sia vero. Il sorgere di emozioni negative crea un cambiamento corrispondente nella conduttività del corpo. Quando la resistenza si abbassa, può passare più forza elettrica. Il riverbero organico, che dipende dalla forza elettrica per la continuazione può in questo modo salire in spirale verso l’atto ad un crescendo in “momentum di procedimento automatico” (una forza che si convoglia in un effetto di crescita continua)”.

Madame: “Il punto è comprendere questo in modo realistico, non mistico o in qualche modo “filosofeggiare elevato”. Quando siamo portati via da noi stessi da questi riverberi organici di emozioni negative, al punto che non abbiamo più la possibilità di avere autorità sulle nostre manifestazioni, siamo schiavi del centro istintivo-motore, vero?”.

Vero – disse G. – Madame ha descritto quello che potrebbe essere chiamato “un orgasmo del centro motore”, un crescendo di energia negativa che si nutre di se stessa. Possiamo contenere questo in una “pentola a pressione” per fare un’esplosione controllata, una fusione alchemica. In questo modo possiamo imparare ad avere un orgasmo dell’emozione, ma non l’eiaculazione dell’espressione della negatività.

Madame aggiunge: “Possiamo imparare ad impiegare la nostra emozione in questo modo, contenendo le forze del riverbero organico delle emozioni negative attraverso la nostra macchina quando questo diminuisce di forza conformemente alle leggi relative all’ottava (tracciò un enneagramma nell’aria). È una riflessione interna di forze superiori, una “macchina organica di moto perpetuo” di energie al nostro interno.
Abbiamo tutti dei riverberi e possiamo imparare a separare l’emozione negativa dall’espressione delle manifestazioni, gli shock dalle impressioni, ed anche il lavoro mentale del pensiero associativo.

G. sospirò profondamente. “Siete stati per troppo tempo schiavi di ogni disturbo, come l’acqua la cui superficie vibri dopo che gli è caduto dentro un sassolino. Naturalmente sempre ed in ogni cosa vorreste che le vostre acque rimanessero calme ed indisturbate. Quando le impressioni hanno un impatto sul centro istintivo-motore, è come un sassolino che cade nell’acqua, crea delle increspature che si irradiano all’esterno dal centro dell’impatto.
Pensate all’organismo come ad una pozza quieta, ed al sassolino come allo shock di impressione. In questo caso le increspature rappresentano “il riverbero organico dell’emozione negativa”. Alcuni tipi di sassolini creano uno shock maggiore, altri non tutta quella commozione. Ogni uomo ha il suo proprio repertorio di risposte a certi tipi di shock.

Gli shock sono il risultato di impressioni che vengono a noi dalla percezione di manifestazioni di altri, come pure per effetto di impressioni in generale.

Madame parlò di nuovo. Nell’esempio del sassolino che cade nell’acqua, dovremmo renderci conto che i riverberi non avvengono solo sulla superficie, ma anche sotto di essa. Sebbene non possiamo osservare i riverberi che avvengono sotto il livello dell’acqua in modo ordinario, possiamo arrivare a comprendere che sono molto potenti e che hanno una grande influenza sul nostro stato interiore.

Ciò che lei dice è vero – disse G. – L’uomo è un universo in sé. Ha tutto in se stesso, persino ciò di cui non ha bisogno per vivere. Ma abbiamo già parlato a lungo delle emozioni negative e la questione permane. Come possiamo arrestare il riverbero organico delle emozioni negative così da essere in grado di sopportare manifestazioni spiacevoli di altri in relazione a noi?

B. disse: “Potremmo evitare completamente i sassolini”.

Questa è la via del monaco – disse G. – Egli si segrega, e vuole solo impressioni provenienti da un’influenza più elevata. Ciò non vi è d’aiuto. Non possiamo impedire ad un sassolino di cadere se viviamo nella vita ordinaria. Non abbiamo autorità sul sassolino, né vogliamo averne. Su che cosa possiamo avere autorità”

Mi pare – disse S. – che la sola cosa su cui possiamo avere autorità sia l’acqua, ovvero il nostro proprio organismo.

Ah! – disse G. sorridendo – Per arrestare il riverbero organico dobbiamo assumere autorità sull’organismo in un modo speciale. Dobbiamo apprendere ad aprire l’acqua davanti al sassolino così che il sassolino non generi nessuna impressione se l’acqua non offre resistenza, il sassolino non può generare riverbero.

Non offrire resistenza significa sopportare manifestazioni spiacevoli. Dobbiamo imparare a “dividere il Mar Rosso”, e come Mosè abbiamo bisogno di un aiuto di tipo speciale e di un bastone di forza.

Capisco che cosa Voi intendiate per il Mar Rosso – disse Madame – quelle influenze Marziane in noi che dobbiamo imparare a dividere consentendoci di passare attraverso di esse senza perderci in esse. Non vi è però null’altro che possiamo offrire per la nostra battaglia con le emozioni negative, qualche cosa di più solido che possiamo impiegare adesso?

Vi è una tecnica supplementare – concordò G. – Possiamo vedere che coloro che stanno interno a noi non sono responsabili delle loro manifestazioni delle loro manifestazioni, che non hanno autorità su loro stessi e sono schiavi dell’organismo, con i centri istintivo-motore che agiscono da padrone.
Possiamo imparare ad avere pietà degli altri senza arroganza in noi. Possiamo vedere l’uomo ordinario come una vittima di ogni singola influenza della vita. Guardando a lui con genuina pietà possiamo fare per noi qualcosa che darà profitto in futuro. Guardare a lui con pietà ma mai con superiorità. Lui non è meno di voi. È vero, almeno in un senso, che lui è più furbo di voi. Non si inimica la natura in una battaglia per un obiettivo quasi disperato.
Se comprendiamo attraverso l’esperienza che tutte le emozioni ordinarie sono il riverbero organico riflesso dal centro istintivo-motore, possiamo imparare ad assumere autorità suoi nostri stati interiori, comprendendo che ciò che l’uomo ordinario chiama “emozione” è soltanto un brontolio del suo stomaco.
L’uomo ordinario è schiavo dei riverberi organici, il suo destino è determinato dal suo organismo. Si può dire che sia sotto l’incantesimo della vita organica sulla terra.
Può bere “un goccio” o assumere una droga per sfuggire temporaneamente dalla sua prigione di identificazione ma nulla di ciò che egli sappia fare in modo ordinario lo libererà per lungo tempo.
Vi sono tre linee di lavoro sulle emozioni negative; parleremo successivamente di queste. A volte concentriamo tutti i nostri esercizi in una grande rete per prendere il pesce grosso. Non siamo interessati al pesciolino che si usa da esca. Per adesso mi riposo. E voi … Perché siete seduti?

Questo era il segnale che la riunione era finita.

Tratto da: RE NUDO Numero 49 – anno VI, aprile 2001 
Traduzione di Marco Maria Bonello: ibjbon@tin.it


Secret Talks with Mr. G. di E.J. Gold


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sabato 4 luglio 2015

In viaggio con un Maestro Sufi – H.B.M. Dervish

“… ricorda che devi avere il senso dell’umorismo. Le persone ossessionate non ne hanno, ecco come puoi distinguere il vero dal falso. Poiché in realtà, gli ossessionati sono falsi”.
“Ma le cose dello spirito non sono serie? Non si deve, non si può deridere la religione”.
“Le persone non ridono della religione. Quando le persone spirituali ridono, ridono dell’imitazione della religione”.

C’era qualche altra ragione, mi chiesi, per cui un Sufi si presentava come qualcuno senza importanza, o in una veste che non significava nulla per la persona insensibile?
“Ci sono almeno altre due ragioni. La prima è che se il Sufi si veste come tale, dove va a finire la sfida alla ricettività dello studente? Egli deve vedere il “Re in ogni travestimento”, come dice l’aforisma Sufi. L’altra ragione è che ogni cosa di valore in questo mondo è minacciata, incluse le cose spirituali.

Ricorda l’aneddoto Sufi del pavone che amava strapparsi le piume.
Qualcuno gli chiese perché lo facesse.
“Egli rispose: Perché le persone mi inseguono per queste piume. Se non ne avrò, non vorranno null’altro da me e potrò vivere una vita tranquilla e inutile”.
Più tardi trovai questo racconto nel Quarto Libro del Mathnavi di Rumi, la sua opera principale.
L’anziano mi insegno anche che c’erano quattro “cancelli” verso la conoscenza superiore: la legge religiosa; la Via o Sentiero, l’Insegnamento e la sua osservanza; e la gnosi, l’esperienza o la percezione della Verità, che è chiamata Realtà Oggettiva.

Nell’introduzione al Libro Quindi del suo Mathnavi, Rumi chiarisce questo punto:
“La Legge”, egli dice, “è come apprendere la teoria alchemica da una persona o da un libro. Il Sentiero è come un processo alchemico. La Verità è l’effettiva trasmutazione del rame in oro”.

La maggior parte delle persone porta l’attenzione sulle cose che approva. Ma quando nei circoli Sufi qualcosa ti colpisce come strana o persino inaccettabile, allora dovresti prestarle una speciale attenzione, perché significa quasi sempre che un aspetto dell’insegnamento reale ha colpito i tuoi pregiudizi e che questi stanno cercando di rigettarlo, stanno cercando di tenerti in una stretta “schiavitù”.

 … disse Shah, “i Dervisci sono chiamati uomini santi senza percezione e i Sufi sono conosciuti come Dervisci che sono arrivati alla Conoscenza”.

Shah non si stanca mai di indicare che il ripetere della musica o dei movimenti, lo standardizzare le attività o persino gli insegnamenti, è la via dell’indottrinatore o del condizionatore e che la vera tradizione Sufi ha sempre operato contro l’inculcare dei modelli fissi nella gente. La conoscenza Sufi viene impartita con qualunque metodo si riveli idoneo.

“Dopotutto, poiché lo studente è così inferiore al Maestro, quale differenza può fare per una persona così elevata il rispetto dello studente?”
“Ci furono parecchi tentativi di dare una risposta, ma nessuna parve soddisfare il Siriano”.
“Devo rispondere io? Poiché è chiaro che avete bisogno del concetto di attitudine e posizione.
Se volete entrare in una stanza attraverso una porta bassa dovete chinarvi. Se pensate che inchinarvi sia servile quando è semplicemente necessario, non passerete mai attraverso la porta. L’insegnante è la vostra porta.
Il vostro insegnante non trae profitto dal vostro rispetto semplicemente perché è rispetto: ma voi sì. Se non onorate il vostro insegnante, non potete imparare; così sareste voi stessi a rimetterci. Ciò che l’insegnante guadagna è che se voi imparate da lui egli sarà in grado di fare il suo lavoro. Il rispetto reale, comunque, viene a uno stadio molto superiore, quando si può realmente apprezzarne la tremenda importanza.
A quello stadio, la vostra capacità di rispetto è ugualmente grande, così in effetti rispettate il suo ruolo e il suo essere molto di più di quanto sia possibile farlo allo stadio di principiante”.

Shah aveva qualcosa da dire anche circa la baraka, una forza intangibile che i Sufi, tradizionalmente, sono in grado di concentrare e proiettare. Shah la chiamava “l’armonizzazione della conoscenza con il recipiente potenziale”. Diceva che l’esistenza di questa forza veniva spesso sospettata da tutti: ma che era stata volgarizzata nell’idea comune di fortuna. Come la fortuna, la baraka è molto elusiva. Le persone che possono ricevere la baraka o che l’hanno ricevuta, possono mettersi al di fuori del suo campo a causa della loro attitudine, solitamente volendo cose che non sono necessarie. Quando questo accade, la baraka semplicemente cessa di operare.
La baraka può essere considerata simile alla forza che è stata parte delle culture primitive e che gli antropologi hanno chiamato Mana. Ma ha ulteriori dimensioni. È data a persone che sentono la necessità di mettersi in armonia con la Verità, non tutte queste persone, ma alcune.
Se le persone diventano personalmente avide al di là di un certo punto (conosciuto tecnicamente tra i Sufi come 'punto di tolleranza') la baraka si disperde. Molte imprese sono affondate a causa di questo. 

Shah ha sottolineato a più riprese che i Sufi non sono “antiaccademici”, ma sostiene semplicemente che il lavoro accademico dovrebbe essere oggettivo e non un perseguimento agonistico della conoscenza.

Egli mi disse: “Il mio riverito padre mi introdusse, molti anni fa, al metodo Sufi di trattare con l’erudizione. C’erano, egli disse tre Vie, tre categorie di apprendimento che sono:
La Via dello schiavo: colui che memorizza il materiale e lo segue senza deviazioni. Egli può considerare se stesso uno studente o persino uno studioso;
La Via dell’erudito: colui ce accumula materiale secondo il suo desiderio e che può sottoporlo a qualunque critica che ritenga giusta.
La via del saggio: colui che è in grado di estrarre dal materiale ciò che realmente contiene. Non troverà piacere nel memorizzare, né accetterà lodi per la sua memoria. Studierà solo ciò che darà vantaggi, non ciò che le persone l’hanno esortato a considerare importante e otterrà dal materiale di studio ciò che è più utile, che ha origine dalla verità e che porta alla Verità.
Non ho mai trovato errata questa diagnosi e ogni volta che l’ho applicata sono stato in grado di raggiungere la mia meta. Ho anche verificato il commento di mio padre su questo soggetto: La prima Via è quella dell’abitudine, la seconda quella dell’abitudine e dell’azione, la terza quella di fuggire dall’abitudine per arrivare alla comprensione dell’azione; così invece di essere manovrati da queste, possiamo manovrarle, se necessario.

Dopo che lasciammo Mashad viaggiammo sino al Kasmir, dove a Shah fu dato il benvenuto non come maestro Naqshbandi, ma come uno qualificato ad arruolare nuovi membri nell’Ordine Azimiyya (il grande), di cui egli è “ispettore”. Ecco un esempio dello stile con cui vengono usate le parole in questa cerimonia:
Sei il benvenuto in questa assemblea. Questa cerimonia segna il ricevimento di un nuovo venuto nei ranghi degli Amici e lo prepara per un viaggio con noi.
Se hai qualche riserva sul Sentiero o su qualcuno dei presenti, consigliamo di ritirati immediatamente. In questo caso puoi andartene ora. Se lo farai, non perderai la nostra stima o amicizia … (pausa).
Poiché non ti sei ritirato, devo ritenere che desideri restare con noi, per quanto lunga sia la strada? …
Devi sapere che la strada è lunga, il tempo è breve e le provviste sono scarse.
Realizzi che ci si aspetta che farai ciò che non vuoi fare?
E che non farai ciò che vuoi fare?
Realizzi che è più facile scivolare da un luogo elevato che da uno basso?
Sei preparato a fare un sacrificio materiale in segno del tuo scambiare il grossolano per il più sottile?”.

La presentazione continuava con altri parecchi paragrafi. Alla luce di ciò che avevo visto e di ciò che avevo imparato dalle domande rivolte di partecipanti a queste iniziazioni, ritornai una sera sugli appunti che avevo preso su qualcosa che avevo chiamato “La Prima Lezione di Shah”:
“Le persone tendono a pensare che gli studi Sufi assomigliano a quelli con i quali hanno più dimestichezza, come quelli comuni nei culti religiosi e mistici. Essi perciò associano i Sufi con ciò che in effetti non sono.
Gli studi Sufi, comunque, sono strumentali e prescritti individualmente. Dono anche successivi. Questo significa che sono intesi a causare un effetto quando l’effetto può essere causato. Altri sistemi sono caratterizzati dalla ripetizione di slogan, dal portare avanti osservanze stereotipate e così via. Quest’ultimo tipo di attività, tuttavia non è affatto un’attività religiosa. È più un processo per eccitare le persone a livello emotivo. È più un processo per eccitare le persone a livello emotivo.
La gente, in generale, spesso non riesce ad accostarsi agli studi Sufi, poiché normalmente crede siano ciò che non sono: sistemi didattici, ideologici o magici; invece di sistemi educativi e di sviluppo.
Per questa ragione, i Sufi si considerano diversi. Un Insegnante Sufi deve innanzitutto chiarire che il “modello” mentale (il preconcetto sui Sufi e sulla Via Sufi) che il nuovo venuto ha, potrebbe essere inadeguato. Perciò, è essenziale chiarire l’incomprensione prima che venga detta o fatta qualunque altra cosa”.

Quindi a Shah fu chiesto se ci fosse un particolare metodo per sviluppare la funzione che causa miracoli ed egli disse:
“È proprio il contrario. Innanzitutto, i miracoli accadono costantemente, ma le persone ne sono spesso inconsapevoli. Secondo, le persone generalmente inibiscono la loro percezione del miracoloso con l’esercizio di tre attitudini mentali.
Queste sono le stesse attitudini insite nella maggior parte delle persone e che in ogni caso devono essere eliminate prima che si possa progredire sulla Via Sufi. Esse sono:
Uno. La costante richiesta di attenzione;
Due. Le obiezioni alle esperienze quando si sta imparando;
Tre. L’aspettativa di ricevere l’insegnamento come, quando e dove l’individuo lo richiede”.

Una sera a New Delhi, ebbi l’occasione di raccontare una lunga conversazione che una volta avevo avuto a casa mia con un diplomatico, qualcuno completamente sconosciuto a Shah. In seguito Shah fece dei commenti su quest’uomo considerando la sua altezza e che, in base ad essa, gli avrebbe dovuto essere pieno di sé e così via. In effetti Shah sembrava descrivere quasi ogni caratteristica fisica del diplomatico anche se certamente non lo conosceva e le sue caratteristiche fisiche non erano mai entrate una sola volta in ciò che stavo dicendo.
Allora dissi: “Si vede che ho un’immagine mentale di lui dalla quale tu attingi tutto questo”.
“Nient’affatto” rispose, “tutti i discorsi riguardanti una persona, un luogo o una cosa, contengono dei frammenti d’informazione incollati ad essa. Se sei vigile puoi raccogliere tutto questo. Le persone non lo fanno, non perché non possono farlo, ma perché, attraverso un’abitudine insita fin dall’infanzia, la loro censura mentale le rigetta non appena si fanno vive.
Esse immaginano che una cosa del genere sia impossibile, così quando accade la cancelliamo”.
Non si può fare a meno di cercare delle spiegazioni quando si hanno esperienze come queste, ma Shah mi disse: “Più cercherai e meno comprenderai, poiché il modo convenzionale di comprendere le cose non può affatto comprendere queste. Una volta che con un’altra persona viene stabilito un certo tipo di rapporto, è possibile sentire ciò che sente e farle sentire ciò che tu senti”.

“Tutti i sistemi normalmente conosciuti, nel corso dell’addestramento e dell’indottrinamento, possono rendere 'schiavi' i loro seguaci e persino i loro capi. L’ossesso è catturato dalla sua ossessione. Nei sistemi ordinari l’ignoranza fa presumere alle persone: 'nessuno qui è schiavo'. Guardatevi attorno e ditemi chi non è schiavo.
Soltanto un insegnamento illuminato può affermare che tutti sono sottomessi a qualcosa. La questione è, naturalmente, se la sottomissione sia servitù.
Il cercatore deve riconoscere l’abilità dell’Insegnante e dovrebbe effettivamente sentirla. Il Sufi ha il diritto di essere servito, ma non ha il diritto di chiedere, come dice Ma ‘Ruf Karkhi. Essere Sufi significa non essere attaccato a nulla, né avere nulla attaccato a sé, come dice Nuri.
Tu dici di mettere in dubbio ogni cosa. Questo in effetti è il miglior modo per far sì che le persone si attacchino a te. Di loro di mettere in dubbio, di fare domande e avrai catturato il loro questionare. Dopo di che ti ubbidiranno, persino nel fare domande e saranno incapaci di non obbedirti. A meno che tu non mette in dubbio le domande stesse”.

Durante questa sessione con l’Insegnante gli parlai di una cosa che vedevo come una difficoltà per gli Occidentali. “Le persone in Occidente” dissi, “sono abituate alla loro peculiare versione della religione che implica anzi, mira a produrre, degli stati emotivi. Possono essere biasimati se quando incontrano le idee Sufi pensano che manchino di un elemento spirituale?”.
“I veri Sufi”, egli rispose, “hanno sempre lavorato per rimuovere l’innaturale elemento emotivo dalla religione. È questa la parte che ha dato ad alcune religioni una cattiva fama, perché è questa parte che dà origine al fanatismo e alla guerra. Solo quando sarà liberata dalla parte emotiva, la religione potrà funzionare spiritualmente. Per quel che riguarda ciò che le persone potrebbero pensare”, continuò, “ci sono due risposte.
La prima è che questa non è affatto la nostra esperienza. Lo troviamo, naturalmente, in una minoranza ed essi possono ben essere i più vocali. La seconda risposta è che, nel mondo moderno, la scienza si sta avvicinando ai principi fondamentali della psicologia umana e di pari passo, sta sorgendo una domanda per fatti religiosi interpretabili secondo le basi della natura umana scoperte di recente o riscoperte di nuovo. Le persone che stanno lavorando in quest’area stanno lavorando con noi”.
In seguito, negli Stati Uniti e altrove vidi quanto ciò fosse vero. Gli scienziati moderni hanno ormai realizzato la differenza tra le attività che creano e aumentano il credo e quelle che forniscono conoscenza – una distinzione fatta molto tempo fa dai Sufi e generalmente ignorata.

“L’istinto del branco ci dice che è meglio essere con gli altri che da soli e ciò ha i suoi pregi e i suoi difetti”, ci spiegò il nostro insegnante di Abshar. “Il desiderio di attenzione blocca certe possibilità di comprensione”.

Shah mi disse in privato: “C’è un tempo in cui non si può fare nulla, un tempo in cui può essere fatto qualcosa e un tempo in cui tutto è possibile. Tienilo a mente, così da essere vigile nel discernere ogni differente qualità del tempo”.

Shah allora disse: “Quando ero solo un ragazzo e fui per così dire, gettato nel mondo, solevo chiedere cosa facevano le persone istruite per l’ignoranza dell’ignorante. Smisi di chiederlo quando qualcuno mi disse: “I presunti colti amano definirsi tali in contrasto ai presunti ignoranti. Essi hanno perciò tutto l’interesse a mantenere l’ignoranza. Se tutti gli abitanti di un paese fossero professori, tutti i professori sarebbero contadini”. Oppure, come avrebbe potuto dire Shah: “All’inferno un diavolo non è niente di particolare”. 


Fonte: In viaggio con un Maestro Sufi – H.B.M. Dervish 

martedì 23 giugno 2015

Noi siamo il nostro corpo – Mauro Sartorio

… l’individuo che si trovasse improvvisamente di fronte al leone potrebbe, del tutto in automatico, serrare la gola, bloccare il respiro e indietreggiare bruscamente.
In seguito, in una successiva minima frazione di tempo: le contrazioni muscolari, le tensioni, le reazioni speciali di ogni organo del corpo e ogni informazione cenestesica, vengono tradotte e recepite in forma di emozione (come paura, sgomento, rabbia …), con tante sfumature di “colore” quante sono le infinite combinazioni possibili tra i processi biologici attivi in un dato istante.
Di fronte al leone, una traduzione emotiva generica dello stato fisico potrebbe essere “terrore”.
Solo in ultimo, e relativamente molto più tardi: le informazioni sensoriali, acquisite e registrate nei tessuti con la reazione organica, iniziano a comporsi in immagini mentali. Si aggregano tutte le sensorialità, dalla visiva all'olfattiva, alla uditiva creando l’immagine mentale del leone.

Mettendo ora da parte il leone, provo a rimanere in un ambito più quotidiano: immagina di stare per attraversare la strada e, inaspettatamente, di rischiare di essere investito.
La reazione immediata è un salto indietro sul marciapiede con il cuore in gola e gli occhi sbarrati; una frazione di secondo dopo un’ondata di paura che attraversa il corpo; dopo qualche istante inizi a prendere coscienza di cosa è accaduto, di cosa sarebbe potuto accadere, e di quante parole hai in testa da urlare al pirata della strada.
Questa è la successione temporale, nella tua esperienza in quell'istante, della rappresentazione vegetativa/motoria, quindi emotiva e poi mentale di uno stato corporeo.

Ricordi e emozioni non sono cose che vengono dalla testa: il cervello non è altro che un organo di controllo costituito da un agglomerato immenso di interruttori (la famosa stanza dei bottoni).
Ricordi e emozioni sono, nell'essenza, registrati in tutto il corpo.

… tutte le cosiddette malattie sono fasi di fisiologia speciale, e non ci sono sintomi forti e notevoli senza che si sia in presenza di un comportamento ripetitivo che faccia perdurare il programma biologico, con la conseguente cumulazione di sintomi cronici anche molto gravi.

Tutto ciò che chiamiamo malattia è dunque un programma biologico che perdura nel tempo.

Quando l’organismo è preso in contropiede
da un qualche rischio per la sopravvivenza,
reagisce in automatico con speciali programmi fisiologici
appresi nell'evoluzione.
L’espressione sintomatica di questi processi 
è ciò che chiamiamo “malattia”.

… l’emozione è infatti solo una successiva conseguenza del livello biologico, ne è l’ombra.
… è la percezione della cosa, e non la cosa in sé, ad attivare la risposta biologica.

Per evitare l’antico dolore instauriamo strategie
che si consolidano in routine di comportamento.

Si dice che il corpo parla, ascolta il tuo corpo”; in effetti non è che il corpo stia comunicando alcunché con l’obiettivo di attirare l’attenzione ed essere salvato, ma i sintomi che manifesta sono sempre il risultato di:
  •  il permanere in un gabbia,
  • la quale mantiene un’attitudine ripetitiva,
  •  che non permette al corpo di adattarsi alla vita come sa fare,
  • e costringerlo alla ricerca di un equilibrio, necessario per la sopravvivenza, attraverso programmi biologici di emergenza strutturati nell'evoluzione.

Le routine generano gabbie percettive invisibili
Nelle quali il passato si ripete senza fine.



Fonte: Noi siamo il nostro corpo, Mauro Sartorio

lunedì 8 giugno 2015

ESERCIZI PRATICI DI PSICOGENEALOGIA – Ann Ancelin Schützenberger

… Ho l’abitudine di dire che gli esseri umani sono come le mucche: ruminano e lo fanno per tutta la vita e per molte generazioni. Ruminano i propri segreti di famiglia, i propri lutti non risolti e le felicità passate, i sentimenti d’ingiustizia, i rancori, ecc. è una storia familiare che si ripete fino a coloro che smettono di ruminare, fino alla rivelazione del segreto.

L’intergenerazionale è ciò che accade tra diverse generazioni, nel corso di una vita, in maniera chiaramente detta o evidente. Ad esempio, un notaio trasmette la propria carica a uno dei suoi figli.
Il transgenerazionale è come una “patata bollente”, che passa di mano in mano e di generazione in generazione, e che brucia tutte le mani per le quali passa.

Non subite più la tensione dei lutti non elaborati (L’effetto Zeigarnik)
Cercate di ricordare. In seguito a un avvenimento grave, a un decesso o a un’offesa, non avete rimuginato a lungo su ciò che era accaduto o rimpianto quel che non era successo? Ad esempio: “Ah, se fossi partito prima, sarei arrivato prima che morisse”.
Questo ruminare al condizionale, che somiglia a un ritornello, può essere considerato come la conseguenza di un lutto non elaborato, di un percorso incompiuto o interrotto (Bluma Zeigarnik), che genera una tensione psicologica ed energetica che è necessario bloccare.

Questo effetto tormentoso legato agli incompiuti è oggi noto con il nome di effetto Zeigarnik.

La difficoltà sta nel dover elaborare il lutto in nome di generazioni che ci hanno preceduto, chiudere con il passato.

Come potreste fare per fermare questo rimuginare e voltare pagina? Dipende da ciascuno e da quanto è accaduto. Potete perdonare, certamente, ma non è l’unica soluzione. Ne esistono altre, che sono atti simbolici. L’importante è fare qualcosa.
Françoise Dolto, ad esempio, faceva scrivere su fogli di carta ciò che non andava, poi il foglio veniva sotterrato al cimitero o bruciato, per farla finita col passato.
Oppure si può cantare una ninnananna, per sciogliere la tensione legata alla morte di un bambino avvenuta secoli prima, magari ai tempi delle Crociate.
Oppure è possibile piantare un arbusto o una pianta, su una curva della strada che per qualcuno a cui si teneva si è rivelata mortale.
O ancora, restituire una parte di eredità ricevuta ingiustamente.
Non esiste una ricetta miracolosa. Sta a voi inventare, con i vostri propri mezzi, la reazione che vi converrà.

Aprite “il grande libro dei conti” della vostra famiglia (Lealtà familiari invisibile e inconsce)
Nel tracciare il vostro genosociogramma, vi troverete a interrogarvi sulle lealtà familiari che vi riguardano, aprirete “il grande libro dei conti” chiarirete il tipo di giustizia, e d’ingiustizia, che vige nella nostra famiglia, vedrete quali sono i modelli familiari su cui fate riferimento e chi li incarna.

Regole familiari: 4 domande da porsi, semplici ma cruciali

Quali sono le regole della famiglia?
Chi le elabora?
Chi detta le regole?
Chi le trasmette?

Uno psichiatra americano di origine ungherese, Iván Böszörmenyi-Nagi (1920-2007), all’inizio degli anni ’70 ha creato il concetto di “lealtà familiare invisibile”, un tipo di lealtà che ho a mia volta allargato all’inconscio.

Diventare adulti: essere liberi delle proprie scelte

La maggior parte delle persone agisce come gli è stato insegnato; altri fanno esattamente il contrario.
Ma cosa accade se faccio il contrario di ciò che facevano i miei genitori, che a loro volta hanno fatto il contrario dei loro genitori? Ebbene, mi ritrovo a fare la stessa cosa che facevano i miei nonni! E, anche in questo caso, non si muove comunque nulla. Credevo di liberarmi dei miei genitori opponendomi a loro, ma ho semplicemente creato con loro un legame di opposizione. Il nostro specifico interesse sta nel trovare una risposta che sia nostra, personale e non identica o all’opposto.


Quando si fa il proprio genosociogramma su sette o otto generazioni e vi si scrivono gli avvenimenti importanti (positivi o negativi), si può vedere finalmente chi sono gli uomini e le donne che hanno segnato la storia familiare come modelli irraggiungibili o inaccessibili, magari con il rischio di scoprire che ci sono modelli con i piedi di argilla e che il tale ammirevole bisnonno era invece incestuoso o pedofilo, cosa di cui è proibito parlare in famiglia. 


Fonte: Esercizi pratici di Psicogenealogia – Ann Ancelin Schützenberger



Altri testi di Ann Ancelin Schützenberger










mercoledì 13 maggio 2015

Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli

Tutti nasciamo con un bagaglio molto consistente di attitudini, capacità, organizzazione, specializzazioni, e questo è vero sia sul piano biologico che su quello psicologico.

… ogni manifestazione individuale si configura come la migliore risposta che riusciamo a fornire alle sollecitazioni dell’ambiente in cui viviamo, una risposta che è il frutto di un’interazione tra il nostro apporto individuale e la miglior risposta che la specie e la nostra famiglia hanno fornito a problematiche uguali o simili.
Si tratta di veri e propri “programmi speciali” – per la maggior parte inconsci – che si attivano per risolvere gli squilibri che si generano o si sono generati nel corso della vita, la nostra e quella dei nostri genitori, dei nostri nonni, dei nostri bisnonni ecc., arrivando a certi livelli (biologici) addirittura ai nostri antenati ancestrali.

La Nuova Medicina di R.G. Hamer e la Psicogenealogia o psicanalisi transgenerazionale (che ha in Europa una capostipite in A.A. Schützenberg) costituiscono di fatto la complessificazione di due ambiti disciplinari ancora oggi molti restii al cambiamento, decisamente ancorati a una visione quantomeno ottocentesca dell’essere umano: una psiche da sondare, bagaglio di esperienze inconsce del bambino da zero a tre anni per la psicanalisi e la psicologia; un ammasso meccanico-elettrico-chimico di cellule da tagliare, cucire, riassemblare per la medicina.

Questa immagine dell’essere umano – e di conseguenze della realtà e della stessa conoscenza – è caduta a partire dall’inizio del Novecento grazie alla grande svolta costituita dalla teoria della relatività di Einstein.
La teoria dei sistemi (promulgata alla metà del secolo scorso) l’ha poi definitivamente distrutta, sostituendola con i principi dell’autoreferenzialità e dell’autoorganizzazione dei sistemi viventi che finalmente complessificano (e non complicano) la vita e le sue emergenze.

Riconnetterci con la vita su tutti i piani – biologico, familiare, individuale e relazionale – reinserirci nella grande ruota della vita, è necessario sia a livello di psiche che di corpo: se il senso della vita è metaforicamente e concretamente rappresentato dal sangue, infatti, i legami di sangue ne determinano in larga parte la salute, la salite del sangue.
La Nuova medicina e la Psicogenealogia costituiscono le nuove frontiere della medicina e della terapia psicologica.

… oggi l’essere vivente è visto come un sistema complesso dove ogni elemento è in relazione con ogni altro elemento all’interno di un’organizzazione in costante dialogo-scontro con l’ambiente in cui si muove e di cui fa a sua volta parte. Una rete di complessità di reti di intercomunicazione costante che fa di ogni individuo un biotipo (specie), un antropotipo (società), un genotipo (famiglia) e un fenotipo (specificità singola) al contempo.

Limitarsi a una sola di queste caratteristiche significa ridurre la complessità di un individuo a un solo punto di vista.

… lo studio della persona e della sua provenienza sul piano psichico si può definire “psicanalisi transgenerazionale” o “psicogenealogia”, e si tratta in sostanza dello studio dell’albero genealogico per evidenziare e analizzare le modalità di strutturazione dell’individuo e delle sue caratteristiche nell’arco delle generazioni, vale a dire come una persona viene “costruita” dalla storia delle generazioni che l’hanno preceduta.
Così come non c’è alcun dubbio che l’essere biologico sia il risultato finale di un’evoluzione il cui inizio risale ad almeno 3,5 milioni di anni fa, altrettanto si può dire che l’essere psichico, il quale è l’esito finale raggiunto dalla sua specie e dalle modalità particolari tramite le quali questa ha garantito la propria sopravvivenza, la propria riproduzione e la sua stessa evoluzione.
Queste modalità si riassumono concretamente nell’incrocio e nella relazione tra maschile e femminile che è alla base della vita, in altre parole, per l’essere umano, in quell’istituzione sociale – su basi biologiche ed evolutive – che è la famiglia.

Se a livello biologico il maschile e il femminile rappresentano i biotipi di base, essi lo sono anche sul piano psichico e genealogico, e si possono racchiudere in una formula che li riassume per l’uno e per l’altro livello: archetipi primari.
Gli “archetipi primari” sono quindi il maschile e il femminile, l’uomo e la donna, il padre e la madre, il figlio e la figlia.

La psico-bio-genealogia basata sulla teoria degli archetipi primari che qui viene presentata non ha nulla o poco a che vedere con il genosociodramma in senso stretto, con la genealogia e la psicogenealogia comunemente intesi e nemmeno con la Nuova Medicina tout court.

Questo approccio prende naturalmente in considerazione gli approdi e gli apporti della psicogenealogia e della Nuova medicina, e anzi se ne serve al massimo, però li fonde all’interno di un percorso più sistemico e forse più radicale per entrambi i punti di vista, i quali spesso (ma verrebbe voglia di dire sempre) si escludono a vicenda.

La grande potenza dell’inconscio – che la Nuova medicina chiama “psiche”, anche se non la identifica con esso – risiede nel determinare i conflitti e il tipo di risposta a questi conflitti, ma se l’inconscio è potente nel malessere può essere altrettanto potente per il benessere: oltre alla presa di coscienza, che rappresenta di per sé già il 70% di ogni guarigione, l’inconscio necessità cioè di una nuova informazione, per non tornare a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni e dell’evoluzione.

… la presa di coscienza del conflitto rappresenta di per sé già il 70% della “guarigione”, anche nella terapia della Nuova medicina, ma se si tratta di processi inconsci c’è la necessità assoluta di fornire a questo – all’inconscio – una nuova informazione, affinché non torni a ripetere e a radicalizzare ciò che ha imparato nel corso delle generazioni precedenti e della nostra stessa biografia (ciò che ci ha portato al conflitto e alla sua soluzione biologica).

È proprio qui che interviene l’atto “paradossale” od “ordalia” nella definizione di M. Erickson e di J. Haley, l’” atto psicomagico” nella definizione di A. Jodorowsky, che atto risolutivo, un atto che io chiamo “poetico”, ma che nella sostanza è di fondo lo stesso per tutti: un’azione pratica – il più delle volte carica anche di un forte valore simbolico – perché il linguaggio dell’” agire” è l’unico che l’inconscio recepisce.
Il passaggio all’atto è fondamentale, dopo la presa di coscienza, e procede di pari passo con essa: in termini fisiologici, la presa di coscienza agisce sul sistema nervoso volontario, mentre l’atto agisce sul sistema nervoso neurovegetativo. La prima agisce sulla neo-psiche, cioè, mentre il secondo interviene sulla psiche arcaica.
È quindi il passaggio all’azione simbolica, “psicomagica” o “poetica”, che va propriamente a riequilibrare gli archetipi primari sul piano inconscio, che rappresenta l’approdo più difficile da raggiungere a livello terapeutico: un’azione che ristabilisce, radica una nuova informazione e incammina verso la nostra vera e unica strada, senza più incorrere nella ripetizione e nella recidiva.


Fonte: Psico-Bio-Genealogia. Le origini della malattia – Antonio Bertoli